L'equivoco - capitolo 2 - Chiara
di
Alex 88
genere
sentimentali
Capitolo secondo
Chiara
- Ti posso parlare?
Di solito, quando una ragazza come Chiara se ne usciva con una frase del genere, le cose non si mettevano mai bene; specie poi se la ragazza in questione è la fidanzata del tuo migliore amico. Chissà perché c’era questa specie di tacito accordo tra noi per cui, quando le cose tra loro non andavano bene, io mi trasformavo nella spalla su cui piangere. Già sapevo che: tra lo spirito di conservazione con cui avrei mandato a fanculo entrambi e il mio masochismo innato, avrebbe prevalso quest’ultimo; ma devo ammettere che non ero ancora pronto a passare l’intero pomeriggio a sopportare piagnistei ed elucubrazioni mentali degne di Marzullo uscire dalla bocca della ragazza che amavo. Sì: l’amavo, e mi detestavo per questo. Solo uno stronzo riuscirebbe a consolare la ragazza che ama mentre piange per colpa di un altro, sebbene sia il proprio migliore amico.
- Cosa c’è? Abbandonarmi per strada come un cane non ti è bastato? – le sputai al telefono sentendola tirare su col naso. Chiara non rispose subito. Si sentiva che aveva davvero bisogno di parlare con qualcuno. Lo so: tutto questo non mi faceva certo bene ma, ve lo ripeto: so stronzo!
- Dimmi dove e a che ora ci vediamo… - le sospirai al telefono maledicendo me stesso per quanto bassa fosse la mia autostima – spero per te che sia vicino. Non intendo farmi un'altra volta venti chilometri a piedi sotto la pioggia.
Sì, le ho mentito. Ma fosse stato per lei sarebbe stata quella la sorte che mi sarebbe spettata se la Sarli non m’avesse dato un passaggio. Poi la giornata è continuata come avrete già letto, ma era giusto che gliela facessi pagare… almeno un po’.
- Scusa… - boccheggiò con la voce rotta dal pianto. Inutile, sentirla in quello stato rompeva in me ogni sentore di auto conversazione.
- Dimmi dove ti trovi. Ti raggiungo!
So proprio stronzo.
- Ti dispiace venire a casa mia?
Era la prima volta che Chiara mi invitava da lei. Di solito ci incontravamo in un bar in centro, davanti a un paio di bicchieri di frappé ricoperti da un cono di panna montata; doveva proprio stare a pezzi.
- Non so dove abiti.
- Ti mando la posizione!
- Conoscendoti, sarai stesa sul letto con gli occhi arrossati e le lenzuola sepolte sotto un mare di fazzoletti – ma questo lo pensai soltanto – Ci vediamo tra poco!
Perché? Perché ero così stronzo? Perché non ero ancora capace a farmi i cazzi miei? Perché non lasciavo che quei due si sbranassero tra loro come fanno tutte le altre coppie? Continuai a chiedermelo mentre, maledicendo me stesso, inforcai la porta di casa e mi diressi di gran carriera verso casa della donna che amavo. Aveva appena ripreso a piovere.
L’appartamento di Chiara si trovava al primo piano rialzato di una vecchia casa popolare. Il proprietario, un vecchio attempato e gentile, l’aveva ricevuto in eredità dai genitori, e lo aveva adibito ad abitazione universitaria. Erano in quattro a dividersi le spese d’affitto, tutte ragazze, e i maschietti non erano ammessi. Per me dovettero fare un’eccezione. Arianna, la ragazza che venne ad aprirmi, mi squadrò subito dalla testa ai piedi, decidendosi, poco dopo, a lasciarmi entrare. Indossava un paio di pantaloni larghi a vita bassa, di quelli lucidi in viscosa di cotone con la molla alla caviglia, una specie di fascia larga che ne nascondeva il reggiseno, e un paio di sandali color cuoio coi legacci decorati da piccole perline colorate.
- Chiara è di là – mi indicò con fare severo. – va a vedere in che condizioni è per colpa tua!
- Come prego? – le chiesi inebetito
- Non fare il finto tonto. Fossi in te mi vergognerei a far soffrire in questo modo una ragazza come lei!
- Guarda che ci dev’essere un errore perché…
- L’errore lo hai fatto tu riducendola in quello stato! – mi incalzò lei senza lasciarmi finire di parlare – Voi uomini siete tutti uguali, tutti degli idioti, e tu Marco non sei certo l’eccezione che conferma la regola.
Le sorrisi divertito.
- Ti sbagli, vedi io sono…
- Uno stronzo, ecco cosa sei! – continuò Arianna fissandomi coi suoi occhi verdi - Se fossi il mio fidanzato ti avrei mandato a cagare già dal secondo giorno!
- Non che le tue deiezioni siano di mio interesse – continuai con tono divertito - ma ti assicuro che ti sbagli perché, vedi, ti assicuro che…
- È inutile che fai lo spiritoso, Marco, giuro che se non ti comporti bene…
- Ale, sei tu?
La testa di Chiara fece capolino da dietro la porta di camera sua. Aveva gli occhi gonfi e il naso che le colava, ma era sempre bellissima.
- Sì, eccomi, ho fatto il prima possibile! – le dissi slanciandomi verso di lei.
- Ale? – ripeté Arianna rimbalzando confusa lo sguardo tra me e Chiara
- Sì, Ari, lui è Alessandro: il migliore amico di Marco.
- Ah, sei il migliore amico dello stronzo? – rimbrottò la ragazza imperterrita.
