Colpo su colpo (Love in the shadow) Cap. 7
di
Capitan_America
genere
pulp
REEL ONE, BLACK MAGIC
Ancora non riuscivo a spiegarmi come fossi riuscita a farmi convincere. L’edificio era completamente fatiscente, mi sono infilata dentro passando in un’apertura nella recinzione. Mi sono fatta largo tra i rovi, l’erba alta mi nascondeva completamente dalla strada. Una palazzina di quattro piani, non c’erano finestre né porte, soltanto cartelli sbiaditi del palazzo in costruzione. I rumori del traffico si sono smorzati appena ho varcato l’ingresso. Sono entrata dal retro e ho percorso un lungo corridoio. Dalla penombra dell’edificio abbandonato riuscivo a scorgere la normalità della realtà all’esterno. Le auto in transito sulla strada principale, passanti ignari sui marciapiedi. Nel parco lì vicino un gruppo di ragazzini giocava a pallone. Ho raggiunto una scala di cemento senza ringhiera. Portava al primo piano, la stanza sul pianerottolo era completamente al buio. Ho pensato: “C. A. sei uno stronzo. Sei talmente stronzo che persino il tuo riflesso nello specchio pagherebbe pur di non vedere più la tua faccia di culo”. C’è voluto un po’ perché gli occhi si abituassero al buio, le pareti erano coperte di graffiti e scritte oscene. In un angolo sono riuscita a vedere dei mobili abbandonati, una poltrona e un vecchio divano con la fodera strappata. Su una delle pareti avevano disegnato con il dito un occhio di Horus, sopra l’ombra di cenere di un incendio. Sentivo i muscoli irrigidirsi per la tensione, ho cercato la torcia tascabile nella borsa, ma prima che potessi accenderla un rumore alle mie spalle mi ha fatta trasalire. La parete sulla scala era completamente ricoperta di edera nera, le foglie si stavano aprendo. Ho puntato la torcia verso l’edera, il sottile fascio di luce mi ha mostrato il volto di Natasha.
“Cristo Santo! Ma che cazzo, mi hai fatto venire un colpo”
“È la luce. È solo colpa di quella luce là fuori. Non riesco a sopportarla”
“Stronzate! La luce all’esterno non può farti proprio niente. Perché cazzo mi avete fatta venire in questo posto del cazzo?”
“Sei rimasta solo tu, devi andarci subito”
“E dovevi farmi venire qui per dirmelo?”
“Questo è l’indirizzo, ti accompagneranno Hansel e Gretel, ti aspettano insieme alle Vondervotteimittis”
“Mi mancavano quei due svitati. È l’ultima volta, ficcatevelo in testa”
“Loro non possono entrare, ti accompagneranno sul posto, ma dovrai andare dentro da sola”.
Mi sono avvicinata a Natasha per prendere il biglietto con l’indirizzo, la sua mano è sbucata tra le foglie nere. Quando ho sfiorato le sue dita di non-morto mi si è gelato il sangue nelle vene, il Conte Orlok stava lasciando la bara per riscuotere il suo debito di sangue.
“Clara, ti staranno addosso fin dall’inizio”.
Ho afferrato il biglietto e sono uscita di corsa. Il sole stava calando sulla città. Ero rimasta in quel posto senza accorgermi del trascorrere del tempo. Prima di salire sul pick-up di Vivien mi sono voltata a guardare il palazzo abbandonato. La scena era totalmente assurda. Uno stormo di gabbiani si stava radunando sul tetto dell’edificio, volavano in cerchio intorno all’ombra di una ragazza in bilico sull’orlo del cornicione. Sono rimasta a fissarla per qualche secondo e ho avuto l’impressione di poterla vedere da vicino, come se mi trovassi proprio di fronte a lei. Con le labbra stava sillabando una parola: Dis-tò-pia. Poi mi sono accorta della sfera luminosa in cielo. Era incredibilmente luminosa, attraversava l’orizzonte lasciandosi dietro una scia di luce. Ho messo in moto e sono andata dritta da “O”.
- Riusciranno a riprenderla, non devi preoccuparti. Le distorsioni dovute alla Cometa ci aiuteranno. Le parabole sembrano impazzite. Tra poco i sistemi andranno in completo blackout. Anarchy –
- Sta succedendo. La recinzione. SweetRevenge –
- Che cosa? Di che parli? Anarchy –
- Sta svanendo. SweetRevenge –
Ho trovato le Vondervotteimittis intente a giocare a poker, sul pavimento della camera di Jenny. Stavano usando i preservativi alla frutta come fiche. Dolcevita aderente e pantaloni di velluto neri, tenuti su da un paio di bretelle rosse. Judy si era messa anche una bombetta in testa. Sembravano molto prese. Hansel era a petto nudo sul divano, si stava scolando una Brewdog davanti all’ episodio di una serie tv inglese anni ’70. The Professionals, avevo riconosciuto la sigla. Continuava a muovere la testa avanti e indietro seguendo la musica. Gretel stava preparando uno spinello di marijuana seduta a gambe incrociate di fianco a lui sul divano verde.
“Io non ho mai capito una cosa. Perché nella sigla si vedono quattro agenti sfondare le porte durante l’addestramento, se poi nella serie si vedono sempre soltanto Boyle e Bodie?”
“In realtà gli altri due si vedono soltanto in un episodio”
“Esatto probabilmente lo hanno fatto apposta per rispondere a queste domande dei cazzoni come te”
“E perché CI5? Non dovrebbe essere MI5? Per cosa sta la C?”
“La C sta per Cazzone, cazzone. Accendi questo invece di dire stronzate”.
L’episodio lo conoscevo. Un tizio veniva costretto ad indossare un collare di acciaio in grado di strangolarlo e obbligato a compiere alcuni atti terroristici. Se avesse provato a togliersi il collare, sarebbe saltato in aria. Ho lanciato il biglietto di Natasha sul piatto delle Vondervotteimittis. Loro hanno fatto finta di niente.
“Non ti agitare, lo sappiamo già quello che vuoi dire”
“E’ l’ultima…”
“…volta. Si lo sappiamo. Sei passata proprio sotto gli scanner della Media-elektron. Non c’è nient’altro che vuoi dirci?”.
Gretel si era spostata i capelli da una parte per cacciarsi in gola il cazzo di suo fratello. Lui stava facendo un tiro interminabile dallo spinello. Aveva piegato la testa all’indietro e chiuso gli occhi. Stava cercando di trattenere il fumo nei polmoni il più a lungo possibile. Lei ha fatto lo stesso con il suo cazzo.
“Ho visto una donna”
“Davvero? Non sempre, sai, quello che vediamo e quello che crediamo di vedere coincidono”
“Mi avete rotto con i vostri enigmi del cazzo. E poi si può sapere a che cazzo servono quei due idioti? Porca puttana volete piantarla o no?”.
Gretel si è alzata dai jeans sbottonati del fratello e si voltata sorridendo verso di noi. Si sforzava di non aprire la bocca per ridere. Dopo si è messa a fare i gargarismi con lo sperma. Lui rideva come un idiota.
“E’ davvero forte la mia sorellina, vero?”
“Sentite, devo arrivare in quel posto. Questo è quanto”.
Elena si è allungata sul pavimento, appoggiandosi con i gomiti.
“Ok. Ma dopo”
“Che accidenti è quella specie di cometa?”
“Lo vedrai presto, non essere impaziente. Questa sera andiamo a cercare proprio lei”
“Lei? Vuoi dire che si tratta di una donna? È lei che ho visto su quel cornicione?”
“Sei troppo nervosa”.
Dopo il sesso sono piombata in un incubo. Ero immersa nel buio più completo. Mi sono accorta della passerella di metallo soltanto per il rumore dei passi. Si avvicinavano lentamente da un punto imprecisato nell’oscurità. Elle. Indossava il bavaglio di acciaio, stivali di pelle e un body nero trasparente. Sotto non portava niente. Le sue unghie coperte di smalto nero mi hanno sfiorato il viso, ha piegato la testa da un lato prima di parlarmi nella mente. Nell’altra mano stringeva il guinzaglio di una pantera nera. Sentivo la sua presenza vicino a noi, anche se a mala pena riuscivo a distinguerne la sagoma.
“Lucy vuole vederti”.
La luce blu della Via Lattea ha finalmente squarciato il buio, le stelle in movimento sopra le nostre teste facevano brillare il bavaglio di acciaio di Elle. La pantera si è accucciata ai suoi piedi. Sotto di noi una distesa di cavi intrecciati emetteva una specie di ronzio. La passerella di metallo si allungava a perdita d’occhio all’interno di un gigantesco tubo di vetro percorso da un reticolo di filamenti azzurri. Si accendevano e spegnevano in continuazione, come una pulsazione. La prima sfera luminosa è passata sopra le nostre teste ad una velocità incredibile, una scarica di vibrazioni mi ha attraversato il corpo. Mi sono piegata in avanti appoggiando le mani sulle ginocchia. A stento sono riuscita a trattenermi dal vomitare.
“Che accidenti era…che cos’è questo posto?”
“Un canale virtuale. È il segnale, non capisci?”.
Poi mi ha preso per mano e ha cominciato a camminare nell’oscurità. La passerella scendeva gradualmente verso i cavi. Erano completamente immersi in un liquido scuro e appiccicoso, fuoriusciva da quel groviglio inestricabile inghiottendo la superficie dei pannelli di metallo su cui ci trovavamo. Ho guardato Elle negli occhi, ha intuito i miei pensieri ancora prima che potessi aprire bocca.
“Sangue”.
REEL TWO HI SPIDER!
L’amica della tizia albina dormiva profondamente sul sedile del passeggero, riuscivo e vedere le sue pupille muoversi sotto le palpebre dallo specchietto retrovisore. La ragazza tedesca era completamente assorta, guardava fuori senza fare caso a noi. Jenny ha abbassato leggermente il finestrino e si è accesa una sigaretta, ha soffiato una lunga boccata di fumo dallo spiraglio aperto. Poi mi ha sorriso alzando un sopracciglio.
“Finalmente hai lasciato quel posto del cazzo. Era questo che volevi, no?”.
Non le ho risposto. Mi sono rannicchiata nella sua giacca a vento e ho cercato di dormire. Speravo di sprofondare subito in un lungo sonno senza sogni. Invece è ricominciato quell’assurdo programma notturno. Le Sister Sledge stavano ancora accompagnando la sequela di incidenti stradali quando è comparsa la scritta Special Guest The Living dead Girl. Una scena dello Studio del Dottor Caligari leggermente modificata ha chiuso la sigla di Oh! What? Wow! He’s The Greatest Dancer. La bara di Cesare si apriva lentamente, ma al suo posto all’interno c’ero io. Una sottoveste bianca e le occhiaie marcate dal trucco nero. Un primo piano ha mostrato i miei occhi mentre si aprivano al rallentatore. Poi l’inquadratura è saltata in studio. The Magic abbracciava dolcemente Miss Ginger, si baciavano sulle note di Lady, Lady, Lady. Enormi labbra femminili, coperte di rossetto blu glitterato, nella locandina alle loro spalle. Quando Joe Esposito è arrivato a “Let me touch that part of you, you want me to”, le mani di Mr. Magic sono scese velocemente sul culo di Miss Ginger.
“Mr. Magic è davvero romantico”
“Vero. Ora però dobbiamo tornare al nostro programma”.
L’ha spinta bruscamente sul divano e si è aggiustato la divisa da SS, prima di sedersi accanto a lei. Miss Ginger ha esclamato: “Oh! Anche questo è vero”. Davanti al divanetto di pelle questa volta avevano messo una cassettiera di legno antico.
“Miss Ginger questo è un episodio un po’ particolare, ma prima di cominciare dobbiamo dedicare qualche secondo al nostro sponsor di oggi”. Ha raccolto da terra un cappellino nero con la scritta WASABI verde sulla visiera e lo ha messo in testa a Miss Ginger.
“La nostra salsa WASABI SCHUTZSTAFFEL è veramente incredibile. Il suo sapore esotico si abbina con tutto”. Ha tirato fuori dal taschino della divisa un tubetto di salsa verde e lo ha passato a Miss Ginger. Lei ne ha preso un po’ con la punta dell’indice e si è messa il dito in bocca.
“Mmmm, sta bene anche sul dolce Mr. Magic?”
“Sta bene su tutto. Dolce, salato, abiti firmati”
“Halston, Gucci, Fio…”
“…rucci. Esattamente Miss Ginger. Adesso lanciamo il nostro servizio…un momento Miss Ginger. Non dimentichiamoci del nostro ospite speciale”
“Chi?”.
Mr. Magic a quel punto ha aperto uno dei cassetti di fronte a lui e ha tirato fuori la gamba di una donna. Una donna nascosta nel cassetto. Era indubbiamente la mia. Ha rimesso a posto la gamba e ha chiuso subito il cassetto.
“Che cos’era quello Mr. Magic?”
“Assolutamente niente. Passiamo subito al servizio”.
