Diario Sessuale – La Vacanza 02

di
genere
prime esperienze

Capitolo 2: L’abbraccio dell’acqua

Il pavimento era caldo, ruvido sotto i piedi nudi, con gocce d’acqua che evaporavano lente nella luce. L’aria vibrava di cloro, ma anche di pelle scaldata dal sole, di creme al cocco, di sudore leggero che si mischiava al sale. Le piscine del camping village erano affollate, voci ovunque, schizzi, bambini, corpi stesi sui lettini. Ma io non sentivo nulla. Solo il mio costume.

Il bikini bianco era troppo sottile. L’acqua del mattino lo aveva reso ancora più trasparente. La stoffa aderiva al seno, lasciando intravedere il contorno dei capezzoli, già tesi. Lo slip si era incollato alle labbra. Ogni passo mi faceva sentire l’elastico che sfregava.

Scivolai lungo il bordo della vasca relax, quella con i getti caldi e i sedili sommersi. Un uomo mi fece spazio. Aveva la pelle scura dal sole e lo sguardo lento. Un altro si voltò appena, con un sorriso quasi distratto, ma non lo era. Mi immersi piano. L’acqua calda mi avvolse le cosce, salì tra le gambe come un abbraccio proibito. E io mi lasciai prendere.

Mi sedetti sulla panca sommersa. Appoggiai la schiena al bordo, le gambe leggermente divaricate. Il getto dell’idromassaggio colpiva preciso. Lì. Il punto esatto. La vibrazione era continua, sottile, impossibile da ignorare. Trattenni il respiro. Nessuno poteva vedere sotto la schiuma. Nessuno. Eppure mi sentivo nuda.

Muovevo il bacino con lentezza, quasi impercettibile. Il tessuto dello slip si tendeva tra le labbra, come una carezza che non avevo chiesto. Ma non volevo che finisse. Ogni volta che cambiavo posizione, sentivo il piacere montare. Un'onda che cresceva, lenta ma implacabile. Aprii le gambe un po’ di più. Solo un po’.

Due uomini chiacchieravano accanto a me. Uno mi guardò. Ma non negli occhi. Più giù. Dove il costume tremava leggermente. Dove io… battevo.

Cercai con lo sguardo Elisa. Era stesa su un lettino, a pochi metri. Il reggiseno nero, il ventre dorato, le gambe lucide d’olio. Aveva gli occhi chiusi. O forse no. Non lo capii. Ma il pensiero che potesse guardarmi… mi fece tremare di più.

Mi sistemai i capelli bagnati sulle spalle. Una goccia scese lungo il collo, passò tra i seni e si fermò sull’ombelico. Nessuno sapeva che mi stavo toccando. Nessuno… tranne me.

E io non mi sarei fermata.

Mi spostai appena sul sedile sommerso. Il getto dell’idromassaggio mi colpiva tra le gambe con più decisione, quasi scavando, e lo slip iniziava a vibrare sul clitoride. Una fitta improvvisa mi fece trattenere il fiato. Ma restai lì. Immobile. Offerta.

Una gamba sfiorò la mia. Pelle contro pelle. Calda. Bagnata. Lenta. Non per errore. Non per caso. Rimasi in apnea, voltando appena la testa. Accanto a me si era seduto un uomo. Corpulento. Spalle larghe, petto villoso, pelle cotta dal sole. Le braccia muscolose, coperte di gocce che scivolavano lente. La barba corta, folta. Lo avevo già visto.

Era lo stesso uomo che Elisa aveva salutato il giorno prima davanti alla casa mobile. Il vicino di piazzola. Quello che lei aveva indicato con un sorriso. ––Si chiama Guido, è sempre gentile con me… anche troppo.

Guido. Il nome mi rimbombò tra le gambe. Le sue dita si mossero sotto l’acqua, lungo la mia coscia sinistra. Salivano. E la mia pelle bruciava. Una carezza lenta, sfacciata nella sua precisione. Nessuna esitazione. Nessuna scusa.