- Qui per servirla, madame – dissi inchinandomi a prenderle la mano per baciarla
- Beh… non lo sapevo. Ti ho scambiato per lui! – e detto questo ritirò la mano in un misto di imbarazzo e confusione
- Me ne sono accorto – le risposi sfoggiando un sorriso cordiale.
- Ehm… si è fatto tardi – riprese lei rivolgendosi direttamente a Chiara – Io… io sono di la in salotto a studiare. Fammi sapere se ti serve qualcosa!
- Va bene – le rispose la ragazza abbozzando un mezzo sorriso stentato, e detto questo ci lasciò soli.
- Accomodati – mi disse Chiara una volta in camera sua, indicandomi il letto che, come avevo previsto, era pieno zeppo di fazzoletti di carta appallottolati.
- Scusa ma credo che stavolta passo. Sai mi manca ancora il richiamo dell’antirabbica – tentai di sdrammatizzare - e non vorrei che il mastino di là torni per azzannarmi al collo!
Chiara mi guardò scuotendo la testa divertita.
- Sul serio, c’è anche un modello domestico o li fanno solo da caccia? – rincarai faceto, ma il suo sguardo tornò triste poco dopo
- Che scemo che sei – disse abbozzando un sorriso mentre si metteva a sedere in mezzo a quella coltre infetta di fazzoletti
- Ecco che ricominciamo con gli insulti – la ammonii con tono fintamente offeso – Che c’è? Lasciarmi sotto la pioggia nel bel mezzo del nulla non ti è bastato?
- Te la sei presa?
- No, macché, - continuai ironico - capita spesso che mi faccia una ventina di chilometri sotto la pioggia torrenziale: Tempra il corpo!
- Scusa – mi rispose lei con gli occhi che subito si velarono di lacrime – è solo che…
- È solo che sono uno stronzo – la bloccai io avvicinandomi per stringerle le mani – tu sei qui che ti disperi e io non faccio altro che darti ancora più addosso.
- Mi dispiace. – continuò lei cominciando a piangere – Tu non centri nulla. Non so proprio che cosa m’abbia preso –
- Non fa niente – le dissi, portandomi le mani al petto – eri incazzata nera con Marco, ed io rappresentavo il perfetto capro espiatorio.
- Non è giusto però! – riprese lei tirando su col naso – Me la sono presa con te che non hai colpe…
- Vorrà dire che la prossima volta sarò io a lasciarti a piedi sotto la pioggia – le dissi raccogliendo una lacrima che le rigava la guancia. – C’è altro che vuoi dirmi?
Non mi rispose. Il suo sguardo si era già perduto tra le pieghe della tenda alla finestra, mentre gli occhi tornavano a velarsi di lacrime.
- Credo che mi tradisca.
- Chi? Marco? – le chiesi interdetto. Lo so era una domanda stupida. Chiara tacque ancora.
- Mi ha detto che tu e quella sciacquetta di Flora vi stavate sentendo su Snapchat – riprese fissandosi le unghie morsicate. La sua voce era piatta, sconfitta.
- Flora la biondina che si siede sempre al primo banco? – le chiesi confuso – è per questo che prima mi hai chiesto di lei?
- Sì, l’ho beccato con una sua foto in intimo sul cellulare e quando gli ho chiesto che cosa ci facesse lì, mi ha risposto che gliel’avevi passata tu per vantarti della tua ultima conquista.
- Capisco… - commentai piatto stringendo le labbra mentre prendevo posto accanto a lei. Le passai un braccio dietro le spalle ricurve. Chiara non osava alzare lo sguardo da terra.
- Come fai?
- A fare cosa?
- A non prendertela! Ti mette sempre nei casini, specie con me, e tu che non fai altro che coprirlo. Puntualmente si ripete sempre lo stesso schema: io che lo becco in fragrante, lui che trova una scusa che puzza di marcio lontano un miglio e tu che lo difendi a spada tratta fregandotene di tutto e di tutti.
- Non è vero – ribattei prendendola per il mento e costringendola a guardarmi. I suoi occhi erano bellissimi, persino così gonfi e arrossati per il pianto. Lo sguardo le tremava mentre la costringevo a guardarmi.
- Non lo sapevo – le confessai deciso
- Lo so! – riprese lei senza scollare i suoi occhi dai miei – ma non è la prima volta che capita. Anche con Elisa…
- Elisa Ruggeri della 5aC?
- Lei – mi confessò Chiara secca, abbassando lo sguardo – L’anno scorso li ho beccati a cinguettare nel corridoio della palestra. Marco mi disse che stava cercando di mettere una buona parola per te, ma ho beccato una sua foto nuda sul cell. Credo che ce l’abbia ancora.
Sentii che qualcosa dentro di me era cambiato, non so dirvi bene cosa, ma era come se un meccanismo si fosse inceppato e l’incanto si fosse rotto per sempre. Come aveva appena detto Chiara: finivo sempre per difendere Marco “a spada tratta”, per partito preso, ma stavolta non ne avevo più alcuna voglia. Sapeva che Elisa mi piaceva, lo sapeva… Ci avevo messo anni a tentare di dimenticare Chiara, a reprimere ciò che provavo per lei, e Elisa poteva rivelarsi una valida alternativa, ma Marco mi aveva tolto anche questo.
- Non mi ricordo che tu mi abbia mai detto qualcosa al riguardo – ripresi inebetito
– Non ne ho avuto bisogno! Quando ti chiesi che fine avesse fatto Marco mi hai subito risposto che forse era in biblioteca a studiare per l’esame di maturità.
