Tutto torna (terza e ultima parte)
di
fabioGT
genere
etero
Fabio Simoni aveva compiuto cinquant’anni poco dopo l’epifania. Li dimostrava tutti, se non qualcuno in più.
I suoi capelli, un tempo folti e neri come la pece, nel giro di due anni si erano rapidamente ingrigiti, mentre le stempiature si erano notevolmente estese. Gli occhi di un castano slavato, spesso inespressivi, la barba perennemente incolta, i quindici chili di troppo e una sciatica che mordeva a giorni alterni completavano il quadro.
Anzi no. C’era da tenere conto della sbronza quotidiana che lo faceva illudere di evadere dal dolore, dall’impotenza di fondo e dalla beffarda realtà con cui era costretto a convivere dall’estate di due anni e mezzo prima.
Eppure Fabio non era mai stato un debole, e meno che mai un alcolizzato. Nella vita precedente aveva spesso compatito e disprezzato coloro che si lasciavano sprofondare nel baratro dell’etilismo, magari perché non trovavano la forza di prendere il toro per le corna.
Ma evidentemente l’esistenza di ognuno è una ruota che gira, e adesso Fabio si trovava dall’altra parte della barricata. Quella degli sconfitti.
Lo strazio per le condizioni irreversibili di Brenda lo aveva minato lentamente, fino a renderlo irritabile, insicuro e indolente.
Dopo ventidue anni, per esempio, aveva perso il suo lavoro di metronotte. Non si trattò di un licenziamento improvviso, determinato dall’incombenza della crisi di inizio millennio. Anzi aveva avuto la fortuna di godere della comprensione e della solidarietà delle alte sfere dell’istituto di vigilanza che gli dava lavoro. Nessuno si sarebbe mai augurato di ritrovarsi dall’oggi al domani con una figlia in coma irreversibile, tenuta in simil-vita solo dai macchinari.
Ma a tutto c’era un limite.
Tante, poi divenute troppe, assenze ingiustificate, innumerevoli ritardi e frequenti liti con i colleghi. A un certo punto era giunto il momento, con rammarico, di liberarsi di quell’elemento di disturbo.
Il quale, per la verità, non aveva fatto una piega e si era ritrovato disoccupato alla soglia del mezzo secolo di età, e senza alcuna seria prospettiva per il futuro.
A questo punto gli erano rimaste due cose da fare. Innanzitutto il pellegrinaggio quotidiano al capezzale di Brenda. E poi, per chiudere il cerchio, sbronze a volontà.
In attesa che tutto, in un modo o nell’altro, presto o tardi facesse il suo corso.
Fabio e Sonia si erano conosciuti per caso, una notte di ventidue anni prima. Lui ventottenne di belle speranze in servizio di vigilanza da circa un anno; lei bellissima diciottenne impegnata da tempo nelle sfilate di moda.
Quella tarda serata la venezuelana stava facendo ritorno a casa dopo un servizio fotografico che si era dilungato più del solito. Generalmente si faceva accompagnare da suo fratello maggiore Pedro, che con la sua stazza e lo sguardo da duro incuteva timore a chiunque, senza bisogno di aprire bocca.
Ma non sempre era così. Quando Pedro non poteva, era la loro sorella Angela ad attenderla e a scortarla fino a casa, dopo un breve tragitto in metropolitana.
Altre volte, molto rare in verità, nessuno dei due fratelli era disponibile. Perciò Sonia doveva provvedere da sola.
Sonia detestava la solitudine. Non riusciva a conviverci, nemmeno per brevi periodi. Ma quando Pedro e Angela non potevano, preferiva essere sola che era male accompagnata. Nel suo ambiente di lavoro le sarebbe bastato schioccare le dita e avrebbe avuto l’imbarazzo della scelta su chi scegliere. Ma si dava il caso che erano tutti interessati a una cosa sola, che avrebbero chiesto – se non preteso – alla prima occasione.
Del resto poteva essere considerato un equo scambio. Io faccio questo per te, poi tu fai quest’altro per me. Facile.
Oppure avrebbe potuto rivolgersi a uno dei tanti addetti ai lavori omosessuali che gravitavano nell’ambiente, ma dopo averlo fatto per due volte, aveva finito per pentirsene.
A lei non fregava un fico secco delle loro confidenze, spesso frustranti, riguardo relazioni tormentate e di vita vissuta. Che noia. Che rottura. E in caso di bisogno non poteva certo contare su di loro, che se la sarebbero data a gambe in men che non si dica.
Così, almeno una sera a settimana, a Sonia toccava rincasare in beata solitudine. E fu durante una di quelle sere che nella sua vita fece ingresso Fabio Simoni.
Nulla di particolarmente eroico o eclatante, in verità.
Uscendo dal sottopassaggio della metropolitana, Sonia era stata pedinata da un individuo poco rassicurante, di mezza età e con l’alito che puzzava di distilleria. Nonostante fosse in condizioni tutt’altro che al top, l’uomo era un potenziale pericolo, considerata la sua stazza. Era infatti sul metro e novanta, tarchiato, le braccia grosse come tronchi e l’espressione facciale da classico avanzo di galera.
Aveva adocchiato Sonia nel metrò senza mai staccarle gli occhi di dosso, nemmeno fosse l’ultimo esemplare femminile rimasto sulla faccia della terra.
Quando lei si era alzata dal suo posto per guadagnare l’uscita, il bestione aveva fatto altrettanto, ben deciso a non farsela scappare.
Sulle prime l’aveva seguita con discrezione, adattando il passo al suo, tenendosi a una quindicina di metri, con l’intento di farle credere che procedesse per i fatti suoi. Non ci mise molto, però, a raggiungerla e ad affiancarla, in un tratto completamente deserto, perfino nei dintorni.
Sonia aveva avvertito la zaffata alcolica ancora prima di voltarsi, consapevole col cuore in gola che quella specie di armadio ce l’aveva con lei.
“Ehi, bella gnoccolona, quanta fretta!” l’aveva apostrofata lui, con la lingua impastata e il tono gracchiante.
Sonia aveva accelerato il passo, rallentata però dai tacchi alti, imponendosi di non perdere il controllo. Ci sarebbe mancato solo di ruzzolare a terra, per il gaudio del suo molestatore.
“Aspetta, accidenti a te! Ho voglia di farmelo succhiare, e scommetto che sei bravissima a farlo!”
E a dispetto della mole e della gradazione etilica, il quasi lottatore di sumo l’aveva affiancata e artigliata per un braccio, costringendola a fermarsi e ad affrontarlo.
“Lasciami immediatamente o mi metto a urlare!” gli aveva intimato lei, che suo malgrado ora doveva parlarci a faccia a faccia. Dio che pestilenziale puzzo di birra scaturiva! Mai più tornare a casa da sola, questo era deciso. Sempre che ne fosse uscita tutta intera.
“Che cazzo me ne frega se urli, stronza? Non ti sentirebbe nessuno, tanto adesso siamo in culo al mondo. Su, fai la brava e non ti succederà nulla di male, puttana…”
Sonia aveva provato e riprovato a divincolarsi, ma il tipo sapeva il fatto suo, e non aveva la minima intenzione di mollare la presa.
“Mi fai male! Lasciami! Lasciamiii!!!”
Macché. Anzi, se possibile, il farabutto cominciava a prenderci gusto. Doveva essere il tipico troglodita che alle donne prestata la medesima considerazione che avrebbe dato a uno scarpone bucato.
Non solo. Aveva anche sollevato l’altra mano, usandola per l’esplorazione tattile delle curve della malcapitata. Convenendo subito che erano curve di grandissima qualità.
“Mh… lo dicevo che sei una bomba, pollastra! Porgi i complimenti alla mammina, mi raccomando!” E così dicendo aveva cercato di piegare un braccio di Sonia verso il basso, con l’intento di farsi palpare il pacco. Pacco che effettivamente in quel momento presentava un rigonfiamento difficile da mancare.
Sonia ce la stava mettendo tutta, ma aveva di fronte un avversario troppo forte per lei. Un energumeno che poteva anche spazientirsi e diventare ancora più violento, se lei non si decideva a collaborare.
Ma nessuno dei due si era accorto dell’auto che li aveva affiancati. Bianca a strisce verdi, con impresse nelle portiere il logo di un noto istituto di vigilanza della città.
Fabio sedeva dalla parte del passeggero, mentre alla guida vi era un collega assunto di recente.
Avevano inquadrato la situazione al primo sguardo, e non si erano persi in convenevoli. Bisognava intervenire.
“Senti, bidone della spazzatura: il grugno te lo spacco subito, o prima mettiamo in scena la solita pantomima? Sai, quella in cui ti invito cortesemente a lasciare in pace la signora. Ma tu, rozzo pendaglio da forca, rifiuti e mi mandi affanculo. Allora sono costretto a scendere e mi tocca riempirti di botte finché non capisci l’antifona. Quale delle due opzioni preferisci?”
Lo stupore del bestione alcolizzato ne trasfigurò il viso all’istante. Tanto bastò a Sonia per divincolarsi e tornare libera, mantenendosi a debita distanza.
Lo stupore poi si trasformò in imbarazzo, e infine in rincrescimento e timore. Fabio evidentemente l’aveva giudicato bene fin dalla prima occhiata. Al punto che gli era bastato abbassare il finestrino e apostrofarlo in malo modo, senza nemmeno rendersi necessario scendere dall’auto. Il suino era in classico vigliacco forte con i deboli e meschino con chi era appena più autorevole di lui. E probabilmente non doveva avere una fedina penale da monaco benedettino, visto che la divisa che il nuovo arrivato indossava, molto simile a quella di un poliziotto di quartiere, gli aveva fatto tremare le ginocchia.
Fabio non ritenne opportuno specificare di essere una semplice guardia giurata. In casi simili era buona norma sfruttare ogni vantaggio conseguito, anche il più risicato.
In ogni caso il bluff ebbe buon esito. Il porco dimenticò Sonia come per incanto, e si rivolse a Fabio in tono contrito e quasi supplichevole.
“Ma no, agente, va tutto bene. Si scherzava, tutto qui.”
“Sparisci. Ora. Altrimenti sarò io a scherzare con te, ma ti assicuro che sarò l’unico a divertirmi.”
“Certo, certo, vado… buonasera. Buonasera a tutti.”
E in pochi istanti aveva fatto perdere le sue tracce. Di lui era restato solo il residuo della fiatella, che si sarebbe dissolta alla prima folata di vento.
Sonia intanto aveva cercato di riprendersi, ma era ancora visibilmente scossa.
“Tutto bene, signorina? É tutto finito, non ha più di che preoccuparsi”, si era interessato Fabio, con un tono rassicurante. Ma senza ricevere risposta. No, non andava bene per niente.
Fabio allora aveva ordinato al collega di spegnere il motore, dopodiché era uscito dalla vettura per verificare di persona le condizioni della ragazza.
Pur mantenendo un ammirevole contegno, Sonia era troppo scossa per essere lasciata da sola. Così finirono per accompagnarla a casa. Sulle prime il collega di Fabio era rimasto un po’ perplesso. Erano in servizio e non avevano il permesso di far salire a bordo chicchessia. Fabio tuttavia aveva fatto valere le cause di forza maggiore, assumendosi ogni responsabilità. Del resto era questione di una manciata di minuti.
E si premurò di scortarla fino al portone della palazzina dove la modella abitava. Andò via solo dopo che Sonia era entrata nell’edificio chiudendosi il portone alle spalle. Congedandosi con un amabile sorriso e una sfilza di ringraziamenti.
Una volta tornato in auto, e ripartiti per riprendere il consueto itinerario notturno, il collega di Fabio, che aveva alcuni anni in meno, formulò ad alta voce il medesimo pensiero che entrambi avevano avuto non appena Sonia li aveva raggiunti in vettura.
“Hai visto che gran paio di tette? Roba da palati fini, porca miseria!”
“Altroché se ho notato”, concordò Fabio. ”Ho fatto una fatica del diavolo per non fissargliele con troppa insistenza mentre le parlavo”.
“Che dispiacere, però. Era piuttosto provata, meschina.”
“Sì, molto. Mi ha assicurato che d’ora in poi non uscirà più sola, dopo il tramonto. Le ho pure dato il mio numero, nel caso non abbia nessuno a cui rivolgersi.”
“Sì, ho visto che gli hai scribacchiato qualcosa, prima di congedarti. Bella mossa.”
Fabio sorrise con lui, poi il discorso cadde lì. Tornarono così a effettuare i controlli notturni, ma la sua mente era ormai dirottata altrove. Verso la bella sconosciuta che il destino aveva messo sulla sua strada pochi minuti prima.
E pochi giorni dopo, contrariamente alle fosche previsioni di Fabio, Sonia si fece viva.
Era ancora giorno, ma il sole era in prossimità del tramonto. Alle ventidue in punto Fabio sarebbe entrato in servizio. Era tempo di prepararsi la cena, incombenza a cui provvedeva da solo, essendo l’unico inquilino del suo bilocale di periferia.
Quando il cellulare squillò, rispose senza controllare nel display se si trattava di un numero conosciuto. Con piacevole sorpresa riconobbe la voce della persona a cui pensava costantemente da qualche giorno.
“Signorina! Che piacere risentirla! Come va? Tutto dimenticato, spero?”
“Insomma…” rispose lei, titubante.
“Mi dia retta, ci metta una pietra sopra. Per fortuna sono cose più uniche che rare, quelle dell’altra sera.”
“Sono d’accordo con lei, ma al mondo non esiste solo quel tipaccio. Il timore che succeda di nuovo c’è sempre. Infatti cerco sempre di non rincasare da sola, ma non sempre è possibile.”
“Le serve che l’accompagni, forse? L’offerta è sempre valida. Per esempio stasera bazzicherò ancora dalle sue parti, se può tranquillizzarla.”
Sonia si sentì sollevata. Fabio aveva capito il motivo della sua telefonata, ma non le aveva permesso di esprimersi lei per prima. Del resto chiedere aiuto non piace mai a nessuno, per quanto legittimo possa essere.
“Sul serio non è un disturbo? Purtroppo i miei familiari sono impegnati, e in genere sono loro a occuparsene. Ma se per lei è un impiccio, non c’è problema, mi arrangerò in qualche modo.”
“Sarà un piacere. Mi dica solo a che ora dovrò passare 'casualmente' dinnanzi casa sua. L’indirizzo lo ricordo bene.”
Cominciò così, quindi.
Quella sera Fabio e Sonia si incontrarono per la seconda di una serie infinita di occasioni. La scintilla scoppiò subito, e gli effetti si mantennero vivi per diversi anni.
La loro intesa si rivelò perfetta su tutti i fronti, non solo quello dei sentimenti. Sonia aveva un corpo da dea, che rispecchiava fedelmente l’ideale di donna a cui Fabio ambiva da sempre.
A letto poi furono continui fuochi d’artificio. E contrariamente a quanto succede alle coppie dall’attività sessuale sfrenata, tra loro non calò mai la noia dell’abitudine, o peggio ancora dell’assuefazione. Avevano una fame insaziabile l’uno dell’altra e viceversa. Una storia d’amore come poche, coltivata e coccolata giorno dopo giorno.
Un anno dopo il loro primo incontro, Fabio e Sonia andarono a vivere insieme, e alcuni mesi dopo venne alla luce Brenda.
Come spesso accade in questi casi, fu il coronamento di una relazione benedetta dal Signore, che l’arrivo della neonata cementò in maniera definitiva. Mancava ormai il sì davanti all’altare, e Sonia lo desiderava tanto, ma da quell’orecchio Fabio non voleva proprio sentire.
“Ci amiamo alla follia, abbiamo una figlia meravigliosa, ho un lavoro che ci fa tirare avanti dignitosamente, quindi perché mai dovremmo certificarlo dinnanzi a un prete?” rispondeva sempre lui a chi gli chiedeva come mai non avessero ancora compiuto l’ultimo passo. Tantopiù che Fabio era un convinto non credente, perciò era problematico immaginarlo al centro di una funzione religiosa.
Poco dopo la nascita di Brenda, e con non pochi mugugni da parte degli addetti ai lavori, Sonia si ritirò dal mondo delle sfilate. Per dedicarsi a tempo pieno al ruolo di madre affettuosa e compagna fedele e passionale. Fabio sulle prime le consigliò di temporeggiare, sostenendo che in fondo non era impossibile fare combaciare le loro professioni con le esigenze di famiglia. Sonia però fu irremovibile, e si lasciò la precedente vita alle spalle, senza particolari rimpianti di sorta.
Sotto sotto, anche Fabio aveva fatto tifo per quella decisione. Essendo di origine meridionale, era geloso per natura e prodigo di premure. E il fatto che la compagna avesse troncato col vecchio lavoro gli procurava meno grattacapi. Del resto, chiunque avrebbe voluto portarsi a letto una bomba sexy come lei. Fabio, per molti anni, fu l’unico che vi riuscì. E a Sonia andava benissimo così. Non solo era una perfetta intesa sessuale. Era, semplicemente, amore puro.
Amore cristallino, che naturalmente si estese a beneficio di Brenda, la nuova arrivata.
La piccola crebbe in un ambiente sereno, rassicurante e leggiadro. Ricambiava cure e attenzioni ogni volta che le era possibile dimostrarlo. Non aveva preferenze: per lei mamma e papà erano un tutt’uno, e una era imprescindibile dall’altro, e viceversa.
I genitori cedettero presto alla tentazione di viziarla, anche se col tempo impararono a regolarsi. Del resto era destinata a rimanere figlia unica, e in qualche modo occorreva compensare la mancanza cronica di un fratellino.
Una seconda eventuale gravidanza fu il primo motivo di vera frizione fra Sonia e Fabio. Quest’ultimo infatti si oppose subito, e in modo perentorio, alla volontà di lei di mettere al mondo un altro bambino.
“Ci è andata bene una volta con Brenda, non è il caso di forzare il destino”, fu la giustificazione. Fabio aveva molti pregi, ma il suo peggior difetto era un pessimismo ostinato, spesso ingiustificato. Prima di incontrare Sonia, per esempio, non si era mai sognato di diventare padre. Forse perché originario di una famiglia dilaniata da rancori e malanimi, oppure perché col passare degli anni assisteva allo sfascio di matrimoni sorti e autodistruttosi in breve tempo, col fardello di figli a carico.
Lui no. Non avrebbe permesso a suo figlio di crescere in mezzo a genitori divisi e in perenne conflitto. Cosa che nemmeno lui sarebbe riuscito a evitare, nel caso. Il timore della solita ruota che girava, in definitiva.
Un altro dubbio che lo pervadeva, grosso come un macigno, era la differenza di età. Fabio aveva dieci anni più di Sonia. Che poi era un gap tutto sommato lieve, specialmente se si considerava che il terzo millennio era alle porte. Eppure, secondo lui quel decennio di troppo poteva penalizzarlo, qualora i due avessero deciso di mettere in cantiere un altro bebè.
Secondo Sonia, che spesso si dimostrava più pragmatica del compagno, la differenza di età era un falso problema. E ne aveva ben donde.
In ogni caso la famigliola restò composta da soli tre elementi, con Fabio che non volle più tornare sulle sue decisioni. Ma poco male, tutto sommato. Pochi ma buoni e quasi felici, e in epoca moderna non era cosa da poco.
Quando venne il momento di frequentare la scuola dell’obbligo, Brenda se la cavò senza strafare. Il rendimento dignitoso ma mai eccelso, si sarebbe mantenuto costante anche nelle medie e nell’istituto superiore in seguito. Era una ragazza solare che amava stare in compagnia e faceva facilmente amicizia, diventando presto un punto di riferimento per le sue amichette.
Poi, attorno ai quattordici anni, il suo fisico prese a fiorire rapidamente, e anno dopo anno le curve si fecero sempre più prorompenti. Come molti giustamente commentavano, era proprio figlia di sua madre.
I fidanzatini si susseguirono numerosi, ma Brenda avrebbe serbato ricordo di ben pochi di loro. Presto si rese conto infatti di provare attrazione per gli uomini maturi, che le ricordavano un po’ suo padre. Nulla da stupirsi, quindi, se quando nella sua vita si palesò Andrea De Carolis, lei lo ritenne un segno inequivocabile del destino.
Ma forse l’uomo che Brenda aveva amato più di tutti fu proprio suo padre Fabio. Col quale mantenne un rapporto molto saldo anche dopo la separazione, avvenuta dopo una convivenza ventennale.
Ciò nonostante Fabio non le fece mai mancare la sua presenza, il supporto morale e il conforto, ogni qualvolta era stato necessario.
Purtroppo quando la ragazza intrecciò la relazione fatale con Andrea, Fabio era oberato dal lavoro e poté sentirsi meno del solito con l’amata figlia. La quale lo tenne subito al corrente della sua storia d’amore, senza omettere alcun dettaglio saliente.
E purtroppo Fabio era ancora troppo lontano, almeno fisicamente, quando Brenda fu ritrovata in fin di vita mentre pendeva con un cappio al collo.
E così, circa ventisette mesi dopo il tragico gioco con la fune, quel che restava di Brenda vegetava senza speranze in un reparto ospedaliero destinato a casi simili al suo.
E da ventisette mesi, salvo rarissime eccezioni, Sonia andava ogni giorno a trovarla, ad accudirla e a parlarle. Senza mai ricevere un cenno di risposta, naturalmente.
Fabio invece non ci andava quasi più. I primi tempi lo aveva fatto spesso, cercando di appigliarsi a una qualche forma di speranza. Ma quando si era reso definitivamente conto che la figlia non gli sarebbe più stata restituita, per poco non era impazzito.
Era riuscito a evitarlo solo cercando di smettere di pensare, e l’unico modo fu quello di attaccarsi al collo della bottiglia.
Se mai c’era stato un lato positivo della penosa situazione, era che i primi mesi di ricovero di Brenda furono costellati da vari incontri tra lui e Sonia all’ospedale.
Erano infatti un paio d’anni che il metronotte aveva cominciato a vivere per conto suo, presso un quartiere non troppo distante. Furono sempre incontri cordiali, affettuosi e intrisi del grande amore che i due avevano vissuto così a lungo. Del resto a suo tempo si erano lasciati da amici, senza screzi o malanimi di sorta. Nessuna bega giudiziaria tipica di quando una coppia si divide per sempre in totale disaccordo.
In questo caso Fabio si era comportato da vero signore, lasciando tutto a Sonia e Brenda, dallo spillo all’automobile, portando con sé solo il minimo necessario. In fondo non aveva bisogno di chissà cosa, anche perché nel monolocale dove si era ritirato c’erano precisi limiti di spazio e contenimento.
Col passare dei mesi, però, Fabio aveva cominciato a diradare le visite alla figlia, a causa dell’insorgere del bere. Il culmine era stato quando si era presentato in ospedale completamente sbronzo. Tanto che venne cacciato via in malo modo, sotto gli occhi imbarazzati di Sonia. Da allora si era impegnato a limitarsi con l’alcool almeno in concomitanza delle visite all’ospedale, e durante le ore lavorative.
Vi era riuscito per un tempo limitato, specialmente riguardo Brenda. Ma sul lavoro la situazione precipitò inesorabile nel giro di alcuni mesi appena.
E così, nel gennaio 2021, in piena pandemia, Fabio trascorreva i suoi tristi giorni da alcolizzato senza prospettive future, senza più un lavoro e con l’unico scopo di attendere che il corpo esanime di Brenda si spegnasse per sempre.
Sonia invece non aveva ceduto allo sconforto e alla disperazione, anche se tante volte era stata sul punto di farlo. Tirava avanti per accudire Brenda come poteva, ma anche perché non riusciva a farsi una ragione dell’accaduto.
E soprattutto si rifiutava di credere alla tesi del tentato suicidio. Non lei. Non la sua splendida bambina e la sua inesauribile voglia di vivere che aveva sempre dimostrato.
Era convinta che su Andrea De Carolis gravasse gran parte della responsabilità, ma non poteva provarlo. Per non sapere né leggere e né scrivere, lo aveva anche bloccato dalla lista dei contatti telefonici. Figuriamoci rivederlo.
E a proposito di telefono, maledetto il giorno in cui Sonia aveva dimenticato lo smartphone in treno. Certo, aveva vissuto una relazione sessuale che non avrebbe mai scordato, ma il gioco era valso la candela? Certamente no.
Aveva perso per sempre sua figlia, e scusate se è poco.
Dei suoi sospetti su Andrea aveva messo al corrente Fabio, che fu tentato più volte di rintracciare il misterioso ghostwriter. Avrebbe voluto guardarlo negli occhi, parlargli a viso aperto e domandargli se Brenda aveva 'veramente' tentato il suicidio. Oppure se c’era sotto dell’altro.