L’inquadratura si è spostata all’interno di un ristorante. Mr. Magic era seduto ad uno dei tavoli insieme a due gatti e una bambina bionda. C’era qualcosa di familiare nella bambina, ma sul momento non sono riuscita a capire cosa fosse. Uno dei gatti era seduto a capotavola, un gatto grigio con un collarino rosso. L’altro, bianco e nero, di fronte a Mr. Magic. Uno dei clienti del ristorante era appena morto per indigestione, il suo cadavere giaceva ancora sul pavimento. Il cuoco continuava ad aggirarsi in mezzo ai tavoli con una padella in mano, lamentandosi perché la cena non era pronta. Poi la bambina ha chiesto a Mr. Magic se anche i gatti potessero ordinare dal menu. Lui ha risposto: “Certo. Possono ordinare quello che vogliono”. Il gatto grigio si è leccato i baffi. Prima che mi svegliassi la bambina aveva appiccicato un biglietto sulla schiena di Mr. Magic, sopra c’era scritto un indirizzo. Gli ha detto: “Così non mi perdi”. Dopo ha messo un fiore sul tavolo, un girasole. Ne aveva una cesta piena. L’inquadratura è tornata bruscamente in studio. Miss Ginger e The Magic sono rimasti a guardare fissi verso la telecamera senza dire una parola per qualche secondo. Poi Mr. Magic ha detto: “Bene. Andiamo avanti”. A quel punto la scena si è spostata sul palco di uno spettacolo di magia. Miss Ginger era al fianco di Mr. Magic come assistente. Si era cambiata la tutina di spandex con le banane con una del tutto simile, grigia glitterata. I soliti occhiali da sole a farfalla rosa. Lui indossava un completo da sera da prestigiatore, con tanto di cilindro e mantello. In mano stringeva una lunga sega di acciaio. Io ero sul palco con loro, bloccata in una cassa di legno da cui uscivano soltanto le gambe e la testa. Si stavano preparando ad eseguire il numero della donna tagliata in due. Mi sono svegliata appena Mr. Magic ha appoggiato la sega sulla cassa.
- Non tirarmi di nuovo il bidone. È arrivato un messaggio da mamma Jenny. Oggi pomeriggio abbiamo da fare. Lucky_Star –
- Che palle. Non ci vengo, ho appena iniziato una maratona di X-Files. Non se ne parla. Raven –
- Non essere stronza come solito, ha detto che possiamo aiutarla soltanto noi due. Per cui tira via le dita dal grilletto e vestiti. Lucky_Star –
- Certo che David Duchovny era proprio un pezzo di fico nella prima serie. Raven –
- Idiota scommetto che ti stai fumando tutta la mia erba. Lucky_Star –
- Facevano una bella coppia, secondo me. Però bisogna dire che Gillian Anderson nei primi episodi aveva il culo decisamente troppo grosso. Sembra persino più grosso del tuo. Raven –
- Vaffanculo. Ti aspetto all’uscita della metro. Lucky_Star –
- Ma non hanno ancora beccato il tizio che succhia il grasso prima di andare in letargo. Ti farebbe bene uscire con uno come quello. Te lo dico io, molto meglio dell’equitazione. Raven –
- Alla metro. E lasciami qualcosa da fumare. Lucky_Star –
- Io, comunque, glie lo succhierei a David Duchovny. Raven -
Hansel ha fermato il pickup davanti all’ingresso di una palazzina di cinque piani. Prima di uscire si era messo addosso una maglietta grigia di Braccio di Ferro e un paio di Ray-Ban con la montatura nera. Le finestre dell’edificio erano tutte chiuse, persiane di legno sbiadito e malandato. Non c’erano luci accese in nessuna parte dell’edificio. Gli unici parcheggi nelle vicinanze erano sbarrati da dissuasori di acciaio con la vernice blu. Una piccola via secondaria a ridosso della zona industriale. L’umidità della sera aveva bagnato l’asfalto con una sottile pioggerellina. Sul lato opposto alla stradina in cui ci eravamo fermati si vedeva il cavalcavia della tangenziale congestionata dal traffico notturno. Sua sorella era seduta sul sedile del passeggero di fianco a lui, impegnata a chattare sul telefono. Io ero dietro, in mezzo alle Vondervotteimittis. Non ha nemmeno spento il motore, è rimasto a guardare la tangenziale sopra di noi senza dire niente. Elena ha aperto lo sportello per farmi scendere. Sono andata dritta verso l’ingresso della palazzina, volevo soltanto darci un taglio, non ho fatto domande. A metà strada tra il pickup e la porta di ingresso mi sono fermata a guardarli. Elena era subito risalita, Gretel ha abbassato il finestrino a metà per soffiare fuori il fumo della sigaretta che si era appena accesa. Ho incrociato il suo sguardo nascosto dagli occhiali scuri e ho ripreso a camminare. Il pickup è ripartito facendo slittare le gomme in una pozzanghera. Mi avevano dato un biglietto con una password di quattro cifre, zero uno zero quattro. Di fianco alla porta ho trovato una pulsantiera digitale sorvegliata da una videocamera. C’erano sensori di movimento a tutti gli angoli dell’edificio. A parte i capannoni abbandonati, non c’era altro nei paraggi. Un’auto abbandonata, annerita da un incendio, rifiuti sparsi e una lunga recinzione grigia. L’edificio era chiuso tra quattro vicoli e completamente isolato dal quartiere residenziale. Quando ho avvicinato la mano alla pulsantiera, si è illuminata automaticamente. Ho composto la password e sono rimasta ad aspettare. Dall’interno non è arrivato nessun rumore. Poi la serratura è scattata, il portoncino blindato si è aperto su una lunga scala di cemento. Scendeva nel buio, verso il seminterrato. Prima di entrare ho lanciato un ultimo sguardo alla tangenziale, due SUV bianchi si erano appena fermati sulla corsia di emergenza con le quattro frecce accese, proprio in corrispondenza della palazzina. Sentivo le mani infilate nelle tasche del giubbotto di pelle diventare sempre più appiccicose per il sudore. AMP, che nome del cazzo, era decisamente un nome da geek. Dopo un paio di gradini la porta blindata si è richiusa, alle mie spalle si è acceso un riflettore rosso. Al fondo della scala un’altra porta blindata sbarrava l’ingresso all’interno del seminterrato. Era decisamente più imponente della prima, interamente in acciaio. Sopra si poteva leggere la scritta AMP lasciata con una vernice spray viola e una citazione di Shakespeare, I am in blood Stepped in So far, that, should I wade no more, Returning were as tedious as go o’er. La luce rossa si è spenta rimpiazzata da un lampeggiante verde proprio di fianco alla porta di acciaio, ed è scattata la serratura. La tana di AMP, come l’aveva chiamata nei suoi messaggi, non era altro che un grande monolocale, ricavato nel seminterrato dell’edificio. Non c’erano stanze o pareti, non c’erano finestre. Soltanto un divisorio creato impilando dei vecchi televisori neri con il tubo catodico. Gli schermi dividevano lo spazio in due, l’ingresso e la stanza di AMP. Le pareti di cemento armato erano coperte di graffiti. Al fondo dell’appartamento sotterraneo potevo vedere due porte, una rossa e una blu di fianco ad una parete di vetro dietro cui si intravedeva il bagno illuminato da un neon blu cobalto. La doccia era proprio davanti alla lastra di vetro temperato. Mi hanno accolta i colpi di una frusta e i gemiti di una donna. Quando mi sono avvicinata alla stanza di AMP, i televisori si sono accesi tutti contemporaneamente per mostrarmi il primo piano sull’occhio sbarrato di una ragazza.
“Vieni. Ti stavo aspettando”.
I televisori si sono spenti e sono passata oltre. AMP si era sdraiata sul letto matrimoniale al centro della camera. Materasso ad acqua, lenzuola nere. Indossava soltanto una maglietta consumata di Superman e un visore notturno militare. Capelli lunghi e biondi, mossi. Poteva avere al massimo diciassette, diciotto anni. Smalto viola, fica rasata. Si è alzata il visore sopra la testa e ha inforcato un paio di occhiali da sole anche se la luce all’interno del seminterrato era bassissima. Poi ha acceso una sigaretta e si è messa a fumare con un braccio piegato dietro la nuca. Davanti al suo letto una donna con la tuta di lattice e il bavaglio con la pallina, immobilizzata su una croce di Sant’Andrea di pelle rossa. Una lunga scrivania grigia coperta di schermi e tastiere per PC. Due MAC accesi sul pavimento, il salvaschermo mostrava un’immagine di Hubble in orbita nello spazio e un Rover della NASA tra le dune di Marte. Tabulati pieni di codici crittografati ovunque. La parete alle spalle di AMP era tappezzata con una carta autoadesiva Hentai di Sailor Moon.
“Guardi troppi film”
“Sei tu che guardi soltanto film del cazzo”.
La tizia sulla croce si è messa a mugugnare quando si è accorta della mia presenza. AMP sorrideva compiaciuta.
“Non farci caso, si lamenta sempre perché deve svegliarsi presto per andare in ufficio”
“Che cosa hai trovato? Che cosa c’è in quelle memory di così importante da volere che qualcuno venisse qui di persona?”.
Si è messa a ridere come se avessi appena detto la cosa più buffa del mondo, iniziava a mettermi a disagio. Ho preso la borsa per cercare le sigarette, sentivo che i nervi stavano per prendere il sopravvento. Lei ha spento la sua in un portacenere di vetro e si è messa seduta a gambe incrociate sul letto. Mi ha lanciato un pacchetto di Marlboro prima che potessi trovarle e ha smesso improvvisamente di ridere.
“Spogliati”.
Ho dato un’altra occhiata alla stanza, vicino al letto oltre al frustino con cui stava colpendo la donna legata alla croce, c’erano anche un paio di pinzette per i capezzoli e una rotella uncinata di acciaio.
“Non sono venuta per fare giochetti”. Speravo di essere stata convincente, ma il suo sguardo sotto le lenti scure mi faceva intuire che non ci fosse niente di cui stare allegri. Ho lasciato andare la borsa e mi sono tolta il giubbotto. Stavo per sfilarmi la camicetta, passandola sopra la testa, ma lei ha detto: “Non così in fretta”. Le mani allora sono scese sui jeans aprendo i bottoni uno ad uno, poi sono risalite. AMP ha raccolto dal pavimento uno dei MAC e si è messa al computer. Prima che fossi completamente nuda ha girato il portatile verso di me. L’applicazione per decriptare il codice contenuto sulla memory ricevuta da Natasha stava facendo scorrere sullo schermo una sequenza di equazioni complesse, alternate a stringhe di codice ancora da decifrare. Mi sono avvicinata salendo con le ginocchia sul bordo del letto.
“Che accidenti sarebbe?”
“Un algoritmo molto elaborato. Il segnale portante trasmesso dalle parabole della Media-elektron e una stringa ripetuta all’infinito”
“E quella roba serve…”
“…per lanciare la recinzione nel subconscio. Questa parte, queste sequenze che si alternano, vedi? Non sono ancora state decifrate”
“E se non sai ancora di cosa si tratta, perché cazzo mi hai fatta venire qui?”. Sembrava piuttosto contrariata, ha raccolto la rotella uncinata da terra e l’ha fatta scorrere lentamente sulla mia pelle. È salita fino al seno. Mi sono dovuta mordere un labbro per non lasciarmi scappare un urlo.
“So benissimo di cosa si tratta.” Mi ha messo una mano in mezzo alle gambe e mi ha tirata a sé, stringendomi la fica. “È una MAN. Una dorsale che attraversa per chilometri tutto il pianeta. Lo avvolge completamente come una ragnatela. Queste stringhe, vedi? Quando l’algoritmo resta criptato. Non esiste nessuna macchina sulla faccia della Terra in grado di supportarle. Nessuna capito?”.
Mi sono piegata in avanti per avvicinarmi ancora, ero arrivata a pochi centimetri dallo schermo.
“Secondo te come si forma la personalità di un individuo? Ci hai mai pensato?”
“Non mi sono mai posta il problema”
“Informazioni”.
Il suo lungo preambolo era servito soltanto ad ottenere la mia piena attenzione. Ormai era sicura di esserci riuscita. Si è rilassata lasciandosi andare sul letto.
“Un continuo accumulo di informazioni. Il nostro cervello serve soltanto per questo, raccoglie informazioni e le rielabora in continuazione. Sai la storia dei monaci amanuensi? Non facevano che ricopiare testi, spesso incomprensibili a loro stessi. Esattamente come un cervello umano, non facevano altro che spostare informazioni da un archivio ad un altro. A volte proprio per la loro ignoranza di base, ricopiavano anche parti del testo completamente errate o piccole imprecisioni. Quegli errori, in seguito, sono diventati il codice vero e proprio, imposto arbitrariamente da convenzioni con cui sono state scelte interpretazioni piuttosto di altre”
“Un errore di sistema”
“Una specie. Quell’errore di sistema, come lo chiami tu, è ciò che caratterizza la personalità di un individuo. Un’interpretazione arbitraria delle informazioni ricevute. Hai presente il film 2001 Odissea nello Spazio? Il computer Hal 9000 si accorge della propria esistenza perché commette un errore nel calcolare la rotta. Questo, mia cara, queste stringhe di errore nel codice che sorveglia le nostre coscienze, attraverso scariche continue di elettroni lanciate in orbita da quelle cazzo di parabole…è un individuo. A dream within a dream”.
- Diana, io non riesco più a uscire di casa quando c’è quella luce. È troppo intensa, mi sembra di non riuscire a vedere niente. Raven –
- Mamma Jenny ha detto che si tratta soltanto di un fenomeno temporaneo. Dobbiamo stare dietro a quella tipa. Metti delle lenti più spesse. Lucky_Star –
- Ma non possiamo aspettare che scenda? Raven –
- Ci vediamo alla stazione, non fare tardi. Lucky_Star –
Mi sono svegliata sul sedile posteriore dell’Hummer. Sonia aveva parcheggiato in un’area di sosta vicino l’aeroporto, era quasi l’alba. Jenny era scesa dalla macchina, guardava il traffico sull’autostrada fumando appoggiata allo sportello. La ragazza tedesca si era rannicchiata sull’altro lato del sedile usando la giacca a vento come cuscino. Elle invece dormiva ancora profondamente. Jenny è risalita in macchina dopo aver schiacciato il mozzicone con il piede. Il suo profumo mescolato all’odore di fumo mi ha raggiunta insieme ad una folata di aria gelida.
