Omaggio a zio Renato - Sesta e ultima parte - Fine di un sogno
di
reginella24
genere
dominazione
Dopo la visita di Felipe, dormii ancora un po’. Mi entusiasmava l’idea di un paio di tette nuove di zecca e del trasferimento a Tijuana. Non capivo, però, se il mio Signore e Padrone Antonino ne fosse pienamente al corrente. La risposta non si fece attendere: la porta si spalancò di prepotenza e me lo trovai di fronte.
“Svegliati troia! Cosa cazzo pensi di fare?” Non capii il significato della domanda.
“Mi perdoni Padrone…. Non capisco a cosa si riferisce…. Cosa ho fatto?”
Rispose: “Cosa hai fatto?!!! Felipe mi dice che sei d’accordo sull’andare con lui a Tijuana e sul farti le tette in una clinica messicana!! Ma con chi credi di avere a che fare?!! Sono IO che ti dico COSA FARE o NON FARE! Hai capito?”
Mi misi in ginocchio sul lettone e dissi: “Signore… Io non ho fatto né detto nulla. Mi sono limitata ad ascoltare…” Il ceffone arrivò violento e mi fece ruzzolare giù dal letto.
“Dovevi dire che prima deve parlare con ME! Capito!!? E magari ti piacerebbe andartene da qui. VERO?!!”
Prima che potessi replicare, mi prese per il collo e, sollevandomi, mi scaraventò sul letto. Respiravo a fatica.
Altri due ceffoni mi colpirono in pieno viso. La sua furia non si placava. “Adesso ci penso io con te! Hai bisogno di capire chi comanda!”. Un nuovo manrovescio mi fece quasi perdere i sensi. Godeva nel farmi male. Mi trascinò per le gambe, mi girò, e mi mise a pecorina. “Adesso ti violento puttana!!”.
Gli orecchi mi ronzavano, la vista era annebbiata. Questo non mi impedì, però, di sentire i violenti schiaffi che colpivano le mie natiche. Il perizoma venne strappato brutalmente dal mio culo, ed Antonino si spogliò velocemente. Mi fu subito sopra. Violento come non mai, mi penetrò in un sol colpo.
Urlava: “ Tu sei MIA! Capito?!! MIA!! Sei la mia schiava da monta! Capito?!!”
Risposi urlando: “Si Padrone! Sono sua! Mio Dio! Mi fa male Signore!”. Il pugno nel costato mi fece capire che avevo detto una cosa sbagliata. “Ti faccio male?!! Tu non sai cosa significa FARE DEL MALE!”
Questo non fece altro che far aumentare la sua animalesca eccitazione. Schiaffeggiandomi violentemente il culo, aumentò il ritmo della montata. Con colpi tremendi, sentivo la grande e dura nerchia entrarmi fino in fondo. “Ti faccio male vero? Dimmi che ti faccio male!”. Risposi che poteva fare tutto ciò che voleva. Risposi che non poteva smettere. Risposi che volevo il suo cazzone. Risposi che mi faceva male, ma doveva farmene di più. Era la pura e semplice verità. Ormai quel mix di sesso e violenza mi apparteneva. Non vedevo altro modo di farmi fottere dal mio maligno maschione. Non volevo tenerezza o amore. Non volevo gentilezze. Volevo solo sesso perverso e violento, dolorose e perfide inculate.
Facendo affondare le dita nei miei fianchi, si produsse in un urlo raggelante. Non c’era nulla di umano in quel verso animale. Dopo una decina di colpi violentissimi, si fermò dentro di me bestemmiando e venendo. I potentissimi schizzi di sborra ebbero l’effetto di farmi urlare di piacere e, tremando, vidi il mio cazzo zampillare sperma.
Uscì dal mio corpo. Ancora con violenza mi girò urlando: “Pulisci cagna!!!” Ripulii con meticolosità il fantastico attrezzo. Non una goccia di sborra evitò la mia bocca. Mentre le mie labbra carnose si richiudevano sull’enorme glande, un nuovo fiotto mi fece quasi soffocare. Mi ripresi subito e ingollai con ingordigia quel sublime nettare.
Poi crollai, di pancia, sull’alcova.
La manata piovve dall’alto sul mio culo. Mi tolse il respiro.
“E brava la MIA Reginella! Proprio uno stupro coi fiocchi! Ma attenta: o mi dici sempre tutto, o la prossima volta ti uccido! E questa volta lo faccio!
Si sedette a gambe divaricate sul divano alla turca. Il suo cazzo era sempre al massimo dell’erezione.
Battendo la mano sulla seduta del sofà disse: ”Forza! Vieni qui! Veloce!”
Mi affrettai barcollando e mi sedetti al suo fianco. La sua mano mi accarezzò la guancia e la sua lingua mi entrò in bocca. Quando ne uscì cominciò a parlare: “ Ora ti dico cosa succede. Domani ti trasferirai in una clinica estetica di Napoli. La migliore. Ho già detto al chirurgo plastico come voglio le tue zinne. Non andrai in Messico. Con Felipe me la vedo io. Resterai in clinica due giorni e poi tornerai qui. Crapomena ti farà ristabilire in men che non si dica. Andrai in elicottero e l’Autista sarà il tuo accompagnatore. Hai compreso bene?!!” Il mio ritardo nel rispondere riaccese in Lui la crudeltà.