E se lui c’entrasse qualcosa, naturalmente.
Ma quell’incontro non ci fu mai. Andrea, vistosi respinto da Sonia, si era dileguato facendo perdere le sue tracce.
Un po’ lo aveva fatto deliberatamente, un po’ per esigenze di lavoro.
Fabio coltivava amicizie nella Polizia, alle quali chiese un aiuto per rintracciarlo. Ma dal momento che si parlava di un incensurato che pagava le tasse, gli venne risposto che occorrevano motivazioni serie per andare a stanare una persona contro la sua volontà. Tutt’al più si sarebbero fatti vivi se il tizio avesse commesso un passo falso, ovunque si trovasse. Come dire campa cavallo.
Tutto questo fino alla fine del 2020, quando anche Rosaria fece la stessa fine di Brenda, ma stavolta lasciandoci la pelle subito.
E le cose cambiarono.
“Pronto, signora Gutierrez? Come sta? Non so se si ricorda di me. Sono Arturo Del Neri, un vecchio amico di Fabio…”
Sonia rovistò nella memoria. Quel nome non gli era nuovo. Conosceva tutti gli amici di Fabio, naturalmente, o perlomeno quelli che risiedevano da quelle parti. Fabio infatti ne aveva anche diversi nel suo amato meridione. Di loro sapeva poco o nulla. In ogni caso l’accento di Del Neri non era affatto del sud.
“Sono un poliziotto. Fabio un paio di anni fa mi chiese informazioni su una certa persona. Consigliandomi, nel limite del possibile, di tenerlo d’occhio con costanza.”
A quel punto Sonia rammentò. Ma sì, Arturo. Lo aveva incontrato una o due volte, in compagnia di Fabio. A quei tempi quest’ultimo non era ancora precipitato nell’abisso
dell’alcolismo, anche se qualche bicchiere di troppo stava già scappando.
“Sì, signor Del Neri, mi rammento di lei. Come sta?”
“Bene, grazie. Senta, sono giorni che cerco di mettermi in contatto con Fabio, ma il suo telefono squilla a vuoto oppure risulta spento. Ho qualche novità sul tizio che mi chiese di attenzionare, ammesso che siate ancora interessati. Posso chiederle se con Fabio vi sentite ancora? So che non state più insieme, ma magari…”
“Neppure io lo sento molto spesso. Però potrei andare a casa sua e riferirgli. E intanto può riferire a me. Per rispondere alla sua domanda, sì, siamo molto interessati ad avere notizie di Andrea De Carolis.” Sonia, pietosamente, evitò di menzionare i problemi di alcolismo dell’ex compagno. Anche se probabilmente il suo interlocutore doveva esserne a conoscenza.
“Prima posso chiederle come sta vostra figlia?”
“Non è più cambiato nulla”, rispose Sonia con un tono asettico. Col tempo aveva imparato a rispondere sbrigativa, se le veniva chiesto di Brenda. Non voleva suscitare commenti di circostanza dei quali ne aveva fin sopra i capelli. Che certo non contribuivano a farla sentire meglio. ”Per mia figlia il tempo è sospeso per una durata indefinita. Dobbiamo aspettare e basta.”
“Mi dispiace immensamente, mi creda. Conosco Fabio da una vita e…”
“Mi accennava a qualche novità. Vogliamo arrivare al sodo, signor Del Neri?”
Del Neri deglutì, consapevole che per Sonia era un perfetto sconosciuto che stava menando il can per l’aia. Chissà quante volte ha sentito discorsi di compiacimento come per stavo per fare io, pensò. Povera donna.
“Sì, mi scusi. Dunque, dicevo che…”
Erano mesi che Sonia non metteva piede nel monolocale di Fabio. E per poco non si portò le mani nei capelli. Il degrado regnava sovrano. Un disordine mai visto prima. Pulizia dell’ambiente quasi zero. E poi odore stantio di sudore e di origine etilica, unitamente a un cumulo variegato di ogni genere, tipico degli accumulatori seriali. O di chi, semplicemente, non si prendeva più la briga per uscire di casa a gettare la spazzatura. Era difficoltoso ambulare tra ciarpame, scatolette di latta, scatole di cartone, un esercito di lattine di birra vuote, resti di cibo andato a male e altro ancora.
In mezzo a tanta desolazione Fabio giaceva in una branda adagiata all’angolo opposto rispetto la porta d’ingresso. Era relativamente lucido, e aveva impiegato solo due minuti a rispondere al prolungato scampanio di Sonia.
“Non me ne vado finché non mi fai entrare”, lo aveva avvisato al citofono, con un tono che non ammetteva repliche. ”Devo parlarti con urgenza. Fammi salire, e ti prometto che andrò via alla svelta.”
Fabio aveva dovuto capitolare, sbloccando così il portone principale della palazzina, tenendo aperta quella del monolocale.
Nel vederlo così ridotto, Sonia provò un misto di pena, rabbia e impotenza.
Fabio aveva un bisogno urgente di lavarsi. Di essere immerso in una grande vasca colma di acqua calda e di schiuma profumata di tiglio. Stesso discorso per gli stracci che indossava. Erano da infilare subito in un forno da fonderia, senza neanche tentare di passarli in lavatrice.
Erano talmente incrostati di sudiciume che in alcuni punti avevano assunto una certa rigidità, rifiutando di piegarsi. Il fetore che emanavano, poi, era degno di un porcile che non veniva sanificato da epoche remote.
Sonia lo conosceva da quasi un quarto di secolo, ma mai lo aveva visto in condizioni tanto stomachevoli. Ma più della quasi mancanza di igiene, sia nel suo monolocale che nella sua persona, la impressionò la barba cresciuta a dismisura, di pari passo con i capelli. In entrambi i casi il nero era quasi sparito, sostituito da un grigiore non del tutto naturale, ma anche a causa della sporcizia.
Un barbone. Ecco a cosa si era ridotto l’uomo che più aveva amato nella sua vita. Con la differenza che rispetto ai vagabondi ordinari, Fabio aveva almeno un tetto sopra la testa, e viveva la sua decadenza in piena solitudine, fregandosene dell’inconsapevole resto dell’umanità.
Tranne Sonia, naturalmente.
La quale ringraziò di essere a stomaco vuoto, come spesso le capitava da quando la vita era cambiata di colpo, altrimenti avrebbe sicuramente rimesso.
Decise di tenere duro, e ancor prima di proferir parola spalancò l’unica finestra dell’ambiente. Un attimo dopo fece altrettanto col piccolo oblò del bagnetto, anch’esso ridotto come un letamaio. Perlomeno aveva attivato un ricambio d’aria, del quale era la prima a sentirne impellente necessità.
“Esistono sistemi più rapidi e dignitosi per farla finita, risparmiando questo squallore a chi ha la disgrazia di doverselo sorbire. Pensaci, sei ancora in tempo”, si rivolse infine all’ex metronotte, che non batté ciglio.
Poi Sonia tentò di disseppellire una sedia da un cumulo di riviste e quotidiani polverosi. Vi riuscì, e sedendosi si domandò se amava ancora quell’uomo così profondamente mutato rispetto a quando l’aveva conosciuto. A quei tempi era stato il suo eroe, l’uomo della provvidenza e il compagno ideale per affrontare il mondo insieme. Ma adesso cosa restava del Fabio Simoni di una volta? Bella domanda, pensò mentre lo scrutava ponendoglisi di fronte. Ma sì, forse lo amava ancora, e tanto. Ma per lui provava anche pena, e una punta di livore. Non ci si può ridurre così, caspita!
Ma c’era una ragione precisa per la quale lei era lì. Che illustrò subito.
“Ricordi Arturo Del Neri, quel tuo vecchio conoscente che fa il poliziotto? Sono diversi giorni che cerca di mettersi in contatto con te. E anche io ci ho provato, da quando l’ho sentito due giorni fa. Hai sempre il telefono spento o irraggiungibile. O hai cambiato numero?”
Fabio provò a sollevarsi almeno in parte, e vi riuscì a stento.
E riuscì anche a rispondere, dopo aver schiarito la voce alla meno peggio.
“No, ma devo aver perso il cellulare. Deve essere finito da qualche parte in mezzo a ‘sto casino. Tanto non mi serve più.”
“E sì, certo. Cosa può fregartene se gli altri si preoccupano per te? Il telefonino serve anche a quello, qualora non lo sapessi. Per rimanere in contatto col resto del mondo.”
“Un motivo in più per disfarmene. Allora, che dicevi di Arturo? Di che si tratta?”
Sonia si prese un attimo per respirare. Negli occhi di Fabio era brillata una scintilla che latitava da parecchio. Chissà, forse c’era ancora speranza.
“Si tratta di Andrea De Carolis…”
La scintilla concesse il bis. Bene, molto bene.
“Da alcuni mesi risiede in una cittadina lungo la costa adriatica”, proseguì lei. ”Nulla di rilievo, tranne un paio di multe perché non detesta indossare le mascherine. Un po’ come te, mi pare.”
“Come lo capisco. Però le sanzioni sulle mascherine sono di carattere amministrativo, non penale. É come prendere una multa per divieto di sosta, nulla di più. Non compare traccia nella fedina penale.”
“Sì, me lo ha tetto anche il tuo amico.”
“Non penso che Arturo abbia cercato di contattarmi solo per dirmi che quel bastardo si è beccato due verbali. Cos’altro ti ha detto?”
Sonia scandì lentamente le parole, esprimendosi in tono asciutto. ”Nella cittadina dove De Carolis si è ritirato, due mesi fa una ragazza si è suicidata. Con identiche modalità di Brenda. Biglietto d’addio compreso. E lui la conosceva, questo è assodato. Nulla da meravigliarsi se avessero anche una relazione. In molti, da quelle parti, lo danno per certo.”
“Mi venisse un accidente…” biascicò Fabio. Aveva l’espressione di un giocatore di tombola al quale manca un numero per completare la cartella. Se fino a un minuto prima era in preda ai postumi di una sbronza, adesso lo sguardo era tornato lucido, vigile, rapace.
E sì, pensò Sonia. Era tornato a somigliare al buon vecchio Fabio di una volta.
Il suo eroe.
“Fila a farti una doccia, magari due, mentre nel frattempo cercherò di rendere questo posto meno inospitale. Poi riprenderemo il discorso.”
Non era un suggerimento, bensì un ordine tassativo.
Al quale l’ex guardia notturna ritenne di ottemperare.
No, ragazzi, forse non era ancora tempo per lasciarsi andare e farsi imprigionare per sempre dall’eterno oblio.
E Greta?
Anche lei, dopo la tragedia di Rosaria, che la colpì in prima persona, decise di non avere più a che fare con Andrea.
Greta non era una stupida, e sentiva che il ghostwriter aveva la sua parte di responsabilità nello strano suicidio dell’amica e collega. Ne era profondamente convinta, pur nell’impossibilità di dimostrarlo.
Per un paio di volte Andrea aveva cercato di contattarla, dapprima per telefono, poi di persona, per esprimere cordoglio e vicinanza. Greta però si era sempre negata.
Andrea c’era rimasto male, ma alla fine aveva incassato il colpo e si era rassegnato. Almeno per il momento. E auspicando tempi migliori. Nel frattempo la ragazza gli aveva quasi tolto il saluto, oppure faceva finta di non vederlo, se lo avvistava in lontananza.
Greta aveva talmente risentito della tragedia che si era chiusa in se stessa, facendo sparire quel sorriso così accattivante che la contraddistingueva.
Inoltre era tornata single. Per la verità col suo fidanzato era solo questione di tempo. Troppo assente lui, per motivi di lavoro, poco fedele lei, che prediligeva una vita libertina. Il destino della loro unione era segnato fin dal principio. La morte improvvisa di Rosaria aveva anticipato di poco i titoli di coda. Per il momento Greta non voleva uomini tra le scatole. Pausa di riflessione per elaborare il lutto, ma anche per staccare un po’ la spina.
Il lavoro poi le fu utile per concentrarsi su altro, specialmente nei primi tempi. Rosaria infatti non fu sostituita immediatamente, così per Greta e i colleghi i turni furono dilatati, in attesa del nuovo innesto. A lei tutto sommato andava bene così. Tornare ogni sera in una casa divenuta di colpo vuota era una prospettiva demoralizzante. Con Rosaria aveva diviso l’affitto, le spese, le confidenze e i piccoli segreti tra ragazze nel fiore degli anni. Le sarebbe mancata per lungo, lungo tempo.
Ma Greta era anche forte e determinata, e si sarebbe ripresa presto.
Anche se, contrariamente a quanto si era imposta, poco tempo dopo avrebbe di nuovo incrociato le sua strada con quella di Andrea. E sarebbe stata lei a farsi viva per prima.
Dal canto suo, Andrea De Carolis preferì trattenersi in quella cittadina ancora per qualche mese. Tagliare la corda di colpo, col corpo di Rosaria ancora caldo, non sarebbe stato molto intelligente.
Certo, nessuno sospettava di lui, e poteva dormire tra due guanciali, ma mai dire mai. Meglio confidare che col tempo nuovi avvenimenti rubassero la scena al suicidio di Rosaria, accumulandosi uno sopra l’altro. Fino a relegarlo a un ricordo triste e doloroso, ma sempre più remoto. Quindi nessuna cazzata, tipo appunto di sparire di punto in bianco o assumere comportamenti insoliti o vagamente sospetti. La sua esistenza doveva procedere immutata, come se Rosaria non fosse mai esistita.
E come se non fosse proprio lui, invece, il maggiore responsabile di quella morte crudele e beffarda.
Quando Greta aveva preso a ignorarlo sfacciatamente, si era reso conto che tale atteggiamento implicava una tacita accusa. Come a volergli sibilare: 'non so come hai fatto, ma so che è opera tua'.
Pazienza, aveva sospirato lui. Trascinami pure in tribunale e ci faremo quattro risate, stronzetta.
La stronzetta però non arrivò mai a tanto, e forse non si sognò nemmeno di provarci.
E anzi, un giorno lo prese in contropiede rifacendosi viva all’improvviso. E con l’ascia di guerra ben sepolta in profondità.
Fu tramite una telefonata.
Quando sul display lesse il nome di Greta, Andrea sulle prime esitò perplesso, ma subito dopo sorrise compiaciuto.
“Ciao, ragazzaccia. Cerchi proprio me o hai sbagliato numero?” Il tono, semiserio, lasciava trasparire la contentezza di poterla risentire.
“Nessun errore, cercavo proprio te. O disturbo?”
“Certo che no. Come stai? Dopo quello che è successo a Rosaria sei diventata inavvicinabile…”
“Sì, ma non si trattava solo di lei. Ho avuto problemi di famiglia e ho anche rotto col mio fidanzato. Senza contare che in attesa del sostituto di Rosaria ci tocca raddoppiare i turni. Ma adesso va meglio, per fortuna.”
“Mi fa piacere. Quindi non ce l’hai con me, mi pare di capire.”
“Quando hai cercato di fare sesso completo con me mi hai preso alla sprovvista”, spiegò lei, esprimendosi in un tono insolitamente freddo e asciutto. Dettaglio a cui, sul momento, Andrea fece poco caso. ”Ho reagito come sai, e lo rifarei ancora. Ma adesso è acqua passata, e io sono sempre per la pace.”
“Non immagini che sollievo sentirti parlare così. E riguardo Rosaria? Come ti senti, bella?”
“Non credere che mi manchi più di tanto. Sai che aveva una relazione segreta col mio ex? Che troia. Certo, mi spiace per come sia morta. Ma ti assicuro che a quest’ora l’avrei cacciata di casa a calci in culo.”
Andrea ammutolì, spiazzato dalle ammissioni di Greta. Sulla solida amicizia tra le due vigilesse ci avrebbe messo la mano nel fuoco, e invece pareva aver preso una cantonata. Non si finisce mai di sentirne di nuove, pensò.
“Caspita. Giuro, non avrei mai pensato che foste ai ferri corti. Comunque sono molto contento che ti sei ricordata di me. C’è qualcosa che posso fare? Non hai che da chiederlo.”
Greta si concesse una pausa calcolata. Quando riprese a parlare, ad Andrea ricordò i primi tempi in cui l’aveva conosciuta. Bella, sorniona e con le forme aggraziate nei punti giusti. Per non parlare di quel sorriso da puttanella, che tanto lo intrigava.
“Va bene, sarò diretta. So che preferisci così. Mi chiedevo se potevi fare un salto da me, più tardi…”
“Ma certo. Per te ci sono sempre, lo sai. Per te e le tue bellissime tette, naturalmente.” Manco a dirlo, lo scrittore sentì una discreta erezione farsi largo sotto i jeans.
“Ti mancano? Scommetto di sì.”
“Puoi dirlo forte, vigilessa del mio cuore. Impossibile dimenticarle.”
“Mi fa piacere. Sei mancato molto a loro, se questo può consolarti.”
“Altroché! E intendiamoci, faremo solo quello che vorrai tu. Non ripeterò la squallida scena dell’ultima volta, hai la mia parola.”
“Lo spero bene”, replicò lei, secca.
Se Andrea non fosse già infoiato, forse avrebbe colto la lieve inflessione con la quale Greta si era espressa. Inflessione con un retrogusto minaccioso.
Ma per l’appunto, Andrea era ormai in modalità pilota automatico. Quando si trattava del seno della bella vigilessa gli capitava sempre così.
Si accordarono per vedersi a casa di lei alle diciotto in punto. La stessa abitazione in cui, meno di tre mesi prima, Rosaria aveva trovato la morte.
E alle diciotto e dieci ecco che un copione collaudato tornava a ripetersi, per il gaudio di Andrea, dopo uno stop di parecchie settimane.
Lui e Greta erano già quasi completamente nudi.
Andrea, comodamente disteso sul letto, era intento a trastullarsi con le tette di lei (quanto le erano mancate!); quest’ultima intanto lo agevolava, seduta al suo fianco e china su di lui, mentre con la mano destra lo masturbava con la solita, calcolata lentezza.
Sorrideva, Greta, ma meno del solito. Come se, in fin dei conti, non fosse del tutto convinta di quello che stava facendo. Era comunque solo una sfumatura, alla quale Andrea prestò scarso peso, preferendo piuttosto lasciarsi andare. Greta poi lo attizzava in modo speciale, perché alla ragazza, mentre si occupava di lavorarselo, piaceva anche dialogare. E anche stavolta l’andamento era il medesimo.
L’argomento, per quanto macabro potesse essere, visti i recenti avvenimenti, era manco a dirlo Rosaria.
“…e come ti dicevo, mi aveva fatto incazzare, quella troietta… A saperlo nemmeno te la presentavo, e ti tenevo tutto per me… Che stupida sono stata…”
E intanto la magica manina persisteva a sollecitare un cazzo sempre più duro e teso, ben felice di essere al centro di tali amorevoli attenzioni.
“Mh…Lasciami dire che non è mai stata abbastanza troia come lo sei tu, tesoro. Tu sei più abile a prenderti cura di me… Sapessi come mi sei mancata, carissima Greta dalle tette dorate…”
“Ora capisci come mai non ho versato una lacrima quando ho scoperto che cazzo di sistema aveva usato per levarsi dalle palle, ‘fanculo a lei…”
Dio, come lo faceva impazzire, quella ragazza. E come era capace, quella manina! Era nata per segare un uomo in maniera impeccabile.
“E sì, ben le sta… Fosti tu a trovarla?”
“Sì. Che spavento, mamma mia. E che shock quella lettera d’addio. Non era da lei, non so se mi spiego. Ma poi, superato lo smarrimento, mi sono detta che aveva fatto la fine che si era andata a cercare. A ciascuno il suo, si dice.”
Andrea aveva il suo bel daffare per seguire quei discorsi, con la mente e il corpo concentrati altrove. Anche perché come al solito Greta era molto sensuale nel parlare, qualunque cosa dicesse. Perciò non lo sfiorò nemmeno di striscio il dubbio che stesse mentendo di sana pianta.
“Mh… In questi momenti sei divina, sai? Fosse per me rimarrei così finché campo…”
“Non sei il primo a dirmelo”, rispose lei, aumentando gradualmente il ritmo, senza strafare. Non voleva che Andrea cedesse troppo presto. Sapeva bene come gli uomini, dopo lo schizzetto, tendono a cambiare dal giorno alla notte. Perciò se voleva carpire determinate informazioni doveva riuscirci prima dell’atto conclusivo.
“Comunque non me la racconti giusta. So che negli ultimi tempi te la scopavi spesso, dopo che ti avevo mandato a cagare…”
“Colpevole, vostro onore!” Più che una risposta vera e propria, Andrea aveva emesso un gemito misto a parole impastate. Il momento topico incombeva.
Greta cercò di rallentare il ritmo senza destare sospetti, continuando a esternare i suoi legittimi dubbi.
“E magari, beato te, eri presente, quando Rosaria ha fatto quella cazzata. Se così fosse, be’, non sai che invidia…”
A quelle parole nel cervello offuscato dello scrittore echeggiò un blando campanello d’allarme. Sollevò il capo e squadrò il viso lascivo di Greta, che non abbasso lo sguardo e anzi gli donò uno dei suoi sorrisi ultra sexy.
“Dai, ammettilo”, insisté lei, utilizzando ora la mano libera per afferrargli i testicoli, con una presa decisa ma non strozzante. Sapeva come Andrea adorasse le improvvisazioni.
“Può… anche… darsi…” concesse lui, in evidente affanno. É piuttosto arduo riuscire a parlare mentre ti tengono per le palle, e Greta lo sapeva bene. Così evitò di infierire, mantenendo la morsa a livelli appena tollerabili. Anche se, fosse stato per lei, quei testicoli glieli avrebbe stritolati fino a ridurli in poltiglia. E magari presto le sarebbe capitata l’occasione di farlo per davvero.
“Sul serio? Su, racconta… Lo sai che mi piace un casino sentirti parlare mentre mi prendo cura di te. O devo stringere più forte?” E così dicendo, pur mantenendo il consueto sorriso sbarazzino, accentuò la stretta. Bene attenta a non esagerare.
Andrea fu pervaso da sensazioni contrastanti, e tutte amplificate dall’esperto lavoro di Greta. Non sentiva ancora autentico dolore, ma vi era molto vicino. E questo, naturalmente, lo elettrizzava di piacere.
“Vacci piano, monellaccia…” le raccomandò con un filo di voce.
“Su, dimmelo… L’hai vista crepare, quella stronza? Avresti dovuto chiamarmi, cazzo!”
“In quel periodo mi mettevi il broncio, se ben ricordi. Altrimenti ti invitavo volentieri, troietta mia…”
“Hai ragione, che mi sono persa, mannaggia a me. Almeno raccontami i dettagli, su… Fai contenta la tua puttanella…”
Andrea avrebbe preferito abbandonarsi in via definitiva all’imminente esplosione sublime, ma dato che Greta era così brava a occuparsi di lui, specie in simili frangenti, tenne duro e la accontentò. Anche perché le sue palle invocavano sollievo.
“C’è poco da dire… Ha fatto tutto lei… Io dovevo solo presenziare e… intervenire… in caso… di… bisogno…”
“E invece?”
“E invece sono rimasto… con le mani in mano… mentre agonizzava contorcendosi… É stato più forte di me. Potevo salvarla ma… non… l’ho fatto. Alla fine ho fatto… bene… vero? Dal momento che… la… odiavi tanto…”
“Oh, sì, hai fatto benissimo…”
Era tempo di concretizzare, così Greta mollò i testicoli e aumentò di colpo il ritmo masturbatorio. Non dovette sforzarsi più di tanto.
Andrea fu travolto da un piacere intenso e quasi intollerabile, che per alcuni secondi lo proiettò in una dimensione dalla quale non avrebbe più voluto far ritorno.
Non si accorse che ora la ragazza non sorrideva affatto, contrariamente al solito. Anzi, per un tratto sembrò volerlo incenerire con lo sguardo, ma tornò quasi subito a un’espressione più consona.
Non era ancora il momento di fare scattare la vendetta, ma solo Dio sapeva quanto avrebbe voluto farla scattare adesso, con il bastardo inerme e indifeso tra le sue mani.
Tuttavia aveva promesso che si sarebbe comportata esattamente come aveva fatto sino a quel momento, nulla di più, e lei ci teneva a mantenere la parola data.
Quando lo scrittore fu in grado di connettere e di posare lo sguardo su di lei, riuscì persino a sorridergli come ai vecchi tempi.
“Sei sempre la mia preferita.”
“Lo so. L’ho sempre saputo”, replicò lei tra il serio e il faceto. E in fondo erano stati entrambi sinceri.
