Una voce nella notte

di
genere
dominazione

Notte. Una donna sta sdraiata sul letto, vestita solo delle calze autoreggenti nere, le scarpe con il tacco alto ai piedi. Apre un pò le gambe, guardandosi mentre lo fa, e un fremito le percorre il corpo. Non è un fremito di eccitazione… non l'eccitazione del sesso, non ancora, l'eccitazione della mente, fatta di tensione, di desiderio, di resa e di ribellione. La donna tiene accanto a sé il telefonino, aspettando. Una donna. Nieva.
Non è il suo nome, questo, non il nome con cui la chiamano il suo uomo, i suoi familiari, i suoi amici. Non è mai stato scritto su una lettera, su un foglio, nessuno lo ha mai gridato scorgendola da lontano, accompagnando il richiamo con un saluto o un sorriso.
Nieva è il suo nome nel buio della solitudine. O forse era così prima. Ora è il suo nome di appartenenza a qualcuno, il suo nome di schiava.
Nella notte Nieva aspetta, e pensa. Pensa ad un anno su Internet, ad un'avventura strana a cui si era avvicinata per curiosità, chiedendo gioco ed emozioni, ricevendo in cambio il Gioco e l'Emozione. Ricorda, Nieva, una notte d'inverno. Non erano i profumi del gelsomino e della zagara a bussare come ora alla finestra, ma un vento insinuante e rabbioso, gonfio di tutti i misteri del mare.
Davanti allo schermo del computer, nella chat Bdsm, si rincorrevano le parole con cui Nieva tentava di dare uno spazio al suo mondo segreto, alle fantasie che da sempre accendevano le sue emozioni. Qui poteva sentirsi capita, accettata, poteva confrontarsi con altri, esprimere le sue pulsioni senza sentirsi strana o anormale, senza sentirsi giudicare. Qui c'era un mondo nuovo, una realtà paralle con nuovi amici, nuove regole.
Qui, i suoi amici si chiamavano Regina, Padrone, Sadomaster, Torquemada, Ancella, Kajira. Nella chat pubblica si parlava delle proprie fantasie, ci si scherzava a volte, come per addomesticarle e renderle più serene, meno conflittuali. Notte dopo notte, Nieva si rendeva conto di non potere più fare a meno di quei discorsi, di quegli scherzi, di quei nick.
Era come se lo dovesse all'altra se stessa, a quella donna sconosciuta che ogni tanto sorprendeva nello specchio a guardarla con occhi dolci e persi. Era lei, Nieva, che durante il giorno non aveva nessuno a cui svelarsi. Quello era il suo territorio, il suo regno.
A volte, come una bambina maliziosa, Nieva si divertiva a cambiare nick e ad accettare le chat "in privato". Lo faceva solo per gioco, perché nessuno era mai riuscito a coinvolgerla.

"Sei una sub?". "Sì". "Come sei vestita?". Nieva aveva imparato che bisognava sempre dire di indossare delle mini, o gonne con spacco, o gonne ampie che consentivano di sedere direttamente poggiando le natiche sulla sedia. Le calze dovevano essere autoreggenti o meglio ancora quelle da reggicalze, e gli slip dovevano essere perizoma o tanga. Molte regole erano mutuate dal libro Histoire d'O. La posizione corretta da assumere per chattare con un Master era a gambe un po' divaricate e spesso veniva richiesto di togliere gli slip per dimostrare una completa disponibilità fìsica. Le gambe non dovevano mai essere tenute accavallate. "Togli le mutandine. Apri le gambe. Masturbati". "Infila un dito dentro. Che sapore ha?".

Questo non era facile, ma poi Nieva aveva scoperto che una risposta che andava molto era "di mare e di cannella" e si era attenuta a questa, ricevendo in risposta faccine sorridenti (emoticons). All'inizio, Nieva si eccitava nel leggere queste parole, ma a poco a poco la ripetitività e il fatto che in fondo le persone coinvolte nelle "scene" erano dei semplici nick e i giochi potevano essere proposti a lei come ad altre sub, senza variazioni e senza tener conto della diversità psicologica di ognuno, avevano finito con lo stancarla.
Una sola persona, colta e piacevole nei modi, era riuscita a sedurla per un po' di tempo. La chiamava "la mia cagna" , era molto coinvolgente e aveva centrato molte delle sue fantasie. Al momento delle buonanotte le diceva sempre: "Leccami le mani, mia cagna". Nieva fu molto delusa quando una notte, entrando in chat come "Fiordaliso", si era sentita dire le stesse cose che aveva letto come "Nieva" e rivolgere le stesse precise parole di buonanotte. Questo l'aveva resa diffidente.
Ora Nieva non eseguiva nessuna delle cose che le venivano richieste, si limitava a fare delle descrizioni. dettagliate ed esplicite, e poi, quando "sentiva" che il suo Master di una notte era davvero eccitato, spariva chiudendo la chat e se ne andava a letto, un po' divertita e un po' delusa.