“Allora? Racconta. Come è stato?”
“C-Che cosa?”
“Il tuo sogno. Era molto intenso e insolito. Ho indovinato?”
“C’era una bambina insieme ad uno strano tizio. Un ristorante…”. Prima che potessi continuare Jenny ha guardato davanti per cercare gli occhi di Sonia, anche la ragazza tedesca si era voltata ad ascoltare.
“Un uo-mo era morto di indigestione. Lo strano tizio era seduto al tavolo insieme alla bambina e a due gatti, ha detto qualcosa…”
“Che cosa ha detto?”.
Elle si è svegliata quando ancora non avevo finito il racconto, sembrava particolarmente su di giri. Si è sporta dietro per parlare con Jenny aggrappandosi allo schienale. Lei però sembrava più interessata al racconto del sogno.
“È passata. È riuscita ad entrare, è arrivata a destinazione, quelli della Media-elektron non si sono accorti di nulla. Il messaggio…”
“Senti cosa ha da dirci la nostra amica poetessa. Avanti zuccherino continua”
“Ha detto qualcosa sul menu, poi la bambina gli ha appiccicato un biglietto sulla schiena. Sopra c’era un indirizzo. È questo che vuoi sapere? L’indirizzo? Ma io non riesco a ricordarmi altro”.
Le ragazze sono scoppiate a ridere tutte insieme. Elle voleva trovare un albergo e fermarsi a festeggiare, Sonia stava già cercando sul telefono un Motel nei pressi dell’aeroporto. Da quello che avevo capito ascoltando i loro discorsi avremmo preso un volo per il Sud-America nella notte.
“Vedi zuccherino, devi sapere che quell’idiota ha uno strano senso dell’umorismo”
“Spiegati meglio, il tizio del mio sogno, come fai a sapere di chi si tratta? E poi che cavolo dovrebbe significare il biglietto? Non era quello che volevate? L’indirizzo, dico”
“E’ un messaggio in codice, una specie di rebus. Pesce d’Aprile, uno quattro. Who Knock? What? Raw. Che cosa stava cucinando il cuoco riesci a ricordartelo?”
“No però ricordo uno spettacolo di magia”
“Pallone gonfiato, almeno sappiamo che sono ancora vivi. Andiamo ci meritiamo un po’ di riposo”
“E le gambe?”
“Cosa? Gambe? Che intendi dire?”
“C’erano anche delle gambe nel sogno. Le gambe di una ragazza. Credo fossero le mie”
“Le gamb…cazzo gambe! Sonia! Gambe! Hai capito?!”
Sonia è saltata al posto di guida e ha messo in moto partendo a razzo. La prima raffica di mitra ci ha raggiunte quando Jenny stava ancora urlando.
- Ma spiegami perché dobbiamo stare dietro a questa tipa. Che ha di tanto speciale? Raven –
- Deve consegnare una parte del messaggio. Non rompere e sbrigati. Sei già in ritardo. Lucky_Star –
- Non ci vengo lì fuori, la luce è ancora troppo forte. Ti aspetto nella stazione della metro. Raven –
- Non fare l’idiota. Dobbiamo tenerla d’occhio se esce di casa. Lucky_Star –
- E poi cosa cazzo deve consegnare di tanto importante? Raven –
- Coordinate. Muoviti. Ti aspetto all’incrocio. Sbrigati o la perdiamo. Lucky_Star –
- Se ha il messaggio, lo sa già quello che deve fare. Raven –
- Non sa un cazzo. Dobbiamo essere sicure che arrivi a destinazione. Mamma Jenny ha detto così. Lucky_Star –
- Come cazzo fa a non saperlo? Raven –
- Hai mai giocato al telefono senza fili? Lucky_Star –
“AMP, da quanto tempo non esci da questo posto?”.
Dopo la sua spiegazione sui sistemi complessi si era avvicinata alla tizia ammanettata e le aveva messo una mano in mezzo alle gambe. La tizia aveva cominciato ad agitare la testa, come se volesse respingerla. AMP aveva abbassato la lampo sulla fica per massaggiargliela. Dopo mi aveva presa per un braccio per farmi vedere qualcosa. La parte posteriore della Croce di Sant’Andrea era coperta di switch e processori. Un groviglio di cavi colorati e spie intermittenti. “Il mio server, un vero capolavoro”. Poi aveva slegato la donna per scopare. Lei si è buttata subito ai suoi piedi per leccarli, AMP la teneva per uno degli anelli di acciaio del suo collare di cuoio. Le aveva fatto succhiare i piedi e aveva strattonato il collare per avvicinarle il viso alla mia fica. Ci siamo fatte leccare a turno mentre sullo schermo da 130” passava un video porno con quella tipa intenta a succhiare cazzi. Prima di fotterla da dietro i ragazzi mascherati del video le erano venuti in bocca uno dopo l’altro.
“Non uscirei di qui, per andare in mezzo a quei sub-umani là fuori, per tutto l’oro del mondo”
“Allora? Quanto?”
“Più di tre mesi. Vedi quelle pareti? Cemento armato, cinquanta centimetri. Una gabbia di rame avvolge tutta la struttura del seminterrato. L’unico segnale elettromagnetico che arriva fino a qua sotto, passa da un cavo in fibra ottica infilato in un tubo di acciaio che sale fino al tetto. L’aria entra da un sistema di circolazione forzata. L’edificio sopra di noi è completamente abbandonato, come il resto dell’isolato. È solo un paravento. Lei è l’unica che può entrare e uscire”
“Mi prendi per il culo. Non ti sembra una cosa del tutto fuori di testa, vivere in questo modo?”.
La donna nella tuta di lattice si era appena infilata sotto la doccia. Il video era finito. AMP si è seduta alla scrivania davanti ai suoi computer, con il visore notturno abbassato sugli occhi. Sullo schermo piatto è cominciata una lunga sequenza al rallentatore, era stata girata da una videocamera di sorveglianza in bianco e nero. Uno degli incroci più trafficati del centro, proprio nell’ora di punta. Auto incolonnate e una folla di persone ammassate sul marciapiede. Un semaforo scandiva i loro movimenti, frame dopo frame.
“Non sono io ad essere anormale, mia cara. Io sono una superstite, proprio come te. Li vedi? La nuova società si baserà sulla valutazione idealistica della potenzialità dell’uomo. Hai presente? L’uomo è una malformazione, una perversità della Natura”.
A quel punto sorrideva compiaciuta. La schiava di AMP si era rivestita, è andata a darle un bacio sulla guancia prima di uscire. Indossava un completo molto elegante, gonna sopra il ginocchio e tacchi alti. Lei ha cercato di trattenerla, le ha sussurrato in un orecchio: “Non farmi aspettare troppo a lungo”. L’ha baciata sulla fronte poi ha detto: “Devo andare. Ciao”. La porta di acciaio è scattata lasciando entrare la luce rossa del riflettore nel corridoio. Quando siamo rimaste sole mi è salita sulle ginocchia. Si è sfilata la maglietta restando completamente nuda e ha cominciato a baciarmi sul collo. È salita su, poi mi ha scostato i capelli per succhiarmi un orecchio.
“Che accidenti significa quello che hai detto prima?”
“Significa che non ne abbiamo più bisogno”.
REEL TWO, BORN SLEEPY (INTERCEPTOR)
Uscita dal lavoro mi sentivo esausta. Volevo soltanto tornarmene a casa il più in fretta possibile e infilarmi sotto le coperte. Avrei dormito per giorni, non ne potevo più di quella routine delirante. Sarei arrivata al mio appartamento e avrei cercato di dimenticarmi di esistere. Da qualche settimana mi capitava spesso di fare un sogno ricorrente. Un’isola tropicale nel mezzo dell’Oceano. L’isola era completamente deserta, circondata da un’immensa distesa azzurra. Una lunga spiaggia di sabbia bianca segnava il confine di una foresta rigogliosa. L’acqua restava bassa per chilometri, potevo camminare per ore senza che diventasse profonda. Poco distante una piccola scogliera isolata. Tra le rocce avevo trovato persino delle grotte. Ero rimasta a guardare i riflessi del mare sulla superficie della grotta tempestata di cristalli viola, ipnotizzata da quel gioco di luci. Nel sogno la sensazione di trovarmi di fronte a qualcosa di assolutamente reale e tangibile era fortissima. Riuscivo a notare i minimi dettagli, branchi di pesci coloratissimi nuotavano appena sotto la superficie del mare, uno stormo di gabbiani sopra la scogliera. All’orizzonte una gigantesca massa di vapore bianco, da cui a volte si staccavano gruppi di nubi sparse. Scorrevano velocissime sopra l’isola, proiettando la loro ombra sulla foresta. I sogni poi erano lunghissimi, non mi era mai capitato prima di accorgermi di trovarmi in un sogno, senza svegliarmi. In uno di questi avevo nuotato aggrappata ad una grossa testuggine verde. Mi aveva guidata fino ad una piccola laguna nascosta. Vicino alla riva, era scivolata via in modo che potessi raggiungere la spiaggia ed era tornata verso il mare aperto. Sapevo di essere stata condotta in quel paradiso nascosto per un motivo preciso, non poteva essere una coincidenza. Ho camminato verso la foresta, prima di addentrarmi nella vegetazione ho dato un ultimo sguardo al mare, potevo ancora vedere l’ombra della testuggine in acqua, mentre si allontanava verso il largo, superando la scogliera. Il bosco era tempestato di fiori dai colori incredibili, uno in particolare sembrava aver preso il sopravvento tra le piante della foresta, un piccolo fiore rampicante simile ad un calice azzurro. Gli alberi ad alto fusto erano letteralmente invasi dal rampicante, i suoi grappoli profumati si attorcigliavano intorno ai rami fino quasi ad oscurare la luce del Sole. Ad una decina di metri dalla riva il mare si insinuava nell’entroterra formando una palude scura. In controluce potevo vedere una miriade di minuscoli insetti volare freneticamente sulla sua superficie. Scendevano in picchiata fino a sfiorare il pelo dell’acqua e risalivano schizzando verso l’alto. Ho continuato a camminare finché non ho raggiunto un punto della foresta da cui potevo vedere il centro della palude. Proprio nel mezzo affiorava un gruppo di rocce bianche coperte di macchie di muffa verde, da cui zampillava una sorgente. L’acqua dolce si mescolava a quella salata dando vita a quello spettacolo meraviglioso. A quel punto avevo capito quale fosse il segreto nascosto in quella parte dell’isola solitamente inaccessibile. Una ragazza mi aspettava adagiata sulle rocce al centro della palude. Era completamente nuda, lunghi capelli biondi, occhi intensi e azzurri. Il corpo sensuale e perfetto era disteso sulla più grande delle rocce che formavano la sorgente. I capelli la avvolgevano quasi completamente. Quando si era accorta della mia presenza, si era sollevata per guardarmi, ma non aveva parlato. Volevo raggiungerla per toccarla, ma appena mi ero avvicinata avevo sentito la sensazione del sogno svanire rapidamente ed ero scivolata verso il risveglio. Prima che potessi aprire gli occhi lei aveva sillabato una parola con le labbra, aveva detto: “Distòpia”.
Sono scesa prima della solita fermata. Volevo camminare un po’, per essere sicura di essere abbastanza stanca da addormentarmi subito, anche se non era ancora buio. Sono passata sotto la sopraelevata dell’autostrada e mi sono infilata in un negozio di alimentari per comprarmi la cena. Sotto il portone di casa ho notato due strane ragazze. Era curioso il loro modo di tenersi abbracciate. Mi fissavano sotto i loro occhiali scuri mentre cercavo le chiavi del mio appartamento. Una si teneva aggrappata al braccio dell’amica, quasi nascondendo il viso di profilo tra i suoi capelli. Ho sentito il loro sguardo seguirmi mentre entravo nell’ingresso. Appena la porta si è richiusa alle mie spalle il sollievo di essere finalmente a casa ha scacciato la tensione. Ho lanciato le scarpe in un angolo e sono andata a posare la spesa. Dopo una doccia veloce ho puntato dritta verso la camera da letto. Sono andata a chiudere le tende, ancora avvolta nell’accappatoio. In quel momento ho notato una piccola sfera luminosa in cielo. Era poco più grande di una stella, attraversava la linea dell’orizzonte lasciandosi alle spalle una lunga scia luminosa. Immaginavo giganteschi massi di ghiaccio, staccarsi dal corpo millenario della cometa e perdersi nello spazio vuoto. Per una frazione di secondo ho ricordato la ragazza della sorgente e la parola che aveva sillabato prima che mi svegliassi. Questa volta avrei cercato di raggiungerla ad ogni costo.