Non appena Andrea si congedò, Greta corse in bagno, sollevò il coperchio del water e vomitò anche l’anima. Era riuscita a stento a trattenersi, mentre il suo amante si rivestiva e lei indossava al volo una t-shirt e un paio di calzoncini. Non le era mai capitato di masturbare un assassino, e si augurò di cuore di non rifarlo mai più.
Dopo che ebbe finito, avvertì la presenza dell’Uomo Misterioso dietro di lei.
“Tieni”, le disse quest’ultimo, porgendole un ampio fazzoletto di carta.
Lei accettò di buon grado, ringraziandolo con un cenno del capo, ripulendosi i bordi della bocca.
Poi, quando si drizzò in piedi, sembrava essersi ripresa almeno in parte.
“Hai registrato tutto?” gli domandò, sollevando lo sguardo. L’Uomo Misterioso, che per tutto quel tempo era rimasto nascosto in uno sgabuzzino, la sovrastava di una quindicina di centimetri.
“No, mi dispiace. Ti ho mentito. Non ho mai avuto intenzione di registrare un bel niente. Ti prego di scusarmi.”
Sulle prime la ragazza pensò di avere capito male. Poi, incassata la cruda verità, per poco non andò fuori di matto.
“Cosa?! Cooosaaa?!?! Vuoi dire che mi sono prostituita, su tuo suggerimento, a quel figlio di puttana per niente?!”
“Assolutamente no”, la smentì lui fissandola con quegli occhi impenetrabili di ghiaccio. ”Sei stata encomiabile, invece. De Carolis non ha sospettato nulla, e siamo riusciti a fargli ammettere le sue responsabilità. Tuttavia…”
“Siamo?! Col cazzo! 'Sono' riuscita! E se l’ho fatto è solo perché mi avevi garantito che registravi tutto, audio e video, in modo da poterlo finalmente incastrare, quello schifosissimo verme! Ti pare che altrimenti gli avrei concesso di sfiorarmi con quelle mani da assassino, porca puttana?” Greta non riusciva a farsene una ragione. Era delusa, furente e convinta di essere stata raggirata.
“Calmati e ragiona. Sei proprio sicura che trascinarlo in tribunale, dove le immagini di quello che avete appena fatto diverrebbero di pubblico dominio, sia la migliore delle idee?”
“Mi avevi detto di sì, testa di cazzo!”
“Vero, ma l’ho detto solo per convincerti ad aiutarmi. A parte che non voglio che tu finisca alla mercé della gogna mediatica, non scordare che quelle immagini rischierebbero di finire in Rete, con le conseguenze che puoi immaginare. Non posso permetterlo. Non te lo meriti.”
Greta, pur senza ammetterlo apertamente, concordò che il ragionamento non faceva una piega. Se si fosse diffuso il video nel quale trastullava un presunto assassino, per giunta sapendo di essere ripresa, avrebbe subito perso il lavoro, e per campare si sarebbe dovuta ridurre a lavare scale e uffici fino ai settant’anni.
“Ma se pensi che tutto ciò non sia servito a nulla, ti sbagli di grosso, Greta. Il bastardo pagherà, e molto presto. Ma a modo mio. Non abbiamo molte chance di farlo arrestare e tenerlo dentro a vita, sai? La difesa sosterrebbe che la confessione è stata carpita in una situazione particolare. Sai bene come siamo fatti noi uomini, no? In quei frangenti saremmo disposti a dire qualunque cosa. Anche la più assurda e inconcepibile.”
Finalmente la rabbia cominciava a sbollire. Greta comprese che l’Uomo Misterioso aveva pianificato tutto, e che intendeva arrivare fino in fondo.
E che il destino di Andrea De Carolis era segnato.
“Quell’uomo non la passerà liscia. Te lo giuro su Rosaria stessa, che riposi in pace. Ma il giudice sarò io, e non certo un tribunale da strapazzo. Dove nella migliore delle ipotesi rimedierebbe tre anni, senza scontare nemmeno un giorno, essendo lui incensurato. E come sai non lo faccio solo per lei. É più chiaro adesso?”
Greta annuì. Restò pensierosa per qualche momento, convenendo che tutto sommato anche lei la pensava così. Lei e il suo enigmatico ospite sapevano che Andrea era un maledetto assassino, ma non erano in grado di provarlo oltre ogni ragionevole dubbio.
E a quel punto, oltre a essere cacciata via dal corpo dei vigili urbani, sarebbe stata sputtanata per sempre. Tutti l’avrebbero additata come una zoccola mitomane, meno attendibile di un terrapiattista con le traveggole. E nel frattempo De Carolis avrebbe fatto perdere le sue tracce, libero come il vento e senza una macchia nella fedina penale. No, non poteva tollerarlo.
“Okay, mi hai convinta. É meglio che ci pensi tu, qualunque cosa hai in mente.”
“Inutile dirti che non devi più averci a che fare. Se nei prossimi giorni dovesse cercarti in qualunque modo, non farti mai trovare.”
“Poco ma sicuro. Non voglio più vederlo finché campo. Quindi non solo per pochi giorni.”
“Due o tre saranno sufficienti. Nel caso ti contattasse via sms, rispondi in ogni caso, sia pure sbrigativa. Digli che sei troppo presa dal lavoro, e che ti farai viva tu. Se fosse per me regolerei la questione adesso stesso, andando a fargli una visitina. Ma sarebbe rischioso per te. Qualcuno potrebbe averlo visto uscire da questa casa, e se dopo poche ore gli succedesse qualcosa, di sicuro gli sbirri vorrebbero interrogarti.”
Greta annuì, afferrando il concetto. “Invece se nei prossimi giorni lo vedranno bazzicare ovunque, tranne che qui, nessuno verrebbe a chiedermi conto. Le hai proprio pensate tutte, complimenti.”
“Ti ho già chiesto tanto, e hai fatto tanto, recitando bene la tua parte. Specialmente quando hai inventato il tuo presunto disprezzo verso Rosaria. Non deve essere stato facile, lo so. E non è giusto che debbano esserci risvolti giudiziari nei tuoi confronti, e non ce ne saranno.”
L’uomo fece una pausa. Si guardò attorno per poi riportare lo sguardo su Greta, che nel frattempo aveva ripreso un colorito più consono ai normali standard.
“E questo è tutto, credo. É il momento di dirci addio, ma anche di ringraziarti, ancora una volta. Grazie a te ogni dubbio residuo è stato fugato.”
A Greta non dispiaceva che l’Uomo Misterioso stesse per levare le tende. Eppure una parte di lei, forse maggioritaria, se ne sentiva attratta. Del resto era da sempre una donna che amava rendere felici gli uomini che la garbavano, e lui non faceva eccezione.
“Se ti va posso occuparmi anche di te, non hai che da chiederlo. Per te volentieri, altro che come ho fatto per quel bastardo.”
Lui, per la prima volta da quando si erano conosciuti, appena due giorni prima, abbozzò qualcosa di simile a un sorriso, scuotendo nel contempo la testa.
“Ti ringrazio. L’offerta è allettante, ma sto bene così.”
A sua memoria era la prima volta in assoluto che un uomo rifiutava le sue amorevoli attenzioni. Era come uno smacco, e Greta non fece nulla per mascherare sorpresa e disappunto.
“Non ti piaccio?”
“Altroché se mi piaci. Ma per fortuna o purtroppo appartengo a una sola donna, e per me conta solo lei. Ultimamente le cose tra noi non sono filate molto lisce, a causa mia, ma ciò non toglie che ci vogliamo un bene dell’anima. Sono cose che capirai anche tu, se un giorno incontrerai l’uomo giusto.”
“Naaaa… io sono come sono e non cambierò mai”, ribatté seccamente lei, senza però esserne del tutto convinta.
“Ti auguro tante belle cose, Greta. Sii felice, se potrai.”
Detto questo, l’Uomo Misterioso le diede le spalle e sparì dalla sua vita.
Non si sarebbero mai più incontrati.
A Greta venne il magone. Forse perché l’unico uomo che desiderava per davvero si era congedato da lei in modo definitivo. Erano anni che non le capitava di voler scegliere, anziché essere scelta, come le capitava sempre. E il colmo era che la persona che aveva scelto le aveva risposto di no. Tutto sommato con gli uomini aveva meno fortuna di quanto si potesse pensare.
Facendo buon viso a cattivo gioco, sorrise stancamente e andò a farsi una doccia calda e distensiva.
Domani è un altro giorno, dicevano in quel celebre film.
Valeva anche per lei.
Andrea De Carolis era lieto di aver riallacciato i rapporti con Greta Rizzo. Negli ultimi tempi aveva smesso di sperarci, e quando la ragazza si era rifatta viva non gli era parso vero. Inoltre in lei aveva trovato una sorta di alleata, nel senso che, riguardo la vicenda di Rosaria, non aveva da temere di averla come nemica.
Certo, Greta gli aveva praticamente estorto la confessione, e con metodi coercitivi tutt’altro che disprezzabili. Ma sapere che era dalla sua parte gli procurava non poco sollievo. Per non parlare della magnifica prospettiva di tornare a fare sesso con lei. E pazienza se Greta non intendeva concedersi del tutto; se ne sarebbe fatto una ragione. A questo mondo, dopotutto, c’era di peggio.
Nei due giorni successivi al ritorno di fiamma con la vigilessa, Andrea aveva mantenuto un basso profilo, inviandole un paio di sms di circostanza, con l’auspicio di rivederla presto. Greta aveva risposto in entrambe le occasioni dopo diverse ore. Poche parole per informarlo che era oberata di lavoro e che lo salutava con un bacio.
Nessun riferimento a un nuovo, eventuale incontro in piena intimità. Andrea fece buon viso a cattiva sorte, rammentando a se stesso che le belle donne sono scostanti e imprevedibili. E guai se non lo fossero.
Avrebbe pregustato con maggior piacere il momento in cui Greta gli avrebbe riaperto la porta di casa, accogliendolo fra le sue grazie.
Peccato solo che ignorasse il fatto che i bei tempi si erano chiusi per sempre. Ma non solo con Greta, bensì con tutte le donne del mondo.
Ma questo non poteva ancora saperlo.
Qualche ora prima era andato a dormire con buoni propositi per il giorno dopo, che riguardavano Greta. Andrea stavolta non aveva intenzione di ricorrere alla tiepida messaggistica dei telefonini. No, era tempo di palesarsi di persona. Magari per un saluto scambiato al volo, okay, ma che le facesse intendere che era pronto per un secondo round. Il solo pensiero glielo aveva reso duro all’istante. Greta era capace di fargli quell’effetto anche a distanza.
Non aveva fatto l’eroe, cercando di ignorare l’erezione, nonostante il sonno incipiente. Aveva così anestetizzato il pensiero di Greta nell’unico modo possibile, e cioè sparandosi una bella e appagante sega.
Al termine della quale era sprofondato in un sonno pesante e senza sogni.
Il risveglio fu brusco, brutale e gelido.
Gelido perché si era ridestato per via di un classico intramontabile: una bicchierata di acqua fredda in faccia. Che rese il rude risveglio ancora più scioccante e intollerabile.
Avrebbe voluto bestemmiare ai quattro venti, ma qualcosa glielo impediva. Con sgomento si rese conto che in bocca vi era finito qualcosa di solido, sferico e ingombrante. Forse un uovo sodo, o qualcosa di simile. Bocca che era paralizzata in modo innaturale, come fosse imbavagliata.
Che cazzo stava succedendo?
Tentò di reagire, ma non ottenne risultati. Gli arti superiori e inferiori si rifiutavano di obbedire.
Una stramaledetta paralisi totale? Dio del Cielo, ti prego, non farmi questo, pregò con angoscia crescente.
“Rilassati e piantala di agitarti, campione. Sei legato come un salame, e hai la bocca sigillata con un nastro da pacchi. Ti consiglio di respirare con calma, senza patemi. O rischi di strozzarti col limone che hai tra le mandibole.”
Non era una paralisi, quindi, ma forse persino peggio.
Andrea faticò parecchio a mettere a fuoco la figura che aveva di fronte. Del resto l’unica fonte di luce della stanza proveniva dall’abat-jour del comodino di fianco al letto, ed era puntato sulla sua faccia.
In ogni caso c’era poco da identificare. Da quel poco che riusciva a distinguere, l’uomo che gli aveva giocato quello brutto scherzo era bardato con l’immancabile mascherina dell’era Covid, e sul capo teneva calato un cappellino simile a quelli che usava lui. Di chiunque si trattasse, quindi, non era identificabile.
Un buon segno, forse. Se non voleva farsi riconoscere, non voleva farlo fuori. In genere era così che funzionava. Per una volta le tanto disprezzate mascherine gli mostravano il lato positivo. Era ora.
“Non sei molto accorto nel custodire i tuoi contanti”, proseguì la voce senza volto. Penalizzato dall’immobilità e dalla luce sparata in faccia, Andrea intuì che il tizio stava trafficando con diverse banconote di piccolo e medio taglio. E senza voler lasciare impronte, visto che indossava guanti in lattice.
“Sì, parlo della ridicola collocazione che hai scelto per nasconderli a noi ladruncoli”, gli fu spiegato. ”La scatola dei biscotti è ridicolmente ovvia. Non potevi fare uno sforzo di meningi? Eppure mi risulta che sei uno scrittore di narrativa, quindi la fantasia non dovrebbe mancarti.”
Si trattava di una misera rapina, ordunque. Dio ti ringrazio.
Che si arraffasse tutti i contanti che trovava. Tanto il grosso era custodito in banca, naturalmente. La cosa più importante era salvare la ciccia, non il poco cash che teneva in casa.
Il visitatore notturno, che si teneva a mezzo metro di distanza dai suoi piedi, seduto alla scrivania della camera da letto, aveva terminato di riunire i soldi in una mazzetta. L’aveva quindi arrotolata per poi avvolgerla in un elastico.
Fece sparire il tutto in una tasca, poi si alzò e si diresse ad accendere la luce principale. Finalmente Andrea poté vederlo in tutta la sua figura, ma senza riconoscerlo. Sicuramente non ci aveva mai avuto a che fare.
Era alto all’incirca come lui, con qualche chiletto in più, e gli era parso che avesse un accento centromeridionale. Poi vallo a sapere con certezza.
Voce profonda, lenta, riflessiva.
Voce che risentì un secondo dopo.
“Allora, campione. Non ti secca restare legato ancora per un po’, vero? Sai, mi occorre del tempo per mettere distanza tra noi. Ti manderò a liberare, non temere. Ma non troppo in fretta, tu mi capisci.”
Andrea annuì più volte. Prima finiva quella disavventura, meglio sarebbe stato. Del resto aveva scelta?
Anche l’intruso annuì. Si chinò verso il comodino sulla destra, dal sopra il quale prelevò un flaconcino di narcotizzante e un batuffolo di cotone, che ancora odorava di narcotico.
Mentre li occultava tra le tasche, si sentì in dovere di fornire una spiegazione.
“Mi è servito per farti passare dal sonno alla catalessi, diciamo. Altrimenti mica ci riuscivo a legarti indisturbato, non trovi? Ti saresti svegliato di soprassalto e non avresti collaborato.”
Poi, dopo qualche attimo in cui il silenzio calò pesante, pronunciò le parole che Andrea aspettava con trepidazione.
“Bene. É tempo di levare il disturbo. Sinceramente mi aspettavo un gruzzolo più corposo, ma mi rendo conto che la mia è stata una visita inaspettata. Non hai avuto modo di prepararti. Pazienza, sarà per la prossima volta. Stammi bene, campione.”
Se anche gli fosse stato possibile parlare, probabilmente Andrea non avrebbe proferito parola; si limitò solamente a osservare l’uscita di scena dello strano ladruncolo. Intanto cominciava a sentire i primi disagi dovuti alla scomoda posizione in cui era costretto, per non parlare del dannato limone infilato in bocca. Si augurò con tutto il cuore che l’altro mantenesse la promessa di mandare qualcuno a liberarlo, senza metterci troppo tempo.
In ogni caso tirò un sospiro di sollievo per lo scampato pericolo. Meglio un asino vivo che un professore morto, recitava il vecchio adagio. Ben felice di essere l’asino, almeno quel giorno lì.
Ma non restò solo molto a lungo.
Neanche il tempo di arrovellarsi su come potersi liberare, ed ecco che…
“Sai, ho una figlia di ventitré anni.”
Cazzo! Rieccolo! Cosa voleva ancora?
“Da più di due anni è in stato vegetale. La versione ufficiale parla di tentato suicidio, a seguito del quale ha perso conoscenza, senza più tornare a riprendersi. É condannata a passare un numero indefinito di anni in questa sorta di limbo senza uscita, ma io non lo permetterò.”
'Ma perché mi stai dicendo questo?' avrebbe voluto domandargli. 'Che cazzo c’entro io?'
Ma quando il suo ospite nominò il nome della ragazza, tutto gli fu chiaro. E si rese conto con sgomento che difficilmente sarebbe uscito vivo da quella situazione.
“Si chiama Brenda Gutierrez. Ha un cognome diverso dal mio perché io e sua madre non ci siamo mai sposati, e abbiamo preferito registrarla con il suo. E tu le conosci entrambe, campione. Ah, se le conosci. E non provare a negarlo perché altrimenti dimenticherò di essere una persona civile. Bada, non scherzo.”
'Ma va? Ci arrivo da solo a capire che non sei qui per fare avanspettacolo, figlio di puttana', pensò Andrea. Che per non sapere né leggere e né scrivere si affrettò ad annuire col capo, anche più del necessario.
“Bravo, vedo che ci intendiamo. Come stavo dicendo, non permetterò che mia figlia rimanga imprigionata in stato vegetativo per altri trent’anni. Fra un paio di giorni metterò fine al suo calvario, e subito dopo farò la stessa cosa con me.”
Pausa a effetto, gravosa come un macigno.
Andrea non era un idiota, e intuì dove l’uomo volesse andare a parare, augurandosi col cuore in gola di sbagliarsi. Ma un istante dopo ogni illusione si dissolse, come lo scoppio di una bolla di sapone che svolazza nell’aria.
“Naturalmente tu ci precederai, sempre per mano mia. Ma ci tenevo ugualmente a fartelo sapere. Così, per scrupolo. La buona educazione prima di tutto.”
L’angoscia per Andrea divenne terrore puro, quando l’uomo si levò la mascherina, sempre squadrandolo con quei magnetici occhi di ghiaccio.
Poté così studiarne i lineamenti, stanchi e scavati, la barba di cinque giorni, il naso tondeggiante. Ma ciò che per poco non gli causò un arresto cardiaco fu la vaga ma innegabile somiglianza con Brenda. E sì: quell’uomo era proprio chi diceva di essere.
Andrea allora prese a scuotersi, a biascicare versi senza senso, tentando vanamente di slegarsi. Fu tutto inutile, naturalmente.
“Per quanto possa servire, questa è la mia faccia, e sarà l’ultima che vedrai, prima di dire addio alla tua miserabile vita”, proseguì l’aguzzino. Col tono misurato di un giudice che sta emettendo una sentenza definitiva. ”Mentre il mio nome è Fabio Simoni, padre di quella ragazza che a causa tua ho perso da più di due anni, caro il mio farabutto.”
Oramai Andrea tremava come una foglia, e aveva smarrito ogni residuo di dignità. Scoppiò a piangere e provò vanamente di farsi capire, ottenendo soltanto di correre più volte il rischio di strozzarsi con quel maledetto limone.
“Dovresti calmarti e scandire meglio le parole. Così non riesco a comprenderti”, ironizzò allora Fabio. ”Comunque sappi che ho voluto mostrarti la mia bella faccia affinché tu la possa riconoscere, fra un paio di giorni, quando ti raggiungerò all’inferno.”
Detto questo, come per magia nella sua mano destra comparve una semiautomatica calibro nove. Una Beretta o una Glock, valutò Andrea, che di armi un po’ se ne intendeva, avendole descritte più volte nelle sue storie. Abbagliato e terrorizzato com’era, gli era impossibile inquadrarla a dovere.
“Come forse saprai, quest’arma può contenere quindici colpi, più uno in canna. Non occorrerà tanto. In questo momento infatti nel caricatore ce ne sono solo otto, ma le farò bastare. Sei per te, una per Brenda, e l’ultima per me. E se può consolarti, il mio ultimo pensiero sarà per te.”
Pur nel suo isterismo sempre più incontrollabile, Andrea ebbe modo di notare come l’arma fosse provvista di silenziatore. Nessuno avrebbe sentito niente, quindi, e il suo corpo rischiava di essere rinvenuto dopo diversi giorni.
In quei momenti di suprema disperazione valutò se raccomandare l’anima a Dio, che certo non guastava. Peccato per il suo ultradecennale e ostinato ateismo… A chi voleva prendere in giro? Polvere eravamo e polvere torneremo, pensò sconsolato. E vaffanculo a tutti.
“Ah, dimenticavo. Di questi sei colpi, solo tre saranno da parte di Brenda. Gli altri tre sono da parte di Rosaria, la vigilessa. E ringrazia che ignoro se hai commesso altre bestialità con altre donne. I colpi sarebbero stati molti di più, ma solo l’ultimo sarebbe stato letale. Prima ti avrei sforacchiato per benino, senza tuttavia farti schiattare subito, facendoti soffrire come un cane.”
Andrea comprese solo la parte relativa a Rosaria. Il resto fu coperto dai suoi stessi versi, striduli e ovattati. Si contorceva con tale foga che per qualche istante Fabio temette che riuscisse a liberarsi.
Segno evidente che il tempo delle chiacchiere era terminato.
Prese la mira con gelida indifferenza e premette il grilletto per sei volte consecutive. Il silenziatore fece il suo dovere, così nessuno poté sentire i tonfi smorzati degli spari.
Andrea De Carolis era già morto al secondo colpo. Tutti i sei proiettili gli si conficcarono al cuore, naturalmente. Del resto, a distanza così ridotta, era un bersaglio immancabile.
Fabio li aveva contati bene. Non aveva mentito, prima: ben determinato a risparmiarne due. Poi tanti saluti a tutti. Ma non era ancora il momento.
Ripose la pistola nella tasca interna del giaccone, senza sganciare il silenziatore. Il giaccone aveva tasche molto capienti, e quel carico non rappresentava un ingombro particolare.
Attese immobile come per vegliare il cadavere ancora caldo del primo uomo che aveva ucciso in vita sua. E se le cose si fossero evolute come programmato, presto sarebbe diventato un parricida-suicida.
Prima di congedarsi da quella casa, gli restava ancora una cosa da fare.
Si chinò su Andrea e gli strappò il nastro adesivo dalla bocca. Con non poche difficoltà riuscì a cavare via dalla bocca il limone, che infilò in una tasca. Nel mentre gli tenne le mascelle spalancate, e al posto del limone infilò il rotolo di banconote avvolte in un elastico.
Gli richiuse infine la bocca, avendo cura che una buona metà del rotolo ne rimanesse fuori, bene in vista. Era un banale tentativo di depistaggio. Chi avesse rinvenuto il corpo dello scrittore, avrebbe pensato a un’esecuzione della malavita, per questioni di debiti di gioco o strozzinaggio.
Adesso sì: Fabio poteva andare via. Non gli rimaneva altro da fare se non quello di soffermarsi qualche momento ancora a contemplare la salma.
Si stupì di se stesso per come fosse del tutto indifferente al tragico destino di Andrea, di cui era stato l’artefice.
Indifferente e soprattutto leggero. La vendetta non aveva alcun sapore particolare, o così pareva. Al massimo ti gravava di una stanchezza infinita, di quella di cui non riesci a scrollarti tanto facilmente, non essendoci un rimedio efficace.
“Tutto torna, egregio scrittore del cazzo. Se è vero che nessuna buona azione resta impunita, figuriamoci le malefatte. Sei stato tu a forgiare il tuo miserabile destino. Ma poco male: presto ne discuteremo all’inferno, e il tempo a disposizione non ci mancherà”, salmodiò quindi, parlando più a se stesso che all’uomo che aveva appena freddato.
Non indugiò oltre e spense le luci. La casa piombò nell’oscurità, ma Fabio non ebbe difficoltà a guadagnare l’uscita e a congedarsi da quelle mura. Non dovette nemmeno ricorrere alla piccola torcia elettrica che si era portato appresso, se non per brevi istanti nei tratti più tenebrosi.
Una volta per strada, completamente deserta per via dell’ora antelucana, si diresse verso la sua auto, che per prudenza aveva parcheggiato a due isolati di distanza.