Si alzò. Estrasse dalla fondina una calibro 9 mm e mi infilò la canna in bocca.
Con le lacrime agli occhi feci di sì con il capo. Avevo capito.
Non contento, sollevò il cane dell’arma. Mi fissava negli occhi e io fissavo lui. Contò fino a tre. Premette il grilletto e se ne uscì con una risata satanica. “Non c’è il colpo in canna tesoro!”. E rideva.
Ricominciai a respirare. Si vestì e, prima di uscire disse: “A proposito: tieni! Il premio che ti avevo promesso”.
Estrasse dal portafoglio una mazzetta di banconote da 500 euro. “Sono 50000. Sei proprio una puttanella di lusso!”. “Oggi pomeriggio rimani in camera tua. In serata mangiamo assieme. Senza quel pezzo di merda di Felipe”.
Dopo aver consumato il pranzo che mi era stato portato in stanza, dormii, tirai di coca, bevvi parecchio e guardai film porno.
La sera arrivò in fretta. Mi vestii come al solito da cagna elegante e venni scortata in sala da pranzo.
Antonino era di ottimo umore: mi accolse con allegria e mi fece accomodare. Versò del fantastico vino e iniziammo con gli antipasti. Tra un boccone e l’altro, tiravamo coca. Mi sentivo invincibile. Un’invincibile troia. Il mio Signore, guardandomi negli occhi parlò: “Per me un antipasto non è eccellente se non è accompagnato da un bel pompino. Accomodati Reginella! Incurante della servitù che si affaccendava intorno al tavolo mi alzai e mi inginocchiai davanti alla sua patta. La sbottonai e, simile ad un colpo di frusta, il grosso membro mi sbattè contro il viso. Affamata, iniziai la pompa. Ci misi tutto l’impegno possibile. Un lavoro ben fatto. Con passione. Ogni tanto fissavo negli occhi il mio Padrone ribadendo, con lo sguardo, la mia totale sottomissione. La giovane cameriera stava portando i primi. Antonino la fermò: “ Greta! Guarda pure! Che ne pensi? E’ brava no? Anzi, vieni anche tu. Voglio due bocche”. La giovanissima ragazza non si fece pregare. Ci alternammo in due, cazzo duro in bocca, inginocchiate in adorazione.
La piccola manina di Greta, menava ora con abilità l’enorme asta. Dopo un’interminabile succhiata, Antonino si alzò in piedi. Prese a menarsi il cazzo con forza e il getto caldo finì sui nostri visini. Gran parte in bocca. Lui godeva come un maiale. La sborra continuava ad uscire dal maestoso uccello. Poi, la ragazza condivise con me lo sperma che aveva trattenuto in bocca. Ci baciammo affamate e golose suscitando l’ammirazione di Antonino. “Brave! Così! Mangiatela tutta!”. Velocemente, la cameriera si defilò. Io andai alla toilette per darmi una ripulita e lo stesso fece il mio Signore.
Tornati al tavolo ricevetti dei sinceri complimenti: “Tesoro! Come mi succhi il cazzo tu, non lo fa nessuna! La piccola puttanella che ha servito a tavola è una dilettante in confronto a te! Però mi fa piacere che vi siate divise equamente la mia sborrata”. E rise sguaiatamente…. “Ma dobbiamo concludere la serata alla grande! Domani parti e voglio festeggiare il tuo nuovo paio di tette!” Battè due volte le mani con autorità e si ripresentò Greta con in mano il Santo Graal. Lo depose davanti a me. “Bevi!” disse lo stallone. Portai alla bocca il grande calice colmo di sperma sino all’orlo. Assatanata lo sorseggiai con ingordigia.
Il mattino dopo, vestita di tutto punto con a fianco l’Autista, mi incamminavo verso l’eliporto nascosto dal boschetto dietro casa. Nei trecento metri che ci separavano dal velivolo l’Autista mi parlò: “ Reginella… ascolta e basta. Ci stanno osservando. Quando saremo a bordo ti darò una cosa. Nascondila e ascoltala nel bagno della tua stanza in clinica. Prima però apri un rubinetto e lascia scorrere forte l’acqua, così non ti potranno ascoltare. Sicuramente anche là sarà pieno di microfoni.” Parlava sottovoce ed era chiaramente molto spaventato. Non dissi nulla.
Salimmo. Ci accomodammo nei due posti dietro al pilota e, indossate le cuffie, iniziò il decollo. Il volo durò quaranta minuti. La splendida giornata mi fece godere il fantastico panorama. Il mare, il sole, le montagne. Cose di altri tempi. Ora per me esisteva solo la depravazione e la lussuria. Poco prima di arrivare, l’Autista spinse verso di me una piccolissima scatola nera. Io, con molta attenzione, la nascosi subito nella borsetta. Ero curiosa. Curiosa e spaventata. La clinica disponeva di eliporto. Dopo l’atterraggio, venni presa in consegna da due stupende infermiere. Il mio accompagnatore rimase a bordo con il pilota, e il velivolo ripartì immediatamente. Non potei fare a meno di vedere lo sguardo triste dell’Autista.
Tenni la borsa a tracolla, mentre il trolley fu preso in consegna da un’infermiera.
