Il sorriso stampato sul volto

di
genere
bisex

L'ultimo messaggio dice "facciamo alle sette e mezza ché fa meno caldo". Poso il telefono e mi stendo, penso che posso prendermela comoda e finire la mia playlist. Anzi no, prima un tuffo. Mi sfilo la maglietta, chiedo a mia sorella e al ragazzo se vogliono seguirmi, no?, vado sola, splash. Cazzo, la cuffietta. Non le ear pods con cui stavo ascoltando la musica, parlo della cuffietta per i capelli. Qui ci stanno abbastanza attenti. È la piscina del circolo dove qualche anno fa giocavo regolarmente a tennis, vorrei evitare brutte figure. Ma dopo la smessaggiata con Giulio mi sono distratta a prefigurare gli eventi. È quasi certo che dopo andremo a casa sua e scoperemo, altrimenti non mi avrebbe chiesto di cenare da lui. Ho controproposto un aperitivo. Per gioco, per il gusto di sentire crescere dentro la tensione, la mia e la sua. Il sesso tra noi non è una cosa che "è nell'aria". Lui mi si vuole fare e io idem, ce lo siamo proprio detto. Anzi, scritto. Credo che Whatsapp e i DM li abbiano inventati proprio per questo, per scriversi "non vedo l'ora di scoparti", "anch'io". E molto probabilmente sarà stasera.

Giulio non è esattamente un "cotto e mangiato", ci siamo arrivati per gradi. L'ho conosciuto qualche mese fa in un club, una sera in cui, ok, avrò bevuto un paio di shot ma non ero neanche brilla. Rapido gioco di sguardi, presentazione, cinque minuti di conversazione intensa e leggera al tempo stesso fino al suo rammaricato e anche un po' imbarazzato "scusami, devo andare". Va bene, vai pure, è un classico. Tanto i contatti ce li siamo scambiati e l'ultimo sorriso ce lo siamo fatto, chi vivrà vedrà. È quella che di solito va sotto il nome di "chimica", ma per quanto mi riguarda preferisco dire "un po' zoccola": qualche parola scambiata di tanto in tanto e poi, all'improvviso, poco più di una settimana di messaggi via via più roventi, fino a diventare espliciti: "meno male che quella volta dovevi andare via", "quale volta?", "la sera che ci siamo conosciuti", "perché meno male?", "hai ragione, sfiga! ahahahahah".

Detesto, e perdono molto raramente, quelli che out of the blue mi mandano immagini delle proprie erezioni, ma nel contesto di quel gioco che si era fatto sempre più erotico uno strappo alla regola non mi sarebbe dispiaciuto, quella sera. Tipo introduzione al sexting, che non stavamo facendo e che poi in realtà non abbiamo nemmeno fatto. Una volta chiusa la chat mi sono messa davanti allo specchio e mi sono scattata una foto del culo, era un po' che non lo facevo. Non ero per niente sicura che avrebbe “ricambiato”, anzi credevo il contrario, però lo ha fatto. Niente fuochi d'artificio ma nemmeno male, anche se ho pensato che la mia amica Stefania lo avrebbe chiamato "Mister Cazzo a Uncino" e ci avremmo riso sopra parecchio. Tuttavia mi consolavo dicendomi che, se il Fato avesse voluto, avrei aggiunto alla mia collezione quel cazzo che un'altra ragazza considerava di sua proprietà esclusiva. Li preferisco, per tante ragioni. Una delle quali è che, dopo, non ci sono fastidiosi strascichi di carattere sentimentale.

Solo il giorno dopo, cioè ieri, Giulio mi ha chiesto se mi fossi masturbata su quella foto. Gli ho detto "no, e tu?", "davvero lo vuoi sapere?", "non c'è bisogno ahahahah".

Faccio finta di nuotare e mi dico che deve esserci una congiunzione astrale a lui molto favorevole: casa libera e fidanzata fuori dalle palle. Ho fatto bene a mettere tra i noi-vestiti e i noi-nudi lo spazio di un aperitivo, forse mi farò corteggiare più di quanto sia necessario. Faccio finta di nuotare e penso che l'attesa sarà divertente, probabilmente eccitante, c'è sempre un attimo in cui leggi negli occhi dell'altro "non vedo l'ora di mettertelo dentro", mi piacerebbe coglierlo. Faccio finta di nuotare e mi chiedo com'è quando ti mette sotto, spero che sappia il fatto suo perché ho più voglia di subire che di essere attiva. Faccio finta di nuotare e intanto ricordo, cazzo...

Subire, essere attiva, la piscina...