- Ah già, mi ricordo. Allora mi disse che tu non gli davi tregua e aveva bisogno di una pausa per distendersi i nervi e giocare un po’ ad Assassins creed.
- E invece si recava da Elisa per giocava “al dottore” – replicò acida – Me lo ha confermato al telefono la stessa Elisa poco prima che ti dessi quel passaggio. L’ho chiamata apposta.
- Vuoi dire che…
- Che visto che ho sgamato Marco con la foto di un’altra sul cell, ho deciso di contattare direttamente Elisa per farmi raccontare da lei come sono andate davvero le cose? – mi incalzò lei con tono beffardo – Colpevole! Lo ha fatto anche con Sabrina…
- Sabrina chi?
- L’unica Sabrina che conosci.
Ed era vero. Conoscevo una sola Sabrina; una bella moretta con cui avevo avuto una mezza storia in quarto superiore. Eravamo usciti insieme un paio di volte, c’era stato qualche bacio, ma all’improvviso non ne aveva voluto più sapere. Adesso avevo capito il perché.
- Vuoi dire che Marco e Sabrina…
- Nella casa a mare – replicò lei sibillina – mentre tu eri impegnato con le olimpiadi della matematica.
C’era un che di ironico in tutta quella vicenda: io che morivo dietro Chiara e cercavo nelle altre quello che non osavo chiedere alla fidanzata del mio migliore amico, e lei che, non avendo occhi che per lui, scaricava su di me le sue colpe mentre Marco continuava a fare il cazzo che gli pare e piace senza preoccuparsi di niente e nessuno. Lo ripeto: è ironico. Sabrina mi piaceva. Sì, non era Chiara, ma mi piaceva.
- Ora capisco la sfuriata di poco fa –
- Mi perdoni?
- Non devi neanche chiederlo – le dissi costringendola ancora una volta a posare gli occhi tremanti nei miei.
- Ale io… sono mortificata!
- Va tutto bene – replicai avvicinando il mio viso al suo.
- Davvero?
- Sì!
Le nostre labbra erano sul punto di sfiorarsi.
- Sei davvero un buon amico – replicò lei con quei suoi occhi da cerbiatto.
Ecco – pensai – condannato alla friend zone ancor prima di avere la possibilità di baciarla.
- Un amico eh? – commentai deluso.
- Il mio migliore amico! – replico lei appoggiando la sua testa sul mio petto, costringendo me ad accarezzarle mollemente la fronte mentre maledicevo me stesso per non essere riuscito, neppure stavolta, a farmi avanti. Non so per quanto tempo restammo così, abbracciati a fissare la porta. Chiara aveva smesso di piangere e sembrava in qualche modo rincuorata.
- Che cosa intendi fare? – le chiesi continuando ad accarezzarla sulla fronte
- Non lo so! – mi rispose lei stringendo le braccia intorno al mio petto – ma ti prego non lasciarmi da sola.
- Non vado da nessuna parte…
La baciai sulla fronte, così come tante volte avevo visto fare a mia madre quando stavo poco bene. Non so perché ma mi venne del tutto naturale. Sentii Chiara irrigidirsi.
- Tutto bene? – le chiesi senza guardarla negli occhi
- S…Sì - mi rispose lei continuando a cingermi forte tra le sue piccole braccia
Non intendevo darmi per vinto; non adesso. Se proprio doveva relegarmi al ruolo marginale di amico, volevo che almeno avesse ben Arianna l’idea di che cosa si stesse lasciando alle spalle. L’afferrai per la nuca e la baciai con passione. Le sue labbra erano morbide come petali di rosa. La sentii fremere tra braccia, ma non si sottrasse. Lo so, qualcuno di voi starà pensando che sono un amico di merda, e forse avrà pure ragione, ma era una vita che desideravo posare la bocca su quelle belle labbra salate, e Chiara non mi fermò.
Non so dirvi per quanto ci baciammo. Con le dita non avevo smesso per un solo momento di accarezzarle le guance bagnate dalle lacrime, mentre lei mi cingeva ancora la vita con entrambe le braccia. Riaprii gli occhi incontrando il suo timido sguardo da cerbiatta; lo stesso per cui avevo letteralmente perso la testa. Chiara non fiatava, si limitava a fissarmi con quei suoi occhi grandi e profondi come il mare.
Rubarle un altro bacio fu semplice come respirare. Ne segui un altro, e un altro ancora, finché non mi ritrovai a percorrere con le labbra il suo bel collo d’alabastro. Chiara mi lasciò fare, sfiorando con dita tremanti i capelli sulla mia nuca. Le nostre labbra si fusero ancora, i nostri respiri si fecero sempre più veloci e profondi. Non c’era bisogno di discorsi, di gesti o di parole: eravamo io e lei… e tanto mi bastava.
Le nostre lingue saettavano veloci l’una nella bocca dell’altro, mentre le mani già sfioravano ciò che gli occhi non avevano ancora avuto il coraggio di guardare.