- E che cazzo sarebbe il telefono senza fili. Io non lo conosco. Raven –
- Tu dici sottovoce una parola nell’orecchio di qualcuno e lui deve ripeterla a quello seduto di fianco. Continua così fino ad arrivare all’ultimo della fila. L’ultimo deve ripeterla ad alta voce. Lucky_Star –
- Che gioco del cazzo. E quale sarebbe il divertimento? Raven –
- Ogni volta che qualcuno bisbiglia la parola è come se si aggiungessero dei disturbi nel suono. Per questo è difficile per quello che sta in fondo alla fila. Lucky_Star –
- Tu sei molto disturbata, non fai che disturbarti. Raven –
- Idiota, ho detto disturbi, di-stur-bi, non ma…Lucky_Star –
- Tu ti distur-bi con le di-ta! Ah! Ah! Raven –
- Mamma Jenny ha detto che se ci sono troppi disturbi alla fine la parola viene distorta in qualcos’altro. Lucky_Star –
- E allora sturati le orecchie! Raven –
- Quanto sei scema, bisogna stare attenti a trasmettere il messaggio nella maniera più precisa possibile senza alterazioni. È come avere i pezzi di un puzzle, devi passare di mano i tuoi finché l’immagine non è completa. L’immagine riprodotta dal puzzle è la parola che cerchiamo. Lucky_Star –
- I puzzle mi hanno sempre fatta incazzare, sono una noia tremenda! Raven –
- Ognuno di noi ha una manciata di pezzi, basta trovare le persone giuste,
quelle che hanno i pezzi che combaciano con i nostri, altrimenti se mettiamo insieme i pezzi sbagliati, l’immagine che viene fuori è distorta. Ecco. Lucky_Star –
- Diana, ma che puttanata! Hai mai pensato a cosa accadrebbe se l’immagine che cerchiamo di ricomporre fosse proprio un’immagine distorta di qualcosa? Raven –
- Cretina, i pezzi comunque non combacerebbero. Sarebbe soltanto più difficile ricomporre l’immagine. Lucky_Star –
- Io sono sicura che i miei pezzi combacerebbero benissimo con quelli di David Duchovny. Raven –
Sonia si è lanciata sulla rampa di uscita dell’autostrada in piena velocità, ma il SUV della Media-elektron aveva troppo vantaggio, non è riuscita a staccarsi. Gli specchietti dell’Hummer sono saltati sotto le raffiche di mitra. I proiettili stavano entrando sempre più in profondità nelle lamiere blindate. Uno dei finestrini è esploso lanciando una pioggia di vetro su Elle. Lei ha cercato di sporgersi dal finestrino per rispondere al fuoco con il suo fucile automatico, ma un’altra raffica l’ha costretta a tornare dentro, il sangue le stava colando da una tempia. Sonia ha piegato la testa in avanti e ha spinto l’Hummer a pieni giri verso il quartiere industriale, vicino all’aeroporto.
“Questa volta ci beccano!”
“Ma come cazzo fanno a spararci addosso in quel modo senza che nessuno intervenga. A questo punto dovrebbe essere pieno di polizia qui intorno!”.
Jenny mi ha guardata come se avessi detto una stupidaggine.
“Quelli hanno il controllo delle parabole, possono fare quello che vogliono con il segnale che passa attraverso le nostre teste. È come avere una radio accesa nel cervello. Hai presente? Sai quelle strane coincidenze per cui tutti stanno guardando da un’altra parte, proprio in quel momento? Quelli sono loro. Per quanto ne so potrebbero anche sganciarci una bomba H in testa senza che nessuno noti nulla!”
“Me-me-me…”
“Me, me, me, cosa? Ti si è ingolfato il motore, cazzo!”
“Merda!”
“Non lo faranno adesso stai giù!”
Sonia è andata in testa coda ed è ripartita un attimo prima che il SUV ci piombasse addosso. Si è infilata sotto la sopraelevata dell’autostrada, saltando da un senso di marcia all’altro, nel tentativo di confondere il tizio alla guida del SUV e spingerlo contro i pilastri di cemento armato. Sterzava bruscamente scavalcando lo spartitraffico ogni volta che ne incontrava uno. Abbiamo schivato un TIR per un pelo, la Media-elektron però ci è rimasta incollata dietro. Siamo di nuovo passate sull’altro senso di marcia, a un centinaio di metri da un tunnel. Il SUV bianco è rimasto sull’altra carreggiata e si è messo di fianco a noi. Non sono riusciti a centraci con il mitra grazie ad un cantiere stradale proprio nel mezzo della strada che portava verso l’aeroporto. Elle si è sporta di nuovo dal finestrino imbracciando il fucile automatico, aspettava soltanto che le barriere del cantiere finissero per aprire il fuoco sulla Media-elektron. Potevo vedere i fari delle auto in uscita dal tunnel avvicinarsi sempre di più. Quando sono tornati a tiro, hanno frenato bruscamente per evitare i colpi. Sonia è tornata sull’altra carreggiata un secondo prima che dal tunnel uscisse una grossa Jeep con la carrozzeria mimetica. Somigliava ad un mezzo militare, vetri oscurati e sospensioni altissime. Lo abbiamo visto inchiodare e invertire la marcia, poi si è messo dietro il SUV bianco.
“Cazzo era ora!”.
Sonia ha di nuovo pestato a tavoletta imboccando il tunnel, la Jeep alle nostre spalle ha speronato la Media-elektron, i fari e il paraurti sono andati in mille pezzi. Elle ha aspettato che il tizio nel SUV mettesse di nuovo fuori la testa per colpire la Jeep, appena si è sporto dal finestrino lei è uscita dal tettuccio e lo ha centrato in pieno. Un colpo solo, la testa è esplosa schizzando di sangue la carrozzeria del SUV. Superato il tunnel, ci siamo dirette verso i capannoni industriali. Ad un bivio la Jeep ha preso una parallela scomparendo dalla visuale, il SUV ne ha approfittato per riguadagnare terreno. Sonia si è messa di nuovo a strillare.
“Ma che cazzo stanno facendo?”
“Non ne ho idea, tu però non mollare, io cerco di farli uscire di strada!”.
Prima che potesse di nuovo sporgersi fuori con il fucile automatico, abbiamo visto la Jeep superarci sulla strada di fianco alla nostra. In una manciata di secondi davanti è passata a noi ed è sbucata dai vicoli inchiodando proprio al centro della carreggiata. Sonia non accennava a rallentare, se avesse mollato l’acceleratore, il SUV alle nostre spalle ci avrebbe speronato schiacciandoci contro gli edifici che costeggiavano la strada secondaria su cui eravamo finite.
“Cazzo! Non posso crederci!”.
Dalla Jeep abbiamo visto scendere la donna che avevo incontrato nel mio appartamento prima della fuga, indossava la stessa divisa militare nera e il basco. E’ andata con calma al bagagliaio della Jeep e si è voltata verso di noi con un lanciarazzi su una spalla. Anche se si trovava ancora a una ventina di metri, sono riuscita a scorgere una specie di ghigno sul suo viso. A un lato della bocca stringeva un sigaro acceso.
“Que-que-que..”
“Esatto è proprio quella stronza col mitra amica tua! Resta giù!”.
Sonia ha sterzato di colpo, sono riuscita a sentire lo spostamento d’aria del razzo attraverso il finestrino rotto, mentre ci passava a una manciata di centimetri per beccare in pieno il SUV. È esploso alle nostre spalle alzando una nuvola di fumo nero. L’Hummer si è fermato di fianco alla Jeep, Elle era ancora aggrappata allo sportello con il fucile automatico tra le mani. La donna ha rimesso il lanciarazzi nel bagagliaio e si è avvicinata.
“Natasha”
“Forza tesorini, la nostra amica sta per atterrare. Quindici minuti per raggiungere l’aeroporto, scalo commerciale”
“Sono passate?”
“Quell’idiota dopo tutto non è poi così inutile”.
- È qui. È andato tutto come previsto. Anarchy –
- Finalmente riunite. Sweet_Revenge –
Quello che è successo dopo nel capannone dell’aeroporto è stato incredibile. Ci siamo nascoste sulla scala antincendio, sulla rampa da cui si poteva salire sul tetto. Un elicottero aspettava di decollare con i motori accesi, l’intero edificio era sorvegliato da guardie armate. Indossavano una tuta di nylon bianca e una mascherina sul viso. All’inizio pensavo che avremmo preso subito un volo per lasciare l’Europa; invece, eravamo in attesa di qualcosa in arrivo. Jenny e Vanessa, la ragazza tedesca incontrata a Francoforte sono rimaste con me. Le altre sono entrate nel capannone non appena un sollevatore giallo si è avvicinato trasportando un container di acciaio. Una gru all’interno del capannone era pronta a sollevare il container e spostarlo in una zona transennata, somigliava ad una sala operatoria di fortuna. Tra le guardie armate ne avevamo notata una in particolare, continuava a maneggiare una grossa croce di legno, con un’estremità acuminata. La gru ha raccolto il container dall’ingresso, dove lo aveva delicatamente depositato il sollevatore e lo ha depositato esattamente al centro della zona delimitata dalle transenne. Il tizio con la croce acuminata si è rimesso la mascherina dopo aver spento una sigaretta mentre le altre guardie liberavano lo sportello di acciaio del container. Sono riuscita a vedere Natasha ed Elle intrufolarsi dentro, Sonia invece era sparita. Per un attimo ho alzato gli occhi al cielo, era quasi il tramonto, il Sole ormai vicino alla linea dell’orizzonte stava incendiando una lunghissima nuvola simile ad una gigantesca ala. Sul momento mi era sembrata buffa, una lunga striscia di vapore al centro del cielo completamente sgombro da altre nubi. Faceva una specie di piega quasi nel mezzo, fino a dissolversi verso Est. Ho guardato Jenny, anche lei si era accorta di quella strana nuvola.
“Cristo santo, non posso crederci”.
La nuvola cominciava a somigliare davvero all’ala di un angelo. Il corpo di una donna è apparso nel cielo, mentre il giorno svaniva per lasciare il posto alla notte. La nuvola sembrava in effetti la sua ala destra, ne aveva una soltanto. Lunghi capelli neri e occhi incredibilmente azzurri. Jenny sembrava in trance, Vanessa invece si era inginocchiata davanti alla finestra da cui si poteva vedere l’interno del capannone con i palmi delle mani appoggiati al vetro.
Natasha è entrata nella zona transennata senza preoccuparsi troppo della sorveglianza, ha puntato dritta verso la cassa di metallo, Elle le ha coperto le spalle aprendo il fuoco con il suo fucile automatico, nascosta dalla cabina di manovra della gru. Due guardie stavano ancora sollevando il coperchio, ha colpito al viso la più vicina, la sua testa è esplosa come se fosse stata di gelatina. Un fiotto di sangue rosso è finito proprio sulla cassa di metallo. All’interno giaceva il corpo di una ragazza con i capelli biondi, sembrava addormentata in uno stato di ibernazione. Quando il sangue è finito sulla sua pelle, è stato attraversato da un fremito. L’uomo con la croce di legno si è scagliato su di lei, sembrava volesse conficcarle il paletto di legno proprio nel mezzo del petto. Il braccio della ragazza si è alzato di scatto e gli ha afferrato il polso. Poi ha cominciato a stringere, le ossa si sono frantumate ed è sceso altro sangue zampillando sulle sue labbra. In quel momento ha aperto gli occhi.
“AMP, che cosa c’è dietro quella porta rossa?”
“Niente”
“Davvero non esci da questo posto da tre mesi?”.
Ha recuperato un paio di jeans dal pavimento e si è infilata le scarpe da ginnastica.
“No. È passato quasi un anno”.
Mi ha preso per mano dirigendosi verso la porta rossa. Dietro c’era un vano scala, portava al piano di sopra.
“Il mio vecchio appartamento. Vieni, ti faccio vedere”.
Siamo salite all’ultimo piano seguendo le scale invase dalle ragnatele. AMP ha tirato fuori un mazzo di chiavi dai jeans e ha aperto uno degli appartamenti. Dentro era buio, le finestre erano tutte chiuse. Prima di proseguire ha cercato l’interruttore generale della luce. Sul pavimento, alcuni vetri rotti e una sua foto di qualche anno prima, in mezzo a due amiche. Sembrava felice, sorrideva abbracciata a loro. Le due amiche però erano state cancellate con una lametta. Sul viso di AMP avevano cancellato gli occhi. Non erano rimasto molto dell’arredamento, alcuni mobili rotti e oggetti sparsi. Siamo passate davanti alla cucina, dentro c’era soltanto un lavandino sporco con la ceramica annerita. Nel salotto era rimasto un vecchio divano e una bambola di porcellana con i capelli di lana. Si è seduta sul divano e ha acceso una sigaretta.
“Come accidenti fai a resistere chiusa qui dentro?”.
Lei ha guardato verso la finestra chiusa di fronte al divano.
“Quello che c’è lì fuori non significa niente per me”.
L’ho raggiunta e mi sono sdraiata appoggiando la testa sulle sue ginocchia, mentre parlava ha cominciato ad accarezzarmi i capelli.
“Secondo te perché è così piacevole dormire in questa posizione?”
“Forse perché ci ricorda qualcosa. Un sogno del passato, quel periodo attraverso cui passiamo tutti prima di venire al mondo quando restiamo mesi immersi nel liquido amniotico. Pensiamo sempre che la vita vada in una direzione precisa. Invece secondo me è come una lunga caduta. Non c’è niente dopo. Forse, prima c’è qualcosa, prima di venire al mondo. Il resto è una continua ricerca di quel ricordo sepolto nella memoria”
“Stai dicendo che hai capito il senso della vita? Hai un’interpretazione arbitraria di cosa sia, come dici tu?”
“Forse”
“AMP che cos’è la vita, allora?”
“Un sogno quasi divenuto realtà”.
La sua voce è diventata sempre più distante, ha continuato ad accarezzarmi finché non mi sono completamente addormentata. Ho sognato subito l’isola tropicale. Il mare era agitato da fortissime raffiche di vento. AMP mi aspettava sul molo, guardava verso l’Oceano, in piedi sullo scoglio più lontano. Quando sono andata verso di lei si è voltata, il vento le ha scompigliato i capelli.
Poi mi sono svegliata, ero rimasta sola nella stanza, AMP era tornata nella sua tana sotterranea. Sulla pancia mi aveva lasciato il pacchetto di sigarette.