È ovvio. Questa sarà la seconda che torno in piscina da quando è successo, ma è ovvio che entrambe le volte ci ho pensato. Anche poco fa, per dire, quando sono arrivata e mi sono stesa all'ombra. Così, però, mai. Ero troppo proiettata sulla serata con Giulio. Adesso, invece...


Flashback a più o meno un mese fa, in un pomeriggio in mezzo alla settimana in cui non c'era tutto il casino del sabato. E non c'erano nemmeno mia sorella e il suo ragazzo. Relax totale di un dopo-esame sotto l'ombrellone e acqua ancora un po' fredda che non invogliava a tuffarsi come oggi. La voce di una ragazza che con accento ligure (l'avrei imparato dopo che quello era un accento ligure) mi chiede: "Scusa, ma qui esiste uno spogliatoio?".

Solo più tardi, a cose fatte e strafatte, mi sarei detta che già quella domanda era la prima mossa di una cacciatrice. E che io ero la preda. Mi ci sono anche sditalinata, in seguito, ripensandoci. Ma lì per lì ho aperto gli occhi e mi sono ritrovata davanti una tipa con i pantaloni della tuta verdi e una maglietta dello stesso colore con la scritta dello sponsor. Le ho indicato lo spogliatoio, un po' lontano, proprio per quello non lo usa quasi nessuno, di solito si viene qui con il costume già sotto.

Quando è tornata ho capito che aveva voglia di chiacchierare, si sentiva sola. Io no, ma dopo l’esame ero totalmente zen per cui... “Piacere, Teresa”, “Annalisa”. Abbiamo chiacchierato e ho saputo che era a Roma per dei controlli al Centro di Medicina sportiva.

- Ho preso una bastonata su un tallone e non passa mai.
- Dicono che lì sono bravi…
- Credevo che qui l’acqua sapesse di aceto…
- Ahahahahah… no, non lo so perché si chiama così.

È una giocatrice di hockey, più che altro indoor. È una giocatrice di livello nazionale, ha aggiunto non dico pomposamente ma quasi. Ho registrato mentalmente che se giochi a hockey indoor non deve essere poi tanto difficile diventare di livello nazionale. Però è stato così che abbiamo cominciato a raccontarci e a passare il tempo, parlando soprattutto di sport. Di me le ho detto che giocavo a tennis, che ero nella squadra di questo circolo, che ero classificata. E che alla fine mi sono rotta i coglioni, non sopportavo più il coach. Ci siamo scambiate complimenti sulle rispettive forme fisiche, per la serie "si vede che fai/hai fatto sport". Era caruccia, con un corpo visibilmente allenato ma senza fastidiose ipertrofie muscolari. Era caruccia e a volte l’ho sorpresa a squadrarmi attentamente. All'inizio pensavo che lo facesse con gli occhi della sportiva, poi boh...

Poiché si annoiava ci siamo messe d'accordo per il dopocena. Per meglio dire, l’ho invitata a un'uscita collettiva, avevo un esame da festeggiare. E tranquilla, va benissimo anche un paio di jeans.

- Ok, ci vediamo stasera.
- Se aspetti un po' ti accompagno, ho la macchina.
- Non preoccuparti, saranno due fermate di pullman.

Ho sorvolato sul "pullman" e sul fatto che in città si chiama "autobus". A Roma il pullman lo prendi se vai a Rieti, sti provinciali…

- Guarda che non è un problema.
- Non ti disturbare, sei un amore.

"Sei un amore" e bacio sulle labbra. Voluto, non per sbaglio. Nulla di eccessivo e nulla da segnalare, se non i nostri occhiali da sole che si scontrano. Ma ripensandoci, e ripensando al modo in cui mi squadrava prima, mi sono scoperta un po' turbata.



Ding! "Scusa, non posso! Ho una cena pallosissima con il presidente e sua moglie". Rapido scambio di informazioni per capire che "il presidente" era quello della sua società: "non potevo venire a Roma da sola". Mi sono detta che boh, vabbè, forse era vero o forse era una scusa, ci aveva ripensato. "Mi dispiace, non era nulla di che ma magari ti divertivi". Ok, pazienza.

"Ti va di passare da me? Possiamo bere qualcosa prima".

Wait a minute, che gioco era?

"Ok, allora mi preparo", le ho risposto. Mi sono domandata, è chiaro, "ma questa che cazz...?"