Per tornare a Milano avrebbe guidato tutto il resto della notte. Ma nessun problema riguardo eventuali colpi di sonno. Non sarebbe riuscito ad addormentarsi nemmeno a randellate. Del resto aveva crivellato una persona inerme e impossibilitata a difendersi.
Sono cose che ti causano insonnia per tempi molto, molto lunghi.
Sonia giunse puntuale all’aperitivo che le era stato proposto da Fabio qualche ora prima. Il suo ex compagno l’attendeva in piedi all’esterno del bar, le mani in tasca e espressione serena in volto.
Non lo vedeva da una quindicina di giorni, e precisamente da quando era andata a snidarlo dal suo monolocale, trovandolo irriconoscibile e in condizioni penose.
Circa due settimane durante le quali, evidentemente, era accaduto una sorta di miracolo.
L’uomo che la accolse baciandola sulle guance, dopo essersi calato la mascherina, era ben diverso dal rudere dell’ultima volta.
Fabio appariva sempre un po’ trasandato nei modi di fare e nell’abbigliamento, ma in compenso non palesava traccia di eccessi etilici. La mano era ferma, il tono di voce basso e misurato come ai vecchi tempi, lo sguardo di nuovo vigile e intelligente.
Per Sonia fu una gioia inaspettata, e non mancò di farglielo notare con uno dei suoi ormai rari sorrisi.
“Accidenti, come siamo in forma! Ti trovo proprio bene, sai? Dovresti starci meno possibile, nel buco dove ti eri rintanato negli ultimi tempi.”
In verità avrebbe voluto dire: ‘Dovrei venire più spesso a trovarti, se questo è il risultato’, ma si morse la lingua per tempo. Era ancora prematuro esprimere simili considerazioni.
E comunque ci pensò lui a riportarla bruscamente alla stretta attualità.
“De Carolis è morto. Due giorni fa. A parte noi due, non credo che lo sappia ancora nessuno.”
Per poco a Sonia non cedettero le ginocchia di schianto. Il cuore saltò due battiti, mentre il respiro le si mozzò all’istante.
Fabio non si fece cogliere impreparato e la fece accomodare nella sedia più vicina, sedendosi poi a sua volta al suo fianco.
“Tutto okay? Scusa se sono stato troppo diretto, ma…”
“No, hai fatto bene. Ma dammi un secondo per riprendermi, per favore.”, lo rassicurò lei, pur con voce tremante.
“Tutto il tempo che vuoi.”
Nel frattempo, essendo seduti a un tavolino all’aperto, erano dispensati dall’uso delle mascherine, e ne approfittarono per levarsele e respirare meglio. Fu un sollievo, specialmente per la frastornata Sonia.
Come sempre, Fabio la trovò bellissima, sexy e vulnerabile. Ma non scordò che negli ultimi anni il più vulnerabile era stato lui, che aveva sfiorato il baratro davvero per un pelo. O forse, semplicemente, Sonia era molto più forte di come appariva a una sommaria occhiata.
“Bene, raccontami tutto. Fin da principio. Ho solo una domanda: sei sicuro? Veramente sicuro che quel bastardo sia morto?”
“Come sono sicuro di essere con te in questo momento. Andrea De Carolis è cibo per vermi da una quarantina di ore circa.”
“Va bene. Racconta, allora. A partire dall’ultima volta che ci siamo visti a casa tua.”
Nel frattempo un cameriere taciturno aveva servito gli aperitivi. Quando si allontanò, Fabio cominciò a rivivere i recenti accadimenti di cui era stato protagonista.
“Quando mi riferisti che Arturo, il mio amico sbirro, aveva appreso di un apparente suicidio di una ragazza proprio nella località dove De Carolis risiedeva, ho capito che era tempo di darmi una mossa. Anche se preferii non dirti niente, e attesi con falsa indifferenza che ti congedassi dalla mia stamberga…”
“Sapessi infatti quante volte mi sono data della stupida per essere venuta da te. Non sei stato molto galante e ospitale, sai?”
“Hai ragione, mi cara. Ma dovevo comportarmi così. Non mi sarei mai perdonato per averti coinvolta in quello che avevo deciso di fare. Per il tuo bene era meglio lasciarti credere che avevi fatto un viaggio a vuoto.”
Sonia annuì, mentre entrambi sorseggiarono il loro drink. La giornata era piacevole, sia pure un po’ frizzante. Del resto si era ancora in pieno inverno.
“Prima di entrare in azione ho lasciato scorrere alcuni giorni, durante i quali ho dato una ripulita a me stesso e al monolocale. Dal momento stesso in cui sei andata via ho smesso di bere. Senza soffrirne più di tanto, in seguito.”
“Non sai che piacere sentirtelo dire, Fabio.”
“Una volta tornato presentabile, mi sono fatto vivo con Del Neri, chiedendogli ulteriori dettagli. Mi è stato molto utile, in quanto sul web non ho trovato alcun riscontro sul presunto suicidio di quest’altra ragazza. Ho scovato solo una montagna di necrologi, come è normale che sia quando muore una ragazza così giovane, ma nessun accenno a eventuali indagini in corso. Così ho deciso di recarmi nella cittadina in questione, e dove risiedeva da alcuni mesi Andrea De Carolis. Con tatto e discrezione ho chiesto un po’ in giro, e in breve ho appreso che Rosaria, la povera sventurata, era una giovane vigilessa di belle speranze, amica e coinquilina di una certa Greta Rizzo, anch’ella vigilessa. Capii al volo che quest’ultima poteva rappresentare l’ago della bilancia, così mi sono presentato a casa sua.”
“Capisco. E come ti ha accolto? Sempre ammesso che abbia voluto parlarti.” Sonia ascoltava con la massima attenzione, senza perdersi una sillaba.
“Sulle prime era molto diffidente, e ha cercato di mandarmi via. Ma quando le ho detto che ho una figlia che ha conosciuto Andrea De Carolis e che si trova nelle condizioni in cui si trova, ha subito cambiato atteggiamento, ricevendomi senza indugi.”
Sonia annuì, incrinando un po’ lo sguardo. Ogni minimo accenno a Brenda le provocava una stretta al cuore, anche se cercava sempre di non darlo a vedere.
“Abbiamo parlato a lungo”, proseguì Fabio. ”Il bastardo aveva una relazione con entrambe le ragazze, anche se Greta da qualche tempo lo aveva congedato. A quanto pare il piatto che gli veniva servito cominciava a tediarlo, e quindi ne aveva preteso di più raffinati, diciamo.”
“E l’altra? Anche lei aveva rotto con lui?”
“Purtroppo no, e le è stato fatale. Greta conosceva bene la sua amica, e giura che non si sarebbe mai suicidata. Al massimo avrebbe sperimentato un gioco erotico estremo, quello sì, ma tenendosi entro limiti ragionevoli. Rosaria alla vita ci teneva, e sprizzava gioventù da tutti i pori. Ma Greta non era in grado di dimostrare che dietro la sua morte c’era una grossa responsabilità di lui.”
“Ma a quanto pare, se è vero come è vero che gli hai dato quello che si meritava, qualche prova l’avete infine trovata, no?”
“Sì, Sonia. Non è stato poi così difficile. Ho convinto Greta a incontrarlo ancora una volta, facendogli credere che lei aveva una mezza idea di riprendere la loro relazione. Il pollo c’è cascato in pieno, anche perché, onestamente, la ragazza è molto carina e parecchio sexy. Difficile dirle di no. E abbiamo fatto bingo.”
Sonia strabuzzò gli occhi. ”Vuoi dire che…”
“Ebbene sì. Ha accettato, sia pure turandosi il naso, di portarselo a letto, in modo di carpire la verità mentre se lo lavorava. E nel contempo io, come concordato, mi sarei nascosto nelle vicinanze, registrando audio e video. O almeno così ho fatto credere a lei.”
“Che intendi dire?”
“A me bastava sentirlo confessare. Non mi interessava trascinarlo davanti a un giudice. In un processo che si rispetti avrebbero dichiarato illegittima la registrazione. E probabilmente la difesa avrebbe sostenuto che mentre si fa sesso si dicono un mucchio di cavolate, tanto per fare felice il partner. Per non parlare poi delle conseguenze su Greta, che sarebbe stata sputtanata per sempre.”
“Hai ragione.”
Dopo una breve pausa riflessiva, Fabio ordinò un altro drink, mentre Sonia si dichiarò a posto così. Quindi arrivò al nocciolo della questione.
“E poi, ripeto, a me interessava la 'mia' giustizia, non quella degli altri. De Carolis doveva pagare con la vita le sue malefatte. La galera era troppo poco, sempre ammesso che venisse condannato. Così, dopo aver spiegato alla ragazza le mie ragioni, due sere dopo sono andato a trovarlo. Ti risparmio i dettagli. Ti basti sapere che gli ho scaricato l’intero caricatore. Sei colpi dritti al cuore. Tre per Brenda, tre per Rosaria.. Poi ho alterato alla bene meglio la scena del delitto. I sospetti su loschi giri che De Carolis, a quanto pare, frequentava in incognito.”
Naturalmente Fabio omise il dettaglio che gli erano rimasti altri due proiettili. Il fatto che intendesse usarli per la loro figlia e poi per se stesso sarebbe stata la sua unica omissione.
Sonia avrebbe capito, prima o poi.
Quest’ultima aveva cercato di assorbire la narrazione con un certo distacco, e in parte vi era riuscita.
L’uomo della sua vita le aveva appena confessato di essere un assassino, eppure la cosa non la toccava nemmeno di straforo. Tutt’altro.
“Avrei voluto sparargli di persona”, ammise infatti.
“No, Sonia, non te lo avrei mai permesso. Convivere con una simile colpa, sia pure giustificata, potrebbe avere conseguenze che nemmeno ti immagini. É giusto che lo abbia fatto io, per mille motivi. Magari ci perderò il sonno, almeno per qualche tempo, ma poi mi adatterò. E la vita andrà avanti lo stesso, come ha sempre fatto.”
Lei annuì. Il ragionamento non faceva una piega. ”Immagino che hai usato una pistola diversa da quella che hai in casa, e che usavi in servizio.”
“Ovvio. Ho ancora vecchie conoscenze nel giro dei bassifondi. Per quanto ne so, la pistola proveniva dall’est, quindi ancora più difficile da tracciare. E in ogni caso non la troveranno mai.”
“Te ne sei sbarazzato?”
“Sì, dopo neanche un’ora giaceva in fondo al Po. Ho provveduto sulla strada del ritorno. Il questo periodo è alla massima capienza, e sarà pressoché impossibile recuperarla. Il cerchio si è chiuso.”
Seconda bugia, in verità. L’arma in questione era ancora disponibile, e in quel momento era custodita con cura nel monolocale. In attesa di essere utilizzata per l’ultima volta.
Anche in questo caso Sonia avrebbe capito, prima o poi.
Fabio intanto le fece capire che non avrebbe aggiunto altro. Andrea De Carolis aveva avuto quello che si era meritato, e Sonia non gli avrebbe riservato una stilla di cordoglio. Con i morti non bisogna infierire, anche con quelli che se la sono andata a cercare.
I due tacquero a lungo, con i pensieri e gli sguardi persi chissà dove. Pensieri che alla fine convergevano verso la stessa, spietata conclusione: la morte di quel farabutto non avrebbe ridestato Brenda. E nemmeno avrebbe ridato vita a Rosaria.
Ma chissà, era anche probabile che altre ragazze, pur non venendolo a sapere mai, si fossero sottratte a quel tragico destino, e forse la prima di tutte era proprio Greta Rizzo.
Ora che ci aveva preso gusto, infatti, difficilmente Andrea si sarebbe fermato. E solo Dio sapeva se Brenda e Rosaria erano le uniche sue vittime. Probabilmente impossibile accertarlo.
“E ora?” domandò Sonia, rompendo il silenzio e fissandolo con occhi mesti ma determinati.
Fabio non rispose subito. Sulle prime si limitò a restituirle lo sguardo, con pari intensità, annuendo appena.
Con uno slancio di tenerezza le prese la mano, la sollevò e ne appoggiò il dorso lungo la sua guancia. Guancia che come sempre era punteggiata dall’immancabile filo di barba. Fabio infatti non si radeva con la lama, ma preferiva lasciare scorrere il rasoio elettrico, cabrato affinché ne rimanesse circa un millimetro. E a Sonia piaceva molto la barbetta incolta. Anzi, fosse stato per lei lo avrebbe obbligato a tenerla ancora più lunga.
“E ora andremo a fare l’amore, Sonia”, rispose infine, tornando a guardarla negli occhi. ”Subito, senza indugi.”
“Assolutamente sì”, convenne lei, gli occhi lustri e il cuore che adesso batteva un pochino più veloce.
Tuttavia non si alzarono immediatamente.
Fabio si soffermò ancora sulla mano di lei, tenendola a contatto con la sua guancia. Con Sonia che lo lasciava fare, bellissima e a corto di parole.
Poi, quando infine si decisero, ci mancò poco che se ne andassero senza pagare il conto.
Fecero l’amore come se non ci fosse un domani. Come ai bei tempi andati. La passione ritrovata e mai del tutto sopita li accompagnò dall’inizio alla fine, placandosi solo quando ogni stilla di energia era stata versata.
I loro corpi, le loro anime e i loro desideri erano concepiti per fare parte l’uno dell’altra, fino a quasi a scindersi in una singola unità.
Tutti abbiamo un’anima gemella, e sta a noi riuscire a trovarla e tenersela ben stretta, senza mai più separarcene finché restiamo a questo mondo.
L’anima gemella di Fabio era Sonia, e quella di Sonia era Fabio, semplicemente. E questo, evidentemente, era stato stabilito fin dalla notte dei tempi. E vi era scritto pure che, per quanto avessero vissuto altre esperienze amorose o affettive, alla fine il cerchio si chiudeva. E a quel punto sarebbero tornati l’uno nelle braccia dell’altra.
Come appunto era successo durante quella meravigliosa serata.
Fecero l’amore tre volte. Al termine di ogni sessione tiravano i remi in barca, appisolandosi per qualche ora, per poi risvegliarsi e ripartire da capo.
Durante uno degli intervalli Sonia si complimentò per avere trovato il monolocale in condizioni dignitose rispetto all’ultima volta. Certo, il livello di pulizia non era ancora al top, ma almeno erano spariti i cumuli di immondizia sparsi ovunque. Inoltre ogni angolo era stato disinfettato e riportato alla luce grazie all’olio di gomito, e l’aria non era più stagnante.
E il merito era stato proprio di Sonia, per via della visita che aveva voluto fargli per forza, diversi giorni prima.
Visita della quale, ora, aveva smesso di pentirsi.
A volte basta poco per ribaltare le cose da così a così. Ma tutto sommato non ne era poi così meravigliata. Con Fabio non si poteva mai sapere. Poteva piegarsi, okay, ma di sicuro non spezzarsi. Esattamente come lei.
Quando si risvegliò, spossata ma felice, erano da poco passate le sette del mattino. E di Fabio nessuna traccia.
Non poteva nemmeno trovarsi nel minuscolo bagno adiacente. Nessun rumore proveniva da là dentro, e dalla porta socchiusa era evidente che la luce era spenta. Nell’appartamentino regnava un quieto silenzio.
Si accorse del bigliettino dopo essersi rimessa in piedi, desiderosa solo di un caffè caldo e di una doccia tiepida. Il foglietto, strappato da un taccuino, era stato lasciato in bella vista nell’unico tavolo presente, e trattenuto da un bicchiere rovesciato.
Una sola riga, stringata, tenera e tragica allo stesso tempo, vergata in stampatello.
“IO E BRENDA TI SAREMO SEMPRE VICINI”
E poi, in calce e in corsivo: Ti amo. Fabio,
A Sonia le si mozzò di colpo il respiro, senza peraltro rendersene conto.
Lesse quelle parole un numero indefinito di volte, come sperando che a lungo andare si trasformassero, mutando il significato. Ma non fu così.
Infine riprese ad anelare aria, scuotendo la testa e pronunciando solo due parole, ossessivamente.
“No, Fabio… no… no!” E mentre le farfugliava si guardò disperatamente attorno, come se sperasse che fosse solo uno scherzo di pessimo gusto, con l’uomo della sua vita che le ricompariva alle spalle, sghignazzando e dileggiandola teneramente, come a sottolineare che lei ci cascava sempre.
“Ti prego, Fabio… no!”
Ma niente da fare. La realtà era quella, cruda e non negoziabile.
Fabio stava per dare alla loro meravigliosa Brenda l’ultima spinta per mettere fine al suo calvario, per poi fare altrettanto con se stesso.
No, per Dio, non poteva andare così. Non doveva concedere a un destino infame di privarla in un colpo solo delle due persone che più di tutte aveva amato in vita sua. Che idea scellerata aveva avuto quel maledetto testone di Fabio! A lei non ci aveva pensato, in nome del Cielo? Possibile che non capisse che in questo modo la condannava a restare da sola per il resto della sua esistenza, ammesso che fosse stata in grado di sopportarlo?
Tentò di chiamarlo al cellulare, che però era ovviamente irraggiungibile. Nel contempo si rivestì in fretta e furia, dandosi una rapida rinfrescata, prima di precipitarsi via, sia dal monolocale che dalla palazzina. Senza scordare, come da prassi, di bardare il viso con l’imprescindibile mascherina di ordinanza.
La sera prima aveva raggiunto il bar dell’aperitivo grazie a un passaggio di sua sorella Angela, quindi in quel momento era appiedata, e non aveva un secondo da perdere.
Non le fu facile trovare un taxi a quell’ora, ma alla fine vi riuscì, e implorò l’autista di recarsi all’ospedale il prima possibile.
“Ho una parente in gravissime condizioni”, gli spiegò per giustificare tanta premura.
E fu accontentata. Al punto che al termine della corsa, durata sei minuti scarsi, gratificò il tassista del doppio della tariffa, senza soffermarsi su ringraziamenti e auguri di tante belle cose.
“Dio, ti prego, fa’ che arrivi in tempo, ti scongiuro!”
Coprì i sessanta metri che la separavano dalla cancellata dei parcheggi sino all’ingresso dell’ospedale a tempo di record, fiondandosi nell’angolo degli ascensori. Per raggiungere Brenda al più presto le occorreva prenderne uno per forza. Altrimenti, non trovandone di liberi, non avrebbe atteso più di tanto, ripiegando sulle scale adiacenti.
Attorno a lei c’era meno gente del solito, forse per via dell’orario inconsueto; generalmente vi si recava durante le ore di visita dei parenti, e adesso la musica era ben diversa. A dire il vero da quasi un anno a causa della pandemia le visite non erano più permesse, ma nel caso di Brenda era prevista una deroga.
E nemmeno a farlo apposta, in quel momento non trovò alcun ascensore disponibile.
“Fanculo!” sbottò irritata e con i nervi a fior di pelle, apprestandosi a raggiungere la scalinata. Ma era destino che dovesse restare nel piano terra.
“Sonia…”
Dopo aver pronunciato il suo nome, Fabio le posò una mano sulla spalla, facendola voltare di scatto.
Quando la donna ebbe conferma che si trattava proprio di lui, per qualche istante temette che le gambe le cedessero. Sospirò, ringraziando chi stava Lassù che l’uomo che amava fosse ancora vivo e vegeto, sia pure con l’aria abbacchiata di un cane bastonato.
E questo nonostante avesse buona parte del viso nascosto dietro la mascherina chirurgica.
“Io, be’… Che tu sia dannato, Fabio Simoni. Mi hai fatto prendere uno tale spavento che…”
“Brenda è morta. Circa mezz’ora fa. É spirata nel sonno, poco prima che arrivassi al suo reparto.”
Sonia impiegò qualche momento per assorbire la mazzata. Provò a reagire, a blaterare qualcosa, scuotendo la testa in segno di incredulità, per poi irrigidirsi e lasciargli proseguire il discorso. Senza tuttavia incrociarne lo sguardo.
“É libera, finalmente. Sonia, guardami, per favore. É volata in cielo, e ha voluto risparmiarmi lo strazio di provvedere di persona.”
“Vuoi dire che…”
“Sì, Sonia. Ero venuto qui per farla smettere di soffrire. Ti avevo mentito, riguardo la pistola. Non l’ho buttata via, e avevo conservato due colpi. Il penultimo per Brenda, l’ultimo per me. Ma non potevo dirtelo, tesoro. Anzi, non 'dovevo' dirtelo. Cerca di capirmi, se puoi.”
Sonia abbozzò, indecisa su cosa dire. Come era comprensibile vista la situazione, era pervasa da sentimenti contrastanti.
Ma soprattutto si stupì di se stessa, in quanto sul momento non stava provando quel dolore che si sarebbe aspettata. Ma era solo per adesso, appunto. Sicuramente nelle ore e nei giorni successivi lo strazio e la pena per sua figlia le avrebbe presentato il conto.
Piuttosto si sentiva avviluppata da un senso di leggerezza, sollievo e liberazione. Oltre che di un grosso vuoto, di un’enorme voragine che si era appena spalancata sotto i suoi piedi. Stava a lei, e anche all’eventuale aiuto di Fabio, evitare di sprofondarci.
“Forse mi sarei decisa a farlo io stessa, prima o poi. Non ti avrei odiato, quindi, o magari non subito. Brenda aveva tutto il diritto di andarsene. Ma non ti avrei mai perdonato di avermi lasciata sola, testone che non sei altro. Quello no. Ti avrei maledetto per sempre.”
“E forse Brenda in qualche modo lo sapeva e ha voluto precedermi. Ti rendi conto? Quante possibilità c’erano che sarebbe deceduta proprio il giorno in cui stavo per intervenire io?”
“Appunto. Segno evidente che non è ancora giunto il momento in cui ti libererai di me, sciocco.” E malgrado l’evento luttuoso appena verificatosi, Sonia accennò a un sorriso. Anche se, per via dell’onnipresente mascherina, non le fu possibile mostrarlo nella sua pienezza.
Ma anche il tempo del covid, delle mascherine e di mille ristrettezze sarebbe cessato, prima o poi. Mentre il grande, infinito e inesauribile amore per la loro figlia sarebbe rimasto solido e inattaccabile come una quercia imponente e secolare.
“Mi dispiace, Sonia, sono un egoista. O meglio, lo sarei stato se fosse andata come immaginavo. Ma non credere che a te non ci ho pensato. Ma il dolore per quello che è successo a Brenda a volte è insostenibile, e volevo farlo terminare una volta per tutte…”
“Come no, bruciandoti le cervella. Bella e coraggiosa soluzione, questa. Indegna di te. Sei l’uomo più coraggioso che ho mai conosciuto, Fabio. E di certo non mi sarei mai innamorata di un vile, quando ti conobbi.”
Fabio annuì, gli occhi lucidi e le movenze al rallentatore. Ma fu bellissimo anche così: essere abbracciata lentamente, fu qualcosa di inedito per Sonia, che apprezzò parecchio. Ricambiando subito l’abbraccio, tenendosi stretta il più possibile all’uomo del suo destino, come se temesse di perderlo ancora una volta.
Ma non era un giorno di addii, quello, malgrado la dipartita di Brenda.
Fabio non aveva intenzione di eclissarsi nuovamente. Se il destino aveva voluto che quel giorno non si suicidasse, una ragione doveva esserci. E quella ragione si chiamava semplicemente Sonia.
Pur nella tragicità del momento, Sonia a un tratto non poté’ esimersi da pronunciare una battuta che ormai odorava di classico di tutti i tempi, ma mai opportuna come stavolta.
“Ti sembrerò banale, ma... è una pistola, quella che hai stretta nei jeans, o sei felice di vedermi?"
Fabio strabuzzò gli occhi e non riuscì a impedirsi di scoppiare a ridere
Tornò a stringere meglio che poteva la sua donna, per poi spiegare:” Sono felicissimo di vederti, come sempre, ma sì, è proprio la pistola che avrei dovuto usare oggi. Sempre la solita, chiaramente. Ma non temere, stavolta me ne disferò per davvero, questa mattina stessa".
“Bravo. In questo modo, finalmente, il cerchio si chiuderà."
“Ti amo, Sonia."
“Ti amo anch'io, Fabio. Non ho mai smesso di farlo, nemmeno nei periodi più bui."
“Scusa se non te l'ho detto più spesso, quando vivevamo assieme. Ma se mi darai l'opportunità mi farò perdonare con gli interessi."
Sembrava un abbraccio senza fine, e a entrambi andava bene così. Pazienza se si dicevano quelle bellissime parole senza guardarsi in viso, cullandosi l'uno sul collo dell'altra; avevano tutto il tempo del mondo, davanti.
“Quindi significa che non mi lascerai più, e che torneremo a essere una cosa sola, Fabio?"