Le sue ginocchia si aprirono di più. Il suo fianco sfiorava il mio. La mano arrivò all’attaccatura interna. E lì si fermò. Ma le sue dita continuarono a vibrare sotto la superficie, sospese a un soffio dal mio sesso. Mi tese un elastico invisibile tra il respiro e l’inguine. E non lo ruppe.

Mi voltai appena verso la zona dei lettini. Elisa era lì. Occhiali da sole, gambe piegate, la mano che giocherellava con il bordo del suo pareo. Sembrava guardare me. Ma non potevo esserne certa. E se lo fosse… avrei chiuso le gambe? No. Le aprii di più.

Il dito medio di Guido premette lo slip. Non lo spostò. Ma lo sentii scivolare in avanti, percorrere la striscia bagnata con un gesto lento, rotondo. Stava tastando il mio odore. E io stavo tremando.

Poi si alzò. Senza dire nulla. L’acqua scivolò giù dalle sue cosce spesse. Il suo membro, ingombrante, si intuiva sotto lo slip scuro. Si allontanò con passi lenti. Senza voltarsi.

Io restai lì. Le gambe immerse. Le dita strette sul bordo del sedile. E la sensazione ancora viva. Lì sotto. Calda. Umida. Aperta.

Mi alzai con lentezza dalla vasca. Le gambe erano molli, la pelle bagnata e calda. Lo slip aderiva come una seconda pelle tra le labbra, le cosce lucide di un’umidità che non veniva solo dall’acqua. Sentivo ancora il tocco. La pressione. L’odore. Come se lui mi avesse lasciato un’impronta interna.

Percorsi il bordo piscina verso le docce esterne, quelle rotonde, in acciaio, dove l’acqua scende dall’alto in un getto freddo e verticale. Avevo bisogno di rinfrescarmi. Di fingere. Di fingermi normale.

Mi misi sotto il getto. L’acqua fredda mi colpì la testa, le spalle, il petto. I capezzoli si irrigidirono subito. Sbattei le palpebre, lasciando che le gocce mi scendessero sul viso. Ma appena abbassai le mani per strizzarmi i capelli… lo vidi.

Guido.

Stava uscendo dalla zona idromassaggi. Camminava lentamente. Il suo costume nero si incollava ai fianchi larghi. Le cosce erano coperte di peli bagnati, le spalle larghe, il petto segnato da anni di sole. Aveva una bottiglia in mano, una di quelle termiche in acciaio. Si avvicinò alle docce. E si fermò accanto alla mia.

Non disse nulla. Non fece nulla. Ma si mise sotto il getto accanto a me. L’acqua gli scendeva sulla testa rasata, scivolava lungo la barba e si divideva sul petto. Il suo odore cambiò. Da pelle scaldata dal sole a qualcosa di più animale. Di più maschio. Di più vicino.

Mi voltai appena, fingendo di sistemare il costume. Ma le dita non obbedivano. Il tessuto si era spostato. Scoperto. Una piega più aperta sul fianco. Le sue dita si mossero. Non su di me. Ma sul tappo della bottiglia. Lo svitò. Bevve. Poi me la porse.

– Hai bisogno?

La sua voce era bassa, lenta. Ruvida. Rassicurante e indecente allo stesso tempo.

Presi la bottiglia con due mani, solo per non far vedere che tremavo. Bevvi. L’acqua era fresca. Ma la sua mano sfiorò la mia mentre me la ridava. E poi, mentre la riprendeva, mi toccò. Apposta. Con le nocche. Sotto il seno. Sul bordo dello slip. Sulla pelle che tremava.

Il mio respiro cambiò. Più corto. Più caldo.

– Ci vediamo di là, Elisabetta.

Aveva detto il mio nome. Senza avermelo mai chiesto. Lo sapeva. Come se lo avesse sempre saputo.

E io… non dissi nulla. Solo lo guardai. E restai ferma, nuda d’acqua. Il costume non bastava più.

Tornai al lettino con il corpo ancora bagnato, la testa leggera, lo slip che mi segnava la pelle come una lama sottile. Ogni passo era un riflesso della sua mano, di Guido, della voce che mi aveva chiamata per nome. Le cosce mi si sfioravano a ogni movimento, e il calore tra loro era mio, ma non solo mio. Era suo. Misto al cloro, al sole, a quella scossa lenta che non voleva spegnersi.