La mia stanza era eccezionale. Più che altro una suite. Mi lasciarono dicendo che di lì a poco avrei parlato con il chirurgo. Rimasi vestita. Non stavo più nella pelle. Cosa mi aveva dato l’Autista? Forse dovevo aspettare. Forse era meglio attendere la notte.
Il chirurgo entrò senza bussare. Io ero seduta sul bordo del letto. La minigonna lasciava intravedere il reggicalze. Il dottore, sulla sessantina, mi scrutò con interesse: “Chi mi aveva parlato di lei non era stato completamente onesto! Lei è veramente meravigliosa! Bene: le spiego in due parole come agiremo. Stasera faremo la visita pre-operatoria. Analisi e via dicendo. Il suo nuovo seno è già stato scelto da chi sappiamo. Non si preoccupi: Don Antonino ha ottimi gusti in materia di femmine. Ora riposi. Se vuole, le abbiamo preparato un rinfresco. Mangi quello che vuole, non beva alcolici e non faccia uso di droghe. Mi raccomando.” Fra cinque ore la verranno a prendere per la visita. Stia bene.” Anche il dottore non poteva nascondere il grosso rigonfiamento in “zona cazzo”.
Decisi velocemente. Mi spogliai ed indossai il babydoll. Presi la borsetta e mi recai in bagno. Come consigliato dall’Autista, aprii il rubinetto del lavabo ed estrassi la minuscola scatoletta nera. La aprii. All’interno c’era un minuscolo registratore. Su un lato, un piccolo magnete. Inserii gli auricolari e lo accesi. Riconobbi subito la voce dell’Autista. Parlava sommessamente con voce tremante. Diceva di ascoltare con attenzione la conversazione che sarebbe seguita di lì a poco. Riconobbi subito le voci. Antonino e Felipe stavano discutendo animatamente. “Brutto pezzo di merda! Ma come ti permetti? Cos’è questa storia che ti vuoi portare la troietta in Messico? Vuoi che interrompiamo subito gli affari tra di noi?” Felipe rispose cattivo: “Ehi! Che cazzo offendi? Ho pensato che Reginella potesse avere un futuro diverso da quello che avevamo ideato!”. Antonino: “Ti stai tirando indietro? Non puoi! Dobbiamo darla ad Azazèl! Lo sai! Il suo sacrificio ci darà più potere! La sua testa starà nella stanza dei sacrifici! Il nostro trofeo di caccia! Lo avevamo deciso!”. Felipe tuonò: “Sei sicuro che stiamo facendo la cosa giusta? Non ti mancherà quel pezzo di fica? Io, in tutto il Sud America, in tutta l’Asia, in tutta Europa non ho MAI visto uno splendore simile! E vedrai quando tornerà con delle vere tette! “. Antonino era fuori di se: “ Non puoi tradire il Nostro Signore e Padrone! Dobbiamo farlo! Altrimenti non vivremo a lungo!” “Hai ragione…” rispose Felipe. “ L’orrore dell’oltretomba non ci lascerebbe più…. Ho agito d’impulso…. Va bene… facciamolo!”
Antonino non sembrava convinto: “Attento…. Voglio che tu mi dica la verità…. Altrimenti ti faccio scomparire. “La risposta fu: “E’ la verità. Non abbiamo vie d’uscita. Promettimi almeno che non soffrirà…”
Il calabrese era fuori di sé: “ Deve soffrire! Il rito non è completo se non soffre! Lo sai!”
“Va bene. E quando?” “Dopodomani notte” rispose Antonino. “Aspettiamo da secoli questo momento. Sarà una cosa fantastica Felipe!”
Tornò la voce dell’Autista. “Reginella! Hai capito? Ti vogliono sacrificare! Io non posso vederti morire! Io sono innamorato di te!.... Io ti voglio!”
Silenzio. L’Autista però non aveva la minima idea di come uscirne. Ero guardata a vista e non sarei potuta fuggire. Mai. La tristezza ebbe il sopravvento su di me. Potevo morire così giovane? Così bella? Così desiderabile? Provavo comunque affetto per l’Autista. Aveva rischiato la vita nel consegnarmi il registratore. Almeno una persona era dalla mia parte. Dovevo pensare. E alla svelta.
Ero persa. Non potevo evitare la mia fine. Cosa potevo fare? Quegli uomini erano troppo potenti. Il mio destino era segnato. Distrussi il registratore. Lo ridussi in minuscoli pezzetti, lo gettai nel cesso e tirai lo sciacquone.
Dormii.
Fui svegliata dalle infermiere. Entrarono e, gentilmente, mi dissero che dovevo andare. La visita fu veloce: analisi del sangue e domande sul mio stato di salute. Venni riaccompagnata in stanza. Mi dissero che non potevo mangiare e che l’intervento sarebbe iniziato il mattino dopo alle otto. Mi lavai e mi rivestii con abiti da troia. Avevo voglia di ammirarmi in tutto il mio splendore. Avevo voglia di cazzo. A preparazione ultimata, mi guardai allo specchio. Mi amavo. Non poteva finire tutto. Il solo vedermi mi eccitava. Mi sdraiai sul letto e, dito in culo, iniziai a masturbarmi. Gemendo, andai avanti per venti minuti, smanettandomi l’uccello con desiderio. Quando venni, contravvenendo a ciò che mi era stato imposto, mangiai. Mangiai sborra calda.
Il mattino dopo, alle sette, mi vennero a prendere. Stranamente avevo dormito bene, e mi sentivo in forze.
