Entrambi i fronti
di
Anonima
genere
trio
Renata arrivò finalmente alle sette, cosí lieto di vederla che la baciò davanti all'elettricista che riparava un riflettore, davanti alla piccola indossatrice dai capelli rossi che stava uscendo dal camerino, e davanti a Angela, che nessuno aspettava, entrata improvvisamente dietro di lui.
"È un quadretto delizioso," disse Angela a O. "Stavo passando, volevo chiederle le mie ultime foto, ma penso che non sia il momento adatto, me ne vado."
"Signorina, la prego" gridò Renata senza lasciare O, che teneva per la vita, "Signorina, non se ne vada!" O presentò Renata a Angela e Angela a Renata. La modella dai capelli rossi, indispettita, era rientrata nel suo camerino, l'elettricista fingeva di essere molto occupato. O guardò Angela, e sentí Renata che seguiva il suo sguardo. Angela indossava una tenuta da sci, di un tipo che portano soltanto le stelle del cinema che non praticano lo sci. Il maglione nero evidenziava i seni piccoli e molto divaricati, i pantaloni aderenti plasmavano le lunghe gambe da ragazza delle nevi. Tutto in lei faceva pensare alla neve: il riflesso azzurrino della giacca di foca grigia era la neve all'ombra, il riflesso spruzzato di brina dei capelli e delle ciglia la neve al sole. Aveva sulle labbra un rossetto rosso scuro che tendeva al violaceo, e quando sorrise, e levò gli occhi su O, questa si disse che nessuno avrebbe potuto resistere al desiderio di bere a quell'acqua verde e mutevole sotto le ciglia di brina, e di strappare il maglione per posare le mani su quei seni troppo piccoli. Ecco: appena Renata era tornato, nella certezza della sua presenza O ritrovava il gusto degli altri e di se stessa, il piacere della vita. Se ne andarono tutti e tre. In rue Royale, la neve che era caduta a larghe falde per due ore turbinava ormai soltanto in sottili, piccole mosche bianche che le pungevano il viso. Il sale cosparso sul marciapiede scricchiolava sotto le suole e scioglieva la neve, e O sentí il soffio gelido che ne emanava salirle lungo le gambe e afferrarle le cosce nude. O aveva un'idea abbastanza chiara di ciò che cercava nelle giovani donne a cui faceva la corte. Non che volesse dar l'impressione di rivaleggiare con gli uomini, né di compensare, con una condotta mascolina, un senso d'inferiorità femminile che non provava affatto. È vero che a vent'anni si era sorpresa a far la corte alla piú bella delle sue compagne, togliendosi il berretto per dirle buongiorno, cedendole il passo, e tendendole la mano per aiutarla a scendere dal tassí. Allo stesso modo, non tollerava di non pagare ogni volta che prendevano insieme il tè in una pasticceria. Le baciava la mano, e se si presentava l'occasione la bocca, se possibile in piena strada. Ma si trattava di atteggiamenti che affettava per suscitare scandalo, molto piú per puerilità che per convinzione. Invece, il gusto che provava per la dolcezza di morbidissime labbra dipinte che cedevano sotto le sue, per lo splendore di porcellana o di perla degli occhi semichiusi nella penombra dei divani, alle cinque del pomeriggio, quando le tendine sono tirate e la lampada sul caminetto è accesa, per le voci che dicono "ancora, ah, ti prego, ancora! " per il tenace odore marino che le rimaneva sulle dita, questo gusto era reale e profondo. Altrettanto viva era la gioia che provava nella caccia. Probabilmente non per la caccia in se stessa, per quanto potesse essere divertente e appassionante, ma per il perfetto senso di libertà che vi trovava. Era lei, e lei sola, a condurre il gioco (cosa che con un uomo non faceva mai, se non indirettamente). Era lei che aveva l'iniziativa delle parole, degli appuntamenti, dei baci, al punto da preferire che l'altra non la baciasse per prima, e da quando aveva avuto delle amanti non aveva quasi mai tollerato che la ragazza da lei accarezzata l'accarezzasse a sua volta. Aveva fretta di avere la sua amica nuda lí sotto i suoi occhi, ma le sembrava inutile spogliarsi. Spesso, cercava dei pretesti per esimersene, diceva che aveva freddo, che