Mi stesi accanto a Elisa. Era girata su un fianco, con gli occhiali sollevati sopra la testa. I capelli raccolti in una pinza, il viso sereno. Ma il corpo… il corpo diceva altro. Il reggiseno sbottonato lasciava intravedere l’arco pieno del suo seno. Il pareo aperto rivelava la curva morbida dell’anca, lucida d’olio, dorata come miele liquido.

Il suo profumo mi raggiunse prima ancora del contatto. Vaniglia, pelle, ambra. E un fondo caldo, animale, umido. Come il mio. Come quello che sentivo tra le gambe. Mi guardò appena. Poi sorrise.

––Hai bisogno di un po’ di crema, piccola?

La sua voce era lenta, piena. Non chiedeva. Invitava. Mi limitai ad annuire, stendendomi a pancia in giù. Il viso sul braccio, gli occhi chiusi. Ma il cuore si era alzato in piedi.

Sentii lo scatto del tappo. Il suono grasso dell’olio che scivola sul palmo. E poi… la sua mano. Calda. Forte. Femminile.

Scese sulla mia schiena in linee larghe, lente, come se volesse disegnarmi. Seguiva le scapole, scivolava lungo la spina dorsale, tornava su. Le dita affondavano leggermente nei muscoli, fermandosi quando il respiro cambiava. E il mio cambiava spesso.

Poi risalì. Sfiorò il collo, il lobo dell’orecchio. Poi scese ancora. Più in basso. Il fianco. Il bordo dello slip. La parte molle e sensibile dove la pelle si fa sottile. E lì… restò.

––Stai tremando, Ely. È il sole o è qualcos’altro?

Lo sussurrò chinandosi appena, le labbra vicine all’orecchio, il respiro che mi fece chiudere le mani. La sua mano stava ancora accarezzando il bordo dello slip, ma non più con l’intenzione di spalmare. Con la voglia di sentire. Di premere. Di… ascoltare.

Aprii appena le gambe. Non del tutto. Solo quanto bastava per farle sapere che non avevo più bisogno di parole.

Lei continuò. Salì sul gluteo. Lo sfiorò. Poi lo afferrò con dolcezza. Un gesto rapido, ma preciso. Un possesso istintivo. Poi lasciò andare. Un colpo leggero. Uno schiocco.

––Adesso puoi prendere un po’ di sole, piccola. Ma tieni le gambe aperte. Così la pelle si asciuga meglio.

Non era un consiglio. Era un ordine travestito da premura. E io… obbedii.

Mi voltai su un fianco, il braccio sotto il viso, il ventre ancora tiepido del tocco di Elisa. Le gambe rilassate, aperte. La stoffa dello slip si era asciugata, ma la pelle sotto restava umida. Non per l’acqua. Ma per la memoria. Sentivo ancora le dita di Guido. L’odore di Elisa. Il mio corpo era diventato una spugna. E qualcosa in me continuava a pulsare. Cercando altro.

Fu allora che lo vidi.

Non lo sentii arrivare. Ma il silenzio intorno cambiò. Come se l’aria si fosse fatta più densa. Come se la luce stessa rallentasse. Era lì, all’angolo delle docce, tra i vapori e i corpi che entravano e uscivano. Immobile.

Un uomo. Di colore. Alto. Massiccio ma asciutto. La pelle nera, lucida d’acqua. I muscoli definiti come scolpiti, ma non ostentati. Il petto nudo, la barba brizzolata e ordinata. Indossava solo un paio di bermuda da surf, larghi, bagnati, che gli cadevano sui fianchi come se non volessero restare su. I piedi nudi, stabili sulla pietra. Le mani lungo i fianchi. Le spalle aperte.

Mi guardava.

Non in modo volgare. Non con curiosità. Ma con quella calma ancestrale che hanno solo i predatori quando sanno di essere riconosciuti. Il suo sguardo non saltava da una parte all’altra. Era fermo. Puntato su di me. Sulle mie gambe aperte. Sul punto esatto dove la mia pelle brillava ancora.