Ricordo solo la preparazione all’intervento. Mi dissero di contare fino a 10, e al tre ero già sedata.
Mi risvegliai nel mio letto. Le due infermiere erano di guardia.
Sollevai il lenzuolo in preda alla nausea da anestesia. Meravigliose! Due splendide tette mi guardavano. Un gran lavoro. Un seno perfetto. Mi eccitai. Solo due finissime suture testimoniavano che non erano vere tette. Sarebbero presto scomparse. Infatti, le due premurose infermiere mi fecero indossare calze velate, reggicalze, e scarpe con tacco. Senza mutandine. La più alta, aperto uno stipo sulla parete, tornò con il calice tempestato di pietre preziose. L’ordine era perentorio: “Beva!”. Dall’aroma che si sprigionava dal Graal sapevo già cosa conteneva. Bevetti con voluttà il contenuto del calice. Nello stesso momento, le due infermiere iniziavano a leccarmi. La più piccola ripassava la lingua vogliosa sulle ferite del seno. La più alta mi leccava il buco del culo. Mi fecero mettere a pecorina. In tal modo, con Crapomena che succhiava le tette sotto di me, e l’altra che lappava il mio orifizio, il cazzo mi divenne durissimo. Dopo una buona mezz’ora, tutte e due, sotto di me, si facevano scopare in bocca. Quando venni, le due donne si contendevano ogni goccia di sborra, assatanate. Sembravano due iene che combattevano per la carogna di una bestia morta.
E oramai, io lo ero quasi: una carogna. Un corpo senza vita.
Quando mi svegliai, dopo un’ora, non fui sorpresa nel vedere che le cicatrici erano completamente scomparse. D’altronde, Crapomena era la migliore.
Dopo un ottimo pranzo, mi preparai per il ritorno.
Indossai degli abiti che mi erano stati consegnati dalle due “infermiere”. Tutta in nero. Che gioia portare un reggiseno di pregevole fattura! Calze velate e un reggicalze che ricopriva un minuscolo perizoma. Minigonna e tacchi a spillo. Gioielli e profumi. Top cortissimo che lasciava scoperto il ventre. Capelli neri corvini. Quello doveva essere il mio destino! Una splendida giovenca da montare ed inculare! Una donna che faceva impazzire i maschi solo guardandoli… E invece….
Andavo fiera delle mie tette. Sode e erette. Il reggiseno sarebbe stato inutile. Infatti lo tolsi. Una meravigliosa quarta di seno. La definizione che meglio mi descriveva era una sola: una elegantissima e conturbante Vacca da Monta.
Venni accompagnata all’eliporto sul tetto della clinica. Incrociando il personale, sia maschile che femminile, sentivo sguardi di ammirazione e desiderio. Sentivo ancora penetranti effluvi di sborra e umori vaginali. Gli sguardi non erano mai diretti. Tutti di soppiatto. Il timore per Don Antonino si faceva sentire ovunque. Nessuno poteva guardare impunemente la femmina che Antonino si inculava con tanta passione.
L’elicottero attendeva con i motori accesi. Salii. L’Autista non c’era. Salirono a bordo anche le due infermiere. Il decollo fu immediato.
Quando passammo sopra il Vesuvio ebbi il desiderio di buttarmici dentro. Ero nervosa.
I 40 minuti di volo passarono veloci.
Arrivammo al tramonto. Ricordai una frase di Antoine de Saint-Exupéry: “Sai… quando si è molto tristi si amano i tramonti”. Era vero. La fine della vita è paragonabile ad un bel tramonto.
Scendemmo dall’elicottero. Arrivammo alla magione ed entrammo. Antonino e Felipe mi attendevano.
“Che splendore!” “Che pezzo di FICA!” “Cazzo! Ma quanto sei bella?”. Questi furono i complimenti che mi accolsero. Antonino, sollevandomi il top disse: “Fammi controllare il lavoro che ho commissionato! Perfette! Fantastiche! Un gran bel paio di tette!”. Felipe mi leccò i capezzoli. “Mmmmhhh.… mi viene voglia di mangiarle!”.” Beviamo qualcosa!” disse Don Antonino. Mi versarono un doppio whisky e mi offrirono tre righe di cocaina. Ne avevo bisogno. Loro, già chiaramente brilli, mi imitarono. Felipe, dopo avermi dato una gran manata sul culo chiese: “Antonino! Ti chiedo umilmente il permesso di fottere Reginella!” e si profuse in un ridicolo inchino. “Tanto poi tu te la puoi inculare tutta la notte!”. Antonino rise. Va bene amico. Però non più di un paio d’ore!”. “Aspetta! Sarà affamata poverina!” disse il messicano. “Si! Affamata di cazzo e di sborra!” rispose il mio Signore sghignazzando. “Vi faccio portare qualcosa in camera tua, Felipe…”. Ci incamminammo su per la scalinata. Io davanti. Il dito medio del toro messicano mi solleticava il buco del culo. Mi meravigliai di me stessa. In quell’orrenda situazione, quello che desideravo di più era essere montata. Strano… Probabilmente desideravo una gran uscita di scena.