quel giorno aveva le sue regole. D'altronde, erano poche le amiche in cui non trovava qualche bellezza; ricordava che, appena uscita dal liceo, aveva voluto sedurre una piccola ragazza brutta e scostante, sempre di malumore, soltanto perché aveva una foresta di capelli biondi le cui ciocche mal tagliate creavano un gioco d'ombra e di luce sulla pelle smorta, ma dalla grana dolce, compatta, morbida, assolutamente opaca. Ma la ragazzetta l'aveva respinta, e se un giorno il piacere avrebbe illuminato i tratti ingrati della sua faccia, non sarebbe stato suscitato da O. Perché O amava, appassionatamente, vedere sui volti espandersi quel velo che li rende cosí lisci e giovani; di una giovinezza fuori del tempo, che non riconduce all'infanzia, ma gonfia le labbra, ingrandisce gli occhi come un trucco, e rende le iridi scintillanti e chiare. In questo, l'ammirazione aveva una parte maggiore dell'amor proprio, perché non era la sua opera a emozionarla: a Roissy aveva provato la stessa emozione davanti al viso trasfigurato di una fanciulla posseduta da uno sconosciuto. La nudità, l'abbandono dei corpi la sconvolgevano, e le sembrava che quando acconsentivano soltanto a mostrarsi nude in una stanza chiusa le sue amiche le facessero un dono che non avrebbe mai potuto contraccambiare. Infatti la nudità delle vacanze, al sole e sulle spiagge, la lasciava insensibile: non soltanto perché era pubblica, ma perché, essendo pubblica e non completa, lei ne era in qualche modo al riparo. La bellezza delle altre donne, che con immancabile generosità era incline a trovare superiore alla propria, la rassicurava nondimeno della propria bellezza, dove vedeva, ogni volta che sorprendeva inaspettatamente la sua immagine in uno specchio, come un riflesso della loro bellezza. Il potere su di lei, che riconosceva alle sue amiche, era insieme una garanzia del suo potere sugli uomini. E ciò che chiedeva alle donne (e non restituiva se non in misura minima), era felice che gli uomini lo domandassero a lei con tanto ardore; trovava ciò naturale. In tal modo era contemporaneamente e costantemente complice degli uni e delle altre, e vinceva su entrambi i fronti.
"È un quadretto delizioso," disse Angela a O. "Stavo passando, volevo chiederle le mie ultime foto, ma penso che non sia il momento adatto, me ne vado."
"Signorina, la prego" gridò Renata senza lasciare O, che teneva per la vita, "Signorina, non se ne vada!" O presentò Renata a Angela e Angela a Renata. La modella dai capelli rossi, indispettita, era rientrata nel suo camerino, l'elettricista fingeva di essere molto occupato. O guardò Angela, e sentí Renata che seguiva il suo sguardo. Angela indossava una tenuta da sci, di un tipo che portano soltanto le stelle del cinema che non praticano lo sci. Il maglione nero evidenziava i seni piccoli e molto divaricati, i pantaloni aderenti plasmavano le lunghe gambe da ragazza delle nevi. Tutto in lei faceva pensare alla neve: il riflesso azzurrino della giacca di foca grigia era la neve all'ombra, il riflesso spruzzato di brina dei capelli e delle ciglia la neve al sole. Aveva sulle labbra un rossetto rosso scuro che tendeva al violaceo, e quando sorrise, e levò gli occhi su O, questa si disse che nessuno avrebbe potuto resistere al desiderio di bere a quell'acqua verde e mutevole sotto le ciglia di brina, e di strappare il maglione per posare le mani su quei seni troppo piccoli. Ecco: appena Renata era tornato, nella certezza della sua presenza O ritrovava il gusto degli altri e di se stessa, il piacere della vita. Se ne andarono tutti e tre. In rue Royale, la neve che era caduta a larghe falde per due ore turbinava ormai soltanto in sottili, piccole mosche bianche che le pungevano il viso. Il sale cosparso sul marciapiede scricchiolava sotto le suole e scioglieva la neve, e O sentí il soffio gelido che ne emanava salirle lungo le gambe e afferrarle le cosce nude. O aveva un'idea abbastanza chiara di ciò che cercava nelle giovani donne a cui faceva la corte. Non che volesse dar l'impressione di rivaleggiare