"Prima vieni meglio è", ha aggiunto. E lì mi è stato lampante che non sarebbe stato un aperitivo: somigliava molto di più a un appuntamento del tipo "vediamoci, scopiamoci, salutiamoci". Ma è logico: il suo sguardo insistito, i suoi occhi nei miei, le sue mani sulle mie spalle mentre facciamo il bagno, il bacio. Per non parlare della sua domanda "casuale" su dove fossero gli spogliatoi e del modo, quello sì per nulla casuale, con cui era tornata da me dopo essersi messa il costume. Mi aveva rimorchiata senza che nemmeno me ne accorgessi? Crampo, calore... ho ripensato al suo accento con cui mi diceva "si vede che sei allenata". Ma non mentre stavamo per entrare in acqua, come in realtà aveva fatto, ho immaginato che me lo sussurrasse passandomi la lingua sulla pelle. Pulsazioni, desiderio, decisione presa con il basso ventre.

Mi sono detta "perché no?". Mi sono detta "festeggiamo così". Mi sono detta che c'era qualcosa in lei che mi attraeva e non era il fisico, anche se il fisico era ok. Mi sono bagnata pensando al tocco delle sue mani.

Ma ho fatto un errore. Anche se con una certa fretta, mi sono concessa una doccia. A conti fatti avrei dovuto andare da lei con tutto il cloro ancora addosso. E invece la doccia, lo shampoo, l'asciugata sommaria, la macchina, il parcheggio... Un po' di tempo se n'è andato così.

E vabbè, che vi devo dire? Ci hanno beccate. Non subito, però. Ciò che è successo subito, appena chiusa la porta della sua stanza, è stato un suo sfogo da superincazzata. Aveva litigato con il fidanzato al telefono, l'ennesima recriminazione ("che va avanti da giorni, che palle!") sul fatto che lui avrebbe voluto accompagnarla e così avrebbero potuto visitare insieme Roma. Beh, invece l'ha fatto il presidente della sua squadra con la moglie ahahahah... Non ci penso mai abbastanza che per chi è di fuori la Capitale ha un certo fascino, è un oggetto di desiderio. "Com'è che non l'hai portato?", "beh, non potevo certo farlo dormire qui o farmi pagare l'albergo, e poi non avrei avuto questo".

Ok, "questo" cosa? Era banale, ma giuro che non ho avuto nemmeno il tempo di chiedermelo. Il "questo" è stato un bacio appassionato, il primo dei tanti. Se io la voglia me l'ero fatta venire, in lei ho avvertito quasi un bisogno represso. Volendo, potete anche togliere quel "quasi": da superincazzata a superinfretta e superattiva in meno di un secondo. Wow, è magnifico quando si saltano i convenevoli.

"Superattiva" significa che praticamente mi si è fatta lei, in modo molto "maschile" se capite cosa intendo. Disponendo di me: mettiti sulla schiena, mettiti sulla pancia, leccami le dita, baciami le tette. Lei comandava e io, tra i tanti modi possibili, godevo anche ad eseguire velocemente. Ma al tempo stesso voleva che la offendessi, tipo che le dicessi che era una "lesbica di merda" e che la umiliassi. Premesso che a me il dirty talking piace eccome, con una ragazza non mi era mai successo di spingermi così in là a livello verbale, e soprattutto una volta tanto non ero io la destinataria di quegli insulti, dovevo esserne la fonte. Non era molto facile, fisicamente mi aveva travolta e sessualmente mi dominava, ma cercava questo. Il caso aveva voluto che trovasse una che la comprendeva benissimo, ovvero la sottoscritta. A un certo punto si sono proprio aperte le cataratte, liberando una sequela di oscenità fino a quel momento solo pensate.

Le sussurravo che era una troia lesbica, che non aveva bisogno del cazzo del fidanzato, che solo le lesbiche la leccano così, che avrebbe dovuto fare coming out e sputtanarsi girando nuda con scritto a pennarello "sono una zoccola schifosa e mi piace la figa", che doveva essere la sgualdrina di tutte le sue compagne e lapparle una per una nello spogliatoio, che la dovevano scopare con i bastoni da gioco. Più le parlavo e più si eccitava (anche io, ammetto), più si eccitava e più mi soggiogava. Dopo avermi mostrato il suo talento, davvero notevole, con la lingua era arrivato il momento delle dita. Fottuta e leccata, leccata e fottuta. E "fottuta" stavolta non è una parola a caso. Violent sex, una foga quasi rabbiosa: avevo il terrore che mi sventrasse, come quando becchi uno con il cazzo esagerato. Ma in realtà in quel momento, se per assurdo avessi potuto scegliere, non avrei scelto il cazzo, avevo esattamente voglia di quello. Le sue dita, i suoi baci, i suoi morsi sulle tette, i suoi ordini di insultarla ma senza fare tanto rumore. Pantaloni calati, stesa di traverso sul suo letto per l'assalto finale, nella penombra. E bagnatissima: il volume delle mie contumelie sussurrate e dei miei sospiri era molto più basso del rumore che faceva il mio sciacquettìo. Quattro ore? Cinque? Quanto tempo era passato dal suo "scusa, ma qui esiste uno spogliatoio" al mio orgasmo? Pezzettini del mio corpo esploso per tutta la stanza, chi li raccoglierà e rimetterà insieme? Come fermerò le mie gambe? Quando smetterò di tremare? Quando smetterà di tapparmi la bocca e tornerò a respirare?