“Possiamo provarci, Sonia. Possiamo provarci."
F I N E
(per commenti e stroncature: amoleforme@yahoo.it)
I suoi capelli, un tempo folti e neri come la pece, nel giro di due anni si erano rapidamente ingrigiti, mentre le stempiature si erano notevolmente estese. Gli occhi di un castano slavato, spesso inespressivi, la barba perennemente incolta, i quindici chili di troppo e una sciatica che mordeva a giorni alterni completavano il quadro.
Anzi no. C’era da tenere conto della sbronza quotidiana che lo faceva illudere di evadere dal dolore, dall’impotenza di fondo e dalla beffarda realtà con cui era costretto a convivere dall’estate di due anni e mezzo prima.
Eppure Fabio non era mai stato un debole, e meno che mai un alcolizzato. Nella vita precedente aveva spesso compatito e disprezzato coloro che si lasciavano sprofondare nel baratro dell’etilismo, magari perché non trovavano la forza di prendere il toro per le corna.
Ma evidentemente l’esistenza di ognuno è una ruota che gira, e adesso Fabio si trovava dall’altra parte della barricata. Quella degli sconfitti.
Lo strazio per le condizioni irreversibili di Brenda lo aveva minato lentamente, fino a renderlo irritabile, insicuro e indolente.
Dopo ventidue anni, per esempio, aveva perso il suo lavoro di metronotte. Non si trattò di un licenziamento improvviso, determinato dall’incombenza della crisi di inizio millennio. Anzi aveva avuto la fortuna di godere della comprensione e della solidarietà delle alte sfere dell’istituto di vigilanza che gli dava lavoro. Nessuno si sarebbe mai augurato di ritrovarsi dall’oggi al domani con una figlia in coma irreversibile, tenuta in simil-vita solo dai macchinari.
Ma a tutto c’era un limite.
Tante, poi divenute troppe, assenze ingiustificate, innumerevoli ritardi e frequenti liti con i colleghi. A un certo punto era giunto il momento, con rammarico, di liberarsi di quell’elemento di disturbo.
Il quale, per la verità, non aveva fatto una piega e si era ritrovato disoccupato alla soglia del mezzo secolo di età, e senza alcuna seria prospettiva per il futuro.
A questo punto gli erano rimaste due cose da fare. Innanzitutto il pellegrinaggio quotidiano al capezzale di Brenda. E poi, per chiudere il cerchio, sbronze a volontà.
In attesa che tutto, in un modo o nell’altro, presto o tardi facesse il suo corso.
Fabio e Sonia si erano conosciuti per caso, una notte di ventidue anni prima. Lui ventottenne di belle speranze in servizio di vigilanza da circa un anno; lei bellissima diciottenne impegnata da tempo nelle sfilate di moda.
Quella tarda serata la venezuelana stava facendo ritorno a casa dopo un servizio fotografico che si era dilungato più del solito. Generalmente si faceva accompagnare da suo fratello maggiore Pedro, che con la sua stazza e lo sguardo da duro incuteva timore a chiunque, senza bisogno di aprire bocca.
Ma non sempre era così. Quando Pedro non poteva, era la loro sorella Angela ad attenderla e a scortarla fino a casa, dopo un breve tragitto in metropolitana.
Altre volte, molto rare in verità, nessuno dei due fratelli era disponibile. Perciò Sonia doveva provvedere da sola.
Sonia detestava la solitudine. Non riusciva a conviverci, nemmeno per brevi periodi. Ma quando Pedro e Angela non potevano, preferiva essere sola che era male accompagnata. Nel suo ambiente di lavoro le sarebbe bastato schioccare le dita e avrebbe avuto l’imbarazzo della scelta su chi scegliere. Ma si dava il caso che erano tutti interessati a una cosa sola, che avrebbero chiesto – se non preteso – alla prima occasione.
Del resto poteva essere considerato un equo scambio. Io faccio questo per te, poi tu fai quest’altro per me. Facile.
Oppure avrebbe potuto rivolgersi a uno dei tanti addetti ai lavori omosessuali che gravitavano nell’ambiente, ma dopo averlo fatto per due volte, aveva finito per pentirsene.
A lei non fregava un fico secco delle loro confidenze, spesso frustranti, riguardo relazioni tormentate e di vita vissuta. Che noia. Che rottura. E in caso di bisogno non poteva certo contare su di loro, che se la sarebbero data a gambe in men che non si dica.
Così, almeno una sera a settimana, a Sonia toccava rincasare in beata solitudine. E fu durante una di quelle sere che nella sua vita fece ingresso Fabio Simoni.
Nulla di particolarmente eroico o eclatante, in verità.
Uscendo dal sottopassaggio della metropolitana, Sonia era stata pedinata da un individuo poco rassicurante, di mezza età e con l’alito che puzzava di distilleria. Nonostante fosse in condizioni tutt’altro che al top, l’uomo era un potenziale pericolo, considerata la sua stazza. Era infatti sul metro e novanta, tarchiato, le braccia grosse come tronchi e l’espressione facciale da classico avanzo di galera.
Aveva adocchiato Sonia nel metrò senza mai staccarle gli occhi di dosso, nemmeno fosse l’ultimo esemplare femminile rimasto sulla faccia della terra.
Quando lei si era alzata dal suo posto per guadagnare l’uscita, il bestione aveva fatto altrettanto, ben deciso a non farsela scappare.
Sulle prime l’aveva seguita con discrezione, adattando il passo al suo, tenendosi a una quindicina di metri, con l’intento di farle credere che procedesse per i fatti suoi. Non ci mise molto, però, a raggiungerla e ad affiancarla, in un tratto completamente deserto, perfino nei dintorni.
Sonia aveva avvertito la zaffata alcolica ancora prima di voltarsi, consapevole col cuore in gola che quella specie di armadio ce l’aveva con lei.
“Ehi, bella gnoccolona, quanta fretta!” l’aveva apostrofata lui, con la lingua impastata e il tono gracchiante.
Sonia aveva accelerato il passo, rallentata però dai tacchi alti, imponendosi di non perdere il controllo. Ci sarebbe mancato solo di ruzzolare a terra, per il gaudio del suo molestatore.
“Aspetta, accidenti a te! Ho voglia di farmelo succhiare, e scommetto che sei bravissima a farlo!”
E a dispetto della mole e della gradazione etilica, il quasi lottatore di sumo l’aveva affiancata e artigliata per un braccio, costringendola a fermarsi e ad affrontarlo.
“Lasciami immediatamente o mi metto a urlare!” gli aveva intimato lei, che suo malgrado ora doveva parlarci a faccia a faccia. Dio che pestilenziale puzzo di birra scaturiva! Mai più tornare a casa da sola, questo era deciso. Sempre che ne fosse uscita tutta intera.
“Che cazzo me ne frega se urli, stronza? Non ti sentirebbe nessuno, tanto adesso siamo in culo al mondo. Su, fai la brava e non ti succederà nulla di male, puttana…”
Sonia aveva provato e riprovato a divincolarsi, ma il tipo sapeva il fatto suo, e non aveva la minima intenzione di mollare la presa.
“Mi fai male! Lasciami! Lasciamiii!!!”
Macché. Anzi, se possibile, il farabutto cominciava a prenderci gusto. Doveva essere il tipico troglodita che alle donne prestata la medesima considerazione che avrebbe dato a uno scarpone bucato.
Non solo. Aveva anche sollevato l’altra mano, usandola per l’esplorazione tattile delle curve della malcapitata. Convenendo subito che erano curve di grandissima qualità.
“Mh… lo dicevo che sei una bomba, pollastra! Porgi i complimenti alla mammina, mi raccomando!” E così dicendo aveva cercato di piegare un braccio di Sonia verso il basso, con l’intento di farsi palpare il pacco. Pacco che effettivamente in quel momento presentava un rigonfiamento difficile da mancare.
Sonia ce la stava mettendo tutta, ma aveva di fronte un avversario troppo forte per lei. Un energumeno che poteva anche spazientirsi e diventare ancora più violento, se lei non si decideva a collaborare.
Ma nessuno dei due si era accorto dell’auto che li aveva affiancati. Bianca a strisce verdi, con impresse nelle portiere il logo di un noto istituto di vigilanza della città.
Fabio sedeva dalla parte del passeggero, mentre alla guida vi era un collega assunto di recente.
Avevano inquadrato la situazione al primo sguardo, e non si erano persi in convenevoli. Bisognava intervenire.
“Senti, bidone della spazzatura: il grugno te lo spacco subito, o prima mettiamo in scena la solita pantomima? Sai, quella in cui ti invito cortesemente a lasciare in pace la signora. Ma tu, rozzo pendaglio da forca, rifiuti e mi mandi affanculo. Allora sono costretto a scendere e mi tocca riempirti di botte finché non capisci l’antifona. Quale delle due opzioni preferisci?”
Lo stupore del bestione alcolizzato ne trasfigurò il viso all’istante. Tanto bastò a Sonia per divincolarsi e tornare libera, mantenendosi a debita distanza.
Lo stupore poi si trasformò in imbarazzo, e infine in rincrescimento e timore. Fabio evidentemente l’aveva giudicato bene fin dalla prima occhiata. Al punto che gli era bastato abbassare il finestrino e apostrofarlo in malo modo, senza nemmeno rendersi necessario scendere dall’auto. Il suino era in classico vigliacco forte con i deboli e meschino con chi era appena più autorevole di lui. E probabilmente non doveva avere una fedina penale da monaco benedettino, visto che la divisa che il nuovo arrivato indossava, molto simile a quella di un poliziotto di quartiere, gli aveva fatto tremare le ginocchia.
Fabio non ritenne opportuno specificare di essere una semplice guardia giurata. In casi simili era buona norma sfruttare ogni vantaggio conseguito, anche il più risicato.
In ogni caso il bluff ebbe buon esito. Il porco dimenticò Sonia come per incanto, e si rivolse a Fabio in tono contrito e quasi supplichevole.
“Ma no, agente, va tutto bene. Si scherzava, tutto qui.”
“Sparisci. Ora. Altrimenti sarò io a scherzare con te, ma ti assicuro che sarò l’unico a divertirmi.”
“Certo, certo, vado… buonasera. Buonasera a tutti.”
E in pochi istanti aveva fatto perdere le sue tracce. Di lui era restato solo il residuo della fiatella, che si sarebbe dissolta alla prima folata di vento.
Sonia intanto aveva cercato di riprendersi, ma era ancora visibilmente scossa.
“Tutto bene, signorina? É tutto finito, non ha più di che preoccuparsi”, si era interessato Fabio, con un tono rassicurante. Ma senza ricevere risposta. No, non andava bene per niente.
Fabio allora aveva ordinato al collega di spegnere il motore, dopodiché era uscito dalla vettura per verificare di persona le condizioni della ragazza.
Pur mantenendo un ammirevole contegno, Sonia era troppo scossa per essere lasciata da sola. Così finirono per accompagnarla a casa. Sulle prime il collega di Fabio era rimasto un po’ perplesso. Erano in servizio e non avevano il permesso di far salire a bordo chicchessia. Fabio tuttavia aveva fatto valere le cause di forza maggiore, assumendosi ogni responsabilità. Del resto era questione di una manciata di minuti.
E si premurò di scortarla fino al portone della palazzina dove la modella abitava. Andò via solo dopo che Sonia era entrata nell’edificio chiudendosi il portone alle spalle. Congedandosi con un amabile sorriso e una sfilza di ringraziamenti.
Una volta tornato in auto, e ripartiti per riprendere il consueto itinerario notturno, il collega di Fabio, che aveva alcuni anni in meno, formulò ad alta voce il medesimo pensiero che entrambi avevano avuto non appena Sonia li aveva raggiunti in vettura.
“Hai visto che gran paio di tette? Roba da palati fini, porca miseria!”
“Altroché se ho notato”, concordò Fabio. ”Ho fatto una fatica del diavolo per non fissargliele con troppa insistenza mentre le parlavo”.
“Che dispiacere, però. Era piuttosto provata, meschina.”
“Sì, molto. Mi ha assicurato che d’ora in poi non uscirà più sola, dopo il tramonto. Le ho pure dato il mio numero, nel caso non abbia nessuno a cui rivolgersi.”
“Sì, ho visto che gli hai scribacchiato qualcosa, prima di congedarti. Bella mossa.”
Fabio sorrise con lui, poi il discorso cadde lì. Tornarono così a effettuare i controlli notturni, ma la sua mente era ormai dirottata altrove. Verso la bella sconosciuta che il destino aveva messo sulla sua strada pochi minuti prima.
E pochi giorni dopo, contrariamente alle fosche previsioni di Fabio, Sonia si fece viva.
Era ancora giorno, ma il sole era in prossimità del tramonto. Alle ventidue in punto Fabio sarebbe entrato in servizio. Era tempo di prepararsi la cena, incombenza a cui provvedeva da solo, essendo l’unico inquilino del suo bilocale di periferia.
Quando il cellulare squillò, rispose senza controllare nel display se si trattava di un numero conosciuto. Con piacevole sorpresa riconobbe la voce della persona a cui pensava costantemente da qualche giorno.
“Signorina! Che piacere risentirla! Come va? Tutto dimenticato, spero?”
“Insomma…” rispose lei, titubante.
“Mi dia retta, ci metta una pietra sopra. Per fortuna sono cose più uniche che rare, quelle dell’altra sera.”
“Sono d’accordo con lei, ma al mondo non esiste solo quel tipaccio. Il timore che succeda di nuovo c’è sempre. Infatti cerco sempre di non rincasare da sola, ma non sempre è possibile.”
“Le serve che l’accompagni, forse? L’offerta è sempre valida. Per esempio stasera bazzicherò ancora dalle sue parti, se può tranquillizzarla.”
Sonia si sentì sollevata. Fabio aveva capito il motivo della sua telefonata, ma non le aveva permesso di esprimersi lei per prima. Del resto chiedere aiuto non piace mai a nessuno, per quanto legittimo possa essere.
“Sul serio non è un disturbo? Purtroppo i miei familiari sono impegnati, e in genere sono loro a occuparsene. Ma se per lei è un impiccio, non c’è problema, mi arrangerò in qualche modo.”
“Sarà un piacere. Mi dica solo a che ora dovrò passare 'casualmente' dinnanzi casa sua. L’indirizzo lo ricordo bene.”
Cominciò così, quindi.
Quella sera Fabio e Sonia si incontrarono per la seconda di una serie infinita di occasioni. La scintilla scoppiò subito, e gli effetti si mantennero vivi per diversi anni.
La loro intesa si rivelò perfetta su tutti i fronti, non solo quello dei sentimenti. Sonia aveva un corpo da dea, che rispecchiava fedelmente l’ideale di donna a cui Fabio ambiva da sempre.
A letto poi furono continui fuochi d’artificio. E contrariamente a quanto succede alle coppie dall’attività sessuale sfrenata, tra loro non calò mai la noia dell’abitudine, o peggio ancora dell’assuefazione. Avevano una fame insaziabile l’uno dell’altra e viceversa. Una storia d’amore come poche, coltivata e coccolata giorno dopo giorno.
Un anno dopo il loro primo incontro, Fabio e Sonia andarono a vivere insieme, e alcuni mesi dopo venne alla luce Brenda.
Come spesso accade in questi casi, fu il coronamento di una relazione benedetta dal Signore, che l’arrivo della neonata cementò in maniera definitiva. Mancava ormai il sì davanti all’altare, e Sonia lo desiderava tanto, ma da quell’orecchio Fabio non voleva proprio sentire.
“Ci amiamo alla follia, abbiamo una figlia meravigliosa, ho un lavoro che ci fa tirare avanti dignitosamente, quindi perché mai dovremmo certificarlo dinnanzi a un prete?” rispondeva sempre lui a chi gli chiedeva come mai non avessero ancora compiuto l’ultimo passo. Tantopiù che Fabio era un convinto non credente, perciò era problematico immaginarlo al centro di una funzione religiosa.
Poco dopo la nascita di Brenda, e con non pochi mugugni da parte degli addetti ai lavori, Sonia si ritirò dal mondo delle sfilate. Per dedicarsi a tempo pieno al ruolo di madre affettuosa e compagna fedele e passionale. Fabio sulle prime le consigliò di temporeggiare, sostenendo che in fondo non era impossibile fare combaciare le loro professioni con le esigenze di famiglia. Sonia però fu irremovibile, e si lasciò la precedente vita alle spalle, senza particolari rimpianti di sorta.
Sotto sotto, anche Fabio aveva fatto tifo per quella decisione. Essendo di origine meridionale, era geloso per natura e prodigo di premure. E il fatto che la compagna avesse troncato col vecchio lavoro gli procurava meno grattacapi. Del resto, chiunque avrebbe voluto portarsi a letto una bomba sexy come lei. Fabio, per molti anni, fu l’unico che vi riuscì. E a Sonia andava benissimo così. Non solo era una perfetta intesa sessuale. Era, semplicemente, amore puro.
Amore cristallino, che naturalmente si estese a beneficio di Brenda, la nuova arrivata.
La piccola crebbe in un ambiente sereno, rassicurante e leggiadro. Ricambiava cure e attenzioni ogni volta che le era possibile dimostrarlo. Non aveva preferenze: per lei mamma e papà erano un tutt’uno, e una era imprescindibile dall’altro, e viceversa.
I genitori cedettero presto alla tentazione di viziarla, anche se col tempo impararono a regolarsi. Del resto era destinata a rimanere figlia unica, e in qualche modo occorreva compensare la mancanza cronica di un fratellino.
Una seconda eventuale gravidanza fu il primo motivo di vera frizione fra Sonia e Fabio. Quest’ultimo infatti si oppose subito, e in modo perentorio, alla volontà di lei di mettere al mondo un altro bambino.
“Ci è andata bene una volta con Brenda, non è il caso di forzare il destino”, fu la giustificazione. Fabio aveva molti pregi, ma il suo peggior difetto era un pessimismo ostinato, spesso ingiustificato. Prima di incontrare Sonia, per esempio, non si era mai sognato di diventare padre. Forse perché originario di una famiglia dilaniata da rancori e malanimi, oppure perché col passare degli anni assisteva allo sfascio di matrimoni sorti e autodistruttosi in breve tempo, col fardello di figli a carico.
Lui no. Non avrebbe permesso a suo figlio di crescere in mezzo a genitori divisi e in perenne conflitto. Cosa che nemmeno lui sarebbe riuscito a evitare, nel caso. Il timore della solita ruota che girava, in definitiva.
Un altro dubbio che lo pervadeva, grosso come un macigno, era la differenza di età. Fabio aveva dieci anni più di Sonia. Che poi era un gap tutto sommato lieve, specialmente se si considerava che il terzo millennio era alle porte. Eppure, secondo lui quel decennio di troppo poteva penalizzarlo, qualora i due avessero deciso di mettere in cantiere un altro bebè.
Secondo Sonia, che spesso si dimostrava più pragmatica del compagno, la differenza di età era un falso problema. E ne aveva ben donde.
In ogni caso la famigliola restò composta da soli tre elementi, con Fabio che non volle più tornare sulle sue decisioni. Ma poco male, tutto sommato. Pochi ma buoni e quasi felici, e in epoca moderna non era cosa da poco.
Quando venne il momento di frequentare la scuola dell’obbligo, Brenda se la cavò senza strafare. Il rendimento dignitoso ma mai eccelso, si sarebbe mantenuto costante anche nelle medie e nell’istituto superiore in seguito. Era una ragazza solare che amava stare in compagnia e faceva facilmente amicizia, diventando presto un punto di riferimento per le sue amichette.
Poi, attorno ai quattordici anni, il suo fisico prese a fiorire rapidamente, e anno dopo anno le curve si fecero sempre più prorompenti. Come molti giustamente commentavano, era proprio figlia di sua madre.
I fidanzatini si susseguirono numerosi, ma Brenda avrebbe serbato ricordo di ben pochi di loro. Presto si rese conto infatti di provare attrazione per gli uomini maturi, che le ricordavano un po’ suo padre. Nulla da stupirsi, quindi, se quando nella sua vita si palesò Andrea De Carolis, lei lo ritenne un segno inequivocabile del destino.
Ma forse l’uomo che Brenda aveva amato più di tutti fu proprio suo padre Fabio. Col quale mantenne un rapporto molto saldo anche dopo la separazione, avvenuta dopo una convivenza ventennale.
Ciò nonostante Fabio non le fece mai mancare la sua presenza, il supporto morale e il conforto, ogni qualvolta era stato necessario.
Purtroppo quando la ragazza intrecciò la relazione fatale con Andrea, Fabio era oberato dal lavoro e poté sentirsi meno del solito con l’amata figlia. La quale lo tenne subito al corrente della sua storia d’amore, senza omettere alcun dettaglio saliente.
E purtroppo Fabio era ancora troppo lontano, almeno fisicamente, quando Brenda fu ritrovata in fin di vita mentre pendeva con un cappio al collo.
E così, circa ventisette mesi dopo il tragico gioco con la fune, quel che restava di Brenda vegetava senza speranze in un reparto ospedaliero destinato a casi simili al suo.
E da ventisette mesi, salvo rarissime eccezioni, Sonia andava ogni giorno a trovarla, ad accudirla e a parlarle. Senza mai ricevere un cenno di risposta, naturalmente.
Fabio invece non ci andava quasi più. I primi tempi lo aveva fatto spesso, cercando di appigliarsi a una qualche forma di speranza. Ma quando si era reso definitivamente conto che la figlia non gli sarebbe più stata restituita, per poco non era impazzito.
Era riuscito a evitarlo solo cercando di smettere di pensare, e l’unico modo fu quello di attaccarsi al collo della bottiglia.
Se mai c’era stato un lato positivo della penosa situazione, era che i primi mesi di ricovero di Brenda furono costellati da vari incontri tra lui e Sonia all’ospedale.
Erano infatti un paio d’anni che il metronotte aveva cominciato a vivere per conto suo, presso un quartiere non troppo distante. Furono sempre incontri cordiali, affettuosi e intrisi del grande amore che i due avevano vissuto così a lungo. Del resto a suo tempo si erano lasciati da amici, senza screzi o malanimi di sorta. Nessuna bega giudiziaria tipica di quando una coppia si divide per sempre in totale disaccordo.
In questo caso Fabio si era comportato da vero signore, lasciando tutto a Sonia e Brenda, dallo spillo all’automobile, portando con sé solo il minimo necessario. In fondo non aveva bisogno di chissà cosa, anche perché nel monolocale dove si era ritirato c’erano precisi limiti di spazio e contenimento.
Col passare dei mesi, però, Fabio aveva cominciato a diradare le visite alla figlia, a causa dell’insorgere del bere. Il culmine era stato quando si era presentato in ospedale completamente sbronzo. Tanto che venne cacciato via in malo modo, sotto gli occhi imbarazzati di Sonia. Da allora si era impegnato a limitarsi con l’alcool almeno in concomitanza delle visite all’ospedale, e durante le ore lavorative.
Vi era riuscito per un tempo limitato, specialmente riguardo Brenda. Ma sul lavoro la situazione precipitò inesorabile nel giro di alcuni mesi appena.
E così, nel gennaio 2021, in piena pandemia, Fabio trascorreva i suoi tristi giorni da alcolizzato senza prospettive future, senza più un lavoro e con l’unico scopo di attendere che il corpo esanime di Brenda si spegnasse per sempre.
Sonia invece non aveva ceduto allo sconforto e alla disperazione, anche se tante volte era stata sul punto di farlo. Tirava avanti per accudire Brenda come poteva, ma anche perché non riusciva a farsi una ragione dell’accaduto.
E soprattutto si rifiutava di credere alla tesi del tentato suicidio. Non lei. Non la sua splendida bambina e la sua inesauribile voglia di vivere che aveva sempre dimostrato.
Era convinta che su Andrea De Carolis gravasse gran parte della responsabilità, ma non poteva provarlo. Per non sapere né leggere e né scrivere, lo aveva anche bloccato dalla lista dei contatti telefonici. Figuriamoci rivederlo.
E a proposito di telefono, maledetto il giorno in cui Sonia aveva dimenticato lo smartphone in treno. Certo, aveva vissuto una relazione sessuale che non avrebbe mai scordato, ma il gioco era valso la candela? Certamente no.
Aveva perso per sempre sua figlia, e scusate se è poco.
Dei suoi sospetti su Andrea aveva messo al corrente Fabio, che fu tentato più volte di rintracciare il misterioso ghostwriter. Avrebbe voluto guardarlo negli occhi, parlargli a viso aperto e domandargli se Brenda aveva 'veramente' tentato il suicidio. Oppure se c’era sotto dell’altro.
E se lui c’entrasse qualcosa, naturalmente.
