Serata vintage
di
fabrizio
genere
sadomaso
L’urlo di dolore, accompagnato dagli improperi di rito, mi colpì improvviso dalla stanza da letto. Ora, che lei fosse riuscita ad entrare in quel vestitino di latex taglia 46 aveva già dell’impossibile; ma che fosse riuscita anche a chiuderne la cerniera, questo si che avrebbe avuto del miracoloso; infatti il cursore aveva pizzicato la pelle, da cui l’urlo, da cui il mio accorrere, da cui lo sguardo di esasperata mestizia che ci stavamo scambiando l’un l’altra. Era chiaro che lo sfregio procurato dalla cerniera rappresentava la classica ultima goccia che fa traboccare il vaso. Maledetta cerniera. Maledetto passato. Maledetta nostalgia.
Tutto aveva avuto inizio quando, dovendo far ripassare il tetto dopo le nevicate invernali che avevano spostato le tegole, avevo sgomberato il sottotetto dagli scatoloni e dalle masserizie che si erano accumulate nel tempo; tutti quegli oggetti non così significativi da tenere in mostra in casa, ma non così inutili da poterli buttare a cuor leggero. Così, fra pacchi di piatti sbeccati, terribili regali natalizi impossibili da riciclare e borsate di quaderni delle elementari, era riemerso quello scatolone, pudicamente etichettato come XXX.
Eravamo giovani e belli, ai nostri occhi tutto appariva come un gioco, e così, per gioco, ci eravamo avvicinati al mondo del sadomaso, dapprima pudicamente poi in maniera sempre più estrema e coinvolgente, in una specie di esistenza parallela dove tutte le frustrazioni accumulate nella prima trovavano una giusta compensazione e rivalsa. Così, con la tenacia e l’ossessività di esploratori delle zone buie dell’anima, poco alla volta avevamo acquistato e soprattutto sperimentato sulla mia pelle tutti i più svariati ammennicoli di tortura: pungoli, fruste, ganci, vibratori, pinze, pinzette e pinzoni, chilometri di corde, cordini, lacciuoli e catene; insomma, tutto l’armamentario che, per averlo usato o subito, ben conoscete e che quindi mi è inutile elencare.
Ci aveva aiutato il fatto che io fossi, e sono, di indole remissiva e docile mentre lei, la mia compagna, varcata la soglia dell’eccitazione sessuale, diviene una specie di Erinni, una brutale amazzone che prova un particolare gusto nell’umiliarmi e ferirmi in ogni maniera possibile - e vi prego di avere una visione piuttosto ampia del concetto di possibile - salvo poi passarmi, in maniera lenitiva, la sua lingua su tutto il corpo ferito e martoriato. Il tutto davvero molto piacevole.
Così mi era tornata la voglia di riprovare quelle sensazioni di un tempo e lei, senza esagerati entusiasmi ma senza neppure un pregiudiziale rifiuto, aveva accettato. Quel sabato sera ci eravamo lasciati liberi da impegni sociali ed avevamo organizzato una serata vintage di revival sadomaso.
Le difficoltà erano iniziate quasi subito; lei aveva indossato gli stivali di vernice nera alti alla coscia e col tacco a stiletto, e aveva accennato quel suo passo dominatore e arrogante che mentre ero appeso inerme al soffitto mi aveva sempre procurato una erezione immediata; purtroppo alla terza falcata era inciampata nella nappa del tappeto, storcendosi la caviglia e rovinando a terra; ora la caviglia era sotto ghiaccio e la natica d’atterraggio riluceva di Lasonil.
Aspettando che il dolore passasse avevo saggiato la resistenza dell’anello al soffitto del salotto, dove la mia maitresse mi appendeva per poi potermi umiliare a suo piacere; forse il tassello si era allentato, o più probabilmente i venti chili che ho preso negli ultimi anni mi hanno fatto oltrepassare il limite di carico, insomma, sia come sia, l’anello aveva ceduto di schianto ed ora alcuni calcinacci polverosi di mattone e di intonaco ricoprivano la zona deputata ai miei supplizi.
A questo punto era il caso di ridimensionare le nostre aspettative ripiegando su qualcosa di più abbordabile, così, contorcendomi come un’anguilla, ero riuscito ad indossare il mio vecchio perizoma di pelle nera, che in parte era stato immediatamente fagocitato dei rotoli di grasso della pancia e delle natiche mentre il piccolo triangolo di pelle che ricopriva le pudenda mi comprimeva i testicoli in maniera da togliermi il fiato
Ed ora lo sfregio prodotto dalla cerniera aveva definitivamente calato il sipario sulla serata vintage.