Superattiva prima e superdolce poi, dopo che ero venuta. Sorrisi, baci e "quanto mi piaci", che fa pure rima. E alla fine anche io ho fatto venire lei, invertendo la sequenza: prima la mano e poi la lingua. Non parlava, stavolta gemeva piano. "Mio Dio" sì, lo diceva, ma tutto in modo sussurrato. Pensavo che avrei dovuto finirla a mia volta spingendole le dita dentro, ma mi ha sorpresa godendo sulle mie labbra. Superdolce anche lì, la maschiaccia era sparita e ha goduto "da ragazza". Ho sentito solo una leggera pressione sulla testa e i suoi spasmi, e credo che lei sia stata la prima a essere sorpresa di quell'orgasmo così rapido.

Chiacchiere. Chiacchiere ancora ansimanti e sfacciate. Naso contro naso, con i miei capelli biondi che si mischiavano con i suoi capelli castani. Quelle chiacchiere che possono farsi due tipe che hanno oltrepassato la soglia del pudore e che ridacchiano baciandosi e sussurrandosi "sai di figa", "anche tu".

- Qualcosa me l'ha detto subito che sei lesbica - mi ha fatto.
- Cosa?
- Non lo so.
- Comunque non è proprio così...

Lei invece si sente di esserlo, anzi lo è proprio. E mi ha confessato che si sente anche in colpa a esserlo, che per mille motivi che non mi ha detto era fidanzata con un ragazzo e non aveva rivelato niente a nessuno o quasi. Sosteneva che in squadra con lei ce ne erano almeno un paio e che un'altra era bisex come me, una di loro non ne faceva mistero, anzi. Sosteneva che la sua società ha anche una squadra di calcio femminile e lì sì che ce ne erano diverse. Per questioni ormonali, mi ha detto, ma a me pare una cazzata. Mi ha raccontato anche che se si faceva qualcuna prima delle partite riusciva a performare meglio e che anche per un'altra ragazza del calcio era così. Perciò, anche se quella non le piaceva molto, quando era possibile e non c'era di meglio se la scopava.

Mi ha detto: "Quindi anche tu sei fidanzata?". Le ho risposto ciò che mi sentivo di rispondere in quel momento, peraltro non tanto distante dalla verità: che sono quasi una ninfomane, anche se è una parola che odio. Ma ero molto eccitata e volevo essere eccessiva. Ha sorriso, mi ha baciata e mi ha fatto un altro ditalino. Ho avuto la netta impressione che fosse una specie di premio. È stato in quel momento che la sua compagna di stanza ha aperto la porta. È stata proprio questione di un attimo: mi si è chiaramente vista sul letto e con i pantaloni ancora abbassati e lei, di spalle, che mi si faceva. Il mio sguardo e quello della nuova arrivata si sono incrociati. Ha sorriso, ha detto "oh, scusate" e poi ha richiuso la porta.

Teresa ha sussurrato "credo che passerò un guaio, ahahahah..." poi, cambiando in un istante espressione in viso, mi ha finita. E io mi sono lasciata finire. Come prima, peggio di prima. È tornata Alfa, ha dovuto mettermi ancora una mano sulla bocca. Prima quella libera, poi quella bagnata dai miei viscidi succhi. Non ho potuto nemmeno insultarla ma ho capito che essere state colte sul fatto, anziché inibirmi, aveva eccitato straordinariamente anche me.

"Anche a me piace essere insultata", "a te piace fare quello che ti si dice, mi sa". La mia risatina le ha dato la conferma: "Beh, non proprio sempre, ma succede...".

Mentre mi spruzzo il deodorante e mi preparo a vestirmi per andare all'aperitivo con Giulio, penso che ci vorrebbe proprio una come Teresa, adesso. Subire, eseguire, sciorinare passività, essere considerata da un'estranea una povera zoccolina scema caduta nelle grinfie di quella lesbica di merda. Ci vorrebbe una come Teresa che mi usi e che poi sia dolce, me la meriterei. Sarebbe bello che fosse qui anche solo per mezz'ora. "Vuoi passare da me?".

E poi andare a scopare con Giulio, con il sorriso stampato sul volto.

scritto il
2024-03-19
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