Ma quell’incontro non ci fu mai. Andrea, vistosi respinto da Sonia, si era dileguato facendo perdere le sue tracce.
Un po’ lo aveva fatto deliberatamente, un po’ per esigenze di lavoro.
Fabio coltivava amicizie nella Polizia, alle quali chiese un aiuto per rintracciarlo. Ma dal momento che si parlava di un incensurato che pagava le tasse, gli venne risposto che occorrevano motivazioni serie per andare a stanare una persona contro la sua volontà. Tutt’al più si sarebbero fatti vivi se il tizio avesse commesso un passo falso, ovunque si trovasse. Come dire campa cavallo.
Tutto questo fino alla fine del 2020, quando anche Rosaria fece la stessa fine di Brenda, ma stavolta lasciandoci la pelle subito.
E le cose cambiarono.
“Pronto, signora Gutierrez? Come sta? Non so se si ricorda di me. Sono Arturo Del Neri, un vecchio amico di Fabio…”
Sonia rovistò nella memoria. Quel nome non gli era nuovo. Conosceva tutti gli amici di Fabio, naturalmente, o perlomeno quelli che risiedevano da quelle parti. Fabio infatti ne aveva anche diversi nel suo amato meridione. Di loro sapeva poco o nulla. In ogni caso l’accento di Del Neri non era affatto del sud.
“Sono un poliziotto. Fabio un paio di anni fa mi chiese informazioni su una certa persona. Consigliandomi, nel limite del possibile, di tenerlo d’occhio con costanza.”
A quel punto Sonia rammentò. Ma sì, Arturo. Lo aveva incontrato una o due volte, in compagnia di Fabio. A quei tempi quest’ultimo non era ancora precipitato nell’abisso
dell’alcolismo, anche se qualche bicchiere di troppo stava già scappando.
“Sì, signor Del Neri, mi rammento di lei. Come sta?”
“Bene, grazie. Senta, sono giorni che cerco di mettermi in contatto con Fabio, ma il suo telefono squilla a vuoto oppure risulta spento. Ho qualche novità sul tizio che mi chiese di attenzionare, ammesso che siate ancora interessati. Posso chiederle se con Fabio vi sentite ancora? So che non state più insieme, ma magari…”
“Neppure io lo sento molto spesso. Però potrei andare a casa sua e riferirgli. E intanto può riferire a me. Per rispondere alla sua domanda, sì, siamo molto interessati ad avere notizie di Andrea De Carolis.” Sonia, pietosamente, evitò di menzionare i problemi di alcolismo dell’ex compagno. Anche se probabilmente il suo interlocutore doveva esserne a conoscenza.
“Prima posso chiederle come sta vostra figlia?”
“Non è più cambiato nulla”, rispose Sonia con un tono asettico. Col tempo aveva imparato a rispondere sbrigativa, se le veniva chiesto di Brenda. Non voleva suscitare commenti di circostanza dei quali ne aveva fin sopra i capelli. Che certo non contribuivano a farla sentire meglio. ”Per mia figlia il tempo è sospeso per una durata indefinita. Dobbiamo aspettare e basta.”
“Mi dispiace immensamente, mi creda. Conosco Fabio da una vita e…”
“Mi accennava a qualche novità. Vogliamo arrivare al sodo, signor Del Neri?”
Del Neri deglutì, consapevole che per Sonia era un perfetto sconosciuto che stava menando il can per l’aia. Chissà quante volte ha sentito discorsi di compiacimento come per stavo per fare io, pensò. Povera donna.
“Sì, mi scusi. Dunque, dicevo che…”
Erano mesi che Sonia non metteva piede nel monolocale di Fabio. E per poco non si portò le mani nei capelli. Il degrado regnava sovrano. Un disordine mai visto prima. Pulizia dell’ambiente quasi zero. E poi odore stantio di sudore e di origine etilica, unitamente a un cumulo variegato di ogni genere, tipico degli accumulatori seriali. O di chi, semplicemente, non si prendeva più la briga per uscire di casa a gettare la spazzatura. Era difficoltoso ambulare tra ciarpame, scatolette di latta, scatole di cartone, un esercito di lattine di birra vuote, resti di cibo andato a male e altro ancora.
In mezzo a tanta desolazione Fabio giaceva in una branda adagiata all’angolo opposto rispetto la porta d’ingresso. Era relativamente lucido, e aveva impiegato solo due minuti a rispondere al prolungato scampanio di Sonia.
“Non me ne vado finché non mi fai entrare”, lo aveva avvisato al citofono, con un tono che non ammetteva repliche. ”Devo parlarti con urgenza. Fammi salire, e ti prometto che andrò via alla svelta.”
Fabio aveva dovuto capitolare, sbloccando così il portone principale della palazzina, tenendo aperta quella del monolocale.
Nel vederlo così ridotto, Sonia provò un misto di pena, rabbia e impotenza.
Fabio aveva un bisogno urgente di lavarsi. Di essere immerso in una grande vasca colma di acqua calda e di schiuma profumata di tiglio. Stesso discorso per gli stracci che indossava. Erano da infilare subito in un forno da fonderia, senza neanche tentare di passarli in lavatrice.
Erano talmente incrostati di sudiciume che in alcuni punti avevano assunto una certa rigidità, rifiutando di piegarsi. Il fetore che emanavano, poi, era degno di un porcile che non veniva sanificato da epoche remote.
Sonia lo conosceva da quasi un quarto di secolo, ma mai lo aveva visto in condizioni tanto stomachevoli. Ma più della quasi mancanza di igiene, sia nel suo monolocale che nella sua persona, la impressionò la barba cresciuta a dismisura, di pari passo con i capelli. In entrambi i casi il nero era quasi sparito, sostituito da un grigiore non del tutto naturale, ma anche a causa della sporcizia.
Un barbone. Ecco a cosa si era ridotto l’uomo che più aveva amato nella sua vita. Con la differenza che rispetto ai vagabondi ordinari, Fabio aveva almeno un tetto sopra la testa, e viveva la sua decadenza in piena solitudine, fregandosene dell’inconsapevole resto dell’umanità.
Tranne Sonia, naturalmente.
La quale ringraziò di essere a stomaco vuoto, come spesso le capitava da quando la vita era cambiata di colpo, altrimenti avrebbe sicuramente rimesso.
Decise di tenere duro, e ancor prima di proferir parola spalancò l’unica finestra dell’ambiente. Un attimo dopo fece altrettanto col piccolo oblò del bagnetto, anch’esso ridotto come un letamaio. Perlomeno aveva attivato un ricambio d’aria, del quale era la prima a sentirne impellente necessità.
“Esistono sistemi più rapidi e dignitosi per farla finita, risparmiando questo squallore a chi ha la disgrazia di doverselo sorbire. Pensaci, sei ancora in tempo”, si rivolse infine all’ex metronotte, che non batté ciglio.
Poi Sonia tentò di disseppellire una sedia da un cumulo di riviste e quotidiani polverosi. Vi riuscì, e sedendosi si domandò se amava ancora quell’uomo così profondamente mutato rispetto a quando l’aveva conosciuto. A quei tempi era stato il suo eroe, l’uomo della provvidenza e il compagno ideale per affrontare il mondo insieme. Ma adesso cosa restava del Fabio Simoni di una volta? Bella domanda, pensò mentre lo scrutava ponendoglisi di fronte. Ma sì, forse lo amava ancora, e tanto. Ma per lui provava anche pena, e una punta di livore. Non ci si può ridurre così, caspita!
Ma c’era una ragione precisa per la quale lei era lì. Che illustrò subito.
“Ricordi Arturo Del Neri, quel tuo vecchio conoscente che fa il poliziotto? Sono diversi giorni che cerca di mettersi in contatto con te. E anche io ci ho provato, da quando l’ho sentito due giorni fa. Hai sempre il telefono spento o irraggiungibile. O hai cambiato numero?”
Fabio provò a sollevarsi almeno in parte, e vi riuscì a stento.
E riuscì anche a rispondere, dopo aver schiarito la voce alla meno peggio.
“No, ma devo aver perso il cellulare. Deve essere finito da qualche parte in mezzo a ‘sto casino. Tanto non mi serve più.”
“E sì, certo. Cosa può fregartene se gli altri si preoccupano per te? Il telefonino serve anche a quello, qualora non lo sapessi. Per rimanere in contatto col resto del mondo.”
“Un motivo in più per disfarmene. Allora, che dicevi di Arturo? Di che si tratta?”
Sonia si prese un attimo per respirare. Negli occhi di Fabio era brillata una scintilla che latitava da parecchio. Chissà, forse c’era ancora speranza.
“Si tratta di Andrea De Carolis…”
La scintilla concesse il bis. Bene, molto bene.
“Da alcuni mesi risiede in una cittadina lungo la costa adriatica”, proseguì lei. ”Nulla di rilievo, tranne un paio di multe perché non detesta indossare le mascherine. Un po’ come te, mi pare.”
“Come lo capisco. Però le sanzioni sulle mascherine sono di carattere amministrativo, non penale. É come prendere una multa per divieto di sosta, nulla di più. Non compare traccia nella fedina penale.”
“Sì, me lo ha tetto anche il tuo amico.”
“Non penso che Arturo abbia cercato di contattarmi solo per dirmi che quel bastardo si è beccato due verbali. Cos’altro ti ha detto?”
Sonia scandì lentamente le parole, esprimendosi in tono asciutto. ”Nella cittadina dove De Carolis si è ritirato, due mesi fa una ragazza si è suicidata. Con identiche modalità di Brenda. Biglietto d’addio compreso. E lui la conosceva, questo è assodato. Nulla da meravigliarsi se avessero anche una relazione. In molti, da quelle parti, lo danno per certo.”
“Mi venisse un accidente…” biascicò Fabio. Aveva l’espressione di un giocatore di tombola al quale manca un numero per completare la cartella. Se fino a un minuto prima era in preda ai postumi di una sbronza, adesso lo sguardo era tornato lucido, vigile, rapace.
E sì, pensò Sonia. Era tornato a somigliare al buon vecchio Fabio di una volta.
Il suo eroe.
“Fila a farti una doccia, magari due, mentre nel frattempo cercherò di rendere questo posto meno inospitale. Poi riprenderemo il discorso.”
Non era un suggerimento, bensì un ordine tassativo.
Al quale l’ex guardia notturna ritenne di ottemperare.
No, ragazzi, forse non era ancora tempo per lasciarsi andare e farsi imprigionare per sempre dall’eterno oblio.
E Greta?
Anche lei, dopo la tragedia di Rosaria, che la colpì in prima persona, decise di non avere più a che fare con Andrea.
Greta non era una stupida, e sentiva che il ghostwriter aveva la sua parte di responsabilità nello strano suicidio dell’amica e collega. Ne era profondamente convinta, pur nell’impossibilità di dimostrarlo.
Per un paio di volte Andrea aveva cercato di contattarla, dapprima per telefono, poi di persona, per esprimere cordoglio e vicinanza. Greta però si era sempre negata.
Andrea c’era rimasto male, ma alla fine aveva incassato il colpo e si era rassegnato. Almeno per il momento. E auspicando tempi migliori. Nel frattempo la ragazza gli aveva quasi tolto il saluto, oppure faceva finta di non vederlo, se lo avvistava in lontananza.
Greta aveva talmente risentito della tragedia che si era chiusa in se stessa, facendo sparire quel sorriso così accattivante che la contraddistingueva.
Inoltre era tornata single. Per la verità col suo fidanzato era solo questione di tempo. Troppo assente lui, per motivi di lavoro, poco fedele lei, che prediligeva una vita libertina. Il destino della loro unione era segnato fin dal principio. La morte improvvisa di Rosaria aveva anticipato di poco i titoli di coda. Per il momento Greta non voleva uomini tra le scatole. Pausa di riflessione per elaborare il lutto, ma anche per staccare un po’ la spina.
Il lavoro poi le fu utile per concentrarsi su altro, specialmente nei primi tempi. Rosaria infatti non fu sostituita immediatamente, così per Greta e i colleghi i turni furono dilatati, in attesa del nuovo innesto. A lei tutto sommato andava bene così. Tornare ogni sera in una casa divenuta di colpo vuota era una prospettiva demoralizzante. Con Rosaria aveva diviso l’affitto, le spese, le confidenze e i piccoli segreti tra ragazze nel fiore degli anni. Le sarebbe mancata per lungo, lungo tempo.
Ma Greta era anche forte e determinata, e si sarebbe ripresa presto.
Anche se, contrariamente a quanto si era imposta, poco tempo dopo avrebbe di nuovo incrociato le sua strada con quella di Andrea. E sarebbe stata lei a farsi viva per prima.
Dal canto suo, Andrea De Carolis preferì trattenersi in quella cittadina ancora per qualche mese. Tagliare la corda di colpo, col corpo di Rosaria ancora caldo, non sarebbe stato molto intelligente.
Certo, nessuno sospettava di lui, e poteva dormire tra due guanciali, ma mai dire mai. Meglio confidare che col tempo nuovi avvenimenti rubassero la scena al suicidio di Rosaria, accumulandosi uno sopra l’altro. Fino a relegarlo a un ricordo triste e doloroso, ma sempre più remoto. Quindi nessuna cazzata, tipo appunto di sparire di punto in bianco o assumere comportamenti insoliti o vagamente sospetti. La sua esistenza doveva procedere immutata, come se Rosaria non fosse mai esistita.
E come se non fosse proprio lui, invece, il maggiore responsabile di quella morte crudele e beffarda.
Quando Greta aveva preso a ignorarlo sfacciatamente, si era reso conto che tale atteggiamento implicava una tacita accusa. Come a volergli sibilare: 'non so come hai fatto, ma so che è opera tua'.
Pazienza, aveva sospirato lui. Trascinami pure in tribunale e ci faremo quattro risate, stronzetta.
La stronzetta però non arrivò mai a tanto, e forse non si sognò nemmeno di provarci.
E anzi, un giorno lo prese in contropiede rifacendosi viva all’improvviso. E con l’ascia di guerra ben sepolta in profondità.
Fu tramite una telefonata.
Quando sul display lesse il nome di Greta, Andrea sulle prime esitò perplesso, ma subito dopo sorrise compiaciuto.
“Ciao, ragazzaccia. Cerchi proprio me o hai sbagliato numero?” Il tono, semiserio, lasciava trasparire la contentezza di poterla risentire.
“Nessun errore, cercavo proprio te. O disturbo?”
“Certo che no. Come stai? Dopo quello che è successo a Rosaria sei diventata inavvicinabile…”
“Sì, ma non si trattava solo di lei. Ho avuto problemi di famiglia e ho anche rotto col mio fidanzato. Senza contare che in attesa del sostituto di Rosaria ci tocca raddoppiare i turni. Ma adesso va meglio, per fortuna.”
“Mi fa piacere. Quindi non ce l’hai con me, mi pare di capire.”
“Quando hai cercato di fare sesso completo con me mi hai preso alla sprovvista”, spiegò lei, esprimendosi in un tono insolitamente freddo e asciutto. Dettaglio a cui, sul momento, Andrea fece poco caso. ”Ho reagito come sai, e lo rifarei ancora. Ma adesso è acqua passata, e io sono sempre per la pace.”
“Non immagini che sollievo sentirti parlare così. E riguardo Rosaria? Come ti senti, bella?”
“Non credere che mi manchi più di tanto. Sai che aveva una relazione segreta col mio ex? Che troia. Certo, mi spiace per come sia morta. Ma ti assicuro che a quest’ora l’avrei cacciata di casa a calci in culo.”
Andrea ammutolì, spiazzato dalle ammissioni di Greta. Sulla solida amicizia tra le due vigilesse ci avrebbe messo la mano nel fuoco, e invece pareva aver preso una cantonata. Non si finisce mai di sentirne di nuove, pensò.
“Caspita. Giuro, non avrei mai pensato che foste ai ferri corti. Comunque sono molto contento che ti sei ricordata di me. C’è qualcosa che posso fare? Non hai che da chiederlo.”
Greta si concesse una pausa calcolata. Quando riprese a parlare, ad Andrea ricordò i primi tempi in cui l’aveva conosciuta. Bella, sorniona e con le forme aggraziate nei punti giusti. Per non parlare di quel sorriso da puttanella, che tanto lo intrigava.
“Va bene, sarò diretta. So che preferisci così. Mi chiedevo se potevi fare un salto da me, più tardi…”
“Ma certo. Per te ci sono sempre, lo sai. Per te e le tue bellissime tette, naturalmente.” Manco a dirlo, lo scrittore sentì una discreta erezione farsi largo sotto i jeans.
“Ti mancano? Scommetto di sì.”
“Puoi dirlo forte, vigilessa del mio cuore. Impossibile dimenticarle.”
“Mi fa piacere. Sei mancato molto a loro, se questo può consolarti.”
“Altroché! E intendiamoci, faremo solo quello che vorrai tu. Non ripeterò la squallida scena dell’ultima volta, hai la mia parola.”
“Lo spero bene”, replicò lei, secca.
Se Andrea non fosse già infoiato, forse avrebbe colto la lieve inflessione con la quale Greta si era espressa. Inflessione con un retrogusto minaccioso.
Ma per l’appunto, Andrea era ormai in modalità pilota automatico. Quando si trattava del seno della bella vigilessa gli capitava sempre così.
Si accordarono per vedersi a casa di lei alle diciotto in punto. La stessa abitazione in cui, meno di tre mesi prima, Rosaria aveva trovato la morte.
E alle diciotto e dieci ecco che un copione collaudato tornava a ripetersi, per il gaudio di Andrea, dopo uno stop di parecchie settimane.
Lui e Greta erano già quasi completamente nudi.
Andrea, comodamente disteso sul letto, era intento a trastullarsi con le tette di lei (quanto le erano mancate!); quest’ultima intanto lo agevolava, seduta al suo fianco e china su di lui, mentre con la mano destra lo masturbava con la solita, calcolata lentezza.
Sorrideva, Greta, ma meno del solito. Come se, in fin dei conti, non fosse del tutto convinta di quello che stava facendo. Era comunque solo una sfumatura, alla quale Andrea prestò scarso peso, preferendo piuttosto lasciarsi andare. Greta poi lo attizzava in modo speciale, perché alla ragazza, mentre si occupava di lavorarselo, piaceva anche dialogare. E anche stavolta l’andamento era il medesimo.
L’argomento, per quanto macabro potesse essere, visti i recenti avvenimenti, era manco a dirlo Rosaria.
“…e come ti dicevo, mi aveva fatto incazzare, quella troietta… A saperlo nemmeno te la presentavo, e ti tenevo tutto per me… Che stupida sono stata…”
E intanto la magica manina persisteva a sollecitare un cazzo sempre più duro e teso, ben felice di essere al centro di tali amorevoli attenzioni.
“Mh…Lasciami dire che non è mai stata abbastanza troia come lo sei tu, tesoro. Tu sei più abile a prenderti cura di me… Sapessi come mi sei mancata, carissima Greta dalle tette dorate…”
“Ora capisci come mai non ho versato una lacrima quando ho scoperto che cazzo di sistema aveva usato per levarsi dalle palle, ‘fanculo a lei…”
Dio, come lo faceva impazzire, quella ragazza. E come era capace, quella manina! Era nata per segare un uomo in maniera impeccabile.
“E sì, ben le sta… Fosti tu a trovarla?”
“Sì. Che spavento, mamma mia. E che shock quella lettera d’addio. Non era da lei, non so se mi spiego. Ma poi, superato lo smarrimento, mi sono detta che aveva fatto la fine che si era andata a cercare. A ciascuno il suo, si dice.”
Andrea aveva il suo bel daffare per seguire quei discorsi, con la mente e il corpo concentrati altrove. Anche perché come al solito Greta era molto sensuale nel parlare, qualunque cosa dicesse. Perciò non lo sfiorò nemmeno di striscio il dubbio che stesse mentendo di sana pianta.
“Mh… In questi momenti sei divina, sai? Fosse per me rimarrei così finché campo…”
“Non sei il primo a dirmelo”, rispose lei, aumentando gradualmente il ritmo, senza strafare. Non voleva che Andrea cedesse troppo presto. Sapeva bene come gli uomini, dopo lo schizzetto, tendono a cambiare dal giorno alla notte. Perciò se voleva carpire determinate informazioni doveva riuscirci prima dell’atto conclusivo.
“Comunque non me la racconti giusta. So che negli ultimi tempi te la scopavi spesso, dopo che ti avevo mandato a cagare…”
“Colpevole, vostro onore!” Più che una risposta vera e propria, Andrea aveva emesso un gemito misto a parole impastate. Il momento topico incombeva.
Greta cercò di rallentare il ritmo senza destare sospetti, continuando a esternare i suoi legittimi dubbi.
“E magari, beato te, eri presente, quando Rosaria ha fatto quella cazzata. Se così fosse, be’, non sai che invidia…”
A quelle parole nel cervello offuscato dello scrittore echeggiò un blando campanello d’allarme. Sollevò il capo e squadrò il viso lascivo di Greta, che non abbasso lo sguardo e anzi gli donò uno dei suoi sorrisi ultra sexy.
“Dai, ammettilo”, insisté lei, utilizzando ora la mano libera per afferrargli i testicoli, con una presa decisa ma non strozzante. Sapeva come Andrea adorasse le improvvisazioni.
“Può… anche… darsi…” concesse lui, in evidente affanno. É piuttosto arduo riuscire a parlare mentre ti tengono per le palle, e Greta lo sapeva bene. Così evitò di infierire, mantenendo la morsa a livelli appena tollerabili. Anche se, fosse stato per lei, quei testicoli glieli avrebbe stritolati fino a ridurli in poltiglia. E magari presto le sarebbe capitata l’occasione di farlo per davvero.
“Sul serio? Su, racconta… Lo sai che mi piace un casino sentirti parlare mentre mi prendo cura di te. O devo stringere più forte?” E così dicendo, pur mantenendo il consueto sorriso sbarazzino, accentuò la stretta. Bene attenta a non esagerare.
Andrea fu pervaso da sensazioni contrastanti, e tutte amplificate dall’esperto lavoro di Greta. Non sentiva ancora autentico dolore, ma vi era molto vicino. E questo, naturalmente, lo elettrizzava di piacere.
“Vacci piano, monellaccia…” le raccomandò con un filo di voce.
“Su, dimmelo… L’hai vista crepare, quella stronza? Avresti dovuto chiamarmi, cazzo!”
“In quel periodo mi mettevi il broncio, se ben ricordi. Altrimenti ti invitavo volentieri, troietta mia…”
“Hai ragione, che mi sono persa, mannaggia a me. Almeno raccontami i dettagli, su… Fai contenta la tua puttanella…”
Andrea avrebbe preferito abbandonarsi in via definitiva all’imminente esplosione sublime, ma dato che Greta era così brava a occuparsi di lui, specie in simili frangenti, tenne duro e la accontentò. Anche perché le sue palle invocavano sollievo.
“C’è poco da dire… Ha fatto tutto lei… Io dovevo solo presenziare e… intervenire… in caso… di… bisogno…”
“E invece?”
“E invece sono rimasto… con le mani in mano… mentre agonizzava contorcendosi… É stato più forte di me. Potevo salvarla ma… non… l’ho fatto. Alla fine ho fatto… bene… vero? Dal momento che… la… odiavi tanto…”
“Oh, sì, hai fatto benissimo…”
Era tempo di concretizzare, così Greta mollò i testicoli e aumentò di colpo il ritmo masturbatorio. Non dovette sforzarsi più di tanto.
Andrea fu travolto da un piacere intenso e quasi intollerabile, che per alcuni secondi lo proiettò in una dimensione dalla quale non avrebbe più voluto far ritorno.
Non si accorse che ora la ragazza non sorrideva affatto, contrariamente al solito. Anzi, per un tratto sembrò volerlo incenerire con lo sguardo, ma tornò quasi subito a un’espressione più consona.
Non era ancora il momento di fare scattare la vendetta, ma solo Dio sapeva quanto avrebbe voluto farla scattare adesso, con il bastardo inerme e indifeso tra le sue mani.
Tuttavia aveva promesso che si sarebbe comportata esattamente come aveva fatto sino a quel momento, nulla di più, e lei ci teneva a mantenere la parola data.
Quando lo scrittore fu in grado di connettere e di posare lo sguardo su di lei, riuscì persino a sorridergli come ai vecchi tempi.
“Sei sempre la mia preferita.”
“Lo so. L’ho sempre saputo”, replicò lei tra il serio e il faceto. E in fondo erano stati entrambi sinceri.