Continua...
Ancora non riuscivo a spiegarmi come fossi riuscita a farmi convincere. L’edificio era completamente fatiscente, mi sono infilata dentro passando in un’apertura nella recinzione. Mi sono fatta largo tra i rovi, l’erba alta mi nascondeva completamente dalla strada. Una palazzina di quattro piani, non c’erano finestre né porte, soltanto cartelli sbiaditi del palazzo in costruzione. I rumori del traffico si sono smorzati appena ho varcato l’ingresso. Sono entrata dal retro e ho percorso un lungo corridoio. Dalla penombra dell’edificio abbandonato riuscivo a scorgere la normalità della realtà all’esterno. Le auto in transito sulla strada principale, passanti ignari sui marciapiedi. Nel parco lì vicino un gruppo di ragazzini giocava a pallone. Ho raggiunto una scala di cemento senza ringhiera. Portava al primo piano, la stanza sul pianerottolo era completamente al buio. Ho pensato: “C. A. sei uno stronzo. Sei talmente stronzo che persino il tuo riflesso nello specchio pagherebbe pur di non vedere più la tua faccia di culo”. C’è voluto un po’ perché gli occhi si abituassero al buio, le pareti erano coperte di graffiti e scritte oscene. In un angolo sono riuscita a vedere dei mobili abbandonati, una poltrona e un vecchio divano con la fodera strappata. Su una delle pareti avevano disegnato con il dito un occhio di Horus, sopra l’ombra di cenere di un incendio. Sentivo i muscoli irrigidirsi per la tensione, ho cercato la torcia tascabile nella borsa, ma prima che potessi accenderla un rumore alle mie spalle mi ha fatta trasalire. La parete sulla scala era completamente ricoperta di edera nera, le foglie si stavano aprendo. Ho puntato la torcia verso l’edera, il sottile fascio di luce mi ha mostrato il volto di Natasha.
“Cristo Santo! Ma che cazzo, mi hai fatto venire un colpo”
“È la luce. È solo colpa di quella luce là fuori. Non riesco a sopportarla”
“Stronzate! La luce all’esterno non può farti proprio niente. Perché cazzo mi avete fatta venire in questo posto del cazzo?”
“Sei rimasta solo tu, devi andarci subito”
“E dovevi farmi venire qui per dirmelo?”
“Questo è l’indirizzo, ti accompagneranno Hansel e Gretel, ti aspettano insieme alle Vondervotteimittis”
“Mi mancavano quei due svitati. È l’ultima volta, ficcatevelo in testa”
“Loro non possono entrare, ti accompagneranno sul posto, ma dovrai andare dentro da sola”.
Mi sono avvicinata a Natasha per prendere il biglietto con l’indirizzo, la sua mano è sbucata tra le foglie nere. Quando ho sfiorato le sue dita di non-morto mi si è gelato il sangue nelle vene, il Conte Orlok stava lasciando la bara per riscuotere il suo debito di sangue.
“Clara, ti staranno addosso fin dall’inizio”.
Ho afferrato il biglietto e sono uscita di corsa. Il sole stava calando sulla città. Ero rimasta in quel posto senza accorgermi del trascorrere del tempo. Prima di salire sul pick-up di Vivien mi sono voltata a guardare il palazzo abbandonato. La scena era totalmente assurda. Uno stormo di gabbiani si stava radunando sul tetto dell’edificio, volavano in cerchio intorno all’ombra di una ragazza in bilico sull’orlo del cornicione. Sono rimasta a fissarla per qualche secondo e ho avuto l’impressione di poterla vedere da vicino, come se mi trovassi proprio di fronte a lei. Con le labbra stava sillabando una parola: Dis-tò-pia. Poi mi sono accorta della sfera luminosa in cielo. Era incredibilmente luminosa, attraversava l’orizzonte lasciandosi dietro una scia di luce. Ho messo in moto e sono andata dritta da “O”.
- Riusciranno a riprenderla, non devi preoccuparti. Le distorsioni dovute alla Cometa ci aiuteranno. Le parabole sembrano impazzite. Tra poco i sistemi andranno in completo blackout. Anarchy –
- Sta succedendo. La recinzione. SweetRevenge –
- Che cosa? Di che parli? Anarchy –
- Sta svanendo. SweetRevenge –
Ho trovato le Vondervotteimittis intente a giocare a poker, sul pavimento della camera di Jenny. Stavano usando i preservativi alla frutta come fiche. Dolcevita aderente e pantaloni di velluto neri, tenuti su da un paio di bretelle rosse. Judy si era messa anche una bombetta in testa. Sembravano molto prese. Hansel era a petto nudo sul divano, si stava scolando una Brewdog davanti all’ episodio di una serie tv inglese anni ’70. The Professionals, avevo riconosciuto la sigla. Continuava a muovere la testa avanti e indietro seguendo la musica. Gretel stava preparando uno spinello di marijuana seduta a gambe incrociate di fianco a lui sul divano verde.
“Io non ho mai capito una cosa. Perché nella sigla si vedono quattro agenti sfondare le porte durante l’addestramento, se poi nella serie si vedono sempre soltanto Boyle e Bodie?”
“In realtà gli altri due si vedono soltanto in un episodio”
“Esatto probabilmente lo hanno fatto apposta per rispondere a queste domande dei cazzoni come te”
“E perché CI5? Non dovrebbe essere MI5? Per cosa sta la C?”
“La C sta per Cazzone, cazzone. Accendi questo invece di dire stronzate”.
L’episodio lo conoscevo. Un tizio veniva costretto ad indossare un collare di acciaio in grado di strangolarlo e obbligato a compiere alcuni atti terroristici. Se avesse provato a togliersi il collare, sarebbe saltato in aria. Ho lanciato il biglietto di Natasha sul piatto delle Vondervotteimittis. Loro hanno fatto finta di niente.
“Non ti agitare, lo sappiamo già quello che vuoi dire”
“E’ l’ultima…”
“…volta. Si lo sappiamo. Sei passata proprio sotto gli scanner della Media-elektron. Non c’è nient’altro che vuoi dirci?”.
Gretel si era spostata i capelli da una parte per cacciarsi in gola il cazzo di suo fratello. Lui stava facendo un tiro interminabile dallo spinello. Aveva piegato la testa all’indietro e chiuso gli occhi. Stava cercando di trattenere il fumo nei polmoni il più a lungo possibile. Lei ha fatto lo stesso con il suo cazzo.
“Ho visto una donna”
“Davvero? Non sempre, sai, quello che vediamo e quello che crediamo di vedere coincidono”
“Mi avete rotto con i vostri enigmi del cazzo. E poi si può sapere a che cazzo servono quei due idioti? Porca puttana volete piantarla o no?”.
Gretel si è alzata dai jeans sbottonati del fratello e si voltata sorridendo verso di noi. Si sforzava di non aprire la bocca per ridere. Dopo si è messa a fare i gargarismi con lo sperma. Lui rideva come un idiota.
“E’ davvero forte la mia sorellina, vero?”
“Sentite, devo arrivare in quel posto. Questo è quanto”.
Elena si è allungata sul pavimento, appoggiandosi con i gomiti.
“Ok. Ma dopo”
“Che accidenti è quella specie di cometa?”
“Lo vedrai presto, non essere impaziente. Questa sera andiamo a cercare proprio lei”
“Lei? Vuoi dire che si tratta di una donna? È lei che ho visto su quel cornicione?”
“Sei troppo nervosa”.
Dopo il sesso sono piombata in un incubo. Ero immersa nel buio più completo. Mi sono accorta della passerella di metallo soltanto per il rumore dei passi. Si avvicinavano lentamente da un punto imprecisato nell’oscurità. Elle. Indossava il bavaglio di acciaio, stivali di pelle e un body nero trasparente. Sotto non portava niente. Le sue unghie coperte di smalto nero mi hanno sfiorato il viso, ha piegato la testa da un lato prima di parlarmi nella mente. Nell’altra mano stringeva il guinzaglio di una pantera nera. Sentivo la sua presenza vicino a noi, anche se a mala pena riuscivo a distinguerne la sagoma.
“Lucy vuole vederti”.
La luce blu della Via Lattea ha finalmente squarciato il buio, le stelle in movimento sopra le nostre teste facevano brillare il bavaglio di acciaio di Elle. La pantera si è accucciata ai suoi piedi. Sotto di noi una distesa di cavi intrecciati emetteva una specie di ronzio. La passerella di metallo si allungava a perdita d’occhio all’interno di un gigantesco tubo di vetro percorso da un reticolo di filamenti azzurri. Si accendevano e spegnevano in continuazione, come una pulsazione. La prima sfera luminosa è passata sopra le nostre teste ad una velocità incredibile, una scarica di vibrazioni mi ha attraversato il corpo. Mi sono piegata in avanti appoggiando le mani sulle ginocchia. A stento sono riuscita a trattenermi dal vomitare.
“Che accidenti era…che cos’è questo posto?”
“Un canale virtuale. È il segnale, non capisci?”.
Poi mi ha preso per mano e ha cominciato a camminare nell’oscurità. La passerella scendeva gradualmente verso i cavi. Erano completamente immersi in un liquido scuro e appiccicoso, fuoriusciva da quel groviglio inestricabile inghiottendo la superficie dei pannelli di metallo su cui ci trovavamo. Ho guardato Elle negli occhi, ha intuito i miei pensieri ancora prima che potessi aprire bocca.
“Sangue”.
REEL TWO HI SPIDER!
L’amica della tizia albina dormiva profondamente sul sedile del passeggero, riuscivo e vedere le sue pupille muoversi sotto le palpebre dallo specchietto retrovisore. La ragazza tedesca era completamente assorta, guardava fuori senza fare caso a noi. Jenny ha abbassato leggermente il finestrino e si è accesa una sigaretta, ha soffiato una lunga boccata di fumo dallo spiraglio aperto. Poi mi ha sorriso alzando un sopracciglio.
“Finalmente hai lasciato quel posto del cazzo. Era questo che volevi, no?”.
Non le ho risposto. Mi sono rannicchiata nella sua giacca a vento e ho cercato di dormire. Speravo di sprofondare subito in un lungo sonno senza sogni. Invece è ricominciato quell’assurdo programma notturno. Le Sister Sledge stavano ancora accompagnando la sequela di incidenti stradali quando è comparsa la scritta Special Guest The Living dead Girl. Una scena dello Studio del Dottor Caligari leggermente modificata ha chiuso la sigla di Oh! What? Wow! He’s The Greatest Dancer. La bara di Cesare si apriva lentamente, ma al suo posto all’interno c’ero io. Una sottoveste bianca e le occhiaie marcate dal trucco nero. Un primo piano ha mostrato i miei occhi mentre si aprivano al rallentatore. Poi l’inquadratura è saltata in studio. The Magic abbracciava dolcemente Miss Ginger, si baciavano sulle note di Lady, Lady, Lady. Enormi labbra femminili, coperte di rossetto blu glitterato, nella locandina alle loro spalle. Quando Joe Esposito è arrivato a “Let me touch that part of you, you want me to”, le mani di Mr. Magic sono scese velocemente sul culo di Miss Ginger.
“Mr. Magic è davvero romantico”
“Vero. Ora però dobbiamo tornare al nostro programma”.
L’ha spinta bruscamente sul divano e si è aggiustato la divisa da SS, prima di sedersi accanto a lei. Miss Ginger ha esclamato: “Oh! Anche questo è vero”. Davanti al divanetto di pelle questa volta avevano messo una cassettiera di legno antico.
“Miss Ginger questo è un episodio un po’ particolare, ma prima di cominciare dobbiamo dedicare qualche secondo al nostro sponsor di oggi”. Ha raccolto da terra un cappellino nero con la scritta WASABI verde sulla visiera e lo ha messo in testa a Miss Ginger.
“La nostra salsa WASABI SCHUTZSTAFFEL è veramente incredibile. Il suo sapore esotico si abbina con tutto”. Ha tirato fuori dal taschino della divisa un tubetto di salsa verde e lo ha passato a Miss Ginger. Lei ne ha preso un po’ con la punta dell’indice e si è messa il dito in bocca.
“Mmmm, sta bene anche sul dolce Mr. Magic?”
“Sta bene su tutto. Dolce, salato, abiti firmati”
“Halston, Gucci, Fio…”
“…rucci. Esattamente Miss Ginger. Adesso lanciamo il nostro servizio…un momento Miss Ginger. Non dimentichiamoci del nostro ospite speciale”
“Chi?”.
Mr. Magic a quel punto ha aperto uno dei cassetti di fronte a lui e ha tirato fuori la gamba di una donna. Una donna nascosta nel cassetto. Era indubbiamente la mia. Ha rimesso a posto la gamba e ha chiuso subito il cassetto.
“Che cos’era quello Mr. Magic?”
“Assolutamente niente. Passiamo subito al servizio”.
