Partita doppia
di
Aldobrando
genere
etero
Un po' di tempo fa mi chiamò un mio ex studente, che lavora nell'azienda fondata dal padre e che si sta preparando a ereditarla. Aveva bisogno che scrivessi una relazione finanziaria su un certo tema e mi diede appuntamento in azienda. Quando arrivai mi presentò al padre, che in azienda chiamavano "il padrone vecchio" per distinguerlo dal "padrone giovane" che era lui.
- Per iniziare aspettiamo Mariella, mi disse. E' in ufficio con un cliente, ma sta finendo.
Avendo frequentato parecchie aziende padronali, mi figurai che questa Mariella fosse la tipica impiegata che c'è sempre: una signora sui cinquant'anni, che lavora lì da decenni, sa tutto e conosce tutti; spesso amante di lunga data del padrone, che a volte per sistemarla continuando a tenerla a fianco la fa sposare a un dipendente fedelissimo, gran lavoratore e un po' babbeo.
Rimasi quindi sorpreso quando l'insostituibile Mariella arrivò e mi trovai davanti una ragazza sui venticinque anni. Una ragazza, devo dire, francamente brutta: altezza media, piuttosto cicciottella, un viso pallido e asimmetrico, un gran nasone e due labbra sottili e incolori sormontate da un'ombra che solo le strisce depilatorie frenavano prima di diventare baffi.
Solo gli occhi erano belli: grandi, nerissimi, leggermente obliqui e molto intelligenti. Mentre mi stringeva la mano e si presentava mi fissò con uno sguardo che mi fece all'istante la radiografia, la TAC e già che c'era anche la risonanza magnetica. Ah, dimenticavo, oltre agli occhi anche le tette erano belle: sicuramente una quarta, alte e probabilmente sode.
Mariella si guadagnò il mio rispetto in cinque minuti: da semplice ragioniera qual era, capì al volo alcuni concetti che mi ero sforzato per anni di far entrare nella testa di manager con laurea alla Bocconi e master negli USA.
Terminato l'incontro, mentre mi offriva un caffè all'immancabile macchinetta, mi sembrò anche di avvertire un leggerissimo profumo di troiaggine, troppo vago però per farsi un'idea.
Il lavoro fu più lungo del previsto e quando finii la relazione era ormai agosto e la ditta era chiusa. Il padrone giovane mi disse che comunque serviva subito e mi chiese di portarla a casa di Mariella. La richiesta mi fece suonare in testa un campanello d'allarme: dovevo dire solo due parole e avrei potuto benissimo incontrare Mariella in un bar. Se lei aveva delle intenzioni non professionali, certamente non si capì da come era vestita quando mi aprì e mi fece entrare in casa. Aveva ai piedi due orrende ciabatte da zingara, e indossava dei jeans a vita bassa da cui sporgevano dei rotolini di ciccia che avrebbero invece consigliato un vita alta, altissima. Di sopra portava una maglietta bianca con una profonda scollatura, ma quel giorno faceva così caldo che avrebbe potuto girare nuda e nemmeno il Papa avrebbe avuto da ridire.
Il secondo campanello d'allarme suonò quando per leggere la relazione mi fece accomodare accanto a lei sul divano. Se l'abbigliamento era trascurato, lei invece era pulitissima e mandava un buon odore di sapone di Marsiglia nonostante il caldo torrido. Io parlavo e lei mi seguiva con attenzione, fissandomi coi suoi magnifici occhi e facendo sempre domande giuste e intelligenti. Non so come, ma col passare dei minuti iniziò a crescermi dentro un desiderio sessuale di cui ero io stesso sbalordito; la più brutta delle donne che avevo avuto era Miss Universo rispetto a Mariella, eppure non ci volle molto perché la crescita passasse anche a quello che avevo nei pantaloni. A un certo punto dal suo collo si staccò una goccia di sudore che cominciò a scendere sulla sua pelle fino a sparire nel solco fra i seni. Io smisi di parlare e fissai affascinato questa goccia, seguendo il suo viaggio fino alla fine. Poi sollevai lo sguardo, ci fissammo in silenzio per pochi lunghissimi secondi e le saltai addosso.