Per tutto il tragitto, la mano di Felipe non si staccò mai dal mio culo. Ansimava voglioso. Entrammo nella mia stanza. Lui si spogliò subito in modo frenetico. La fondina restò accanto a lui sul divano. “Ora mi devi fare uno spogliarello tesoro!”. Ubbidii. Il colosso nero, seduto a gambe completamente divaricate, mi fissava con voluttà accarezzandosi l’enorme cazzo. Una musica soffusa, da film porno, accompagnò la mia esibizione. Lentamente, mi sfilai il top, toccandomi le splendide tette e ripassandomi la lingua sulle labbra. Poi toccò alla gonna. Girandomi, la tolsi. Mi piegai a gambe divaricate sentendo lo sguardo del nero fisso sui miei glutei. Mi inginocchiai per terra e, carponi, senza distogliere lo sguardo dalla sua fantastica nerchia, strisciai, culo in alto, verso l’oggetto del mio desiderio. La maestosità dell’erezione mi fece pulsare il buco del culo. La gigantesca cappella iniziava già ad espellere goccioline di sborra. La mia lingua ripassò tutta la lunghezza dell’asta. Poi, mi soffermai con impegno a leccare e succhiare il gran paio di gonfi coglioni. Dio! Che stallone! Dio! Che maschio! L’eccitazione era incontenibile. Succhiavo e mangiavo con avidità il nero membro. Felipe, ansimando affannosamente, disse: “Ora ti voglio sborrare in bocca. Poi, ti inculo!”.
L a bocca mi doleva. A malapena, l’enorme cappella mi entrava in bocca. Menando a due mani quella meraviglia, percepivo l’imminente eruzione di sperma. Infatti Felipe, gridando bestemmiando e ansimando, venne. La sborra sgorgava dalla mia bocca a fiumi. Un creampie orale da manuale.
La scorpacciata che ne seguì fu epica. Non mi bastava. Non ne rimase una sola goccia. Ma non ero soddisfatta: ne volevo ancora. Il sapore acre del maschio non mi abbandonava. Succhiando prepotentemente l’uccello, un nuovo schizzo di sborra mi riempì la bocca. Assaporai lentamente e ingoiai. Il messicano, stravolto, estrasse l’arma dalla fondina. Mi girò con forza mettendomi a pecorina. Sentii il freddo metallo della pistola solleticarmi l’orifizio. Felipe sputò sprezzante sul mio buco del culo e poi, sentii entrare in me la canna dell’arma. Lui godeva di questo. Sentii ripetere più volte un nome: Azazèl….
“Potrei spararti subito in culo tesoro! Ti farei un favore!” La frase denotava un non so che di sincero…
Si alzò e mi prese in braccio. Mi sollevò come un fuscello. La forza dello stallone nero era incredibile. Mi scaraventò letteralmente sul letto. Istintivamente, mi rimisi a pecorina. L’adrenalina era a mille. Lo volevo. Subito. Il cazzo ancora marmoreo entrò in me. I 30 centimetri di uccello scivolavano avanti e indietro, avanti e indietro. Il mio buco del culo, completamente dilatato, era sul punto di esplodere. Le grandi mani di Felipe, erano sulle mie magnifiche tette. La montata dello stallone durò tre quarti d’ora. Incredibile. Un essere umano non può avere tanta resistenza. Penso che avrebbe potuto montarmi per giorni senza che io ne avessi a sufficienza. La sua bocca si avvicinò al mio orecchio: con un filo di voce disse solo una frase: “Quando ti faranno prendere l’idolo di Azazèl, troverai la tua salvezza Reginella….”.
Non capii. Dopo aver detto questo, velocissimo, iniziò un vero e proprio rodeo. I colpi erano tremendi. Sentivo il cazzo in culo aumentare ancora in dimensioni e robustezza. L’ululato dello stallone accompagnò le ultime tre spinte. Lo sentivo fino in gola. Contemporaneamente a parecchie manate sui glutei, sborrò.
Sentii lo schizzo bollente uscire tra le pareti del buco del culo e la nerchia. Uscì, e con uno splendido 69 iniziammo a mangiare. Felipe divorava il mio dilatato orifizio cibandosi della sua sborra. Io, ripulivo diligentemente ogni residuo di panna calda che ricopriva il cazzo. Poi, mi baciò: La gigantesca lingua quasi mi fece soffocare. Ebbi una certezza: Felipe mi amava. Non avevo capito nulla di quanto mi aveva detto sottovoce. Ma una speranza si faceva forza dentro di me.