Lei si alza, saggiando la resistenza della caviglia, che nel frattempo ha assunto le dimensioni di un melone, e con aria complice mi propone di guardare assieme un po’ di TV. Giusto, oggi è sabato sera, e in televisione ci sono i ballerini famosi che danzano con illustri sconosciuti.
Sul divano, sfilatomi il perizoma e ripreso il normale flusso sanguigno inguinale, mi rilasso poggiando la testa sul suo grembo; dopo poco, cullato dal suono delle sue mandibole che triturano patatine fritte a ritmo industriale, mi addormento russando sguaiatamente col volto affondato nel suo grembo, ancora testardamente fasciato da un tanga borchiato da spietata dominatrice.
Dopo un tempo che mi pare infinito, costellato da furibonde frustate e violente sevizie subite dalla stagionata ma sempre arrapante conduttrice del programma, lei mi scuote dal mondo dei sogni mentre sullo schermo scorrono i titoli di coda.
Mi reco in bagno cercando, su sua sollecitazione, di spremere più possibile la vescica perché si sa, alla mia età la prostata è quella che è, e lei davvero desidera una nottata completa di sonno.
Spingi che ti spingi, ho la sensazione che là sotto qualcosa si rianimi; sperando di salvare in extremis la tragica serata corro in camera da letto ma sia la vista di lei, inguainata nella camicia da notte a coniglietti rosa, che quella di Dick, il nostro cane nonchè vecchio partner nelle serate di zoofilia, che addentato un vibratore XL lo sta gustosamente rosicchiando, immagino scambiandolo per un osso succulento, mi tolgono ogni residua fantasia. Le, diciamo così, aspettative si sgonfiano definitivamente, cosi mi accoccolo a fianco di Dick e al suono del suo rosicchiare mi addormento.
La mattina seguente prendo la scala dallo sgabuzzino, impasto lo stucco e comincio a tappare il foro sul soffitto del salotto; la mia dolce torturatrice, affacciandosi ancora claudicante alla porta del cucinino, con dolcezza da virago mi urla che il caffè è pronto. Con un ultimo colpo di cazzuola pareggio lo stucco e chiudo, temo definitivamente, quel passato così dolorosamente piacevole. Sotto il tavolo, il vibratore, completamente devastato dai morsi di Dick, emette un ultimo ronzio e tace per sempre.
Tutto aveva avuto inizio quando, dovendo far ripassare il tetto dopo le nevicate invernali che avevano spostato le tegole, avevo sgomberato il sottotetto dagli scatoloni e dalle masserizie che si erano accumulate nel tempo; tutti quegli oggetti non così significativi da tenere in mostra in casa, ma non così inutili da poterli buttare a cuor leggero. Così, fra pacchi di piatti sbeccati, terribili regali natalizi impossibili da riciclare e borsate di quaderni delle elementari, era riemerso quello scatolone, pudicamente etichettato come XXX.
Eravamo giovani e belli, ai nostri occhi tutto appariva come un gioco, e così, per gioco, ci eravamo avvicinati al mondo del sadomaso, dapprima pudicamente poi in maniera sempre più estrema e coinvolgente, in una specie di esistenza parallela dove tutte le frustrazioni accumulate nella prima trovavano una giusta compensazione e rivalsa. Così, con la tenacia e l’ossessività di esploratori delle zone buie dell’anima, poco alla volta avevamo acquistato e soprattutto sperimentato sulla mia pelle tutti i più svariati ammennicoli di tortura: pungoli, fruste, ganci, vibratori, pinze, pinzette e pinzoni, chilometri di corde, cordini, lacciuoli e catene; insomma, tutto l’armamentario che, per averlo usato o subito, ben conoscete e che quindi mi è inutile elencare.
Ci aveva aiutato il fatto che io fossi, e sono, di indole remissiva e docile mentre lei, la mia compagna, varcata la soglia dell’eccitazione sessuale, diviene una specie di Erinni, una brutale amazzone che prova un particolare gusto nell’umiliarmi e ferirmi in ogni maniera possibile - e vi prego di avere una visione piuttosto ampia del concetto di possibile - salvo poi passarmi, in maniera lenitiva, la sua lingua su tutto il corpo ferito e martoriato. Il tutto davvero molto piacevole.