In un istante l'ebbi sotto di me, le nostre lingue si cercavano furiosamente mentre le mie mani si infilavano sotto la maglietta alla ricerca delle tettone che in effetti erano proprio sode. Contorcendosi con grande abilità mi sfilò la cintura, mi abbassò i pantaloni e i boxer e cominciò a massaggiarmi il cazzo, mentre con l'altra mano abbassava anche i suoi jeans e gli slip. In quel momento col mio cazzo si sarebbe potuto trapanare un tavolo di quercia, ma lei lasciò perdere la falegnameria e se lo puntò fra le grandi labbra.
- Vai tranquillo, mi disse intuendo la mia domanda silenziosa. La penetrai e giuro che stavo per sborrare al primo colpo, eppure non sono certo un pivellino. Aveva una figa strettissima, ma talmente bagnata che mi sembrò di infilarlo in un panno di velluto. Cercai di resistere, ma non ci fu niente da fare: dopo forse venti colpi sborrai con un'intensità che non avevo mai provato.
- Adesso che hai scaricato l'urgenza possiamo andare in camera e rifare tutto con calma, mi disse tranquillissima.
Andammo in camera e fu il miglior pomeriggio di sesso che abbia mai vissuto. Non aveva certo il corpo di una modella, ma sapeva usarne a meraviglia ogni centimetro. Mentre la scopavo provavo mille sensazioni contemporaneamente: il dentro-fuori del mio cazzo nella sua figa, la sua lingua in bocca, le sue tettone sotto di me e fra le mie mani, le sue cosce che mi avvolgevano i fianchi mentre la pompavo. Non so più quante volte lo facemmo: dopo ogni sborrata cominciava ad accarezzarmi l'uccello e a succhiarmi la cappella in un modo celestiale che me lo risvegliava in pochi minuti come quando avevo sedici anni. Glielo misi anche nel culo, dove entrò senza problemi e senza che lei facesse una piega, anzi voltandosi e sorridendomi mentre io le sbattevo il pube contro le morbide chiappe. Anche fra una scopata e l'altra, mentre prendevamo fiato, non potevo fare a meno di tenerle una mano sulla figa come ad assorbirne in ogni modo l'energia.
Fu in questi momenti di pausa che mi raccontò la sua storia: era stata sempre brutta, fin da ragazzina; ma ben presto se ne era consolata perché aveva scoperto di essere anche sempre desiderata. Aveva una carica erotica spaventosa, che faceva apparire e scomparire a volontà. Pensate che, pur avendola scopata tutto il pomeriggio, il solo gesto che fece nel reinfilarsi gli slip mi eccitò talmente che mi tornò duro all'istante, la sbattei sul letto e glielo ficcai dentro scostando le mutandine, senza nemmeno toglierle.
Aveva perso la verginità a quattordici anni, col fidanzato ventenne della vicina di casa che era praticamente una fotomodella, e la storia era andata avanti per tre anni. Aveva avuto più di quaranta uomini, anche bellissimi, che si sarebbero vergognati di farsi vedere con lei in pubblico ma che in privato aspettavano con ansia di scoparsela.
Quando era arrivata nella ditta c'erano tre impiegate che facevano solo casino; in un mese di lavoro energico e intelligente aveva raddrizzato l'amministrazione, guadagnandosi l'odio delle tre colleghe che avevano cominciato a manovrare il padrone giovane per mandarla via. Avevano però aspettato troppo a decidere chi doveva dargliela, dando il tempo al padrone vecchio di capire la situazione. Non più interessato alla figa, ma ancora molto all'azienda, aveva licenziato le tre e aveva dato a Mariella i pieni poteri sull'amministrazione e sull'assunzione del personale. Lei li aveva usati con intelligenza, facendo assumere ragazze abbastanza in gamba da lavorare bene, ma non troppo da scalzarla dal suo posto. Il tutto fregandosene se erano più belle di lei (peraltro non ci voleva molto). Adesso ce n'era una molto bella, che aveva messo gli occhi sul padrone giovane. Non sapeva la poveretta con chi avesse a che fare: Mariella aveva fatto lo stesso pensiero e aveva iniziato già da un anno le sue manovre.
Aveva anche trovato un alleato nel padrone vecchio. Quest'ultimo sapeva che il figlio, per quanto intelligente e preparato, non aveva l'energia e la lungimiranza necessarie per condurre l'azienda, doti che invece Mariella possedeva in abbondanza. Così cominciò a martellare il figlio nel cervello, mentre lei lo martellava sull'uccello.