Quando se ne andò, mangiai avidamente il cibo che mi era stato portato. Tirai tantissimo di coca e mi scolai mezza bottiglia di vino. Un bagno ristoratore mi tonificò. Un miracoloso unguento trovato in uno stipo del bagno, rimise in sesto il mio provato buco del culo. Mi preparai per la notte con Antonino. Aprii le custodie dei completini scelti dal mio Signore. Tutto in bianco. Mi trasformai in una sposa depravata pronta per una notte di fuoco. Mi specchiai. Sembravo una preziosa e splendente gemma profumata in attesa dell’ennesima violenta e crudele inculata. I bracciali, il diadema, il collier e gli orecchini preziosi, sfavillavano. Il messicano tornò. Fu lui ad accompagnarmi nella stanza di Don Antonino. Mentre ci incamminavamo, ricevetti complimenti di ogni sorta sul mio corpo. Mi fece capire, senza mezzi termini, che era geloso. Avrebbe voluto prendermi ancora. Per tutta la notte. Ma non era possibile. Mi aspettava il mio dovere. Far godere il mio Padrone e godere di lui. Bussò alla porta del Calabrese ed entrammo. Antonino tirava di coca e beveva. “Allora?!” disse. “Com’è andata? E’ stata brava la troia in calore?”. La sua espressione faceva trasparire un qualcosa di malvagio. Felipe, raggiante rispose: “Cazzo che montate! Se vuoi rimango qui e ce la fottiamo in due questa cagna!”. “No!” disse con autorità Antonino. “Adesso tocca a me. Da solo! Lasciaci soli Felipe!”. Con evidente disappunto, il colosso nero uscì. “Vieni tesoro! Siediti vicino al tuo Padrone… Fatti qualche riga. Questa roba è super!”. Obbedii. Tirammo e bevemmo tanto. “Dio Reginella! Sei uno schianto! Sei sempre più bella! Spero che tu sia ancora in forze. Ti voglio fottere fino all’alba!”. Ero in forze ed avevo ancora voglia di cazzo. La mia mano, decorata di unghie lunghe e rosse, scivolò sulla patta rigonfia del maschio. La sbottonai. Il possente cazzo, orgoglioso, si manifestò in tutta la sua maestosità. “Il pompino lo fai dopo troia! Ora ti voglio su di me.” Si spogliò. Si risedette e io gli fui sopra. Mi sedetti letteralmente sulla dura nerchia, cavalcandolo. “Brava! Così tesoro! Scopami!”. Il mio signore e padrone mi sfilò la camicetta ed iniziò a succhiarmi i capezzoli e a palparmi brutalmente le tette. Mi sentivo totalmente femmina. Mi sentivo dominata da quel maiale arrapato. Ora si muoveva lui. L’asta scivolava dentro e fuori dal mio buco del culo. Il dolore fu lancinante. Il morso di Antonino aveva fatto sgorgare il sangue dal mio capezzolo. E succhiava, leccava in preda a un parossismo violento. Io, in estasi, cavalcavo al galoppo. Le sue grandi mani schiaffeggiavano il mio culo. Lui bestemmiava. Io pure. Ci trovammo, entrambi, ad urlare il nome di Azazèl….
Ora conducevo il gioco. Impalata, vogliosa e maligna urlai con perfetta voce di femmina: “Tutto! Lo voglio tutto il Suo cazzo! Ancora! La prego! Di più! Aaaahhh!”. Sborrammo simultaneamente. Il fiotto di sborra mi fece sollevare per poi ricadere sull’amato cazzo. Urlavamo bestemmiando come due perfidi animali. Lui gridava: “Sei la mia vacca! Sarai sempre mia!”.
Scesi di sella e, avidamente ingollai la sua sborra.
Antonino mantenne la parola. Tra cocaina, alcol e sesso, arrivò l’alba. Praticamente non ci fermammo mai. Il mattino mi trovò addormentata con il suo cazzo, ancora duro, in bocca.
Che notte! Che inculate! Che cavalcate! Che pompini! Che mangiate ingorde di sborra! Non ne ero mai sazia. Feci un rilassante bagno nella toilette del mio Signore. Mi rivestii con un nuovo completino. L’altro giaceva a brandelli sul divano. Non riuscivo a non essere sempre vestita da troia. Faceva parte della mia essenza. Profumatissima e truccatissima sedetti sul bordo del letto. Antonino era già vestito. Elegantissimo in gessato da boss quale era. Parlò in modo autoritario: “ Ora vai in camera tua e ci resti. Questa notte sarà la notte di Azazèl. Il tuo ciclo di purificazione si completerà a mezzanotte. Mangerai in camera e ti preparerai a dovere per l’evento. Ti voglio perfetta. So che non mi deluderai tesoro…”. Risposi con devozione: “Si mio Signore e Padrone! Sarò più bella che mai. Per Lei e per il nostro Dio Azazèl!”. “E brava la mia puttanella da monta! Vedo che hai capito finalmente!”.
Mi riaccompagnò personalmente nella mia stanza. “Riposati” disse. “Ne avrai bisogno per stanotte..” Una risata satanica accompagnò la sua uscita. Mi buttai sul letto. Le solite custodie con il nuovo costume erano appese alle grucce. Sul comodino intarsiato, stava un vassoio in platino con parecchie decine di grammi di polvere bianca. Tirai a più non posso. Mangiai fragole da una coppa ricolma di panna e sborra. Mi stava tornando la voglia…
La giornata trascorse tranquilla. Mangiai, dormii e lessi. Ogni tanto, risuonavano per il castello, grida eccitate di donne. Qualcuno continuava a divertirsi. I porno attiravano ogni tanto la mia attenzione. Li guardavo vogliosa trastullandomi, con le dita, il buco del culo. Alle 18 iniziai i preparativi. Bagno bollente con essenze orientali. Creme a volontà. La mia pelle era talmente perfetta da sembrare finta. Aprii le custodie con il costume. Qualcosa di diverso: parrucca da dama francese del settecento. Mancava però l’ampia gonna, sostituita da una vertiginosa minigonna dorata. Calze reggicalze e scarpe nere tempestate di fantastici topazi. Un’intera boccetta di profumo francese allietò il mio corpo. Mi vestii scrupolosamente. Il risultato era sbalorditivo. Una nobildonna francese in minigonna. Il finto neo sulla guancia dava un tocco di classe alla mia figura. Mi ammirai allo specchio. Culo alto e sodo. Gambe tornite. Tette perfettamente compatte e alte. Un corpo desiderabile. Un corpo per il quale qualunque maschio avrebbe perso la testa.