Viktor l'aveva chiamata in privato una notte di gennaio, dopo averla osservata un po' nella chat pubblica. Non le aveva detto le solite cose, ma era stato diretto, aggressivo, quasi brutale. Le aveva messo davanti tutte le sue voglie, le sue ossessioni, facendola sentire nuda, scoperta, esposta. "Perché mi tratti così?". "Perché mi eccita. E perché a te piace".
Sullo schermo, le lettere formavano ora parole nuove, inattese, miscelando armonie di sogni indecenti, di dolore e piacere, di crudeltà e tenerezza, come nella partitura di una musica strana.
Nieva si rivede in quella notte, i sensi in tumulto, la mente smarrita, si rivede scrivere in fretta parole e parole, indignata, disorientata, ribelle e già prigioniera.

Chi non conosce Intemet non può forse comprendere il senso di trance che comunica il ronzio lieve del computer, la fluorescenza dello schermo... E come stare alla guida di un'astronave che conduce in una realtà parallela dove tutto è possibile, dove i contrari si compongono e sei sola e insieme ad altri, e puoi realizzare le tue voglie senza colpa, e puoi esserci senza essere presente col corpo, come un qualcosa di astrale, di potente, che trascende la materia e le regole della vita comune.
E il tempo e lo spazio si ampliano, si aprono come fiori notturni, e non c'è distanza, e non c'è assenza, e verità e sogno, possibile e impossibile mescolano il loro profumo. È così che è iniziato il suo Gioco con Viktor. E ora Nieva non scherza più. Scrive, parla, confessa. E come sono vere queste parole, e reali.
Viktor e lei parlano a lungo, di tutto.
Viktor le chiede quali sono le sue fantasie più perverse, per poi chiamarla puttana, troia.
"Così, ti piacerebbe essere scopata da più uomini, troia... Te lo farò fare, e poi ti frusterò a sangue per punirti... Sei una puttana... il tuo posto è in strada a prendere cazzi...".

Ma Viktor la fa parlare anche di quando era bambina, delle sue paure, dei suoi sogni, delle sue conflittualità. Viktor le dice: sei come un fiume che non trova pace se non arriva al mare... devi trovare il tuo mare, Nieva...
Viktor le chiede di fargli ascoltare il rumore del mare dal cellulare, Viktor la chiama "mia rosa della notte". Tornano alla mente di Nieva spezzoni di frasi, le prime frasi che l'hanno turbata, mentre aspetta che Viktor chiami.

"Io non credo, sai, di essere una vera sub". "Sì, lo sei. Sei una splendida sub". Glielo ha detto nella loro prima chat, glielo ha ripetuto la prima volta al telefono, col compiacimento di chi sta parlando di un cavallo di razza. E Nieva lo ha "visto" con gli occhi della mente e del cuore, mentre le passa una mano sulla schiena nuda, premendo col palmo, come si fa con una puledra, per saggiarne le reazioni prima di imbrigliarla e metterle il morso. Lui conosce il suo segreto e sa trasformarlo in qualcosa di radioso. E così, Nieva e Viktor ora sono schiava e padrone.
Yin e Yang, Luna e Sole. Complementari, necessari.

"Tutto avverrà senza fretta. Tutto è già nel tuo ventre, profondamente, in tè. Tutto avverrà gradualmente, finché non potrai fame a meno, perché niente altro sazierà la tua fame segreta. Ed è allora che ci incontreremo. E queste cose che ti chiedo le dirai, le farai guardandomi negli occhi.