con gli uomini, né di compensare, con una condotta mascolina, un senso d'inferiorità femminile che non provava affatto. È vero che a vent'anni si era sorpresa a far la corte alla piú bella delle sue compagne, togliendosi il berretto per dirle buongiorno, cedendole il passo, e tendendole la mano per aiutarla a scendere dal tassí. Allo stesso modo, non tollerava di non pagare ogni volta che prendevano insieme il tè in una pasticceria. Le baciava la mano, e se si presentava l'occasione la bocca, se possibile in piena strada. Ma si trattava di atteggiamenti che affettava per suscitare scandalo, molto piú per puerilità che per convinzione. Invece, il gusto che provava per la dolcezza di morbidissime labbra dipinte che cedevano sotto le sue, per lo splendore di porcellana o di perla degli occhi semichiusi nella penombra dei divani, alle cinque del pomeriggio, quando le tendine sono tirate e la lampada sul caminetto è accesa, per le voci che dicono "ancora, ah, ti prego, ancora! " per il tenace odore marino che le rimaneva sulle dita, questo gusto era reale e profondo. Altrettanto viva era la gioia che provava nella caccia. Probabilmente non per la caccia in se stessa, per quanto potesse essere divertente e appassionante, ma per il perfetto senso di libertà che vi trovava. Era lei, e lei sola, a condurre il gioco (cosa che con un uomo non faceva mai, se non indirettamente). Era lei che aveva l'iniziativa delle parole, degli appuntamenti, dei baci, al punto da preferire che l'altra non la baciasse per prima, e da quando aveva avuto delle amanti non aveva quasi mai tollerato che la ragazza da lei accarezzata l'accarezzasse a sua volta. Aveva fretta di avere la sua amica nuda lí sotto i suoi occhi, ma le sembrava inutile spogliarsi. Spesso, cercava dei pretesti per esimersene, diceva che aveva freddo, che quel giorno aveva le sue regole. D'altronde, erano poche le amiche in cui non trovava qualche bellezza; ricordava che, appena uscita dal liceo, aveva voluto sedurre una piccola ragazza brutta e scostante, sempre di malumore, soltanto perché aveva una foresta di capelli biondi le cui ciocche mal tagliate creavano un gioco d'ombra e di luce sulla pelle smorta, ma dalla grana dolce, compatta, morbida, assolutamente opaca. Ma la ragazzetta l'aveva respinta, e se un giorno il piacere avrebbe illuminato i tratti ingrati della sua faccia, non sarebbe stato suscitato da O. Perché O amava, appassionatamente, vedere sui volti espandersi quel velo che li rende cosí lisci e giovani; di una giovinezza fuori del tempo, che non riconduce all'infanzia, ma gonfia le labbra, ingrandisce gli occhi come un trucco, e rende le iridi scintillanti e chiare. In questo, l'ammirazione aveva una parte maggiore dell'amor proprio, perché non era la sua opera a emozionarla: a Roissy aveva provato la stessa emozione davanti al viso trasfigurato di una fanciulla posseduta da uno sconosciuto. La nudità, l'abbandono dei corpi la sconvolgevano, e le sembrava che quando acconsentivano soltanto a mostrarsi nude in una stanza chiusa le sue amiche le facessero un dono che non avrebbe mai potuto contraccambiare. Infatti la nudità delle vacanze, al sole e sulle spiagge, la lasciava insensibile: non soltanto perché era pubblica, ma perché, essendo pubblica e non completa, lei ne era in qualche modo al riparo. La bellezza delle altre donne, che con immancabile generosità era incline a trovare superiore alla propria, la rassicurava nondimeno della propria bellezza, dove vedeva, ogni volta che sorprendeva inaspettatamente la sua immagine in uno specchio, come un riflesso della loro bellezza. Il potere su di lei, che riconosceva alle sue amiche, era insieme una garanzia del suo potere sugli uomini. E ciò che chiedeva alle donne (e non restituiva se non in misura minima), era felice che gli uomini lo domandassero a lei con tanto ardore; trovava ciò naturale. In tal modo era contemporaneamente e costantemente complice degli uni e delle altre, e vinceva su entrambi i fronti.
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