Quell'Estate del 78
di
Queema
genere
prime esperienze
Chiedo scusa in anticipo per gli errori di ortografia, ma la mia tastiera non e dotata dei tasti con l’accento. Buona lettura.
Quell’estate non se la sarebbe piu scordata nessuno. C’era un caldo torrido che faceva chiudere tutti dentro dentro le proprie case. Tutto era secco: dei pomodori c’era rimasta solo la buccia, la terra era spaccata in tante piccole zolle bollenti. Solo noi ci azzardavamo ad uscire di casa. Abitavo in una piccola frazione di un paesino in campagana allora, di anni ne avevo dieci. Casa mia era una piccola villetta a due piani, niente di che intendiamoci, solo che di notte faceva un caldo boia. Camera mia era stretta e lunga, aveva un uscita sul balcone, li dove ci stavo spesso nelle notti calde come quella.
Quella notte non era tanto il caldo a turbarmi, quanto il ricordo di quello che mi era capitato quel giorno.
Correvo piu che potevo su per quella collina, ma ero terzo comunque. Per primo correva il Teschio – cosi lo chiamavano quello stronzo. Lui aveva tredici anni, tre in piu di noi. Secondo era Salvatore – diamine se era veloce. Io ero terzo e infine Maria, lei era bella. Un corpo che non faceva invidia alle ragazze grandi … e quelle si che avevano un bel corpo. Di tette ne aveva zero, un peccato, perche il resto c’era. Un faccino tondo, capelli chiari, naso all’insu e due belle gambe lisce . Se giocava con noi era perche non c’era qualcos’altro di piu interessante in quella localita sperduta in mezzo al grano.
Insomma, io correvo a piu non posso, Maria era sempre ultima e non era giusto che si beccasse sempre lei la punizione, ma che ci potevo fare. Il teschio era una specie di capo-banda ed era lui che assegnava le punizioni inquanto era sempre lui a vincere le gare. Ho sentito un urlo dietro.
- Aiuto ! Mario fermati !!! AAHHH.
- Cosa vuoi Maria, che ti e capitato ?
- Mi fa male un piede, sono caduta.
Diavolo, non potevo fermarmi, ma per Maria ero disposto a beccarmi io stesso la punizione. Lei stava seduta nel grano, non aveva niente. Era solo stanca. Mi sono avvicinato.
- Che ci fai li seduta per terra, mi farai perdere la gara. Vedi che non ti sei fatta un accidente.
- Vuoi vedere una cosa ?
- Di che si tratta.
Lei aveva la faccia di chi ti stava prendendo per il culo, ma quella volta le era spuntato un bel sorriso a trentadue denti sul viso.
- Dai di cosa hai paura? Vieni !
La gara era lontana centomila chilometri da noi in quell momento. Lei mi faceva cenno con la mano. Una volta vicino ha stretto le labbra in quello che a me sembrava un bacio.
- Dai cosa aspetti, dammi un bacio !
Io zitto, lei tutta bagnata di sudore. Le avevo dato un bacio sulle labbra, ero diventato un peperone rosso, che imbarazzo ! Eravamo rimasti un altro po’ li abracciati, quando ecco arrivare il Teschio.
- Cosa ci fate qui diavoletti. Chiedeva il Teschio.
- Noi niente, lei s’era fatta male e io la stavo aiutando. Risposi prontamente.
- Mi state prendendo per il culo voi due, lo sento fin troppo bene.
Io tremavo dalla paura, al Teschio piaceva Maria e non esitava a dirle mai quanto era gnocca. Ora io stavo baciando la ragazza che li piaceva, ero nella merda.
- La punizione se la becca comunque lei in ogni caso. Il Teschio era furioso.
- Cosa divolo ti salta in testa, io mi sono fermato, e colpa mia!
Cazzo! Ero nella merda, chissa cosa li era saltato in testa a quello.
- La punizione l’avra una volta tornati in paese, nel vecchio mulino.
Eravamo arrivati li in venti minuti, io e Maria col cuore in gola. Quel posto brullicava di insetti e sporcizia varia. Il Teschio s’era messo seduto su un bancone alto, con un filo d’erba tra i denti. Cosa diavolo stava proggettando quello li, di solito si trattava di salire sul tetto del mulino, ma quella volta era diverso, quello si doveva vendicare su di me. E a me stava su il fatto che di mezzo c’era Maria quella volta,
- Facci vedere la fessa! Il Teschio determinato nel suo atteggiamento da boss mafioso.
- Per niente al mondo ! Proprio no. Maria ribatteva.
Lei sapeva che se non lo faceva col diavolo tornava a giocare con noi, tutto sommato eravamo gli unici bimbi di quel posto sperduto. Tra le lacrime che le scendevano amare sulle guancie, il sudore su tutto il corpo, lei stava lentamente mettendo le mani sui lacci della gonna. Io ero attontito, com’e possible una simile vaccata, quello stronzo me l’avrebbe pagata. S’era tirata giu la gonna, sola in mutandine quella povera creatura se ne stava a piangere. C’era l’odore acre della sua fessa nell’aria mischiato a sudore.