Erano le 11.30. La luna nuova faceva precipitare la notte nel buio assoluto. Aprii la finestra della mia stanza. Se avessi tentato di scappare, sarei morta. Cocci di vetro, immersi nella dura calce della muratura, rendevano impossibile qualunque tentativo di fuga. L’ansare dei cani da guardia, giù nel parco, mi dissuase definitivamente dal tentare l’evasione. Entrarono. Le due “Infermiere” vestivano come me. Mi baciarono. Mi ritrovai le loro lingue saettanti in bocca. Bacio appassionato. Come da loro richiesta porsi i polsi. Mi legarono braccia in avanti. Scendemmo nella cripta. La zaffata degli aromi dei venti ceri mi diede subito alla testa. Su un piccolo altare, un enorme calice traboccava di sperma. Un’autentica ghigliottina dell’epoca della Rivoluzione Francese faceva bella mostra di se al centro dell’antro. Su un catafalco, un telo insanguinato ricopriva qualcosa di indefinito. Oltre a Don Antonino, Felipe e le due “infermiere”, erano presenti altri dieci uomini. Probabilmente i guardiani. Tutti erano nudi con il cazzo duro. Le due infermiere si erano tolte le gonne rimanendo in calze, reggicalze e tacchi. Il loro splendido corpo, ricoperto di un oleoso unguento, emanava profumi antichi. I possenti fisici dei maschi erano scossi da fremiti incontrollabili.
Antonino prese la parola: “Benvenuta Reginella! In questa buia notte sarà completato il tuo ciclo di purificazione! Questa notte ultimeremo il rito che era stato interrotto nel 1793 durante il periodo del Terrore della Rivoluzione Francese! I nemici di Azazèl non potranno più gioire! Il nostro Dio, Signore e Padrone vincerà sugli ignavi! Da secoli attendevamo questo giorno e tu, Reginella, sarai il catalizzatore della nuova era del male!”
Tutti urlarono, me compresa: “Azazèl! Azazèl! Azazèl!
Continuò: “Un traditore ha cercato di impedire tutto ciò. Un traditore che è stato giustamente punito! Guai a voi se vi ribellerete al nostro DIO!”. E avvicinatosi al catafalco, tolse il drappo insanguinato che ricopriva la testa mozzata dell’Autista. Infilzata su una picca, con espressione triste, sembrava mi guardasse.
Non provai orrore. Solo pena.
“Reginella! Sapevamo cosa ti aveva consegnato il traditore! Lo abbiamo sempre saputo! Ora, ti diamo atto di una cosa: non hai tentato di fuggire, sei rimasta e te ne siamo grati! Azazèl te ne è grato! La tua fine farà iniziare una nuova era del male! L’era che era stata interrotta secoli fa!”.
Una lugubre litanìa usciva dalle bocche dei demoni. Un canto triste e malvagio che li riportava al comando del mondo. Tagliarono i legacci che mi serravano i polsi. Come un automa mi diressi verso l’enorme Graal.
Mentre ingurgitavo assetata la calda sborra, lamenti, bestemmie e urla sataniche riempivano la cripta.
Mi furono tutti attorno. Bocche fameliche mi leccavano e mordevano. Mi ritrovai sommersa da un intrico di corpi. A turno mi possedevano ferocemente. Mi ritrovai due cazzi contemporaneamente in culo; mi ritrovai quattro cazzi da succhiare con foga. Le infermiere leccavano il mio corpo da cima a fondo sditalinandosi a vicenda. Tutti ridevano e urlavano proferendo bestemmie di una volgarità inaudita. Mi ritrovai sommersa di sborra calda. Sborra in culo, sborra sul viso, sborra su tutto il corpo. Le due donne ne mangiavano a sazietà. Io non riuscivo più a vedere. Lo strato di sperma sui miei occhi, era troppo denso. Le due lingue femminili mi ripulirono completamente, versando dalle loro bocche nella mia, il prezioso e viscoso liquido.
Antonino sollevò la mannaia. Un cesto in vimini, sotto di essa, avrebbe accolto la mia testa.
“Ora, portiamo a termine il rito!” urlò Antonino. “Reginella! Apri lo stipo accanto al grande altare e prendi l’Idolo! L’idolo che la nostra confraternita conserva gelosamente, a riparo degli impuri, da quasi 4000 anni!”.
Come una condannata nel braccio della morte, mi avviai verso il maligno nascosto. Se non altro, l’ultimo pasto prima dell’esecuzione era stato di mio gradimento: svariati etti di sborra calda.
Aprii l’anta. L’idolo raffigurante Azazèl mi guardava. Mi guardava pure la mitraglietta UZI dotata di caricatore da 50 colpi posta alla base del demone. Grazie Felipe! Non pensai. Imbracciata l’arma, cominciai a sparare.