- Ti amo – le sussurrai a un orecchio mentre l’aiutavo a disfarsi della maglia del pigiama. Chiara non mi rispose. In silenzio si sfilò canotta e reggiseno, lasciando i miei occhi liberi di bearsi dello spettacolo delle sue tette. I suoi seni erano piccoli ma graziosi. Svettavano superbi all’insù, sodi, con un bel paio di aureole rosate ad incastonarne i capezzoli turgidi. Tornai a baciarla sulle labbra. Può sembrare strano che non mi sia avventato da subito sulle sue bellissime tette, ma avevo sempre desiderato baciarla e, adesso che ne avevo la possibilità, volevo godermi senza fretta ogni istante. Con le dita continuai a sfiorarle le belle guance arrossate, mentre Chiara mi aiutava a sfilarmi maglia e jeans per stare più comodo. Fu poi la volta dei suoi, di pantaloni, di un grazioso sfondo bianco con delle stelline azzurre, Chiara si liberò anche di quelli, disfacendosi, poco dopo, anche dei suoi slip in cotone bianco. All’appello non restavano che i miei boxer, che Chiara senza far tante cerimonie mi sfilò all’improvviso, liberandomi l'arnese in piena erezione. Sembrava così impaziente di andare avanti...
Baciandola ancora, mi portai sopra di lei, puntando il glande, gonfio e violaceo, tra i morbidi petali del suo fiore proibito. Chiara sembrava non aspettare altro e, spalancate per bene le gambe, lasciò che entrassi in lei senza fare resistenza, sfiorando con le dita il ciuffo di capelli sulla mia fronte. Riprendendo a baciarla cominciai a penetrarla dolcemente, con colpi lenti e profondi, sfiorando le belle e lunghe braccia con il dorso della mano destra. Chiara si avvinghiò a me con le gambe, spingendo verso il mio cazzo duro il ventre prominente. All’improvviso insistette per scambiarci di posto, cominciando un andirivieni forsennato con cui mi fece sentire quanto profonda e bagnata fosse la sua vulva. La donna che amavo mi stava cavalcando a smorza candela, regalandomi lo spettacolo incommensurabile delle sue tette ballonzolanti a pochi millimetri dal mio viso. Ne afferrai una con la mano destra, mentre dell’altra cominciai a succhiare il capezzolo dritto e duro come un chiodino. Sentii Chiara gemere in preda all’estasi, mentre i suoi fianchi mai si stancavano di impalarsi sopra il mio cazzo svettante. Ad un tratto si fermò, tremante, trattenendo a stento un gridolino di soddisfazione. Era venuta. A quella vista non potei esimermi dal venire anch’io, facendo appena in tempo a sfilarmi via da lei prima che tre grossi fiotti di sperma non la colpissero sul fianco e sulla gamba destra. Il paradiso esiste e gli occhi di Chiara ne erano le porte.
Restammo abbracciati ancora un po’. Chiara alzò ancora una volta la mano per sfiorarmi con le dita i capelli sulla fronte. Il suo sguardo si era fatto triste e assente. Chissà a che pensava...
- Noi due siamo amici… - lasciò cadere poi mentre le lacrime riprendevano a bagnarle gli occhi. La cosa mi lasciò di sasso. Avevamo appena fatto l’Amore e lei se ne usciva così? In quel modo? Mi sentii nudo come non mai, indifeso, e del tutto incapace di rimanere lì da solo con lei anche solo per un altro minuto. M’alzai dal letto e recuperai i vestiti.
- Scusami – le sussurrai poi a mezza voce – avevo dato per scontato che anche per te… - Il silenzio si fece sempre più pesante. - Mi ero ripromesso di non farlo… Ho rovinato tutto!
Lei non mi rispose. Avvicinandomi alla porta mi voltai a guardarla ancora una volta; un angelo dagli occhi tristi.
- Scusami - le dissi ancora - ma preferisco saperti persa per sempre che morirti ancora dietro. Ti amo troppo per essere solo un tuo amico.
Anche stavolta Chiara non mi rispose; si vedeva lontano un miglio quanto fosse confusa.
- Lo so che non provi lo stesso per me. L’ho capito proprio poco fa! – Chiara cercò di interrompermi, ma la bloccai – Non so se per te è lo stesso, ma poco fa io con te ho fatto l’Amore… ed è stato bellissimo.
Non aspettai che mi rispondesse. Raccogliendo il coraggio a due mani andai via da lì, lasciandola ancora una volta da sola a piangere.
Camminare sotto la pioggia senza ombrello ha i suoi vantaggi, nessuno può vedere le tue guance rigate dalle lacrime. Nella mia mente ripensavo ancora a Chiara, a quel bacio che non avrei mai dovuto sottrarle e che aveva incasinato tutto una volta per tutte. Lo so, è un po’ infantile, dopotutto non era certo la mia ragazza, ma in quel momento mi sentivo proprio sotto un treno. Credo che col tempo mi fossi abituato all’idea che Chiara non fosse alla mia portata, attribuendo la cosa al fatto che fosse la ragazza di quello che, a partire da quel giorno, avrei dovuto considerare il mio ex -migliore amico; ma la verità era che non le interessavo, la cosa era palese, o non avrebbe reagito a quel modo. Dovevo farmene una ragione.
Il vento continuava a soffiare impietoso sul mio viso e sui miei vestiti bagnati, lenendo, in un certo qual modo, il mio dolore.
Sei tu che non chiedi permesso
Sei entrata e sei uscita lo stesso
Ha volte solo sfiorandomi altre come se non ci fossi.
Adesso non sopporto le scuse
scusarsi è come avere pochissima memoria
i tuoi silenzi fanno male lasciano tracce non ti perdono.
Sono lividi e fiori son lividi e fiori che portiamo nel cuore
Son lividi e spinee il dolore si sente
E ho bisogno d'aria e di ventilazione
Fare due passi nella notte e scordare il tuo nome
Ne ho bisogno come respirare e nascondermi in un niente
Solo fare e disfare ed un semplice abbandono ora non ti perdono.