Mentre mi salutava con un bacio sulla porta, Mariella mi disse che questo nostro incontro sarebbe stato il primo e l'ultimo, perché al rientro a settembre avrebbe distribuito in ufficio le partecipazioni del matrimonio col padrone giovane. Aspettava con curiosità di vedere la faccia della collega bella e illusa.
- Per iniziare aspettiamo Mariella, mi disse. E' in ufficio con un cliente, ma sta finendo.
Avendo frequentato parecchie aziende padronali, mi figurai che questa Mariella fosse la tipica impiegata che c'è sempre: una signora sui cinquant'anni, che lavora lì da decenni, sa tutto e conosce tutti; spesso amante di lunga data del padrone, che a volte per sistemarla continuando a tenerla a fianco la fa sposare a un dipendente fedelissimo, gran lavoratore e un po' babbeo.
Rimasi quindi sorpreso quando l'insostituibile Mariella arrivò e mi trovai davanti una ragazza sui venticinque anni. Una ragazza, devo dire, francamente brutta: altezza media, piuttosto cicciottella, un viso pallido e asimmetrico, un gran nasone e due labbra sottili e incolori sormontate da un'ombra che solo le strisce depilatorie frenavano prima di diventare baffi.
Solo gli occhi erano belli: grandi, nerissimi, leggermente obliqui e molto intelligenti. Mentre mi stringeva la mano e si presentava mi fissò con uno sguardo che mi fece all'istante la radiografia, la TAC e già che c'era anche la risonanza magnetica. Ah, dimenticavo, oltre agli occhi anche le tette erano belle: sicuramente una quarta, alte e probabilmente sode.
Mariella si guadagnò il mio rispetto in cinque minuti: da semplice ragioniera qual era, capì al volo alcuni concetti che mi ero sforzato per anni di far entrare nella testa di manager con laurea alla Bocconi e master negli USA.
Terminato l'incontro, mentre mi offriva un caffè all'immancabile macchinetta, mi sembrò anche di avvertire un leggerissimo profumo di troiaggine, troppo vago però per farsi un'idea.
Il lavoro fu più lungo del previsto e quando finii la relazione era ormai agosto e la ditta era chiusa. Il padrone giovane mi disse che comunque serviva subito e mi chiese di portarla a casa di Mariella. La richiesta mi fece suonare in testa un campanello d'allarme: dovevo dire solo due parole e avrei potuto benissimo incontrare Mariella in un bar. Se lei aveva delle intenzioni non professionali, certamente non si capì da come era vestita quando mi aprì e mi fece entrare in casa. Aveva ai piedi due orrende ciabatte da zingara, e indossava dei jeans a vita bassa da cui sporgevano dei rotolini di ciccia che avrebbero invece consigliato un vita alta, altissima. Di sopra portava una maglietta bianca con una profonda scollatura, ma quel giorno faceva così caldo che avrebbe potuto girare nuda e nemmeno il Papa avrebbe avuto da ridire.
Il secondo campanello d'allarme suonò quando per leggere la relazione mi fece accomodare accanto a lei sul divano. Se l'abbigliamento era trascurato, lei invece era pulitissima e mandava un buon odore di sapone di Marsiglia nonostante il caldo torrido. Io parlavo e lei mi seguiva con attenzione, fissandomi coi suoi magnifici occhi e facendo sempre domande giuste e intelligenti. Non so come, ma col passare dei minuti iniziò a crescermi dentro un desiderio sessuale di cui ero io stesso sbalordito; la più brutta delle donne che avevo avuto era Miss Universo rispetto a Mariella, eppure non ci volle molto perché la crescita passasse anche a quello che avevo nei pantaloni. A un certo punto dal suo collo si staccò una goccia di sudore che cominciò a scendere sulla sua pelle fino a sparire nel solco fra i seni. Io smisi di parlare e fissai affascinato questa goccia, seguendo il suo viaggio fino alla fine. Poi sollevai lo sguardo, ci fissammo in silenzio per pochi lunghissimi secondi e le saltai addosso.
In un istante l'ebbi sotto di me, le nostre lingue si cercavano furiosamente mentre le mie mani si infilavano sotto la maglietta alla ricerca delle tettone che in effetti erano proprio sode. Contorcendosi con grande abilità mi sfilò la cintura, mi abbassò i pantaloni e i boxer e cominciò a massaggiarmi il cazzo, mentre con l'altra mano abbassava anche i suoi jeans e gli slip. In quel momento col mio cazzo si sarebbe potuto trapanare un tavolo di quercia, ma lei lasciò perdere la falegnameria e se lo puntò fra le grandi labbra.