I corpi cadevano davanti a me. Chi cercava di fermarmi cadeva. Chi cercava di guadagnare l’uscita, cadeva. Raffiche brevi. Non potevo restare senza munizioni. Tutto durò un minuto. Forse meno. Gli unici due in piedi erano ora Don Antonino e Felipe. “Maledetta!” urlò il mio Signore e Padrone. “Che tu sia maledetta per l’eternità!”. Tornai allo stipo. Buttai a terra l’idolo che andò in mille pezzi. “Nooooo!” urlò Antonino. Una smorfia di soddisfazione era presente invece sul viso del messicano. Accadde velocemente: tutti i corpi, eccetto quello di Felipe, si dissolsero. Sabbia. Divennero sabbia. Una sorta di brezza calda vorticava per la cripta. Felipe mi guardava: “E’ finita” disse. “Perché lo hai fatto? Perché mi hai aiutato?” chiesi.
“Perché sono stanco tesoro… ora spero di avere un po’ di pace. Probabilmente torneranno. Ma dovranno ricostruire tutta la ragnatela del male. Esci da questo luogo maledetto. Vai via! Non tornare mai più. Prima di andare, dai fuoco a questo luogo. Il fuoco purifica. Portati via i tesori della casa. Nella stanza di Antonino troverai denaro e gioielli. Sono tuoi. Addio Reginella: sei un gran pezzo di fica! Il montarti è stato per me a cosa più bella nelle mie innumerevoli vite…. “. “E tu che farai Felipe?” chiesi.
“Io resterò qui”. Velocemente, si avvicinò alla mannaia e, infilato il capo sotto la lama, tirò la leva che la azionava. La testa rotolò nel cesto. Come gli altri, anche i suoi resti si dissolsero.
Tornai in camera. La casa era deserta ora. Riuscii a dormire. Mi svegliai di buon mattino e feci un’abbondante colazione. Andai nella stanza di Antonino. Le sue ricchezze erano custodite in un armadio blindato. Era aperto. Riempii una valigia con gioielli, denaro contante e un paio di chili di coca. Una fortuna. Ero sistemata per tutta la vita. Ne riempii un’altra con dei contenitori etichettati con strane formule chimiche. Probabilmente era la “medicina” portentosa usata da Antonino e Felipe per garantire le loro fantastiche inculate da stalloni. Sarebbe stato il mio souvenir dalla Calabria per quel bastardo di Renato… La mia attenzione fu poi attirata dal piccolo dipinto d’epoca seminascosto nell’ombra su una parete laterale della stanza. Raffigurava Robespierre e Danton. I due rivoluzionari mi guardavano. I loro visi erano quelli di Antonino e Felipe… Cristo! E chissà chi ero stata io….
Portai fuori i bagagli. Nessuno. Due collari borchiati stavano sopra due mucchietti di sabbia. Anche i cani non erano più un problema. Andai nella rimessa. Riuscii, in un’ora, a trasportare e versare per tutte le stanze del maniero una ventina di latte di benzina. Seguendo il consiglio di Felipe, appiccai il fuoco. Mentre mi allontanavo a bordo di un’auto di grossa cilindrata, ammiravo la mia opera nello specchietto retrovisore.
Feci visita a Renato un mese dopo il mio ritorno. Probabilmente mi dava per morta. Nel frattempo, avevo acquistato un appartamento signorile fuori città. Vestivo sempre da donna (anche perché sembravo totalmente donna). Dei buoni investimenti mi avrebbero garantito una vita tranquilla e agiata.
Maschi ne avevo in abbondanza. Praticamente passavo le giornate a prenderlo in culo e a mangiare sborra. Sperimentavo, sugli stalloni che frequentavo, la miracolosa medicina di Antonino. Naturalmente a loro insaputa. Essi erano convinti che fosse per merito del mio corpo fantastico se il loro cazzo, improvvisamente, raggiungeva dimensioni ragguardevoli mai avute prima. Contenti loro…
Quando suonai alla porta di Renato, me lo trovai di fronte sorridente.
“Ciao figlio di puttana!” dissi. “Ciao troia!” rispose. “Sei meravigliosa! Sei fantastica! Dio! Ma sono tette vere! Mi sei mancata sai?!”. Gli sputai in faccia. “Sei un bastardo figlio di puttana!” rincarai.
Si pulì il viso da cane bastonato. “Non ti preoccupare. E’ finita. Sei salvo. Li ho uccisi tutti”. Mi guardò incredulo. “Dici sul serio? Tutti?” “Si” risposi. Non mi chiese come. Non mi chiese più nulla.
Mi fece accomodare. Bevemmo e gli feci provare la coca. Quando gli porsi il contenitore con la “medicina”, sembrava un bambino che scarta i regali di Natale. Disse: “Ora mi va meglio sai? Ho fatto degli investimenti azzeccati e sono tornato a galla. I problemi economici sono un lontano ricordo”. Non credetti ad una sola parola di quello che diceva. Probabilmente era invischiato in qualche losco traffico. “Mi fa piacere” risposi. “Anche perché, d’ora in poi, se mi vorrai, mi dovrai pagare”. “Pagare?” chiese incredulo. “Si. 1000 euro ad inculata e 500 per un pompino”. Non fece una piega. Si alzò, prese dal portafoglio 2000 euro, me li porse, ed ingollò una pastiglia di “medicina”. Andammo in camera a festeggiare.
Bene: la storia finisce qui. Sono cambiata. Questa esperienza mi ha insegnato molto. Ora prego tutti i giorni. Devotamente.
Prego il mio unico Dio Signore e Padrone: Azazèl.
reginella2462@virgilio.it
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