Fare e disfare- Bungaro
Chiara
- Ti posso parlare?
Di solito, quando una ragazza come Chiara se ne usciva con una frase del genere, le cose non si mettevano mai bene; specie poi se la ragazza in questione è la fidanzata del tuo migliore amico. Chissà perché c’era questa specie di tacito accordo tra noi per cui, quando le cose tra loro non andavano bene, io mi trasformavo nella spalla su cui piangere. Già sapevo che: tra lo spirito di conservazione con cui avrei mandato a fanculo entrambi e il mio masochismo innato, avrebbe prevalso quest’ultimo; ma devo ammettere che non ero ancora pronto a passare l’intero pomeriggio a sopportare piagnistei ed elucubrazioni mentali degne di Marzullo uscire dalla bocca della ragazza che amavo. Sì: l’amavo, e mi detestavo per questo. Solo uno stronzo riuscirebbe a consolare la ragazza che ama mentre piange per colpa di un altro, sebbene sia il proprio migliore amico.
- Cosa c’è? Abbandonarmi per strada come un cane non ti è bastato? – le sputai al telefono sentendola tirare su col naso. Chiara non rispose subito. Si sentiva che aveva davvero bisogno di parlare con qualcuno. Lo so: tutto questo non mi faceva certo bene ma, ve lo ripeto: so stronzo!
- Dimmi dove e a che ora ci vediamo… - le sospirai al telefono maledicendo me stesso per quanto bassa fosse la mia autostima – spero per te che sia vicino. Non intendo farmi un'altra volta venti chilometri a piedi sotto la pioggia.
Sì, le ho mentito. Ma fosse stato per lei sarebbe stata quella la sorte che mi sarebbe spettata se la Sarli non m’avesse dato un passaggio. Poi la giornata è continuata come avrete già letto, ma era giusto che gliela facessi pagare… almeno un po’.
- Scusa… - boccheggiò con la voce rotta dal pianto. Inutile, sentirla in quello stato rompeva in me ogni sentore di auto conversazione.
- Dimmi dove ti trovi. Ti raggiungo!
So proprio stronzo.
- Ti dispiace venire a casa mia?
Era la prima volta che Chiara mi invitava da lei. Di solito ci incontravamo in un bar in centro, davanti a un paio di bicchieri di frappé ricoperti da un cono di panna montata; doveva proprio stare a pezzi.
- Non so dove abiti.
- Ti mando la posizione!
- Conoscendoti, sarai stesa sul letto con gli occhi arrossati e le lenzuola sepolte sotto un mare di fazzoletti – ma questo lo pensai soltanto – Ci vediamo tra poco!
Perché? Perché ero così stronzo? Perché non ero ancora capace a farmi i cazzi miei? Perché non lasciavo che quei due si sbranassero tra loro come fanno tutte le altre coppie? Continuai a chiedermelo mentre, maledicendo me stesso, inforcai la porta di casa e mi diressi di gran carriera verso casa della donna che amavo. Aveva appena ripreso a piovere.
L’appartamento di Chiara si trovava al primo piano rialzato di una vecchia casa popolare. Il proprietario, un vecchio attempato e gentile, l’aveva ricevuto in eredità dai genitori, e lo aveva adibito ad abitazione universitaria. Erano in quattro a dividersi le spese d’affitto, tutte ragazze, e i maschietti non erano ammessi. Per me dovettero fare un’eccezione. Arianna, la ragazza che venne ad aprirmi, mi squadrò subito dalla testa ai piedi, decidendosi, poco dopo, a lasciarmi entrare. Indossava un paio di pantaloni larghi a vita bassa, di quelli lucidi in viscosa di cotone con la molla alla caviglia, una specie di fascia larga che ne nascondeva il reggiseno, e un paio di sandali color cuoio coi legacci decorati da piccole perline colorate.
- Chiara è di là – mi indicò con fare severo. – va a vedere in che condizioni è per colpa tua!
- Come prego? – le chiesi inebetito
- Non fare il finto tonto. Fossi in te mi vergognerei a far soffrire in questo modo una ragazza come lei!
- Guarda che ci dev’essere un errore perché…
- L’errore lo hai fatto tu riducendola in quello stato! – mi incalzò lei senza lasciarmi finire di parlare – Voi uomini siete tutti uguali, tutti degli idioti, e tu Marco non sei certo l’eccezione che conferma la regola.
Le sorrisi divertito.
- Ti sbagli, vedi io sono…
- Uno stronzo, ecco cosa sei! – continuò Arianna fissandomi coi suoi occhi verdi - Se fossi il mio fidanzato ti avrei mandato a cagare già dal secondo giorno!
- Non che le tue deiezioni siano di mio interesse – continuai con tono divertito - ma ti assicuro che ti sbagli perché, vedi, ti assicuro che…
- È inutile che fai lo spiritoso, Marco, giuro che se non ti comporti bene…
- Ale, sei tu?
La testa di Chiara fece capolino da dietro la porta di camera sua. Aveva gli occhi gonfi e il naso che le colava, ma era sempre bellissima.
- Sì, eccomi, ho fatto il prima possibile! – le dissi slanciandomi verso di lei.
- Ale? – ripeté Arianna rimbalzando confusa lo sguardo tra me e Chiara
- Sì, Ari, lui è Alessandro: il migliore amico di Marco.
- Ah, sei il migliore amico dello stronzo? – rimbrottò la ragazza imperterrita.