L’inquadratura si è spostata all’interno di un ristorante. Mr. Magic era seduto ad uno dei tavoli insieme a due gatti e una bambina bionda. C’era qualcosa di familiare nella bambina, ma sul momento non sono riuscita a capire cosa fosse. Uno dei gatti era seduto a capotavola, un gatto grigio con un collarino rosso. L’altro, bianco e nero, di fronte a Mr. Magic. Uno dei clienti del ristorante era appena morto per indigestione, il suo cadavere giaceva ancora sul pavimento. Il cuoco continuava ad aggirarsi in mezzo ai tavoli con una padella in mano, lamentandosi perché la cena non era pronta. Poi la bambina ha chiesto a Mr. Magic se anche i gatti potessero ordinare dal menu. Lui ha risposto: “Certo. Possono ordinare quello che vogliono”. Il gatto grigio si è leccato i baffi. Prima che mi svegliassi la bambina aveva appiccicato un biglietto sulla schiena di Mr. Magic, sopra c’era scritto un indirizzo. Gli ha detto: “Così non mi perdi”. Dopo ha messo un fiore sul tavolo, un girasole. Ne aveva una cesta piena. L’inquadratura è tornata bruscamente in studio. Miss Ginger e The Magic sono rimasti a guardare fissi verso la telecamera senza dire una parola per qualche secondo. Poi Mr. Magic ha detto: “Bene. Andiamo avanti”. A quel punto la scena si è spostata sul palco di uno spettacolo di magia. Miss Ginger era al fianco di Mr. Magic come assistente. Si era cambiata la tutina di spandex con le banane con una del tutto simile, grigia glitterata. I soliti occhiali da sole a farfalla rosa. Lui indossava un completo da sera da prestigiatore, con tanto di cilindro e mantello. In mano stringeva una lunga sega di acciaio. Io ero sul palco con loro, bloccata in una cassa di legno da cui uscivano soltanto le gambe e la testa. Si stavano preparando ad eseguire il numero della donna tagliata in due. Mi sono svegliata appena Mr. Magic ha appoggiato la sega sulla cassa.
- Non tirarmi di nuovo il bidone. È arrivato un messaggio da mamma Jenny. Oggi pomeriggio abbiamo da fare. Lucky_Star –
- Che palle. Non ci vengo, ho appena iniziato una maratona di X-Files. Non se ne parla. Raven –
- Non essere stronza come solito, ha detto che possiamo aiutarla soltanto noi due. Per cui tira via le dita dal grilletto e vestiti. Lucky_Star –
- Certo che David Duchovny era proprio un pezzo di fico nella prima serie. Raven –
- Idiota scommetto che ti stai fumando tutta la mia erba. Lucky_Star –
- Facevano una bella coppia, secondo me. Però bisogna dire che Gillian Anderson nei primi episodi aveva il culo decisamente troppo grosso. Sembra persino più grosso del tuo. Raven –
- Vaffanculo. Ti aspetto all’uscita della metro. Lucky_Star –
- Ma non hanno ancora beccato il tizio che succhia il grasso prima di andare in letargo. Ti farebbe bene uscire con uno come quello. Te lo dico io, molto meglio dell’equitazione. Raven –
- Alla metro. E lasciami qualcosa da fumare. Lucky_Star –
- Io, comunque, glie lo succhierei a David Duchovny. Raven -
Hansel ha fermato il pickup davanti all’ingresso di una palazzina di cinque piani. Prima di uscire si era messo addosso una maglietta grigia di Braccio di Ferro e un paio di Ray-Ban con la montatura nera. Le finestre dell’edificio erano tutte chiuse, persiane di legno sbiadito e malandato. Non c’erano luci accese in nessuna parte dell’edificio. Gli unici parcheggi nelle vicinanze erano sbarrati da dissuasori di acciaio con la vernice blu. Una piccola via secondaria a ridosso della zona industriale. L’umidità della sera aveva bagnato l’asfalto con una sottile pioggerellina. Sul lato opposto alla stradina in cui ci eravamo fermati si vedeva il cavalcavia della tangenziale congestionata dal traffico notturno. Sua sorella era seduta sul sedile del passeggero di fianco a lui, impegnata a chattare sul telefono. Io ero dietro, in mezzo alle Vondervotteimittis. Non ha nemmeno spento il motore, è rimasto a guardare la tangenziale sopra di noi senza dire niente. Elena ha aperto lo sportello per farmi scendere. Sono andata dritta verso l’ingresso della palazzina, volevo soltanto darci un taglio, non ho fatto domande. A metà strada tra il pickup e la porta di ingresso mi sono fermata a guardarli. Elena era subito risalita, Gretel ha abbassato il finestrino a metà per soffiare fuori il fumo della sigaretta che si era appena accesa. Ho incrociato il suo sguardo nascosto dagli occhiali scuri e ho ripreso a camminare. Il pickup è ripartito facendo slittare le gomme in una pozzanghera. Mi avevano dato un biglietto con una password di quattro cifre, zero uno zero quattro. Di fianco alla porta ho trovato una pulsantiera digitale sorvegliata da una videocamera. C’erano sensori di movimento a tutti gli angoli dell’edificio. A parte i capannoni abbandonati, non c’era altro nei paraggi. Un’auto abbandonata, annerita da un incendio, rifiuti sparsi e una lunga recinzione grigia. L’edificio era chiuso tra quattro vicoli e completamente isolato dal quartiere residenziale. Quando ho avvicinato la mano alla pulsantiera, si è illuminata automaticamente. Ho composto la password e sono rimasta ad aspettare. Dall’interno non è arrivato nessun rumore. Poi la serratura è scattata, il portoncino blindato si è aperto su una lunga scala di cemento. Scendeva nel buio, verso il seminterrato. Prima di entrare ho lanciato un ultimo sguardo alla tangenziale, due SUV bianchi si erano appena fermati sulla corsia di emergenza con le quattro frecce accese, proprio in corrispondenza della palazzina. Sentivo le mani infilate nelle tasche del giubbotto di pelle diventare sempre più appiccicose per il sudore. AMP, che nome del cazzo, era decisamente un nome da geek. Dopo un paio di gradini la porta blindata si è richiusa, alle mie spalle si è acceso un riflettore rosso. Al fondo della scala un’altra porta blindata sbarrava l’ingresso all’interno del seminterrato. Era decisamente più imponente della prima, interamente in acciaio. Sopra si poteva leggere la scritta AMP lasciata con una vernice spray viola e una citazione di Shakespeare, I am in blood Stepped in So far, that, should I wade no more, Returning were as tedious as go o’er. La luce rossa si è spenta rimpiazzata da un lampeggiante verde proprio di fianco alla porta di acciaio, ed è scattata la serratura. La tana di AMP, come l’aveva chiamata nei suoi messaggi, non era altro che un grande monolocale, ricavato nel seminterrato dell’edificio. Non c’erano stanze o pareti, non c’erano finestre. Soltanto un divisorio creato impilando dei vecchi televisori neri con il tubo catodico. Gli schermi dividevano lo spazio in due, l’ingresso e la stanza di AMP. Le pareti di cemento armato erano coperte di graffiti. Al fondo dell’appartamento sotterraneo potevo vedere due porte, una rossa e una blu di fianco ad una parete di vetro dietro cui si intravedeva il bagno illuminato da un neon blu cobalto. La doccia era proprio davanti alla lastra di vetro temperato. Mi hanno accolta i colpi di una frusta e i gemiti di una donna. Quando mi sono avvicinata alla stanza di AMP, i televisori si sono accesi tutti contemporaneamente per mostrarmi il primo piano sull’occhio sbarrato di una ragazza.
“Vieni. Ti stavo aspettando”.
I televisori si sono spenti e sono passata oltre. AMP si era sdraiata sul letto matrimoniale al centro della camera. Materasso ad acqua, lenzuola nere. Indossava soltanto una maglietta consumata di Superman e un visore notturno militare. Capelli lunghi e biondi, mossi. Poteva avere al massimo diciassette, diciotto anni. Smalto viola, fica rasata. Si è alzata il visore sopra la testa e ha inforcato un paio di occhiali da sole anche se la luce all’interno del seminterrato era bassissima. Poi ha acceso una sigaretta e si è messa a fumare con un braccio piegato dietro la nuca. Davanti al suo letto una donna con la tuta di lattice e il bavaglio con la pallina, immobilizzata su una croce di Sant’Andrea di pelle rossa. Una lunga scrivania grigia coperta di schermi e tastiere per PC. Due MAC accesi sul pavimento, il salvaschermo mostrava un’immagine di Hubble in orbita nello spazio e un Rover della NASA tra le dune di Marte. Tabulati pieni di codici crittografati ovunque. La parete alle spalle di AMP era tappezzata con una carta autoadesiva Hentai di Sailor Moon.
“Guardi troppi film”
“Sei tu che guardi soltanto film del cazzo”.
La tizia sulla croce si è messa a mugugnare quando si è accorta della mia presenza. AMP sorrideva compiaciuta.
“Non farci caso, si lamenta sempre perché deve svegliarsi presto per andare in ufficio”
“Che cosa hai trovato? Che cosa c’è in quelle memory di così importante da volere che qualcuno venisse qui di persona?”.
Si è messa a ridere come se avessi appena detto la cosa più buffa del mondo, iniziava a mettermi a disagio. Ho preso la borsa per cercare le sigarette, sentivo che i nervi stavano per prendere il sopravvento. Lei ha spento la sua in un portacenere di vetro e si è messa seduta a gambe incrociate sul letto. Mi ha lanciato un pacchetto di Marlboro prima che potessi trovarle e ha smesso improvvisamente di ridere.
“Spogliati”.
Ho dato un’altra occhiata alla stanza, vicino al letto oltre al frustino con cui stava colpendo la donna legata alla croce, c’erano anche un paio di pinzette per i capezzoli e una rotella uncinata di acciaio.
“Non sono venuta per fare giochetti”. Speravo di essere stata convincente, ma il suo sguardo sotto le lenti scure mi faceva intuire che non ci fosse niente di cui stare allegri. Ho lasciato andare la borsa e mi sono tolta il giubbotto. Stavo per sfilarmi la camicetta, passandola sopra la testa, ma lei ha detto: “Non così in fretta”. Le mani allora sono scese sui jeans aprendo i bottoni uno ad uno, poi sono risalite. AMP ha raccolto dal pavimento uno dei MAC e si è messa al computer. Prima che fossi completamente nuda ha girato il portatile verso di me. L’applicazione per decriptare il codice contenuto sulla memory ricevuta da Natasha stava facendo scorrere sullo schermo una sequenza di equazioni complesse, alternate a stringhe di codice ancora da decifrare. Mi sono avvicinata salendo con le ginocchia sul bordo del letto.
“Che accidenti sarebbe?”
“Un algoritmo molto elaborato. Il segnale portante trasmesso dalle parabole della Media-elektron e una stringa ripetuta all’infinito”
“E quella roba serve…”
“…per lanciare la recinzione nel subconscio. Questa parte, queste sequenze che si alternano, vedi? Non sono ancora state decifrate”
“E se non sai ancora di cosa si tratta, perché cazzo mi hai fatta venire qui?”. Sembrava piuttosto contrariata, ha raccolto la rotella uncinata da terra e l’ha fatta scorrere lentamente sulla mia pelle. È salita fino al seno. Mi sono dovuta mordere un labbro per non lasciarmi scappare un urlo.
“So benissimo di cosa si tratta.” Mi ha messo una mano in mezzo alle gambe e mi ha tirata a sé, stringendomi la fica. “È una MAN. Una dorsale che attraversa per chilometri tutto il pianeta. Lo avvolge completamente come una ragnatela. Queste stringhe, vedi? Quando l’algoritmo resta criptato. Non esiste nessuna macchina sulla faccia della Terra in grado di supportarle. Nessuna capito?”.
Mi sono piegata in avanti per avvicinarmi ancora, ero arrivata a pochi centimetri dallo schermo.
“Secondo te come si forma la personalità di un individuo? Ci hai mai pensato?”
“Non mi sono mai posta il problema”
“Informazioni”.
Il suo lungo preambolo era servito soltanto ad ottenere la mia piena attenzione. Ormai era sicura di esserci riuscita. Si è rilassata lasciandosi andare sul letto.
“Un continuo accumulo di informazioni. Il nostro cervello serve soltanto per questo, raccoglie informazioni e le rielabora in continuazione. Sai la storia dei monaci amanuensi? Non facevano che ricopiare testi, spesso incomprensibili a loro stessi. Esattamente come un cervello umano, non facevano altro che spostare informazioni da un archivio ad un altro. A volte proprio per la loro ignoranza di base, ricopiavano anche parti del testo completamente errate o piccole imprecisioni. Quegli errori, in seguito, sono diventati il codice vero e proprio, imposto arbitrariamente da convenzioni con cui sono state scelte interpretazioni piuttosto di altre”
“Un errore di sistema”
“Una specie. Quell’errore di sistema, come lo chiami tu, è ciò che caratterizza la personalità di un individuo. Un’interpretazione arbitraria delle informazioni ricevute. Hai presente il film 2001 Odissea nello Spazio? Il computer Hal 9000 si accorge della propria esistenza perché commette un errore nel calcolare la rotta. Questo, mia cara, queste stringhe di errore nel codice che sorveglia le nostre coscienze, attraverso scariche continue di elettroni lanciate in orbita da quelle cazzo di parabole…è un individuo. A dream within a dream”.
- Diana, io non riesco più a uscire di casa quando c’è quella luce. È troppo intensa, mi sembra di non riuscire a vedere niente. Raven –
- Mamma Jenny ha detto che si tratta soltanto di un fenomeno temporaneo. Dobbiamo stare dietro a quella tipa. Metti delle lenti più spesse. Lucky_Star –
- Ma non possiamo aspettare che scenda? Raven –
- Ci vediamo alla stazione, non fare tardi. Lucky_Star –
Mi sono svegliata sul sedile posteriore dell’Hummer. Sonia aveva parcheggiato in un’area di sosta vicino l’aeroporto, era quasi l’alba. Jenny era scesa dalla macchina, guardava il traffico sull’autostrada fumando appoggiata allo sportello. La ragazza tedesca si era rannicchiata sull’altro lato del sedile usando la giacca a vento come cuscino. Elle invece dormiva ancora profondamente. Jenny è risalita in macchina dopo aver schiacciato il mozzicone con il piede. Il suo profumo mescolato all’odore di fumo mi ha raggiunta insieme ad una folata di aria gelida.