Sentii le dita dei piedi arricciarsi. Il respiro farsi più basso. E qualcosa tra le cosce… gocciolare di nuovo.

Mi sollevai appena sul gomito, senza pensarci. Solo per vederlo meglio. Ma era come se fossi io a essere esposta, offerta. Come se il mio corpo gli appartenesse già.

Il suo odore mi raggiunse a ondate. Umido. Denso. Maschile in un modo che non avevo mai sentito. Non solo sudore. Non solo cloro. Qualcosa di più antico. Come pelle, spezie e sale marino. Come uomo. Come bisogno.

Lui non si mosse. Non sorrise. Ma inclinò appena la testa. Come se stesse valutando qualcosa. O aspettando un segnale.

Poi si voltò. Lentamente. E scomparve dietro il muro delle docce.

Il mio corpo rimase aperto. E il cuore… vuoto.

Ma la pelle sapeva. Sapeva che quell’uomo mi aveva vista. Che mi aveva scelta. E che sarebbe tornato.

Fu Elisa a proporlo. Con la sua voce bassa, come se fosse un invito personale.

––Scendiamo alla spiaggia naturista. C’è poco affollamento a quest’ora. Ed è… rilassante.

Non risposi. Il mio corpo aveva già deciso.

Lasciammo la zona piscine attraversando il vialetto centrale del camping village. Ogni passo era un contatto nuovo. Lo slip del mio bikini – sottile, bianco, legato ai fianchi con due laccetti – mi si era incollato addosso come una seconda pelle. Non c’era più nulla di asciutto tra le cosce. Solo un umido caldo che cresceva a ogni sfregamento.

La parte anteriore dello slip si infilava sempre più in profondità, segnando con precisione imbarazzante la fessura del mio sesso. E sapevo che si vedeva. Anche se nessuno lo diceva. Il triangolino era talmente piccolo che si spostava a ogni passo, lasciando intravedere tratti di pelle che non avevo mai mostrato in pubblico.

Il top era legato dietro il collo, a fascia. La stoffa – bagnata e bianca – si era fatta trasparente. I capezzoli si intuivano con chiarezza, scuri, duri, premuti contro il tessuto. Ogni movimento del busto faceva scivolare l’elastico verso l’alto, scoprendo la parte inferiore del seno.

Elisa camminava accanto a me con il suo pareo annodato basso sui fianchi. Sembrava tranquilla. Ma i suoi occhi passavano sulle mie gambe, sul mio ventre, su quel punto preciso dove il costume non riusciva più a coprire. Non diceva nulla. Ma il silenzio era pieno.

Il sentiero di legno che tagliava la pineta ci portava verso il mare. L’ombra degli alberi creava macchie di fresco, ma l’aria era densa, profumata di resina, sabbia, sudore. Il mio odore si mescolava al paesaggio. Mi sentivo diversa. Esibita. Come se ogni passante sapesse cosa mi stava succedendo. Come se tutti vedessero il mio costume che non copriva più niente.

Il pareo mi dava solo fastidio. Lo sfilai in silenzio e lo legai alla borsa. Elisa si voltò. Il suo sguardo si posò sul mio seno, poi sullo slip. Poi nei miei occhi. Non parlò. Ma il suo respiro si fece più profondo.

Le dune si aprirono davanti a noi. Il rumore del mare ci accolse con una luce abbacinante. Il sole colpì la mia pelle e la rese lucida, vibrante. Ogni passo sulla sabbia era una scossa. Il tessuto si tendeva, scavava. E sotto… ero bagnata.

E non avevo più voglia di nasconderlo.

La sabbia era bianca, quasi cieca sotto il sole. Affondava sotto i piedi come una lingua calda, viva. Il rumore del mare si spezzava contro i corpi sdraiati. Alcuni nudi, rilassati. Altri in piedi, con asciugamani, occhiali da sole, bottiglie d’acqua tra le mani. Tutto sembrava normale. Ma io… non lo ero più.