Non appena Andrea si congedò, Greta corse in bagno, sollevò il coperchio del water e vomitò anche l’anima. Era riuscita a stento a trattenersi, mentre il suo amante si rivestiva e lei indossava al volo una t-shirt e un paio di calzoncini. Non le era mai capitato di masturbare un assassino, e si augurò di cuore di non rifarlo mai più.
Dopo che ebbe finito, avvertì la presenza dell’Uomo Misterioso dietro di lei.
“Tieni”, le disse quest’ultimo, porgendole un ampio fazzoletto di carta.
Lei accettò di buon grado, ringraziandolo con un cenno del capo, ripulendosi i bordi della bocca.
Poi, quando si drizzò in piedi, sembrava essersi ripresa almeno in parte.
“Hai registrato tutto?” gli domandò, sollevando lo sguardo. L’Uomo Misterioso, che per tutto quel tempo era rimasto nascosto in uno sgabuzzino, la sovrastava di una quindicina di centimetri.
“No, mi dispiace. Ti ho mentito. Non ho mai avuto intenzione di registrare un bel niente. Ti prego di scusarmi.”
Sulle prime la ragazza pensò di avere capito male. Poi, incassata la cruda verità, per poco non andò fuori di matto.
“Cosa?! Cooosaaa?!?! Vuoi dire che mi sono prostituita, su tuo suggerimento, a quel figlio di puttana per niente?!”
“Assolutamente no”, la smentì lui fissandola con quegli occhi impenetrabili di ghiaccio. ”Sei stata encomiabile, invece. De Carolis non ha sospettato nulla, e siamo riusciti a fargli ammettere le sue responsabilità. Tuttavia…”
“Siamo?! Col cazzo! 'Sono' riuscita! E se l’ho fatto è solo perché mi avevi garantito che registravi tutto, audio e video, in modo da poterlo finalmente incastrare, quello schifosissimo verme! Ti pare che altrimenti gli avrei concesso di sfiorarmi con quelle mani da assassino, porca puttana?” Greta non riusciva a farsene una ragione. Era delusa, furente e convinta di essere stata raggirata.
“Calmati e ragiona. Sei proprio sicura che trascinarlo in tribunale, dove le immagini di quello che avete appena fatto diverrebbero di pubblico dominio, sia la migliore delle idee?”
“Mi avevi detto di sì, testa di cazzo!”
“Vero, ma l’ho detto solo per convincerti ad aiutarmi. A parte che non voglio che tu finisca alla mercé della gogna mediatica, non scordare che quelle immagini rischierebbero di finire in Rete, con le conseguenze che puoi immaginare. Non posso permetterlo. Non te lo meriti.”
Greta, pur senza ammetterlo apertamente, concordò che il ragionamento non faceva una piega. Se si fosse diffuso il video nel quale trastullava un presunto assassino, per giunta sapendo di essere ripresa, avrebbe subito perso il lavoro, e per campare si sarebbe dovuta ridurre a lavare scale e uffici fino ai settant’anni.
“Ma se pensi che tutto ciò non sia servito a nulla, ti sbagli di grosso, Greta. Il bastardo pagherà, e molto presto. Ma a modo mio. Non abbiamo molte chance di farlo arrestare e tenerlo dentro a vita, sai? La difesa sosterrebbe che la confessione è stata carpita in una situazione particolare. Sai bene come siamo fatti noi uomini, no? In quei frangenti saremmo disposti a dire qualunque cosa. Anche la più assurda e inconcepibile.”
Finalmente la rabbia cominciava a sbollire. Greta comprese che l’Uomo Misterioso aveva pianificato tutto, e che intendeva arrivare fino in fondo.
E che il destino di Andrea De Carolis era segnato.
“Quell’uomo non la passerà liscia. Te lo giuro su Rosaria stessa, che riposi in pace. Ma il giudice sarò io, e non certo un tribunale da strapazzo. Dove nella migliore delle ipotesi rimedierebbe tre anni, senza scontare nemmeno un giorno, essendo lui incensurato. E come sai non lo faccio solo per lei. É più chiaro adesso?”
Greta annuì. Restò pensierosa per qualche momento, convenendo che tutto sommato anche lei la pensava così. Lei e il suo enigmatico ospite sapevano che Andrea era un maledetto assassino, ma non erano in grado di provarlo oltre ogni ragionevole dubbio.
E a quel punto, oltre a essere cacciata via dal corpo dei vigili urbani, sarebbe stata sputtanata per sempre. Tutti l’avrebbero additata come una zoccola mitomane, meno attendibile di un terrapiattista con le traveggole. E nel frattempo De Carolis avrebbe fatto perdere le sue tracce, libero come il vento e senza una macchia nella fedina penale. No, non poteva tollerarlo.
“Okay, mi hai convinta. É meglio che ci pensi tu, qualunque cosa hai in mente.”
“Inutile dirti che non devi più averci a che fare. Se nei prossimi giorni dovesse cercarti in qualunque modo, non farti mai trovare.”
“Poco ma sicuro. Non voglio più vederlo finché campo. Quindi non solo per pochi giorni.”
“Due o tre saranno sufficienti. Nel caso ti contattasse via sms, rispondi in ogni caso, sia pure sbrigativa. Digli che sei troppo presa dal lavoro, e che ti farai viva tu. Se fosse per me regolerei la questione adesso stesso, andando a fargli una visitina. Ma sarebbe rischioso per te. Qualcuno potrebbe averlo visto uscire da questa casa, e se dopo poche ore gli succedesse qualcosa, di sicuro gli sbirri vorrebbero interrogarti.”
Greta annuì, afferrando il concetto. “Invece se nei prossimi giorni lo vedranno bazzicare ovunque, tranne che qui, nessuno verrebbe a chiedermi conto. Le hai proprio pensate tutte, complimenti.”
“Ti ho già chiesto tanto, e hai fatto tanto, recitando bene la tua parte. Specialmente quando hai inventato il tuo presunto disprezzo verso Rosaria. Non deve essere stato facile, lo so. E non è giusto che debbano esserci risvolti giudiziari nei tuoi confronti, e non ce ne saranno.”
L’uomo fece una pausa. Si guardò attorno per poi riportare lo sguardo su Greta, che nel frattempo aveva ripreso un colorito più consono ai normali standard.
“E questo è tutto, credo. É il momento di dirci addio, ma anche di ringraziarti, ancora una volta. Grazie a te ogni dubbio residuo è stato fugato.”
A Greta non dispiaceva che l’Uomo Misterioso stesse per levare le tende. Eppure una parte di lei, forse maggioritaria, se ne sentiva attratta. Del resto era da sempre una donna che amava rendere felici gli uomini che la garbavano, e lui non faceva eccezione.
“Se ti va posso occuparmi anche di te, non hai che da chiederlo. Per te volentieri, altro che come ho fatto per quel bastardo.”
Lui, per la prima volta da quando si erano conosciuti, appena due giorni prima, abbozzò qualcosa di simile a un sorriso, scuotendo nel contempo la testa.
“Ti ringrazio. L’offerta è allettante, ma sto bene così.”
A sua memoria era la prima volta in assoluto che un uomo rifiutava le sue amorevoli attenzioni. Era come uno smacco, e Greta non fece nulla per mascherare sorpresa e disappunto.
“Non ti piaccio?”
“Altroché se mi piaci. Ma per fortuna o purtroppo appartengo a una sola donna, e per me conta solo lei. Ultimamente le cose tra noi non sono filate molto lisce, a causa mia, ma ciò non toglie che ci vogliamo un bene dell’anima. Sono cose che capirai anche tu, se un giorno incontrerai l’uomo giusto.”
“Naaaa… io sono come sono e non cambierò mai”, ribatté seccamente lei, senza però esserne del tutto convinta.
“Ti auguro tante belle cose, Greta. Sii felice, se potrai.”
Detto questo, l’Uomo Misterioso le diede le spalle e sparì dalla sua vita.
Non si sarebbero mai più incontrati.
A Greta venne il magone. Forse perché l’unico uomo che desiderava per davvero si era congedato da lei in modo definitivo. Erano anni che non le capitava di voler scegliere, anziché essere scelta, come le capitava sempre. E il colmo era che la persona che aveva scelto le aveva risposto di no. Tutto sommato con gli uomini aveva meno fortuna di quanto si potesse pensare.
Facendo buon viso a cattivo gioco, sorrise stancamente e andò a farsi una doccia calda e distensiva.
Domani è un altro giorno, dicevano in quel celebre film.
Valeva anche per lei.
Andrea De Carolis era lieto di aver riallacciato i rapporti con Greta Rizzo. Negli ultimi tempi aveva smesso di sperarci, e quando la ragazza si era rifatta viva non gli era parso vero. Inoltre in lei aveva trovato una sorta di alleata, nel senso che, riguardo la vicenda di Rosaria, non aveva da temere di averla come nemica.
Certo, Greta gli aveva praticamente estorto la confessione, e con metodi coercitivi tutt’altro che disprezzabili. Ma sapere che era dalla sua parte gli procurava non poco sollievo. Per non parlare della magnifica prospettiva di tornare a fare sesso con lei. E pazienza se Greta non intendeva concedersi del tutto; se ne sarebbe fatto una ragione. A questo mondo, dopotutto, c’era di peggio.
Nei due giorni successivi al ritorno di fiamma con la vigilessa, Andrea aveva mantenuto un basso profilo, inviandole un paio di sms di circostanza, con l’auspicio di rivederla presto. Greta aveva risposto in entrambe le occasioni dopo diverse ore. Poche parole per informarlo che era oberata di lavoro e che lo salutava con un bacio.
Nessun riferimento a un nuovo, eventuale incontro in piena intimità. Andrea fece buon viso a cattiva sorte, rammentando a se stesso che le belle donne sono scostanti e imprevedibili. E guai se non lo fossero.
Avrebbe pregustato con maggior piacere il momento in cui Greta gli avrebbe riaperto la porta di casa, accogliendolo fra le sue grazie.
Peccato solo che ignorasse il fatto che i bei tempi si erano chiusi per sempre. Ma non solo con Greta, bensì con tutte le donne del mondo.
Ma questo non poteva ancora saperlo.
Qualche ora prima era andato a dormire con buoni propositi per il giorno dopo, che riguardavano Greta. Andrea stavolta non aveva intenzione di ricorrere alla tiepida messaggistica dei telefonini. No, era tempo di palesarsi di persona. Magari per un saluto scambiato al volo, okay, ma che le facesse intendere che era pronto per un secondo round. Il solo pensiero glielo aveva reso duro all’istante. Greta era capace di fargli quell’effetto anche a distanza.
Non aveva fatto l’eroe, cercando di ignorare l’erezione, nonostante il sonno incipiente. Aveva così anestetizzato il pensiero di Greta nell’unico modo possibile, e cioè sparandosi una bella e appagante sega.
Al termine della quale era sprofondato in un sonno pesante e senza sogni.
Il risveglio fu brusco, brutale e gelido.
Gelido perché si era ridestato per via di un classico intramontabile: una bicchierata di acqua fredda in faccia. Che rese il rude risveglio ancora più scioccante e intollerabile.
Avrebbe voluto bestemmiare ai quattro venti, ma qualcosa glielo impediva. Con sgomento si rese conto che in bocca vi era finito qualcosa di solido, sferico e ingombrante. Forse un uovo sodo, o qualcosa di simile. Bocca che era paralizzata in modo innaturale, come fosse imbavagliata.
Che cazzo stava succedendo?
Tentò di reagire, ma non ottenne risultati. Gli arti superiori e inferiori si rifiutavano di obbedire.
Una stramaledetta paralisi totale? Dio del Cielo, ti prego, non farmi questo, pregò con angoscia crescente.
“Rilassati e piantala di agitarti, campione. Sei legato come un salame, e hai la bocca sigillata con un nastro da pacchi. Ti consiglio di respirare con calma, senza patemi. O rischi di strozzarti col limone che hai tra le mandibole.”
Non era una paralisi, quindi, ma forse persino peggio.
Andrea faticò parecchio a mettere a fuoco la figura che aveva di fronte. Del resto l’unica fonte di luce della stanza proveniva dall’abat-jour del comodino di fianco al letto, ed era puntato sulla sua faccia.
In ogni caso c’era poco da identificare. Da quel poco che riusciva a distinguere, l’uomo che gli aveva giocato quello brutto scherzo era bardato con l’immancabile mascherina dell’era Covid, e sul capo teneva calato un cappellino simile a quelli che usava lui. Di chiunque si trattasse, quindi, non era identificabile.
Un buon segno, forse. Se non voleva farsi riconoscere, non voleva farlo fuori. In genere era così che funzionava. Per una volta le tanto disprezzate mascherine gli mostravano il lato positivo. Era ora.
“Non sei molto accorto nel custodire i tuoi contanti”, proseguì la voce senza volto. Penalizzato dall’immobilità e dalla luce sparata in faccia, Andrea intuì che il tizio stava trafficando con diverse banconote di piccolo e medio taglio. E senza voler lasciare impronte, visto che indossava guanti in lattice.
“Sì, parlo della ridicola collocazione che hai scelto per nasconderli a noi ladruncoli”, gli fu spiegato. ”La scatola dei biscotti è ridicolmente ovvia. Non potevi fare uno sforzo di meningi? Eppure mi risulta che sei uno scrittore di narrativa, quindi la fantasia non dovrebbe mancarti.”
Si trattava di una misera rapina, ordunque. Dio ti ringrazio.
Che si arraffasse tutti i contanti che trovava. Tanto il grosso era custodito in banca, naturalmente. La cosa più importante era salvare la ciccia, non il poco cash che teneva in casa.
Il visitatore notturno, che si teneva a mezzo metro di distanza dai suoi piedi, seduto alla scrivania della camera da letto, aveva terminato di riunire i soldi in una mazzetta. L’aveva quindi arrotolata per poi avvolgerla in un elastico.
Fece sparire il tutto in una tasca, poi si alzò e si diresse ad accendere la luce principale. Finalmente Andrea poté vederlo in tutta la sua figura, ma senza riconoscerlo. Sicuramente non ci aveva mai avuto a che fare.
Era alto all’incirca come lui, con qualche chiletto in più, e gli era parso che avesse un accento centromeridionale. Poi vallo a sapere con certezza.
Voce profonda, lenta, riflessiva.
Voce che risentì un secondo dopo.
“Allora, campione. Non ti secca restare legato ancora per un po’, vero? Sai, mi occorre del tempo per mettere distanza tra noi. Ti manderò a liberare, non temere. Ma non troppo in fretta, tu mi capisci.”
Andrea annuì più volte. Prima finiva quella disavventura, meglio sarebbe stato. Del resto aveva scelta?
Anche l’intruso annuì. Si chinò verso il comodino sulla destra, dal sopra il quale prelevò un flaconcino di narcotizzante e un batuffolo di cotone, che ancora odorava di narcotico.
Mentre li occultava tra le tasche, si sentì in dovere di fornire una spiegazione.
“Mi è servito per farti passare dal sonno alla catalessi, diciamo. Altrimenti mica ci riuscivo a legarti indisturbato, non trovi? Ti saresti svegliato di soprassalto e non avresti collaborato.”
Poi, dopo qualche attimo in cui il silenzio calò pesante, pronunciò le parole che Andrea aspettava con trepidazione.
“Bene. É tempo di levare il disturbo. Sinceramente mi aspettavo un gruzzolo più corposo, ma mi rendo conto che la mia è stata una visita inaspettata. Non hai avuto modo di prepararti. Pazienza, sarà per la prossima volta. Stammi bene, campione.”
Se anche gli fosse stato possibile parlare, probabilmente Andrea non avrebbe proferito parola; si limitò solamente a osservare l’uscita di scena dello strano ladruncolo. Intanto cominciava a sentire i primi disagi dovuti alla scomoda posizione in cui era costretto, per non parlare del dannato limone infilato in bocca. Si augurò con tutto il cuore che l’altro mantenesse la promessa di mandare qualcuno a liberarlo, senza metterci troppo tempo.
In ogni caso tirò un sospiro di sollievo per lo scampato pericolo. Meglio un asino vivo che un professore morto, recitava il vecchio adagio. Ben felice di essere l’asino, almeno quel giorno lì.
Ma non restò solo molto a lungo.
Neanche il tempo di arrovellarsi su come potersi liberare, ed ecco che…
“Sai, ho una figlia di ventitré anni.”
Cazzo! Rieccolo! Cosa voleva ancora?
“Da più di due anni è in stato vegetale. La versione ufficiale parla di tentato suicidio, a seguito del quale ha perso conoscenza, senza più tornare a riprendersi. É condannata a passare un numero indefinito di anni in questa sorta di limbo senza uscita, ma io non lo permetterò.”
'Ma perché mi stai dicendo questo?' avrebbe voluto domandargli. 'Che cazzo c’entro io?'
Ma quando il suo ospite nominò il nome della ragazza, tutto gli fu chiaro. E si rese conto con sgomento che difficilmente sarebbe uscito vivo da quella situazione.
“Si chiama Brenda Gutierrez. Ha un cognome diverso dal mio perché io e sua madre non ci siamo mai sposati, e abbiamo preferito registrarla con il suo. E tu le conosci entrambe, campione. Ah, se le conosci. E non provare a negarlo perché altrimenti dimenticherò di essere una persona civile. Bada, non scherzo.”
'Ma va? Ci arrivo da solo a capire che non sei qui per fare avanspettacolo, figlio di puttana', pensò Andrea. Che per non sapere né leggere e né scrivere si affrettò ad annuire col capo, anche più del necessario.
“Bravo, vedo che ci intendiamo. Come stavo dicendo, non permetterò che mia figlia rimanga imprigionata in stato vegetativo per altri trent’anni. Fra un paio di giorni metterò fine al suo calvario, e subito dopo farò la stessa cosa con me.”
Pausa a effetto, gravosa come un macigno.
Andrea non era un idiota, e intuì dove l’uomo volesse andare a parare, augurandosi col cuore in gola di sbagliarsi. Ma un istante dopo ogni illusione si dissolse, come lo scoppio di una bolla di sapone che svolazza nell’aria.
“Naturalmente tu ci precederai, sempre per mano mia. Ma ci tenevo ugualmente a fartelo sapere. Così, per scrupolo. La buona educazione prima di tutto.”
L’angoscia per Andrea divenne terrore puro, quando l’uomo si levò la mascherina, sempre squadrandolo con quei magnetici occhi di ghiaccio.
Poté così studiarne i lineamenti, stanchi e scavati, la barba di cinque giorni, il naso tondeggiante. Ma ciò che per poco non gli causò un arresto cardiaco fu la vaga ma innegabile somiglianza con Brenda. E sì: quell’uomo era proprio chi diceva di essere.
Andrea allora prese a scuotersi, a biascicare versi senza senso, tentando vanamente di slegarsi. Fu tutto inutile, naturalmente.
“Per quanto possa servire, questa è la mia faccia, e sarà l’ultima che vedrai, prima di dire addio alla tua miserabile vita”, proseguì l’aguzzino. Col tono misurato di un giudice che sta emettendo una sentenza definitiva. ”Mentre il mio nome è Fabio Simoni, padre di quella ragazza che a causa tua ho perso da più di due anni, caro il mio farabutto.”
Oramai Andrea tremava come una foglia, e aveva smarrito ogni residuo di dignità. Scoppiò a piangere e provò vanamente di farsi capire, ottenendo soltanto di correre più volte il rischio di strozzarsi con quel maledetto limone.
“Dovresti calmarti e scandire meglio le parole. Così non riesco a comprenderti”, ironizzò allora Fabio. ”Comunque sappi che ho voluto mostrarti la mia bella faccia affinché tu la possa riconoscere, fra un paio di giorni, quando ti raggiungerò all’inferno.”
Detto questo, come per magia nella sua mano destra comparve una semiautomatica calibro nove. Una Beretta o una Glock, valutò Andrea, che di armi un po’ se ne intendeva, avendole descritte più volte nelle sue storie. Abbagliato e terrorizzato com’era, gli era impossibile inquadrarla a dovere.
“Come forse saprai, quest’arma può contenere quindici colpi, più uno in canna. Non occorrerà tanto. In questo momento infatti nel caricatore ce ne sono solo otto, ma le farò bastare. Sei per te, una per Brenda, e l’ultima per me. E se può consolarti, il mio ultimo pensiero sarà per te.”
Pur nel suo isterismo sempre più incontrollabile, Andrea ebbe modo di notare come l’arma fosse provvista di silenziatore. Nessuno avrebbe sentito niente, quindi, e il suo corpo rischiava di essere rinvenuto dopo diversi giorni.
In quei momenti di suprema disperazione valutò se raccomandare l’anima a Dio, che certo non guastava. Peccato per il suo ultradecennale e ostinato ateismo… A chi voleva prendere in giro? Polvere eravamo e polvere torneremo, pensò sconsolato. E vaffanculo a tutti.
“Ah, dimenticavo. Di questi sei colpi, solo tre saranno da parte di Brenda. Gli altri tre sono da parte di Rosaria, la vigilessa. E ringrazia che ignoro se hai commesso altre bestialità con altre donne. I colpi sarebbero stati molti di più, ma solo l’ultimo sarebbe stato letale. Prima ti avrei sforacchiato per benino, senza tuttavia farti schiattare subito, facendoti soffrire come un cane.”
Andrea comprese solo la parte relativa a Rosaria. Il resto fu coperto dai suoi stessi versi, striduli e ovattati. Si contorceva con tale foga che per qualche istante Fabio temette che riuscisse a liberarsi.
Segno evidente che il tempo delle chiacchiere era terminato.
Prese la mira con gelida indifferenza e premette il grilletto per sei volte consecutive. Il silenziatore fece il suo dovere, così nessuno poté sentire i tonfi smorzati degli spari.
Andrea De Carolis era già morto al secondo colpo. Tutti i sei proiettili gli si conficcarono al cuore, naturalmente. Del resto, a distanza così ridotta, era un bersaglio immancabile.
Fabio li aveva contati bene. Non aveva mentito, prima: ben determinato a risparmiarne due. Poi tanti saluti a tutti. Ma non era ancora il momento.
Ripose la pistola nella tasca interna del giaccone, senza sganciare il silenziatore. Il giaccone aveva tasche molto capienti, e quel carico non rappresentava un ingombro particolare.
Attese immobile come per vegliare il cadavere ancora caldo del primo uomo che aveva ucciso in vita sua. E se le cose si fossero evolute come programmato, presto sarebbe diventato un parricida-suicida.
Prima di congedarsi da quella casa, gli restava ancora una cosa da fare.
Si chinò su Andrea e gli strappò il nastro adesivo dalla bocca. Con non poche difficoltà riuscì a cavare via dalla bocca il limone, che infilò in una tasca. Nel mentre gli tenne le mascelle spalancate, e al posto del limone infilò il rotolo di banconote avvolte in un elastico.
Gli richiuse infine la bocca, avendo cura che una buona metà del rotolo ne rimanesse fuori, bene in vista. Era un banale tentativo di depistaggio. Chi avesse rinvenuto il corpo dello scrittore, avrebbe pensato a un’esecuzione della malavita, per questioni di debiti di gioco o strozzinaggio.
Adesso sì: Fabio poteva andare via. Non gli rimaneva altro da fare se non quello di soffermarsi qualche momento ancora a contemplare la salma.
Si stupì di se stesso per come fosse del tutto indifferente al tragico destino di Andrea, di cui era stato l’artefice.
Indifferente e soprattutto leggero. La vendetta non aveva alcun sapore particolare, o così pareva. Al massimo ti gravava di una stanchezza infinita, di quella di cui non riesci a scrollarti tanto facilmente, non essendoci un rimedio efficace.
“Tutto torna, egregio scrittore del cazzo. Se è vero che nessuna buona azione resta impunita, figuriamoci le malefatte. Sei stato tu a forgiare il tuo miserabile destino. Ma poco male: presto ne discuteremo all’inferno, e il tempo a disposizione non ci mancherà”, salmodiò quindi, parlando più a se stesso che all’uomo che aveva appena freddato.
Non indugiò oltre e spense le luci. La casa piombò nell’oscurità, ma Fabio non ebbe difficoltà a guadagnare l’uscita e a congedarsi da quelle mura. Non dovette nemmeno ricorrere alla piccola torcia elettrica che si era portato appresso, se non per brevi istanti nei tratti più tenebrosi.
Una volta per strada, completamente deserta per via dell’ora antelucana, si diresse verso la sua auto, che per prudenza aveva parcheggiato a due isolati di distanza.
Per tornare a Milano avrebbe guidato tutto il resto della notte. Ma nessun problema riguardo eventuali colpi di sonno. Non sarebbe riuscito ad addormentarsi nemmeno a randellate. Del resto aveva crivellato una persona inerme e impossibilitata a difendersi.