“Allora? Racconta. Come è stato?”
“C-Che cosa?”
“Il tuo sogno. Era molto intenso e insolito. Ho indovinato?”
“C’era una bambina insieme ad uno strano tizio. Un ristorante…”. Prima che potessi continuare Jenny ha guardato davanti per cercare gli occhi di Sonia, anche la ragazza tedesca si era voltata ad ascoltare.
“Un uo-mo era morto di indigestione. Lo strano tizio era seduto al tavolo insieme alla bambina e a due gatti, ha detto qualcosa…”
“Che cosa ha detto?”.
Elle si è svegliata quando ancora non avevo finito il racconto, sembrava particolarmente su di giri. Si è sporta dietro per parlare con Jenny aggrappandosi allo schienale. Lei però sembrava più interessata al racconto del sogno.
“È passata. È riuscita ad entrare, è arrivata a destinazione, quelli della Media-elektron non si sono accorti di nulla. Il messaggio…”
“Senti cosa ha da dirci la nostra amica poetessa. Avanti zuccherino continua”
“Ha detto qualcosa sul menu, poi la bambina gli ha appiccicato un biglietto sulla schiena. Sopra c’era un indirizzo. È questo che vuoi sapere? L’indirizzo? Ma io non riesco a ricordarmi altro”.
Le ragazze sono scoppiate a ridere tutte insieme. Elle voleva trovare un albergo e fermarsi a festeggiare, Sonia stava già cercando sul telefono un Motel nei pressi dell’aeroporto. Da quello che avevo capito ascoltando i loro discorsi avremmo preso un volo per il Sud-America nella notte.
“Vedi zuccherino, devi sapere che quell’idiota ha uno strano senso dell’umorismo”
“Spiegati meglio, il tizio del mio sogno, come fai a sapere di chi si tratta? E poi che cavolo dovrebbe significare il biglietto? Non era quello che volevate? L’indirizzo, dico”
“E’ un messaggio in codice, una specie di rebus. Pesce d’Aprile, uno quattro. Who Knock? What? Raw. Che cosa stava cucinando il cuoco riesci a ricordartelo?”
“No però ricordo uno spettacolo di magia”
“Pallone gonfiato, almeno sappiamo che sono ancora vivi. Andiamo ci meritiamo un po’ di riposo”
“E le gambe?”
“Cosa? Gambe? Che intendi dire?”
“C’erano anche delle gambe nel sogno. Le gambe di una ragazza. Credo fossero le mie”
“Le gamb…cazzo gambe! Sonia! Gambe! Hai capito?!”
Sonia è saltata al posto di guida e ha messo in moto partendo a razzo. La prima raffica di mitra ci ha raggiunte quando Jenny stava ancora urlando.
- Ma spiegami perché dobbiamo stare dietro a questa tipa. Che ha di tanto speciale? Raven –
- Deve consegnare una parte del messaggio. Non rompere e sbrigati. Sei già in ritardo. Lucky_Star –
- Non ci vengo lì fuori, la luce è ancora troppo forte. Ti aspetto nella stazione della metro. Raven –
- Non fare l’idiota. Dobbiamo tenerla d’occhio se esce di casa. Lucky_Star –
- E poi cosa cazzo deve consegnare di tanto importante? Raven –
- Coordinate. Muoviti. Ti aspetto all’incrocio. Sbrigati o la perdiamo. Lucky_Star –
- Se ha il messaggio, lo sa già quello che deve fare. Raven –
- Non sa un cazzo. Dobbiamo essere sicure che arrivi a destinazione. Mamma Jenny ha detto così. Lucky_Star –
- Come cazzo fa a non saperlo? Raven –
- Hai mai giocato al telefono senza fili? Lucky_Star –
“AMP, da quanto tempo non esci da questo posto?”.
Dopo la sua spiegazione sui sistemi complessi si era avvicinata alla tizia ammanettata e le aveva messo una mano in mezzo alle gambe. La tizia aveva cominciato ad agitare la testa, come se volesse respingerla. AMP aveva abbassato la lampo sulla fica per massaggiargliela. Dopo mi aveva presa per un braccio per farmi vedere qualcosa. La parte posteriore della Croce di Sant’Andrea era coperta di switch e processori. Un groviglio di cavi colorati e spie intermittenti. “Il mio server, un vero capolavoro”. Poi aveva slegato la donna per scopare. Lei si è buttata subito ai suoi piedi per leccarli, AMP la teneva per uno degli anelli di acciaio del suo collare di cuoio. Le aveva fatto succhiare i piedi e aveva strattonato il collare per avvicinarle il viso alla mia fica. Ci siamo fatte leccare a turno mentre sullo schermo da 130” passava un video porno con quella tipa intenta a succhiare cazzi. Prima di fotterla da dietro i ragazzi mascherati del video le erano venuti in bocca uno dopo l’altro.
“Non uscirei di qui, per andare in mezzo a quei sub-umani là fuori, per tutto l’oro del mondo”
“Allora? Quanto?”
“Più di tre mesi. Vedi quelle pareti? Cemento armato, cinquanta centimetri. Una gabbia di rame avvolge tutta la struttura del seminterrato. L’unico segnale elettromagnetico che arriva fino a qua sotto, passa da un cavo in fibra ottica infilato in un tubo di acciaio che sale fino al tetto. L’aria entra da un sistema di circolazione forzata. L’edificio sopra di noi è completamente abbandonato, come il resto dell’isolato. È solo un paravento. Lei è l’unica che può entrare e uscire”
“Mi prendi per il culo. Non ti sembra una cosa del tutto fuori di testa, vivere in questo modo?”.
La donna nella tuta di lattice si era appena infilata sotto la doccia. Il video era finito. AMP si è seduta alla scrivania davanti ai suoi computer, con il visore notturno abbassato sugli occhi. Sullo schermo piatto è cominciata una lunga sequenza al rallentatore, era stata girata da una videocamera di sorveglianza in bianco e nero. Uno degli incroci più trafficati del centro, proprio nell’ora di punta. Auto incolonnate e una folla di persone ammassate sul marciapiede. Un semaforo scandiva i loro movimenti, frame dopo frame.
“Non sono io ad essere anormale, mia cara. Io sono una superstite, proprio come te. Li vedi? La nuova società si baserà sulla valutazione idealistica della potenzialità dell’uomo. Hai presente? L’uomo è una malformazione, una perversità della Natura”.
A quel punto sorrideva compiaciuta. La schiava di AMP si era rivestita, è andata a darle un bacio sulla guancia prima di uscire. Indossava un completo molto elegante, gonna sopra il ginocchio e tacchi alti. Lei ha cercato di trattenerla, le ha sussurrato in un orecchio: “Non farmi aspettare troppo a lungo”. L’ha baciata sulla fronte poi ha detto: “Devo andare. Ciao”. La porta di acciaio è scattata lasciando entrare la luce rossa del riflettore nel corridoio. Quando siamo rimaste sole mi è salita sulle ginocchia. Si è sfilata la maglietta restando completamente nuda e ha cominciato a baciarmi sul collo. È salita su, poi mi ha scostato i capelli per succhiarmi un orecchio.
“Che accidenti significa quello che hai detto prima?”
“Significa che non ne abbiamo più bisogno”.
REEL TWO, BORN SLEEPY (INTERCEPTOR)
Uscita dal lavoro mi sentivo esausta. Volevo soltanto tornarmene a casa il più in fretta possibile e infilarmi sotto le coperte. Avrei dormito per giorni, non ne potevo più di quella routine delirante. Sarei arrivata al mio appartamento e avrei cercato di dimenticarmi di esistere. Da qualche settimana mi capitava spesso di fare un sogno ricorrente. Un’isola tropicale nel mezzo dell’Oceano. L’isola era completamente deserta, circondata da un’immensa distesa azzurra. Una lunga spiaggia di sabbia bianca segnava il confine di una foresta rigogliosa. L’acqua restava bassa per chilometri, potevo camminare per ore senza che diventasse profonda. Poco distante una piccola scogliera isolata. Tra le rocce avevo trovato persino delle grotte. Ero rimasta a guardare i riflessi del mare sulla superficie della grotta tempestata di cristalli viola, ipnotizzata da quel gioco di luci. Nel sogno la sensazione di trovarmi di fronte a qualcosa di assolutamente reale e tangibile era fortissima. Riuscivo a notare i minimi dettagli, branchi di pesci coloratissimi nuotavano appena sotto la superficie del mare, uno stormo di gabbiani sopra la scogliera. All’orizzonte una gigantesca massa di vapore bianco, da cui a volte si staccavano gruppi di nubi sparse. Scorrevano velocissime sopra l’isola, proiettando la loro ombra sulla foresta. I sogni poi erano lunghissimi, non mi era mai capitato prima di accorgermi di trovarmi in un sogno, senza svegliarmi. In uno di questi avevo nuotato aggrappata ad una grossa testuggine verde. Mi aveva guidata fino ad una piccola laguna nascosta. Vicino alla riva, era scivolata via in modo che potessi raggiungere la spiaggia ed era tornata verso il mare aperto. Sapevo di essere stata condotta in quel paradiso nascosto per un motivo preciso, non poteva essere una coincidenza. Ho camminato verso la foresta, prima di addentrarmi nella vegetazione ho dato un ultimo sguardo al mare, potevo ancora vedere l’ombra della testuggine in acqua, mentre si allontanava verso il largo, superando la scogliera. Il bosco era tempestato di fiori dai colori incredibili, uno in particolare sembrava aver preso il sopravvento tra le piante della foresta, un piccolo fiore rampicante simile ad un calice azzurro. Gli alberi ad alto fusto erano letteralmente invasi dal rampicante, i suoi grappoli profumati si attorcigliavano intorno ai rami fino quasi ad oscurare la luce del Sole. Ad una decina di metri dalla riva il mare si insinuava nell’entroterra formando una palude scura. In controluce potevo vedere una miriade di minuscoli insetti volare freneticamente sulla sua superficie. Scendevano in picchiata fino a sfiorare il pelo dell’acqua e risalivano schizzando verso l’alto. Ho continuato a camminare finché non ho raggiunto un punto della foresta da cui potevo vedere il centro della palude. Proprio nel mezzo affiorava un gruppo di rocce bianche coperte di macchie di muffa verde, da cui zampillava una sorgente. L’acqua dolce si mescolava a quella salata dando vita a quello spettacolo meraviglioso. A quel punto avevo capito quale fosse il segreto nascosto in quella parte dell’isola solitamente inaccessibile. Una ragazza mi aspettava adagiata sulle rocce al centro della palude. Era completamente nuda, lunghi capelli biondi, occhi intensi e azzurri. Il corpo sensuale e perfetto era disteso sulla più grande delle rocce che formavano la sorgente. I capelli la avvolgevano quasi completamente. Quando si era accorta della mia presenza, si era sollevata per guardarmi, ma non aveva parlato. Volevo raggiungerla per toccarla, ma appena mi ero avvicinata avevo sentito la sensazione del sogno svanire rapidamente ed ero scivolata verso il risveglio. Prima che potessi aprire gli occhi lei aveva sillabato una parola con le labbra, aveva detto: “Distòpia”.
Sono scesa prima della solita fermata. Volevo camminare un po’, per essere sicura di essere abbastanza stanca da addormentarmi subito, anche se non era ancora buio. Sono passata sotto la sopraelevata dell’autostrada e mi sono infilata in un negozio di alimentari per comprarmi la cena. Sotto il portone di casa ho notato due strane ragazze. Era curioso il loro modo di tenersi abbracciate. Mi fissavano sotto i loro occhiali scuri mentre cercavo le chiavi del mio appartamento. Una si teneva aggrappata al braccio dell’amica, quasi nascondendo il viso di profilo tra i suoi capelli. Ho sentito il loro sguardo seguirmi mentre entravo nell’ingresso. Appena la porta si è richiusa alle mie spalle il sollievo di essere finalmente a casa ha scacciato la tensione. Ho lanciato le scarpe in un angolo e sono andata a posare la spesa. Dopo una doccia veloce ho puntato dritta verso la camera da letto. Sono andata a chiudere le tende, ancora avvolta nell’accappatoio. In quel momento ho notato una piccola sfera luminosa in cielo. Era poco più grande di una stella, attraversava la linea dell’orizzonte lasciandosi alle spalle una lunga scia luminosa. Immaginavo giganteschi massi di ghiaccio, staccarsi dal corpo millenario della cometa e perdersi nello spazio vuoto. Per una frazione di secondo ho ricordato la ragazza della sorgente e la parola che aveva sillabato prima che mi svegliassi. Questa volta avrei cercato di raggiungerla ad ogni costo.