Trovammo un punto tra due dune basse. Isolato, ma non troppo. Elisa stese il telo e si sedette. Il pareo sparì con un gesto. E poi, senza una parola, si slacciò il top del costume. I suoi seni si liberarono come se fosse la cosa più naturale del mondo. Poi si sfilò lo slip. Rimase nuda. Perfetta. Il corpo dorato, lucido, senza paura.

Io restai in piedi. Il sole mi colpiva in pieno. Il bikini bianco era diventato quasi invisibile. Il top segnava i capezzoli duri, lo slip scavava tra le labbra. Sentivo il tessuto incollato, premuto in profondità. Non c’era più nulla di coperto, solo mimato. Mi guardai intorno, come se aspettassi un segno.

E lo vidi.

Era più in là, appoggiato a una roccia bassa, solo. Nudo. Immobile.

Un uomo.

Maturo. Alto. Con i capelli brizzolati e corti, il petto coperto da una peluria scura. Le spalle larghe. Le braccia forti. Le gambe distese. Il suo membro era visibile, a riposo, ma pesante. Lungo. Le vene risaltavano. Era lì. In pieno sole. Come se il suo corpo stesso fosse un messaggio.

Mi stava guardando. Non lo distolse nemmeno per un secondo.

Lo stomaco mi si chiuse. Le cosce si sfiorarono. Qualcosa tra le labbra cominciò a gocciolare. Era un uomo sconosciuto. Mai visto prima. Ma il suo sguardo mi trafisse come se mi stesse aspettando da sempre.

Abbassai gli occhi. Le mani tremavano appena. Sciolsi i laccetti del top. Lo tolsi lentamente, lasciando uscire i seni. I capezzoli si irrigidirono subito. Poi toccai lo slip. Le dita scivolarono sotto i nodi. Li liberai. Il triangolino bianco cadde ai piedi.

Ero nuda.

Per la prima volta davanti a uno sconosciuto. E mi sentivo… viva.

Il suo sguardo non cambiò. Ma mi penetrò. Lo sentii scivolare dentro, tra le gambe, nel ventre, fino in gola.

Restai in piedi. Le gambe appena aperte. Il ventre teso. Il sesso umido, esposto al sole.

E in quel momento capii che non sarei più tornata indietro.

Era lì. Sempre lì. In piedi, nudo, immobile come una statua di carne viva. Le braccia rilassate lungo i fianchi, le spalle larghe, il petto coperto di peli scuri e lucidi. Le gambe divaricate, i piedi affondati nella sabbia. Il suo membro – lungo, pieno, pesante – riposava sulla coscia sinistra. Ma non c’era nulla di riposato in lui. Solo controllo.

I suoi occhi non mi lasciavano.

Sentivo la sua presenza come un’onda che saliva dal basso ventre. E quando si mosse, lentamente, attraversando la sabbia verso di me… fu come un terremoto muto sotto la pelle. Ogni passo faceva vibrare le labbra del mio sesso. Ero nuda. Fissa. Aperta. E lui lo sapeva.

Si fermò a meno di un metro. Il suo odore mi investì. Un misto di cloro, sudore, sale, sole, e pelle di uomo vissuto. Mi entrò nel naso, nella gola, nel cuore. Chiusi gli occhi un istante. Solo un istante. Perché avevo bisogno di guardarlo. Di vederlo mentre mi prendeva con gli occhi.

Fece un passo ancora. La sua ombra mi coprì il pube. Il sesso. I capezzoli. La pelle reagì come toccata. I pori si strinsero. Le gambe si aprirono da sole. Sentii un rivolo caldo scendere lungo la coscia. Non avevo mai colato così. Mai senza essere toccata.

Non parlò. Mi girò intorno lentamente. Passò dietro di me. Il suo fiato sulla mia nuca, sulle spalle. Il suo membro sfiorò appena il fianco, come un colpo silenzioso. Non si scusò. Non si fermò. Tornò davanti.

I suoi occhi scesero su di me. Sui seni. Sui capezzoli scuri e tesi. Sulla pancia piatta. Sul triangolo umido. E poi... tra le cosce.

Restò lì.

Guardò.

E io... mi aprii.