- Lo faccio io ! Intervenni.
- Cosa?
- Mi tolgo io i pantaloni, lasciatela stare !
Il Teschio non ne voleva sentire, era troppo preso dalla cosa. Maria era con le mutandine a mezz’aria tra le cosce e la fessa.
- Facciamo a votazione, chi vota che devo prendere io la punizione ?
Tre contro uno, Maria s’era tirata su le mutandine, menomale non si era visto niente. Da dove m’era venuto su tutto quel coraggio ? Il Teschio aveva le mani legate. Quasi immediatamente abbassai le mutande, mi spuntavano i primi pelucchi sul pube. Maria ha spalancato gli occhi, presa da qualche sentimento a lei sconosciuto. Gli altri non ne volevano sapere, s’erano girati tutti.
Si sentiva uno strano rumore giu dal balcone, mi e arrivato un sasso sul piede. Era Maria, la stessa gonna di oggi. Ancora sudata, lei chiedeva se potevo scendere. Se mi tenevo con le mani al balcone e mi lasciavo semplicamente cadere, mi beccavo solo una piccola botta. Sempre meglio che svegliare i miei genitori, in fondo. L’avevo subito abbracciata, mi era capitato che mi si alzasse, ma non cosi tanto come quella volta. Riuscivo ancora a sentire l’odore della sua fessa e lei aveva in testa solo una cosa: il mio uccello.
La luna le rifletteva negli occhi mentre andavamo a casa sua. Li non c’era nessuno, suo padre era sempre via di notte, e la madre le era mancata qualche anno prima. Nella sua stanza non c’erano giocattoli, lei amava disegnare e faceva solo quello. Ataccanti a muro c’erano disegni di foiri, campi, alberi e farfalle.
- Cosa guardi ?
- Niente, bei disegni.
- Grazie. Oggi mi sono imbarazzata molto in quel mulino.
- Anche io, ma facciamo finta che non e successo niente. Ok? Perche mi hai chiamato qui?
- Volevo vederti.
- Pure io.
Lei era rimasta in silenzio qualche secondo, ma poi s’era tolta piano la gonna, la maglietta e s’era sdraiata sul letto. Cosa le saltava in mente ? Io tutto stordito – per la seconda volta – mi sono svestito, e solo in mutande m’ero sdraiato vicino a lei. Piano piano ci siamo avvicinati, poi presi per mano e infine abbracciati. Tutta la notte passata a parlere del piu e del meno, senza pero il minimo coraggio di baciarci ancora una volta. Troppo presi da quella misteriosa passione.
Quell’estate non se la sarebbe piu scordata nessuno. C’era un caldo torrido che faceva chiudere tutti dentro dentro le proprie case. Tutto era secco: dei pomodori c’era rimasta solo la buccia, la terra era spaccata in tante piccole zolle bollenti. Solo noi ci azzardavamo ad uscire di casa. Abitavo in una piccola frazione di un paesino in campagana allora, di anni ne avevo dieci. Casa mia era una piccola villetta a due piani, niente di che intendiamoci, solo che di notte faceva un caldo boia. Camera mia era stretta e lunga, aveva un uscita sul balcone, li dove ci stavo spesso nelle notti calde come quella.
Quella notte non era tanto il caldo a turbarmi, quanto il ricordo di quello che mi era capitato quel giorno.
Correvo piu che potevo su per quella collina, ma ero terzo comunque. Per primo correva il Teschio – cosi lo chiamavano quello stronzo. Lui aveva tredici anni, tre in piu di noi. Secondo era Salvatore – diamine se era veloce. Io ero terzo e infine Maria, lei era bella. Un corpo che non faceva invidia alle ragazze grandi … e quelle si che avevano un bel corpo. Di tette ne aveva zero, un peccato, perche il resto c’era. Un faccino tondo, capelli chiari, naso all’insu e due belle gambe lisce . Se giocava con noi era perche non c’era qualcos’altro di piu interessante in quella localita sperduta in mezzo al grano.
Insomma, io correvo a piu non posso, Maria era sempre ultima e non era giusto che si beccasse sempre lei la punizione, ma che ci potevo fare. Il teschio era una specie di capo-banda ed era lui che assegnava le punizioni inquanto era sempre lui a vincere le gare. Ho sentito un urlo dietro.
- Aiuto ! Mario fermati !!! AAHHH.
- Cosa vuoi Maria, che ti e capitato ?
- Mi fa male un piede, sono caduta.
Diavolo, non potevo fermarmi, ma per Maria ero disposto a beccarmi io stesso la punizione. Lei stava seduta nel grano, non aveva niente. Era solo stanca. Mi sono avvicinato.
- Che ci fai li seduta per terra, mi farai perdere la gara. Vedi che non ti sei fatta un accidente.
- Vuoi vedere una cosa ?
- Di che si tratta.
Lei aveva la faccia di chi ti stava prendendo per il culo, ma quella volta le era spuntato un bel sorriso a trentadue denti sul viso.
- Dai di cosa hai paura? Vieni !