- E che cazzo sarebbe il telefono senza fili. Io non lo conosco. Raven –
- Tu dici sottovoce una parola nell’orecchio di qualcuno e lui deve ripeterla a quello seduto di fianco. Continua così fino ad arrivare all’ultimo della fila. L’ultimo deve ripeterla ad alta voce. Lucky_Star –
- Che gioco del cazzo. E quale sarebbe il divertimento? Raven –
- Ogni volta che qualcuno bisbiglia la parola è come se si aggiungessero dei disturbi nel suono. Per questo è difficile per quello che sta in fondo alla fila. Lucky_Star –
- Tu sei molto disturbata, non fai che disturbarti. Raven –
- Idiota, ho detto disturbi, di-stur-bi, non ma…Lucky_Star –
- Tu ti distur-bi con le di-ta! Ah! Ah! Raven –
- Mamma Jenny ha detto che se ci sono troppi disturbi alla fine la parola viene distorta in qualcos’altro. Lucky_Star –
- E allora sturati le orecchie! Raven –
- Quanto sei scema, bisogna stare attenti a trasmettere il messaggio nella maniera più precisa possibile senza alterazioni. È come avere i pezzi di un puzzle, devi passare di mano i tuoi finché l’immagine non è completa. L’immagine riprodotta dal puzzle è la parola che cerchiamo. Lucky_Star –
- I puzzle mi hanno sempre fatta incazzare, sono una noia tremenda! Raven –
- Ognuno di noi ha una manciata di pezzi, basta trovare le persone giuste,
quelle che hanno i pezzi che combaciano con i nostri, altrimenti se mettiamo insieme i pezzi sbagliati, l’immagine che viene fuori è distorta. Ecco. Lucky_Star –
- Diana, ma che puttanata! Hai mai pensato a cosa accadrebbe se l’immagine che cerchiamo di ricomporre fosse proprio un’immagine distorta di qualcosa? Raven –
- Cretina, i pezzi comunque non combacerebbero. Sarebbe soltanto più difficile ricomporre l’immagine. Lucky_Star –
- Io sono sicura che i miei pezzi combacerebbero benissimo con quelli di David Duchovny. Raven –
Sonia si è lanciata sulla rampa di uscita dell’autostrada in piena velocità, ma il SUV della Media-elektron aveva troppo vantaggio, non è riuscita a staccarsi. Gli specchietti dell’Hummer sono saltati sotto le raffiche di mitra. I proiettili stavano entrando sempre più in profondità nelle lamiere blindate. Uno dei finestrini è esploso lanciando una pioggia di vetro su Elle. Lei ha cercato di sporgersi dal finestrino per rispondere al fuoco con il suo fucile automatico, ma un’altra raffica l’ha costretta a tornare dentro, il sangue le stava colando da una tempia. Sonia ha piegato la testa in avanti e ha spinto l’Hummer a pieni giri verso il quartiere industriale, vicino all’aeroporto.
“Questa volta ci beccano!”
“Ma come cazzo fanno a spararci addosso in quel modo senza che nessuno intervenga. A questo punto dovrebbe essere pieno di polizia qui intorno!”.
Jenny mi ha guardata come se avessi detto una stupidaggine.
“Quelli hanno il controllo delle parabole, possono fare quello che vogliono con il segnale che passa attraverso le nostre teste. È come avere una radio accesa nel cervello. Hai presente? Sai quelle strane coincidenze per cui tutti stanno guardando da un’altra parte, proprio in quel momento? Quelli sono loro. Per quanto ne so potrebbero anche sganciarci una bomba H in testa senza che nessuno noti nulla!”
“Me-me-me…”
“Me, me, me, cosa? Ti si è ingolfato il motore, cazzo!”
“Merda!”
“Non lo faranno adesso stai giù!”
Sonia è andata in testa coda ed è ripartita un attimo prima che il SUV ci piombasse addosso. Si è infilata sotto la sopraelevata dell’autostrada, saltando da un senso di marcia all’altro, nel tentativo di confondere il tizio alla guida del SUV e spingerlo contro i pilastri di cemento armato. Sterzava bruscamente scavalcando lo spartitraffico ogni volta che ne incontrava uno. Abbiamo schivato un TIR per un pelo, la Media-elektron però ci è rimasta incollata dietro. Siamo di nuovo passate sull’altro senso di marcia, a un centinaio di metri da un tunnel. Il SUV bianco è rimasto sull’altra carreggiata e si è messo di fianco a noi. Non sono riusciti a centraci con il mitra grazie ad un cantiere stradale proprio nel mezzo della strada che portava verso l’aeroporto. Elle si è sporta di nuovo dal finestrino imbracciando il fucile automatico, aspettava soltanto che le barriere del cantiere finissero per aprire il fuoco sulla Media-elektron. Potevo vedere i fari delle auto in uscita dal tunnel avvicinarsi sempre di più. Quando sono tornati a tiro, hanno frenato bruscamente per evitare i colpi. Sonia è tornata sull’altra carreggiata un secondo prima che dal tunnel uscisse una grossa Jeep con la carrozzeria mimetica. Somigliava ad un mezzo militare, vetri oscurati e sospensioni altissime. Lo abbiamo visto inchiodare e invertire la marcia, poi si è messo dietro il SUV bianco.
“Cazzo era ora!”.
Sonia ha di nuovo pestato a tavoletta imboccando il tunnel, la Jeep alle nostre spalle ha speronato la Media-elektron, i fari e il paraurti sono andati in mille pezzi. Elle ha aspettato che il tizio nel SUV mettesse di nuovo fuori la testa per colpire la Jeep, appena si è sporto dal finestrino lei è uscita dal tettuccio e lo ha centrato in pieno. Un colpo solo, la testa è esplosa schizzando di sangue la carrozzeria del SUV. Superato il tunnel, ci siamo dirette verso i capannoni industriali. Ad un bivio la Jeep ha preso una parallela scomparendo dalla visuale, il SUV ne ha approfittato per riguadagnare terreno. Sonia si è messa di nuovo a strillare.
“Ma che cazzo stanno facendo?”
“Non ne ho idea, tu però non mollare, io cerco di farli uscire di strada!”.
Prima che potesse di nuovo sporgersi fuori con il fucile automatico, abbiamo visto la Jeep superarci sulla strada di fianco alla nostra. In una manciata di secondi davanti è passata a noi ed è sbucata dai vicoli inchiodando proprio al centro della carreggiata. Sonia non accennava a rallentare, se avesse mollato l’acceleratore, il SUV alle nostre spalle ci avrebbe speronato schiacciandoci contro gli edifici che costeggiavano la strada secondaria su cui eravamo finite.
“Cazzo! Non posso crederci!”.
Dalla Jeep abbiamo visto scendere la donna che avevo incontrato nel mio appartamento prima della fuga, indossava la stessa divisa militare nera e il basco. E’ andata con calma al bagagliaio della Jeep e si è voltata verso di noi con un lanciarazzi su una spalla. Anche se si trovava ancora a una ventina di metri, sono riuscita a scorgere una specie di ghigno sul suo viso. A un lato della bocca stringeva un sigaro acceso.
“Que-que-que..”
“Esatto è proprio quella stronza col mitra amica tua! Resta giù!”.
Sonia ha sterzato di colpo, sono riuscita a sentire lo spostamento d’aria del razzo attraverso il finestrino rotto, mentre ci passava a una manciata di centimetri per beccare in pieno il SUV. È esploso alle nostre spalle alzando una nuvola di fumo nero. L’Hummer si è fermato di fianco alla Jeep, Elle era ancora aggrappata allo sportello con il fucile automatico tra le mani. La donna ha rimesso il lanciarazzi nel bagagliaio e si è avvicinata.
“Natasha”
“Forza tesorini, la nostra amica sta per atterrare. Quindici minuti per raggiungere l’aeroporto, scalo commerciale”
“Sono passate?”
“Quell’idiota dopo tutto non è poi così inutile”.
- È qui. È andato tutto come previsto. Anarchy –
- Finalmente riunite. Sweet_Revenge –
Quello che è successo dopo nel capannone dell’aeroporto è stato incredibile. Ci siamo nascoste sulla scala antincendio, sulla rampa da cui si poteva salire sul tetto. Un elicottero aspettava di decollare con i motori accesi, l’intero edificio era sorvegliato da guardie armate. Indossavano una tuta di nylon bianca e una mascherina sul viso. All’inizio pensavo che avremmo preso subito un volo per lasciare l’Europa; invece, eravamo in attesa di qualcosa in arrivo. Jenny e Vanessa, la ragazza tedesca incontrata a Francoforte sono rimaste con me. Le altre sono entrate nel capannone non appena un sollevatore giallo si è avvicinato trasportando un container di acciaio. Una gru all’interno del capannone era pronta a sollevare il container e spostarlo in una zona transennata, somigliava ad una sala operatoria di fortuna. Tra le guardie armate ne avevamo notata una in particolare, continuava a maneggiare una grossa croce di legno, con un’estremità acuminata. La gru ha raccolto il container dall’ingresso, dove lo aveva delicatamente depositato il sollevatore e lo ha depositato esattamente al centro della zona delimitata dalle transenne. Il tizio con la croce acuminata si è rimesso la mascherina dopo aver spento una sigaretta mentre le altre guardie liberavano lo sportello di acciaio del container. Sono riuscita a vedere Natasha ed Elle intrufolarsi dentro, Sonia invece era sparita. Per un attimo ho alzato gli occhi al cielo, era quasi il tramonto, il Sole ormai vicino alla linea dell’orizzonte stava incendiando una lunghissima nuvola simile ad una gigantesca ala. Sul momento mi era sembrata buffa, una lunga striscia di vapore al centro del cielo completamente sgombro da altre nubi. Faceva una specie di piega quasi nel mezzo, fino a dissolversi verso Est. Ho guardato Jenny, anche lei si era accorta di quella strana nuvola.
“Cristo santo, non posso crederci”.
La nuvola cominciava a somigliare davvero all’ala di un angelo. Il corpo di una donna è apparso nel cielo, mentre il giorno svaniva per lasciare il posto alla notte. La nuvola sembrava in effetti la sua ala destra, ne aveva una soltanto. Lunghi capelli neri e occhi incredibilmente azzurri. Jenny sembrava in trance, Vanessa invece si era inginocchiata davanti alla finestra da cui si poteva vedere l’interno del capannone con i palmi delle mani appoggiati al vetro.
Natasha è entrata nella zona transennata senza preoccuparsi troppo della sorveglianza, ha puntato dritta verso la cassa di metallo, Elle le ha coperto le spalle aprendo il fuoco con il suo fucile automatico, nascosta dalla cabina di manovra della gru. Due guardie stavano ancora sollevando il coperchio, ha colpito al viso la più vicina, la sua testa è esplosa come se fosse stata di gelatina. Un fiotto di sangue rosso è finito proprio sulla cassa di metallo. All’interno giaceva il corpo di una ragazza con i capelli biondi, sembrava addormentata in uno stato di ibernazione. Quando il sangue è finito sulla sua pelle, è stato attraversato da un fremito. L’uomo con la croce di legno si è scagliato su di lei, sembrava volesse conficcarle il paletto di legno proprio nel mezzo del petto. Il braccio della ragazza si è alzato di scatto e gli ha afferrato il polso. Poi ha cominciato a stringere, le ossa si sono frantumate ed è sceso altro sangue zampillando sulle sue labbra. In quel momento ha aperto gli occhi.
“AMP, che cosa c’è dietro quella porta rossa?”
“Niente”
“Davvero non esci da questo posto da tre mesi?”.
Ha recuperato un paio di jeans dal pavimento e si è infilata le scarpe da ginnastica.
“No. È passato quasi un anno”.
Mi ha preso per mano dirigendosi verso la porta rossa. Dietro c’era un vano scala, portava al piano di sopra.
“Il mio vecchio appartamento. Vieni, ti faccio vedere”.
Siamo salite all’ultimo piano seguendo le scale invase dalle ragnatele. AMP ha tirato fuori un mazzo di chiavi dai jeans e ha aperto uno degli appartamenti. Dentro era buio, le finestre erano tutte chiuse. Prima di proseguire ha cercato l’interruttore generale della luce. Sul pavimento, alcuni vetri rotti e una sua foto di qualche anno prima, in mezzo a due amiche. Sembrava felice, sorrideva abbracciata a loro. Le due amiche però erano state cancellate con una lametta. Sul viso di AMP avevano cancellato gli occhi. Non erano rimasto molto dell’arredamento, alcuni mobili rotti e oggetti sparsi. Siamo passate davanti alla cucina, dentro c’era soltanto un lavandino sporco con la ceramica annerita. Nel salotto era rimasto un vecchio divano e una bambola di porcellana con i capelli di lana. Si è seduta sul divano e ha acceso una sigaretta.
“Come accidenti fai a resistere chiusa qui dentro?”.
Lei ha guardato verso la finestra chiusa di fronte al divano.
“Quello che c’è lì fuori non significa niente per me”.
L’ho raggiunta e mi sono sdraiata appoggiando la testa sulle sue ginocchia, mentre parlava ha cominciato ad accarezzarmi i capelli.
“Secondo te perché è così piacevole dormire in questa posizione?”
“Forse perché ci ricorda qualcosa. Un sogno del passato, quel periodo attraverso cui passiamo tutti prima di venire al mondo quando restiamo mesi immersi nel liquido amniotico. Pensiamo sempre che la vita vada in una direzione precisa. Invece secondo me è come una lunga caduta. Non c’è niente dopo. Forse, prima c’è qualcosa, prima di venire al mondo. Il resto è una continua ricerca di quel ricordo sepolto nella memoria”
“Stai dicendo che hai capito il senso della vita? Hai un’interpretazione arbitraria di cosa sia, come dici tu?”
“Forse”
“AMP che cos’è la vita, allora?”
“Un sogno quasi divenuto realtà”.
La sua voce è diventata sempre più distante, ha continuato ad accarezzarmi finché non mi sono completamente addormentata. Ho sognato subito l’isola tropicale. Il mare era agitato da fortissime raffiche di vento. AMP mi aspettava sul molo, guardava verso l’Oceano, in piedi sullo scoglio più lontano. Quando sono andata verso di lei si è voltata, il vento le ha scompigliato i capelli.
Poi mi sono svegliata, ero rimasta sola nella stanza, AMP era tornata nella sua tana sotterranea. Sulla pancia mi aveva lasciato il pacchetto di sigarette.
Continua...
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