- Vai tranquillo, mi disse intuendo la mia domanda silenziosa. La penetrai e giuro che stavo per sborrare al primo colpo, eppure non sono certo un pivellino. Aveva una figa strettissima, ma talmente bagnata che mi sembrò di infilarlo in un panno di velluto. Cercai di resistere, ma non ci fu niente da fare: dopo forse venti colpi sborrai con un'intensità che non avevo mai provato.
- Adesso che hai scaricato l'urgenza possiamo andare in camera e rifare tutto con calma, mi disse tranquillissima.
Andammo in camera e fu il miglior pomeriggio di sesso che abbia mai vissuto. Non aveva certo il corpo di una modella, ma sapeva usarne a meraviglia ogni centimetro. Mentre la scopavo provavo mille sensazioni contemporaneamente: il dentro-fuori del mio cazzo nella sua figa, la sua lingua in bocca, le sue tettone sotto di me e fra le mie mani, le sue cosce che mi avvolgevano i fianchi mentre la pompavo. Non so più quante volte lo facemmo: dopo ogni sborrata cominciava ad accarezzarmi l'uccello e a succhiarmi la cappella in un modo celestiale che me lo risvegliava in pochi minuti come quando avevo sedici anni. Glielo misi anche nel culo, dove entrò senza problemi e senza che lei facesse una piega, anzi voltandosi e sorridendomi mentre io le sbattevo il pube contro le morbide chiappe. Anche fra una scopata e l'altra, mentre prendevamo fiato, non potevo fare a meno di tenerle una mano sulla figa come ad assorbirne in ogni modo l'energia.
Fu in questi momenti di pausa che mi raccontò la sua storia: era stata sempre brutta, fin da ragazzina; ma ben presto se ne era consolata perché aveva scoperto di essere anche sempre desiderata. Aveva una carica erotica spaventosa, che faceva apparire e scomparire a volontà. Pensate che, pur avendola scopata tutto il pomeriggio, il solo gesto che fece nel reinfilarsi gli slip mi eccitò talmente che mi tornò duro all'istante, la sbattei sul letto e glielo ficcai dentro scostando le mutandine, senza nemmeno toglierle.
Aveva perso la verginità a quattordici anni, col fidanzato ventenne della vicina di casa che era praticamente una fotomodella, e la storia era andata avanti per tre anni. Aveva avuto più di quaranta uomini, anche bellissimi, che si sarebbero vergognati di farsi vedere con lei in pubblico ma che in privato aspettavano con ansia di scoparsela.
Quando era arrivata nella ditta c'erano tre impiegate che facevano solo casino; in un mese di lavoro energico e intelligente aveva raddrizzato l'amministrazione, guadagnandosi l'odio delle tre colleghe che avevano cominciato a manovrare il padrone giovane per mandarla via. Avevano però aspettato troppo a decidere chi doveva dargliela, dando il tempo al padrone vecchio di capire la situazione. Non più interessato alla figa, ma ancora molto all'azienda, aveva licenziato le tre e aveva dato a Mariella i pieni poteri sull'amministrazione e sull'assunzione del personale. Lei li aveva usati con intelligenza, facendo assumere ragazze abbastanza in gamba da lavorare bene, ma non troppo da scalzarla dal suo posto. Il tutto fregandosene se erano più belle di lei (peraltro non ci voleva molto). Adesso ce n'era una molto bella, che aveva messo gli occhi sul padrone giovane. Non sapeva la poveretta con chi avesse a che fare: Mariella aveva fatto lo stesso pensiero e aveva iniziato già da un anno le sue manovre.
Aveva anche trovato un alleato nel padrone vecchio. Quest'ultimo sapeva che il figlio, per quanto intelligente e preparato, non aveva l'energia e la lungimiranza necessarie per condurre l'azienda, doti che invece Mariella possedeva in abbondanza. Così cominciò a martellare il figlio nel cervello, mentre lei lo martellava sull'uccello.
Mentre mi salutava con un bacio sulla porta, Mariella mi disse che questo nostro incontro sarebbe stato il primo e l'ultimo, perché al rientro a settembre avrebbe distribuito in ufficio le partecipazioni del matrimonio col padrone giovane. Aspettava con curiosità di vedere la faccia della collega bella e illusa.
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