La vibrazione del telefono scuote Nieva. Porta all'orecchio il cellulare. È lui. La sua voce calda, ferma, imperiosa. Nell'ascoltarlo Nieva, che pur essendo una donna matura conserva a volte timidezze e ritrosie da adolescente, sa che non si tirerà indietro e che lui, di questo, non ha mai dubitato. Lui capisce che è pronta, timorosa, turbata ma pronta alla vergogna e al piacere. Pronta all'ubbidienza. Ecco, ora le chiede cosa indossa, le chiede di descrivere la sua posizione e poi la guida, guida la sua mano, le sue dita, nelle parti più segrete, là dove urgono le pulsioni più prorompenti e ingovernabili. La guida, ed ecco che le dita di lei non sono più sue, sono le dita di una persona lontana e vicina, intima e sconosciuta.
È lui che reclama il suo corpo e si serve della mani di lei per stimolarlo, renderlo docile, piegarlo al piacere quel piacere che altre volte le ha negato. Quel piacere che lei vuole, dimentica della sua dignità, della sua riservatezza.
La stanza circondata dalla notte sprofonda in una dimensione senza spazio e senza tempo, abitata solo da una fantasia che crea la realtà, abitata da una voce calda e imperiosa, dai suoi gemiti di piacere, dalla sua voce roca quando ripete ciò che lui le ordina di dire. "Cosa sei? Dillo! Dillo!". "Sono una troia, una puttana...". Le gambe allargate al massimo, il telefono struscia tra i suoi capelli come una carezza, le dita sentono gli umori che si spandono tra le labbra, il piacere arriva a scatenarla e a placarla, i gemiti si fanno più forti e incontrollati e poi è solo un ansimare, e un sospirare forte, ecco, così,... puttana, troia, schiava, libera.

E poi la realtà ritorna. La stanza attorno a lei riprende i suoi contorni. Ritorna la parte razionale e con essa la vergogna, l'umiliazione. È questo, allora? È questo? Le sensazioni si mescolano conturbanti come un aroma troppo forte, come una droga che stordisce.
Ma c'è una voce che guida attraverso questo intrico, questa confusione, una voce che ora è dolce, amorevole. "Sei stata brava. Sei nel mio cuore, Nieva". Alle sensazioni di prima altre se ne aggiungono. .. e tra queste un'altra che non ha nome, perché orgoglio non può chiamarsi, come potrebbe chiamarsi orgoglio qualcosa che nasce dalla vergogna?
"Riposa, Nieva" "Grazie".
È tutto così strano. Ha voglia di dormire, di ricordare, di dimenticare. Il suo corpo gode ancora del piacere raggiunto, la mente si appaga e si tormenta della sua sottomissione. La voce che la guidava è andata via.
È sola, adesso. Ma non si sente sola. Da quando "conosce" Viktor si sente più viva, più completa di quanto non sia nella vita che si dice "normale", dove è imprigionata nelle convenzioni sociali, negli schemi degli altri, quegli altri che, se conoscessero la sua parte segreta, giudicherebbero Nieva con disprezzo o la guarderebbero senza capire.
Viktor nel renderla schiava la rende anche libera accettandola nella sua completezza, la rende libera nel riconoscere il suo lato oscuro e nell'amarlo. Nieva pensa, con gratitudine: "Non mi sento più sola, perché lui conosce la mia luce e la mia ferita". E poi, sorridendo, si corregge: "No... Perché lui AMA la mia luce e la mia ferita".

Nieva non sa se davvero dentro un certo calendario dentro un certo anno, dentro un certo mese, è nascosta la data del loro incontro. Vero. Reale. Che riunirà la schiava e il padrone.

Non sa ancora se quel giorno esiste.
Non sa se l'amplesso del sogno con la realtà genera Eros o il Minotauro, incantesimi o mostri. Non sa se la luna e il sole possono incontrarsi senza scardinare la luce.
Ma sa che Viktor domina il suo immaginario conducendola passo dopo passo verso la conoscenza delle sue zone oscure e dei suoi desideri repressi, sa che lui percorre i gradi della trasformazione che la rivelerà comunque a se stessa.

Sa che in ogni modo, in una qualche dimensione, nello spazio finito di una stanza o in quello infinito del desiderio, lei gli appartiene.

"Appartengo a Viktor... uno sconosciuto", pensa Nieva. E abbandonandosi voluttuosamente tra le lenzuola fresche, prima di cedere al sonno, ripete tra sé le parole della poesia di Pedro Salinas che Viktor le ha inviato:

"Non ho bisogno di tempo
per sapere come sei:
conoscersi è luce improvvisa.
Chi ti cerca nella vita
che stai vivendo, non sa di tè
che allusioni, pretesti in cui ti nascondi.
Io ti ho conosciuto nella tempesta.
Ti ho conosciuto, improvvisa
in quello squarcio brutale
di tenebra e luce
dove si rivela il fondo
che sfugge al giorno e alla notte.
Ed ora sei così anticamente mia
che procedo senza errare, alla cieca, senza chiedere
nulla
a quella luce così lenta e sicura
con cui si riconoscono lettere e forme,
e si crede di vedere
chi tu sia, o mia invisibile".
scritto il
2010-05-18
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