Le gambe si divaricarono di più. Il bacino avanzò. Le mani rilassate lungo i fianchi, ma le dita contratte. Il respiro rotto. Ogni muscolo teso. Il sesso esposto. Lucido. Vivo.

La sua voce arrivò come un comando. Bassa. Ruvida. Precisa.

– Stai già gocciolando. E non ti ho nemmeno sfiorata.

Mi si piegarono le ginocchia, ma non caddi. Gli occhi si riempirono di luce. E di lui. Lo guardai. Lì. Negli occhi. Senza più difese. Senza più domande.

Si avvicinò ancora. La sua bocca sfiorò l’orecchio. Ma non fu un bacio. Fu un’impronta.

– Domani... ti voglio nuda. Appena arrivi. Non voglio perdere tempo con i nodi.

Poi si voltò.

E se ne andò.

Camminava come se sapesse che io l’avrei seguito ovunque. E io… lo guardai allontanarsi con le cosce bagnate. Il respiro spezzato. E il corpo che non era più mio. Ma pronto. Per lui.

Rientrai nel corpo solo quando non lo vidi più. Leonardo si era allontanato, lento, nudo, maestoso. Lasciandomi lì, con il ventre che bruciava e il sesso ancora aperto. Non mi ero mai sentita così… posseduta senza essere toccata.

Tornai verso l’asciugamano come se stessi rientrando in me stessa, ma il corpo era cambiato. Il seno si muoveva a ogni passo, gonfio. Le cosce strusciavano l’una contro l’altra, lasciando una scia lucida che avrei potuto seguire al contrario per ritrovare la mia verginità. Ma era troppo tardi. E non la volevo più.

Elisa mi guardava. Non con sorpresa. Con calma. Come chi ha visto tutto. Ma non dice nulla.

Mi sdraiai a pancia in giù. Il petto si schiacciò contro la stoffa ruvida del telo. Il sesso pulsava sotto, premuto. E io… volevo solo sparire. O restare lì. Per sempre.

Poi la vidi.

Camminava lungo la riva, a piedi nudi. Nuda. Solo un pareo arrotolato tra le dita. Il corpo levigato, il seno pieno, le anche morbide. I capelli ramati raccolti in alto, gli occhiali da sole che non nascondevano nulla. Ogni passo era un segno. Un invito. Un avvertimento.

Si fermò proprio accanto al nostro asciugamano.

––Elisa, cara… finalmente ti trovo.

La sua voce era calda, profonda, musicale. Elisa si sollevò sul gomito con un sorriso appena accennato.

––Clara. Sei arrivata.

Io restai immobile. Ma sapevo che stava guardando me.

––E tu… tu devi essere Elisabetta.

Mi voltai lentamente. Il viso in fiamme. Gli occhi a metà tra il panico e l’attesa. Lei mi guardava come si guarda un’opera appena scoperta. O una ferita che pulsa. Il sorriso sulle labbra era lieve. Ma gli occhi… gli occhi ridevano.

––Piacere, sono Clara. Io… ti conosco già un pochino. Ma da lontano. –– rise, e lo fece con una leggerezza che mi disarmò –– Adesso almeno posso dirti quanto sei bella… anche da vicino.

Il mio cuore scoppiò nel petto. Avrei voluto coprirmi. Ma non c’era più niente da coprire. Il mio corpo era tutto lì. Nudo. Gocciolante. Imbarazzato. E felice.

––Piacere… –– riuscii a dire, abbassando gli occhi e affondando il viso nell’asciugamano.

Lei rise ancora. Una risata bassa, calda, che si fermò tra le mie cosce. Poi si voltò verso Elisa.

––Ti lascio goderti la compagnia. Ma torno più tardi. Abbiamo… molte cose da raccontarci.

E se ne andò. Con la stessa eleganza lenta con cui era arrivata.

Elisa restò in silenzio. Ma il suo sguardo era ancora su di me. Forte. Caldo. Penetrante.

E io, con il viso schiacciato sul telo e il cuore in tempesta, non capivo più se volevo sparire… o essere guardata di nuovo.
scritto il
2025-04-09
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