La gara era lontana centomila chilometri da noi in quell momento. Lei mi faceva cenno con la mano. Una volta vicino ha stretto le labbra in quello che a me sembrava un bacio.
- Dai cosa aspetti, dammi un bacio !
Io zitto, lei tutta bagnata di sudore. Le avevo dato un bacio sulle labbra, ero diventato un peperone rosso, che imbarazzo ! Eravamo rimasti un altro po’ li abracciati, quando ecco arrivare il Teschio.
- Cosa ci fate qui diavoletti. Chiedeva il Teschio.
- Noi niente, lei s’era fatta male e io la stavo aiutando. Risposi prontamente.
- Mi state prendendo per il culo voi due, lo sento fin troppo bene.
Io tremavo dalla paura, al Teschio piaceva Maria e non esitava a dirle mai quanto era gnocca. Ora io stavo baciando la ragazza che li piaceva, ero nella merda.
- La punizione se la becca comunque lei in ogni caso. Il Teschio era furioso.
- Cosa divolo ti salta in testa, io mi sono fermato, e colpa mia!
Cazzo! Ero nella merda, chissa cosa li era saltato in testa a quello.
- La punizione l’avra una volta tornati in paese, nel vecchio mulino.
Eravamo arrivati li in venti minuti, io e Maria col cuore in gola. Quel posto brullicava di insetti e sporcizia varia. Il Teschio s’era messo seduto su un bancone alto, con un filo d’erba tra i denti. Cosa diavolo stava proggettando quello li, di solito si trattava di salire sul tetto del mulino, ma quella volta era diverso, quello si doveva vendicare su di me. E a me stava su il fatto che di mezzo c’era Maria quella volta,
- Facci vedere la fessa! Il Teschio determinato nel suo atteggiamento da boss mafioso.
- Per niente al mondo ! Proprio no. Maria ribatteva.
Lei sapeva che se non lo faceva col diavolo tornava a giocare con noi, tutto sommato eravamo gli unici bimbi di quel posto sperduto. Tra le lacrime che le scendevano amare sulle guancie, il sudore su tutto il corpo, lei stava lentamente mettendo le mani sui lacci della gonna. Io ero attontito, com’e possible una simile vaccata, quello stronzo me l’avrebbe pagata. S’era tirata giu la gonna, sola in mutandine quella povera creatura se ne stava a piangere. C’era l’odore acre della sua fessa nell’aria mischiato a sudore.
- Lo faccio io ! Intervenni.
- Cosa?
- Mi tolgo io i pantaloni, lasciatela stare !
Il Teschio non ne voleva sentire, era troppo preso dalla cosa. Maria era con le mutandine a mezz’aria tra le cosce e la fessa.
- Facciamo a votazione, chi vota che devo prendere io la punizione ?
Tre contro uno, Maria s’era tirata su le mutandine, menomale non si era visto niente. Da dove m’era venuto su tutto quel coraggio ? Il Teschio aveva le mani legate. Quasi immediatamente abbassai le mutande, mi spuntavano i primi pelucchi sul pube. Maria ha spalancato gli occhi, presa da qualche sentimento a lei sconosciuto. Gli altri non ne volevano sapere, s’erano girati tutti.
Si sentiva uno strano rumore giu dal balcone, mi e arrivato un sasso sul piede. Era Maria, la stessa gonna di oggi. Ancora sudata, lei chiedeva se potevo scendere. Se mi tenevo con le mani al balcone e mi lasciavo semplicamente cadere, mi beccavo solo una piccola botta. Sempre meglio che svegliare i miei genitori, in fondo. L’avevo subito abbracciata, mi era capitato che mi si alzasse, ma non cosi tanto come quella volta. Riuscivo ancora a sentire l’odore della sua fessa e lei aveva in testa solo una cosa: il mio uccello.
La luna le rifletteva negli occhi mentre andavamo a casa sua. Li non c’era nessuno, suo padre era sempre via di notte, e la madre le era mancata qualche anno prima. Nella sua stanza non c’erano giocattoli, lei amava disegnare e faceva solo quello. Ataccanti a muro c’erano disegni di foiri, campi, alberi e farfalle.
- Cosa guardi ?
- Niente, bei disegni.
- Grazie. Oggi mi sono imbarazzata molto in quel mulino.
- Anche io, ma facciamo finta che non e successo niente. Ok? Perche mi hai chiamato qui?
- Volevo vederti.
- Pure io.
Lei era rimasta in silenzio qualche secondo, ma poi s’era tolta piano la gonna, la maglietta e s’era sdraiata sul letto. Cosa le saltava in mente ? Io tutto stordito – per la seconda volta – mi sono svestito, e solo in mutande m’ero sdraiato vicino a lei. Piano piano ci siamo avvicinati, poi presi per mano e infine abbracciati. Tutta la notte passata a parlere del piu e del meno, senza pero il minimo coraggio di baciarci ancora una volta. Troppo presi da quella misteriosa passione.
2
voti
voti
valutazione
5.5
5.5
Commenti dei lettori al racconto erotico