Sono cose che ti causano insonnia per tempi molto, molto lunghi.
Sonia giunse puntuale all’aperitivo che le era stato proposto da Fabio qualche ora prima. Il suo ex compagno l’attendeva in piedi all’esterno del bar, le mani in tasca e espressione serena in volto.
Non lo vedeva da una quindicina di giorni, e precisamente da quando era andata a snidarlo dal suo monolocale, trovandolo irriconoscibile e in condizioni penose.
Circa due settimane durante le quali, evidentemente, era accaduto una sorta di miracolo.
L’uomo che la accolse baciandola sulle guance, dopo essersi calato la mascherina, era ben diverso dal rudere dell’ultima volta.
Fabio appariva sempre un po’ trasandato nei modi di fare e nell’abbigliamento, ma in compenso non palesava traccia di eccessi etilici. La mano era ferma, il tono di voce basso e misurato come ai vecchi tempi, lo sguardo di nuovo vigile e intelligente.
Per Sonia fu una gioia inaspettata, e non mancò di farglielo notare con uno dei suoi ormai rari sorrisi.
“Accidenti, come siamo in forma! Ti trovo proprio bene, sai? Dovresti starci meno possibile, nel buco dove ti eri rintanato negli ultimi tempi.”
In verità avrebbe voluto dire: ‘Dovrei venire più spesso a trovarti, se questo è il risultato’, ma si morse la lingua per tempo. Era ancora prematuro esprimere simili considerazioni.
E comunque ci pensò lui a riportarla bruscamente alla stretta attualità.
“De Carolis è morto. Due giorni fa. A parte noi due, non credo che lo sappia ancora nessuno.”
Per poco a Sonia non cedettero le ginocchia di schianto. Il cuore saltò due battiti, mentre il respiro le si mozzò all’istante.
Fabio non si fece cogliere impreparato e la fece accomodare nella sedia più vicina, sedendosi poi a sua volta al suo fianco.
“Tutto okay? Scusa se sono stato troppo diretto, ma…”
“No, hai fatto bene. Ma dammi un secondo per riprendermi, per favore.”, lo rassicurò lei, pur con voce tremante.
“Tutto il tempo che vuoi.”
Nel frattempo, essendo seduti a un tavolino all’aperto, erano dispensati dall’uso delle mascherine, e ne approfittarono per levarsele e respirare meglio. Fu un sollievo, specialmente per la frastornata Sonia.
Come sempre, Fabio la trovò bellissima, sexy e vulnerabile. Ma non scordò che negli ultimi anni il più vulnerabile era stato lui, che aveva sfiorato il baratro davvero per un pelo. O forse, semplicemente, Sonia era molto più forte di come appariva a una sommaria occhiata.
“Bene, raccontami tutto. Fin da principio. Ho solo una domanda: sei sicuro? Veramente sicuro che quel bastardo sia morto?”
“Come sono sicuro di essere con te in questo momento. Andrea De Carolis è cibo per vermi da una quarantina di ore circa.”
“Va bene. Racconta, allora. A partire dall’ultima volta che ci siamo visti a casa tua.”
Nel frattempo un cameriere taciturno aveva servito gli aperitivi. Quando si allontanò, Fabio cominciò a rivivere i recenti accadimenti di cui era stato protagonista.
“Quando mi riferisti che Arturo, il mio amico sbirro, aveva appreso di un apparente suicidio di una ragazza proprio nella località dove De Carolis risiedeva, ho capito che era tempo di darmi una mossa. Anche se preferii non dirti niente, e attesi con falsa indifferenza che ti congedassi dalla mia stamberga…”
“Sapessi infatti quante volte mi sono data della stupida per essere venuta da te. Non sei stato molto galante e ospitale, sai?”
“Hai ragione, mi cara. Ma dovevo comportarmi così. Non mi sarei mai perdonato per averti coinvolta in quello che avevo deciso di fare. Per il tuo bene era meglio lasciarti credere che avevi fatto un viaggio a vuoto.”
Sonia annuì, mentre entrambi sorseggiarono il loro drink. La giornata era piacevole, sia pure un po’ frizzante. Del resto si era ancora in pieno inverno.
“Prima di entrare in azione ho lasciato scorrere alcuni giorni, durante i quali ho dato una ripulita a me stesso e al monolocale. Dal momento stesso in cui sei andata via ho smesso di bere. Senza soffrirne più di tanto, in seguito.”
“Non sai che piacere sentirtelo dire, Fabio.”
“Una volta tornato presentabile, mi sono fatto vivo con Del Neri, chiedendogli ulteriori dettagli. Mi è stato molto utile, in quanto sul web non ho trovato alcun riscontro sul presunto suicidio di quest’altra ragazza. Ho scovato solo una montagna di necrologi, come è normale che sia quando muore una ragazza così giovane, ma nessun accenno a eventuali indagini in corso. Così ho deciso di recarmi nella cittadina in questione, e dove risiedeva da alcuni mesi Andrea De Carolis. Con tatto e discrezione ho chiesto un po’ in giro, e in breve ho appreso che Rosaria, la povera sventurata, era una giovane vigilessa di belle speranze, amica e coinquilina di una certa Greta Rizzo, anch’ella vigilessa. Capii al volo che quest’ultima poteva rappresentare l’ago della bilancia, così mi sono presentato a casa sua.”
“Capisco. E come ti ha accolto? Sempre ammesso che abbia voluto parlarti.” Sonia ascoltava con la massima attenzione, senza perdersi una sillaba.
“Sulle prime era molto diffidente, e ha cercato di mandarmi via. Ma quando le ho detto che ho una figlia che ha conosciuto Andrea De Carolis e che si trova nelle condizioni in cui si trova, ha subito cambiato atteggiamento, ricevendomi senza indugi.”
Sonia annuì, incrinando un po’ lo sguardo. Ogni minimo accenno a Brenda le provocava una stretta al cuore, anche se cercava sempre di non darlo a vedere.
“Abbiamo parlato a lungo”, proseguì Fabio. ”Il bastardo aveva una relazione con entrambe le ragazze, anche se Greta da qualche tempo lo aveva congedato. A quanto pare il piatto che gli veniva servito cominciava a tediarlo, e quindi ne aveva preteso di più raffinati, diciamo.”
“E l’altra? Anche lei aveva rotto con lui?”
“Purtroppo no, e le è stato fatale. Greta conosceva bene la sua amica, e giura che non si sarebbe mai suicidata. Al massimo avrebbe sperimentato un gioco erotico estremo, quello sì, ma tenendosi entro limiti ragionevoli. Rosaria alla vita ci teneva, e sprizzava gioventù da tutti i pori. Ma Greta non era in grado di dimostrare che dietro la sua morte c’era una grossa responsabilità di lui.”
“Ma a quanto pare, se è vero come è vero che gli hai dato quello che si meritava, qualche prova l’avete infine trovata, no?”
“Sì, Sonia. Non è stato poi così difficile. Ho convinto Greta a incontrarlo ancora una volta, facendogli credere che lei aveva una mezza idea di riprendere la loro relazione. Il pollo c’è cascato in pieno, anche perché, onestamente, la ragazza è molto carina e parecchio sexy. Difficile dirle di no. E abbiamo fatto bingo.”
Sonia strabuzzò gli occhi. ”Vuoi dire che…”
“Ebbene sì. Ha accettato, sia pure turandosi il naso, di portarselo a letto, in modo di carpire la verità mentre se lo lavorava. E nel contempo io, come concordato, mi sarei nascosto nelle vicinanze, registrando audio e video. O almeno così ho fatto credere a lei.”
“Che intendi dire?”
“A me bastava sentirlo confessare. Non mi interessava trascinarlo davanti a un giudice. In un processo che si rispetti avrebbero dichiarato illegittima la registrazione. E probabilmente la difesa avrebbe sostenuto che mentre si fa sesso si dicono un mucchio di cavolate, tanto per fare felice il partner. Per non parlare poi delle conseguenze su Greta, che sarebbe stata sputtanata per sempre.”
“Hai ragione.”
Dopo una breve pausa riflessiva, Fabio ordinò un altro drink, mentre Sonia si dichiarò a posto così. Quindi arrivò al nocciolo della questione.
“E poi, ripeto, a me interessava la 'mia' giustizia, non quella degli altri. De Carolis doveva pagare con la vita le sue malefatte. La galera era troppo poco, sempre ammesso che venisse condannato. Così, dopo aver spiegato alla ragazza le mie ragioni, due sere dopo sono andato a trovarlo. Ti risparmio i dettagli. Ti basti sapere che gli ho scaricato l’intero caricatore. Sei colpi dritti al cuore. Tre per Brenda, tre per Rosaria.. Poi ho alterato alla bene meglio la scena del delitto. I sospetti su loschi giri che De Carolis, a quanto pare, frequentava in incognito.”
Naturalmente Fabio omise il dettaglio che gli erano rimasti altri due proiettili. Il fatto che intendesse usarli per la loro figlia e poi per se stesso sarebbe stata la sua unica omissione.
Sonia avrebbe capito, prima o poi.
Quest’ultima aveva cercato di assorbire la narrazione con un certo distacco, e in parte vi era riuscita.
L’uomo della sua vita le aveva appena confessato di essere un assassino, eppure la cosa non la toccava nemmeno di straforo. Tutt’altro.
“Avrei voluto sparargli di persona”, ammise infatti.
“No, Sonia, non te lo avrei mai permesso. Convivere con una simile colpa, sia pure giustificata, potrebbe avere conseguenze che nemmeno ti immagini. É giusto che lo abbia fatto io, per mille motivi. Magari ci perderò il sonno, almeno per qualche tempo, ma poi mi adatterò. E la vita andrà avanti lo stesso, come ha sempre fatto.”
Lei annuì. Il ragionamento non faceva una piega. ”Immagino che hai usato una pistola diversa da quella che hai in casa, e che usavi in servizio.”
“Ovvio. Ho ancora vecchie conoscenze nel giro dei bassifondi. Per quanto ne so, la pistola proveniva dall’est, quindi ancora più difficile da tracciare. E in ogni caso non la troveranno mai.”
“Te ne sei sbarazzato?”
“Sì, dopo neanche un’ora giaceva in fondo al Po. Ho provveduto sulla strada del ritorno. Il questo periodo è alla massima capienza, e sarà pressoché impossibile recuperarla. Il cerchio si è chiuso.”
Seconda bugia, in verità. L’arma in questione era ancora disponibile, e in quel momento era custodita con cura nel monolocale. In attesa di essere utilizzata per l’ultima volta.
Anche in questo caso Sonia avrebbe capito, prima o poi.
Fabio intanto le fece capire che non avrebbe aggiunto altro. Andrea De Carolis aveva avuto quello che si era meritato, e Sonia non gli avrebbe riservato una stilla di cordoglio. Con i morti non bisogna infierire, anche con quelli che se la sono andata a cercare.
I due tacquero a lungo, con i pensieri e gli sguardi persi chissà dove. Pensieri che alla fine convergevano verso la stessa, spietata conclusione: la morte di quel farabutto non avrebbe ridestato Brenda. E nemmeno avrebbe ridato vita a Rosaria.
Ma chissà, era anche probabile che altre ragazze, pur non venendolo a sapere mai, si fossero sottratte a quel tragico destino, e forse la prima di tutte era proprio Greta Rizzo.
Ora che ci aveva preso gusto, infatti, difficilmente Andrea si sarebbe fermato. E solo Dio sapeva se Brenda e Rosaria erano le uniche sue vittime. Probabilmente impossibile accertarlo.
“E ora?” domandò Sonia, rompendo il silenzio e fissandolo con occhi mesti ma determinati.
Fabio non rispose subito. Sulle prime si limitò a restituirle lo sguardo, con pari intensità, annuendo appena.
Con uno slancio di tenerezza le prese la mano, la sollevò e ne appoggiò il dorso lungo la sua guancia. Guancia che come sempre era punteggiata dall’immancabile filo di barba. Fabio infatti non si radeva con la lama, ma preferiva lasciare scorrere il rasoio elettrico, cabrato affinché ne rimanesse circa un millimetro. E a Sonia piaceva molto la barbetta incolta. Anzi, fosse stato per lei lo avrebbe obbligato a tenerla ancora più lunga.
“E ora andremo a fare l’amore, Sonia”, rispose infine, tornando a guardarla negli occhi. ”Subito, senza indugi.”
“Assolutamente sì”, convenne lei, gli occhi lustri e il cuore che adesso batteva un pochino più veloce.
Tuttavia non si alzarono immediatamente.
Fabio si soffermò ancora sulla mano di lei, tenendola a contatto con la sua guancia. Con Sonia che lo lasciava fare, bellissima e a corto di parole.
Poi, quando infine si decisero, ci mancò poco che se ne andassero senza pagare il conto.
Fecero l’amore come se non ci fosse un domani. Come ai bei tempi andati. La passione ritrovata e mai del tutto sopita li accompagnò dall’inizio alla fine, placandosi solo quando ogni stilla di energia era stata versata.
I loro corpi, le loro anime e i loro desideri erano concepiti per fare parte l’uno dell’altra, fino a quasi a scindersi in una singola unità.
Tutti abbiamo un’anima gemella, e sta a noi riuscire a trovarla e tenersela ben stretta, senza mai più separarcene finché restiamo a questo mondo.
L’anima gemella di Fabio era Sonia, e quella di Sonia era Fabio, semplicemente. E questo, evidentemente, era stato stabilito fin dalla notte dei tempi. E vi era scritto pure che, per quanto avessero vissuto altre esperienze amorose o affettive, alla fine il cerchio si chiudeva. E a quel punto sarebbero tornati l’uno nelle braccia dell’altra.
Come appunto era successo durante quella meravigliosa serata.
Fecero l’amore tre volte. Al termine di ogni sessione tiravano i remi in barca, appisolandosi per qualche ora, per poi risvegliarsi e ripartire da capo.
Durante uno degli intervalli Sonia si complimentò per avere trovato il monolocale in condizioni dignitose rispetto all’ultima volta. Certo, il livello di pulizia non era ancora al top, ma almeno erano spariti i cumuli di immondizia sparsi ovunque. Inoltre ogni angolo era stato disinfettato e riportato alla luce grazie all’olio di gomito, e l’aria non era più stagnante.
E il merito era stato proprio di Sonia, per via della visita che aveva voluto fargli per forza, diversi giorni prima.
Visita della quale, ora, aveva smesso di pentirsi.
A volte basta poco per ribaltare le cose da così a così. Ma tutto sommato non ne era poi così meravigliata. Con Fabio non si poteva mai sapere. Poteva piegarsi, okay, ma di sicuro non spezzarsi. Esattamente come lei.
Quando si risvegliò, spossata ma felice, erano da poco passate le sette del mattino. E di Fabio nessuna traccia.
Non poteva nemmeno trovarsi nel minuscolo bagno adiacente. Nessun rumore proveniva da là dentro, e dalla porta socchiusa era evidente che la luce era spenta. Nell’appartamentino regnava un quieto silenzio.
Si accorse del bigliettino dopo essersi rimessa in piedi, desiderosa solo di un caffè caldo e di una doccia tiepida. Il foglietto, strappato da un taccuino, era stato lasciato in bella vista nell’unico tavolo presente, e trattenuto da un bicchiere rovesciato.
Una sola riga, stringata, tenera e tragica allo stesso tempo, vergata in stampatello.
“IO E BRENDA TI SAREMO SEMPRE VICINI”
E poi, in calce e in corsivo: Ti amo. Fabio,
A Sonia le si mozzò di colpo il respiro, senza peraltro rendersene conto.
Lesse quelle parole un numero indefinito di volte, come sperando che a lungo andare si trasformassero, mutando il significato. Ma non fu così.
Infine riprese ad anelare aria, scuotendo la testa e pronunciando solo due parole, ossessivamente.
“No, Fabio… no… no!” E mentre le farfugliava si guardò disperatamente attorno, come se sperasse che fosse solo uno scherzo di pessimo gusto, con l’uomo della sua vita che le ricompariva alle spalle, sghignazzando e dileggiandola teneramente, come a sottolineare che lei ci cascava sempre.
“Ti prego, Fabio… no!”
Ma niente da fare. La realtà era quella, cruda e non negoziabile.
Fabio stava per dare alla loro meravigliosa Brenda l’ultima spinta per mettere fine al suo calvario, per poi fare altrettanto con se stesso.
No, per Dio, non poteva andare così. Non doveva concedere a un destino infame di privarla in un colpo solo delle due persone che più di tutte aveva amato in vita sua. Che idea scellerata aveva avuto quel maledetto testone di Fabio! A lei non ci aveva pensato, in nome del Cielo? Possibile che non capisse che in questo modo la condannava a restare da sola per il resto della sua esistenza, ammesso che fosse stata in grado di sopportarlo?
Tentò di chiamarlo al cellulare, che però era ovviamente irraggiungibile. Nel contempo si rivestì in fretta e furia, dandosi una rapida rinfrescata, prima di precipitarsi via, sia dal monolocale che dalla palazzina. Senza scordare, come da prassi, di bardare il viso con l’imprescindibile mascherina di ordinanza.
La sera prima aveva raggiunto il bar dell’aperitivo grazie a un passaggio di sua sorella Angela, quindi in quel momento era appiedata, e non aveva un secondo da perdere.
Non le fu facile trovare un taxi a quell’ora, ma alla fine vi riuscì, e implorò l’autista di recarsi all’ospedale il prima possibile.
“Ho una parente in gravissime condizioni”, gli spiegò per giustificare tanta premura.
E fu accontentata. Al punto che al termine della corsa, durata sei minuti scarsi, gratificò il tassista del doppio della tariffa, senza soffermarsi su ringraziamenti e auguri di tante belle cose.
“Dio, ti prego, fa’ che arrivi in tempo, ti scongiuro!”
Coprì i sessanta metri che la separavano dalla cancellata dei parcheggi sino all’ingresso dell’ospedale a tempo di record, fiondandosi nell’angolo degli ascensori. Per raggiungere Brenda al più presto le occorreva prenderne uno per forza. Altrimenti, non trovandone di liberi, non avrebbe atteso più di tanto, ripiegando sulle scale adiacenti.
Attorno a lei c’era meno gente del solito, forse per via dell’orario inconsueto; generalmente vi si recava durante le ore di visita dei parenti, e adesso la musica era ben diversa. A dire il vero da quasi un anno a causa della pandemia le visite non erano più permesse, ma nel caso di Brenda era prevista una deroga.
E nemmeno a farlo apposta, in quel momento non trovò alcun ascensore disponibile.
“Fanculo!” sbottò irritata e con i nervi a fior di pelle, apprestandosi a raggiungere la scalinata. Ma era destino che dovesse restare nel piano terra.
“Sonia…”
Dopo aver pronunciato il suo nome, Fabio le posò una mano sulla spalla, facendola voltare di scatto.
Quando la donna ebbe conferma che si trattava proprio di lui, per qualche istante temette che le gambe le cedessero. Sospirò, ringraziando chi stava Lassù che l’uomo che amava fosse ancora vivo e vegeto, sia pure con l’aria abbacchiata di un cane bastonato.
E questo nonostante avesse buona parte del viso nascosto dietro la mascherina chirurgica.
“Io, be’… Che tu sia dannato, Fabio Simoni. Mi hai fatto prendere uno tale spavento che…”
“Brenda è morta. Circa mezz’ora fa. É spirata nel sonno, poco prima che arrivassi al suo reparto.”
Sonia impiegò qualche momento per assorbire la mazzata. Provò a reagire, a blaterare qualcosa, scuotendo la testa in segno di incredulità, per poi irrigidirsi e lasciargli proseguire il discorso. Senza tuttavia incrociarne lo sguardo.
“É libera, finalmente. Sonia, guardami, per favore. É volata in cielo, e ha voluto risparmiarmi lo strazio di provvedere di persona.”
“Vuoi dire che…”
“Sì, Sonia. Ero venuto qui per farla smettere di soffrire. Ti avevo mentito, riguardo la pistola. Non l’ho buttata via, e avevo conservato due colpi. Il penultimo per Brenda, l’ultimo per me. Ma non potevo dirtelo, tesoro. Anzi, non 'dovevo' dirtelo. Cerca di capirmi, se puoi.”
Sonia abbozzò, indecisa su cosa dire. Come era comprensibile vista la situazione, era pervasa da sentimenti contrastanti.
Ma soprattutto si stupì di se stessa, in quanto sul momento non stava provando quel dolore che si sarebbe aspettata. Ma era solo per adesso, appunto. Sicuramente nelle ore e nei giorni successivi lo strazio e la pena per sua figlia le avrebbe presentato il conto.
Piuttosto si sentiva avviluppata da un senso di leggerezza, sollievo e liberazione. Oltre che di un grosso vuoto, di un’enorme voragine che si era appena spalancata sotto i suoi piedi. Stava a lei, e anche all’eventuale aiuto di Fabio, evitare di sprofondarci.
“Forse mi sarei decisa a farlo io stessa, prima o poi. Non ti avrei odiato, quindi, o magari non subito. Brenda aveva tutto il diritto di andarsene. Ma non ti avrei mai perdonato di avermi lasciata sola, testone che non sei altro. Quello no. Ti avrei maledetto per sempre.”
“E forse Brenda in qualche modo lo sapeva e ha voluto precedermi. Ti rendi conto? Quante possibilità c’erano che sarebbe deceduta proprio il giorno in cui stavo per intervenire io?”
“Appunto. Segno evidente che non è ancora giunto il momento in cui ti libererai di me, sciocco.” E malgrado l’evento luttuoso appena verificatosi, Sonia accennò a un sorriso. Anche se, per via dell’onnipresente mascherina, non le fu possibile mostrarlo nella sua pienezza.
Ma anche il tempo del covid, delle mascherine e di mille ristrettezze sarebbe cessato, prima o poi. Mentre il grande, infinito e inesauribile amore per la loro figlia sarebbe rimasto solido e inattaccabile come una quercia imponente e secolare.
“Mi dispiace, Sonia, sono un egoista. O meglio, lo sarei stato se fosse andata come immaginavo. Ma non credere che a te non ci ho pensato. Ma il dolore per quello che è successo a Brenda a volte è insostenibile, e volevo farlo terminare una volta per tutte…”
“Come no, bruciandoti le cervella. Bella e coraggiosa soluzione, questa. Indegna di te. Sei l’uomo più coraggioso che ho mai conosciuto, Fabio. E di certo non mi sarei mai innamorata di un vile, quando ti conobbi.”
Fabio annuì, gli occhi lucidi e le movenze al rallentatore. Ma fu bellissimo anche così: essere abbracciata lentamente, fu qualcosa di inedito per Sonia, che apprezzò parecchio. Ricambiando subito l’abbraccio, tenendosi stretta il più possibile all’uomo del suo destino, come se temesse di perderlo ancora una volta.
Ma non era un giorno di addii, quello, malgrado la dipartita di Brenda.
Fabio non aveva intenzione di eclissarsi nuovamente. Se il destino aveva voluto che quel giorno non si suicidasse, una ragione doveva esserci. E quella ragione si chiamava semplicemente Sonia.
Pur nella tragicità del momento, Sonia a un tratto non poté’ esimersi da pronunciare una battuta che ormai odorava di classico di tutti i tempi, ma mai opportuna come stavolta.
“Ti sembrerò banale, ma... è una pistola, quella che hai stretta nei jeans, o sei felice di vedermi?"
Fabio strabuzzò gli occhi e non riuscì a impedirsi di scoppiare a ridere
Tornò a stringere meglio che poteva la sua donna, per poi spiegare:” Sono felicissimo di vederti, come sempre, ma sì, è proprio la pistola che avrei dovuto usare oggi. Sempre la solita, chiaramente. Ma non temere, stavolta me ne disferò per davvero, questa mattina stessa".
“Bravo. In questo modo, finalmente, il cerchio si chiuderà."
“Ti amo, Sonia."
“Ti amo anch'io, Fabio. Non ho mai smesso di farlo, nemmeno nei periodi più bui."
“Scusa se non te l'ho detto più spesso, quando vivevamo assieme. Ma se mi darai l'opportunità mi farò perdonare con gli interessi."
Sembrava un abbraccio senza fine, e a entrambi andava bene così. Pazienza se si dicevano quelle bellissime parole senza guardarsi in viso, cullandosi l'uno sul collo dell'altra; avevano tutto il tempo del mondo, davanti.
“Quindi significa che non mi lascerai più, e che torneremo a essere una cosa sola, Fabio?"
“Possiamo provarci, Sonia. Possiamo provarci."
F I N E
(per commenti e stroncature: amoleforme@yahoo.it)
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