- Qui per servirla, madame – dissi inchinandomi a prenderle la mano per baciarla
- Beh… non lo sapevo. Ti ho scambiato per lui! – e detto questo ritirò la mano in un misto di imbarazzo e confusione
- Me ne sono accorto – le risposi sfoggiando un sorriso cordiale.
- Ehm… si è fatto tardi – riprese lei rivolgendosi direttamente a Chiara – Io… io sono di la in salotto a studiare. Fammi sapere se ti serve qualcosa!
- Va bene – le rispose la ragazza abbozzando un mezzo sorriso stentato, e detto questo ci lasciò soli.
- Accomodati – mi disse Chiara una volta in camera sua, indicandomi il letto che, come avevo previsto, era pieno zeppo di fazzoletti di carta appallottolati.
- Scusa ma credo che stavolta passo. Sai mi manca ancora il richiamo dell’antirabbica – tentai di sdrammatizzare - e non vorrei che il mastino di là torni per azzannarmi al collo!
Chiara mi guardò scuotendo la testa divertita.
- Sul serio, c’è anche un modello domestico o li fanno solo da caccia? – rincarai faceto, ma il suo sguardo tornò triste poco dopo
- Che scemo che sei – disse abbozzando un sorriso mentre si metteva a sedere in mezzo a quella coltre infetta di fazzoletti
- Ecco che ricominciamo con gli insulti – la ammonii con tono fintamente offeso – Che c’è? Lasciarmi sotto la pioggia nel bel mezzo del nulla non ti è bastato?
- Te la sei presa?
- No, macché, - continuai ironico - capita spesso che mi faccia una ventina di chilometri sotto la pioggia torrenziale: Tempra il corpo!
- Scusa – mi rispose lei con gli occhi che subito si velarono di lacrime – è solo che…
- È solo che sono uno stronzo – la bloccai io avvicinandomi per stringerle le mani – tu sei qui che ti disperi e io non faccio altro che darti ancora più addosso.
- Mi dispiace. – continuò lei cominciando a piangere – Tu non centri nulla. Non so proprio che cosa m’abbia preso –
- Non fa niente – le dissi, portandomi le mani al petto – eri incazzata nera con Marco, ed io rappresentavo il perfetto capro espiatorio.
- Non è giusto però! – riprese lei tirando su col naso – Me la sono presa con te che non hai colpe…
- Vorrà dire che la prossima volta sarò io a lasciarti a piedi sotto la pioggia – le dissi raccogliendo una lacrima che le rigava la guancia. – C’è altro che vuoi dirmi?
Non mi rispose. Il suo sguardo si era già perduto tra le pieghe della tenda alla finestra, mentre gli occhi tornavano a velarsi di lacrime.
- Credo che mi tradisca.
- Chi? Marco? – le chiesi interdetto. Lo so era una domanda stupida. Chiara tacque ancora.
- Mi ha detto che tu e quella sciacquetta di Flora vi stavate sentendo su Snapchat – riprese fissandosi le unghie morsicate. La sua voce era piatta, sconfitta.
- Flora la biondina che si siede sempre al primo banco? – le chiesi confuso – è per questo che prima mi hai chiesto di lei?
- Sì, l’ho beccato con una sua foto in intimo sul cellulare e quando gli ho chiesto che cosa ci facesse lì, mi ha risposto che gliel’avevi passata tu per vantarti della tua ultima conquista.
- Capisco… - commentai piatto stringendo le labbra mentre prendevo posto accanto a lei. Le passai un braccio dietro le spalle ricurve. Chiara non osava alzare lo sguardo da terra.
- Come fai?
- A fare cosa?
- A non prendertela! Ti mette sempre nei casini, specie con me, e tu che non fai altro che coprirlo. Puntualmente si ripete sempre lo stesso schema: io che lo becco in fragrante, lui che trova una scusa che puzza di marcio lontano un miglio e tu che lo difendi a spada tratta fregandotene di tutto e di tutti.
- Non è vero – ribattei prendendola per il mento e costringendola a guardarmi. I suoi occhi erano bellissimi, persino così gonfi e arrossati per il pianto. Lo sguardo le tremava mentre la costringevo a guardarmi.
- Non lo sapevo – le confessai deciso
- Lo so! – riprese lei senza scollare i suoi occhi dai miei – ma non è la prima volta che capita. Anche con Elisa…
- Elisa Ruggeri della 5aC?
- Lei – mi confessò Chiara secca, abbassando lo sguardo – L’anno scorso li ho beccati a cinguettare nel corridoio della palestra. Marco mi disse che stava cercando di mettere una buona parola per te, ma ho beccato una sua foto nuda sul cell. Credo che ce l’abbia ancora.
Sentii che qualcosa dentro di me era cambiato, non so dirvi bene cosa, ma era come se un meccanismo si fosse inceppato e l’incanto si fosse rotto per sempre. Come aveva appena detto Chiara: finivo sempre per difendere Marco “a spada tratta”, per partito preso, ma stavolta non ne avevo più alcuna voglia. Sapeva che Elisa mi piaceva, lo sapeva… Ci avevo messo anni a tentare di dimenticare Chiara, a reprimere ciò che provavo per lei, e Elisa poteva rivelarsi una valida alternativa, ma Marco mi aveva tolto anche questo.
- Non mi ricordo che tu mi abbia mai detto qualcosa al riguardo – ripresi inebetito
– Non ne ho avuto bisogno! Quando ti chiesi che fine avesse fatto Marco mi hai subito risposto che forse era in biblioteca a studiare per l’esame di maturità.
