Tyshell I - L'incontro

di
genere
pulp

Non potevo più rimandare oltre, la necessità di parlare con qualcuno, di condividere la mia esperienza è diventata ormai troppo forte.
Mi chiamo Diego, ho 30 anni ed è il caso che incominci dall’inizio.
Lavoro come impiegato in un’azienda che si occupa di consulenza informatica da due anni, cioè da subito dopo la mia laurea magistrale e sono sposato da poco meno. Per darvi qualche indicazione su di me, così che possiate meglio immaginarmi, sappiate che sono una persona allegra e solare, sebbene raramente io faccia il primo passo quando si tratta di uscire e non mi dispiaccia affatto una serata in casa – il classico trio: cioccolata calda, coperta e Netflix; sono alto 1.75, ho i capelli neri e occhi azzurro chiarissimo, quasi grigio.
E la mia vita è cambiata un pomeriggio freddo di gennaio.
Ricordo vagamente l’ora ma saranno state le 16, e fuori nevicava appena – quella neve fioca e secca che rende magiche le giornate d’inverno – ma quanto bastava per rendere il cielo grigio e offuscare la poca luce dell’ormai quasi imminente tramonto.
Ricordo invece molto bene cosa stavo facendo e come mi sono sentito.
Stavo scrivendo il verbale relativo all’ultimo intervento che avevo svolto giorni prima presso un privato, sommerso dalla noia ma, all’improvviso, ho avvertito una sensazione avvolgente, come quella del calore di una tisana al miele bevuta prima di addormentarsi. Insomma, improvvisamente ho percepito di stare bene, di sentirmi a mio agio, potrei dire quasi coccolato. Questo all’inizio, almeno. Cullato da quel benessere ho provato a riprendere la mia mansione, ma ciò che ho percepito dopo è stato ancora più strano.
Una carezza.
Sì, una carezza sulla nuca, dai capelli al collo; una carezza delicata, regalatami da una mano morbida e tiepida.
Soltanto che non c’era nessuna mano.
“Ehi, che succede?” Ho domandato, solo vagamente teso, più che altro incuriosito.
“Vik?” Vittorio era il mio collega, assente da una settimana per questioni familiari che lo avevano portato a mangiarsi ora una delle sue settimane di ferie estive.
No, non era Vittorio, non era nessuno. Per quella sera non ho sentito altro.
Il giorno seguente, e ogni giorno per una settimana, alla stessa ora, però, le carezze si sono ripetute; dapprima solamente sul collo, poi pian piano ho iniziato a percepirle sul viso, su braccia e mani, sul petto, e persino sulle cosce.
Ora, so benissimo che in molti, fra chi sta leggendo queste righe, non crede all’esistenza di spettri o creature ultraterrene e si starà ora facendo due risate, ma se siete arrivati sin qui non fermatevi ora. Nemmeno io ci credevo, prima, e ora sono qui a scrivere.
“Se questo è un qualche scherzo chiudiamola qui, ok?” ricordo di aver sussurrato, la volta in cui non ho più potuto reggere oltre quei fatti inspiegabili “Se invece qualcuno ci sta provando con me stacco alle 18, ci vediamo per un caffè al bar qui fuori…” ho concluso, ridacchiando.
Quello che non potevo minimamente prevedere è che, spero possiate crederci, quando alle 18 sono entrato al bar, mi sono accostato al bancone, ho ordinato il mio solito espresso schiumato, l’ho prima atteso e poi bevuto… Ho sentito, e più volte, quelle stesse carezze, lungo tutta la schiena. E questa volta i tocchi erano più lenti, intensi e, potrei dire, seducenti.
“Senti… chiunque tu sia…” ho sussurrato, appena il barista si era trovato fuori portata “Vieni con me, in auto e, ti prego, fatti vedere”.
Al che, ho pagato e sono uscito.
Entrato in auto mi sono accorto che il mio respiro era irregolare, alterato da qualcosa che non riuscivo a spiegare a me stesso. Ansia? Certamente. Paura? No, forse no. Curiosità? Tantissima.
Il sedile restava vuoto e io non sentivo nulla né attorno a me né tantomeno su di me.
Ho chiuso gli occhi, inspirato con calma e messo in moto, pronto a tornare a casa.
---
“Ehi, ciao”.
La voce era calma, calda e bassa, tuttavia mi esplose in testa come l’atomica.
Accanto a me, dove prima non c’era altro che il nulla, ora c’era una ragazza. Solo che non era ‘proprio’ una ragazza. Indossava un abitino corto senza spalline, nero come la notte e come i suoi capelli lunghi e lisci, non portava scarpe e, dettaglio più sorprendente del suo aspetto, aveva gli occhi di un’accesa sfumatura di viola. Ah be’ poi aveva la carnagione di un rosso vagamente scarlatto.
Non aggiunse nulla di più e io, d’altro canto, mi ero ritrovato scosso e senza parole.
Quando si chinò su di me il mio primo pensiero fu che le sue labbra, a contatto con le mie, erano davvero calde. Uso l’aggettivo ‘caldo’ nell’accezione di ‘accogliente’, ‘morbido’, ‘piacevole’; il secondo invece, quando la mia mano le sfiorò la guancia, il collo e il braccio, che la sua pelle era sorprendentemente liscia.
“Mi chiamo Tyashell e sono salita dagli inferi apposta per te. Puoi chiamarmi Tya, ma sono la tua succube personale, perciò puoi chiamarmi come più desideri, Diego, mio signore.”
scritto il
2023-08-07
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