Così mi era tornata la voglia di riprovare quelle sensazioni di un tempo e lei, senza esagerati entusiasmi ma senza neppure un pregiudiziale rifiuto, aveva accettato. Quel sabato sera ci eravamo lasciati liberi da impegni sociali ed avevamo organizzato una serata vintage di revival sadomaso.
Le difficoltà erano iniziate quasi subito; lei aveva indossato gli stivali di vernice nera alti alla coscia e col tacco a stiletto, e aveva accennato quel suo passo dominatore e arrogante che mentre ero appeso inerme al soffitto mi aveva sempre procurato una erezione immediata; purtroppo alla terza falcata era inciampata nella nappa del tappeto, storcendosi la caviglia e rovinando a terra; ora la caviglia era sotto ghiaccio e la natica d’atterraggio riluceva di Lasonil.
Aspettando che il dolore passasse avevo saggiato la resistenza dell’anello al soffitto del salotto, dove la mia maitresse mi appendeva per poi potermi umiliare a suo piacere; forse il tassello si era allentato, o più probabilmente i venti chili che ho preso negli ultimi anni mi hanno fatto oltrepassare il limite di carico, insomma, sia come sia, l’anello aveva ceduto di schianto ed ora alcuni calcinacci polverosi di mattone e di intonaco ricoprivano la zona deputata ai miei supplizi.
A questo punto era il caso di ridimensionare le nostre aspettative ripiegando su qualcosa di più abbordabile, così, contorcendomi come un’anguilla, ero riuscito ad indossare il mio vecchio perizoma di pelle nera, che in parte era stato immediatamente fagocitato dei rotoli di grasso della pancia e delle natiche mentre il piccolo triangolo di pelle che ricopriva le pudenda mi comprimeva i testicoli in maniera da togliermi il fiato
Ed ora lo sfregio prodotto dalla cerniera aveva definitivamente calato il sipario sulla serata vintage.
Lei si alza, saggiando la resistenza della caviglia, che nel frattempo ha assunto le dimensioni di un melone, e con aria complice mi propone di guardare assieme un po’ di TV. Giusto, oggi è sabato sera, e in televisione ci sono i ballerini famosi che danzano con illustri sconosciuti.
Sul divano, sfilatomi il perizoma e ripreso il normale flusso sanguigno inguinale, mi rilasso poggiando la testa sul suo grembo; dopo poco, cullato dal suono delle sue mandibole che triturano patatine fritte a ritmo industriale, mi addormento russando sguaiatamente col volto affondato nel suo grembo, ancora testardamente fasciato da un tanga borchiato da spietata dominatrice.
Dopo un tempo che mi pare infinito, costellato da furibonde frustate e violente sevizie subite dalla stagionata ma sempre arrapante conduttrice del programma, lei mi scuote dal mondo dei sogni mentre sullo schermo scorrono i titoli di coda.
Mi reco in bagno cercando, su sua sollecitazione, di spremere più possibile la vescica perché si sa, alla mia età la prostata è quella che è, e lei davvero desidera una nottata completa di sonno.
Spingi che ti spingi, ho la sensazione che là sotto qualcosa si rianimi; sperando di salvare in extremis la tragica serata corro in camera da letto ma sia la vista di lei, inguainata nella camicia da notte a coniglietti rosa, che quella di Dick, il nostro cane nonchè vecchio partner nelle serate di zoofilia, che addentato un vibratore XL lo sta gustosamente rosicchiando, immagino scambiandolo per un osso succulento, mi tolgono ogni residua fantasia. Le, diciamo così, aspettative si sgonfiano definitivamente, cosi mi accoccolo a fianco di Dick e al suono del suo rosicchiare mi addormento.
La mattina seguente prendo la scala dallo sgabuzzino, impasto lo stucco e comincio a tappare il foro sul soffitto del salotto; la mia dolce torturatrice, affacciandosi ancora claudicante alla porta del cucinino, con dolcezza da virago mi urla che il caffè è pronto. Con un ultimo colpo di cazzuola pareggio lo stucco e chiudo, temo definitivamente, quel passato così dolorosamente piacevole. Sotto il tavolo, il vibratore, completamente devastato dai morsi di Dick, emette un ultimo ronzio e tace per sempre.
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