- Ah già, mi ricordo. Allora mi disse che tu non gli davi tregua e aveva bisogno di una pausa per distendersi i nervi e giocare un po’ ad Assassins creed.
- E invece si recava da Elisa per giocava “al dottore” – replicò acida – Me lo ha confermato al telefono la stessa Elisa poco prima che ti dessi quel passaggio. L’ho chiamata apposta.
- Vuoi dire che…
- Che visto che ho sgamato Marco con la foto di un’altra sul cell, ho deciso di contattare direttamente Elisa per farmi raccontare da lei come sono andate davvero le cose? – mi incalzò lei con tono beffardo – Colpevole! Lo ha fatto anche con Sabrina…
- Sabrina chi?
- L’unica Sabrina che conosci.
Ed era vero. Conoscevo una sola Sabrina; una bella moretta con cui avevo avuto una mezza storia in quarto superiore. Eravamo usciti insieme un paio di volte, c’era stato qualche bacio, ma all’improvviso non ne aveva voluto più sapere. Adesso avevo capito il perché.
- Vuoi dire che Marco e Sabrina…
- Nella casa a mare – replicò lei sibillina – mentre tu eri impegnato con le olimpiadi della matematica.
C’era un che di ironico in tutta quella vicenda: io che morivo dietro Chiara e cercavo nelle altre quello che non osavo chiedere alla fidanzata del mio migliore amico, e lei che, non avendo occhi che per lui, scaricava su di me le sue colpe mentre Marco continuava a fare il cazzo che gli pare e piace senza preoccuparsi di niente e nessuno. Lo ripeto: è ironico. Sabrina mi piaceva. Sì, non era Chiara, ma mi piaceva.
- Ora capisco la sfuriata di poco fa –
- Mi perdoni?
- Non devi neanche chiederlo – le dissi costringendola ancora una volta a posare gli occhi tremanti nei miei.
- Ale io… sono mortificata!
- Va tutto bene – replicai avvicinando il mio viso al suo.
- Davvero?
- Sì!
Le nostre labbra erano sul punto di sfiorarsi.
- Sei davvero un buon amico – replicò lei con quei suoi occhi da cerbiatto.
Ecco – pensai – condannato alla friend zone ancor prima di avere la possibilità di baciarla.
- Un amico eh? – commentai deluso.
- Il mio migliore amico! – replico lei appoggiando la sua testa sul mio petto, costringendo me ad accarezzarle mollemente la fronte mentre maledicevo me stesso per non essere riuscito, neppure stavolta, a farmi avanti. Non so per quanto tempo restammo così, abbracciati a fissare la porta. Chiara aveva smesso di piangere e sembrava in qualche modo rincuorata.
- Che cosa intendi fare? – le chiesi continuando ad accarezzarla sulla fronte
- Non lo so! – mi rispose lei stringendo le braccia intorno al mio petto – ma ti prego non lasciarmi da sola.
- Non vado da nessuna parte…
La baciai sulla fronte, così come tante volte avevo visto fare a mia madre quando stavo poco bene. Non so perché ma mi venne del tutto naturale. Sentii Chiara irrigidirsi.
- Tutto bene? – le chiesi senza guardarla negli occhi
- S…Sì - mi rispose lei continuando a cingermi forte tra le sue piccole braccia
Non intendevo darmi per vinto; non adesso. Se proprio doveva relegarmi al ruolo marginale di amico, volevo che almeno avesse ben Arianna l’idea di che cosa si stesse lasciando alle spalle. L’afferrai per la nuca e la baciai con passione. Le sue labbra erano morbide come petali di rosa. La sentii fremere tra braccia, ma non si sottrasse. Lo so, qualcuno di voi starà pensando che sono un amico di merda, e forse avrà pure ragione, ma era una vita che desideravo posare la bocca su quelle belle labbra salate, e Chiara non mi fermò.
Non so dirvi per quanto ci baciammo. Con le dita non avevo smesso per un solo momento di accarezzarle le guance bagnate dalle lacrime, mentre lei mi cingeva ancora la vita con entrambe le braccia. Riaprii gli occhi incontrando il suo timido sguardo da cerbiatta; lo stesso per cui avevo letteralmente perso la testa. Chiara non fiatava, si limitava a fissarmi con quei suoi occhi grandi e profondi come il mare.
Rubarle un altro bacio fu semplice come respirare. Ne segui un altro, e un altro ancora, finché non mi ritrovai a percorrere con le labbra il suo bel collo d’alabastro. Chiara mi lasciò fare, sfiorando con dita tremanti i capelli sulla mia nuca. Le nostre labbra si fusero ancora, i nostri respiri si fecero sempre più veloci e profondi. Non c’era bisogno di discorsi, di gesti o di parole: eravamo io e lei… e tanto mi bastava.
Le nostre lingue saettavano veloci l’una nella bocca dell’altro, mentre le mani già sfioravano ciò che gli occhi non avevano ancora avuto il coraggio di guardare.
- Ti amo – le sussurrai a un orecchio mentre l’aiutavo a disfarsi della maglia del pigiama. Chiara non mi rispose. In silenzio si sfilò canotta e reggiseno, lasciando i miei occhi liberi di bearsi dello spettacolo delle sue tette. I suoi seni erano piccoli ma graziosi. Svettavano superbi all’insù, sodi, con un bel paio di aureole rosate ad incastonarne i capezzoli turgidi. Tornai a baciarla sulle labbra. Può sembrare strano che non mi sia avventato da subito sulle sue bellissime tette, ma avevo sempre desiderato baciarla e, adesso che ne avevo la possibilità, volevo godermi senza fretta ogni istante. Con le dita continuai a sfiorarle le belle guance arrossate, mentre Chiara mi aiutava a sfilarmi maglia e jeans per stare più comodo. Fu poi la volta dei suoi, di pantaloni, di un grazioso sfondo bianco con delle stelline azzurre, Chiara si liberò anche di quelli, disfacendosi, poco dopo, anche dei suoi slip in cotone bianco. All’appello non restavano che i miei boxer, che Chiara senza far tante cerimonie mi sfilò all’improvviso, liberandomi l'arnese in piena erezione. Sembrava così impaziente di andare avanti...
Baciandola ancora, mi portai sopra di lei, puntando il glande, gonfio e violaceo, tra i morbidi petali del suo fiore proibito. Chiara sembrava non aspettare altro e, spalancate per bene le gambe, lasciò che entrassi in lei senza fare resistenza, sfiorando con le dita il ciuffo di capelli sulla mia fronte. Riprendendo a baciarla cominciai a penetrarla dolcemente, con colpi lenti e profondi, sfiorando le belle e lunghe braccia con il dorso della mano destra. Chiara si avvinghiò a me con le gambe, spingendo verso il mio cazzo duro il ventre prominente. All’improvviso insistette per scambiarci di posto, cominciando un andirivieni forsennato con cui mi fece sentire quanto profonda e bagnata fosse la sua vulva. La donna che amavo mi stava cavalcando a smorza candela, regalandomi lo spettacolo incommensurabile delle sue tette ballonzolanti a pochi millimetri dal mio viso. Ne afferrai una con la mano destra, mentre dell’altra cominciai a succhiare il capezzolo dritto e duro come un chiodino. Sentii Chiara gemere in preda all’estasi, mentre i suoi fianchi mai si stancavano di impalarsi sopra il mio cazzo svettante. Ad un tratto si fermò, tremante, trattenendo a stento un gridolino di soddisfazione. Era venuta. A quella vista non potei esimermi dal venire anch’io, facendo appena in tempo a sfilarmi via da lei prima che tre grossi fiotti di sperma non la colpissero sul fianco e sulla gamba destra. Il paradiso esiste e gli occhi di Chiara ne erano le porte.
Restammo abbracciati ancora un po’. Chiara alzò ancora una volta la mano per sfiorarmi con le dita i capelli sulla fronte. Il suo sguardo si era fatto triste e assente. Chissà a che pensava...
- Noi due siamo amici… - lasciò cadere poi mentre le lacrime riprendevano a bagnarle gli occhi. La cosa mi lasciò di sasso. Avevamo appena fatto l’Amore e lei se ne usciva così? In quel modo? Mi sentii nudo come non mai, indifeso, e del tutto incapace di rimanere lì da solo con lei anche solo per un altro minuto. M’alzai dal letto e recuperai i vestiti.
- Scusami – le sussurrai poi a mezza voce – avevo dato per scontato che anche per te… - Il silenzio si fece sempre più pesante. - Mi ero ripromesso di non farlo… Ho rovinato tutto!
Lei non mi rispose. Avvicinandomi alla porta mi voltai a guardarla ancora una volta; un angelo dagli occhi tristi.
- Scusami - le dissi ancora - ma preferisco saperti persa per sempre che morirti ancora dietro. Ti amo troppo per essere solo un tuo amico.
Anche stavolta Chiara non mi rispose; si vedeva lontano un miglio quanto fosse confusa.
- Lo so che non provi lo stesso per me. L’ho capito proprio poco fa! – Chiara cercò di interrompermi, ma la bloccai – Non so se per te è lo stesso, ma poco fa io con te ho fatto l’Amore… ed è stato bellissimo.
Non aspettai che mi rispondesse. Raccogliendo il coraggio a due mani andai via da lì, lasciandola ancora una volta da sola a piangere.
Camminare sotto la pioggia senza ombrello ha i suoi vantaggi, nessuno può vedere le tue guance rigate dalle lacrime. Nella mia mente ripensavo ancora a Chiara, a quel bacio che non avrei mai dovuto sottrarle e che aveva incasinato tutto una volta per tutte. Lo so, è un po’ infantile, dopotutto non era certo la mia ragazza, ma in quel momento mi sentivo proprio sotto un treno. Credo che col tempo mi fossi abituato all’idea che Chiara non fosse alla mia portata, attribuendo la cosa al fatto che fosse la ragazza di quello che, a partire da quel giorno, avrei dovuto considerare il mio ex -migliore amico; ma la verità era che non le interessavo, la cosa era palese, o non avrebbe reagito a quel modo. Dovevo farmene una ragione.
Il vento continuava a soffiare impietoso sul mio viso e sui miei vestiti bagnati, lenendo, in un certo qual modo, il mio dolore.
Sei tu che non chiedi permesso
Sei entrata e sei uscita lo stesso
Ha volte solo sfiorandomi altre come se non ci fossi.
Adesso non sopporto le scuse
scusarsi è come avere pochissima memoria
i tuoi silenzi fanno male lasciano tracce non ti perdono.
Sono lividi e fiori son lividi e fiori che portiamo nel cuore
Son lividi e spinee il dolore si sente
E ho bisogno d'aria e di ventilazione
Fare due passi nella notte e scordare il tuo nome
Ne ho bisogno come respirare e nascondermi in un niente
Solo fare e disfare ed un semplice abbandono ora non ti perdono.
Fare e disfare- Bungaro
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