Giulia e Marcello (il seguito di coito ergo sum)
di
conte Mascetti
genere
pulp
Conobbi Marcello una sera d'estate, eravamo ad un concerto, io insieme a mia cugina e ad un paio di sue amiche, lui con i suoi amici...
Quando uscivo con mia cugina non era cosa strana che venissimo circondate da plotoni di maschi che, in modo più o meno spudorato, ci facevano la corte. Così, anche quella sera, furono in tanti i ragazzi che si affiancarono a me, a Simona (mia cugina), a Francesca e a Sofia. Chi ci offriva da bere, chi passava da fumare e chi invece cercava soltanto di strusciarsi. Noi, come sempre, facevamo le simpatiche con tutti e ai più carini concedevamo anche qualche strusciatina.
Dopotutto non facevamo niente di male, ci divertivamo come gli altri, bevendo, fumando e ballando. Ad un tratto però, vidi due ragazzi che tentavano di portare mia cugina fuori dalla calca. Simona faceva resistenza ma i due la tiravano per le braccia, le sue grida di protesta venivano soffocate dalla musica e dalla gente, pian piano la persi di vista. Allora corsi subito da Sofia per dirle quello che avevo visto, lei stava ballando con un ragazzone di colore, altissimo e muscoloso.
Accompagnate dal negrone andammo a cercare Simona. La trovammo quasi subito, poco distante dalla folla, con i due ragazzi che adesso cercavano di scoparsela. Lei continuava ad opporre resistenza, ma evidentemente senza riscuotere successo alcuno, dato che era già mezza nuda.
Quando Badù (questo era il nome del ragazzo nero) intimò ai due di lasciarla in pace, quelli gli si avventarono contro, contemporaneamente e con una furia inaudita. Io e Sofia intanto correvamo a vedere come stava Simona.
Come accade di frequente quando c'è una lite in corso, anche quella sera sulla spiaggia ci furono degli spettatori. Ovviamente, nonostante fosse chiaro a tutti che erano due contro uno, nessuno si mosse per aiutare Badù, e nessuno fece niente per separarli. Finchè non si accorsero della rissa due amici di Badù. Si gettarono nella mischia con le bottiglie di birra che avevano in mano, usandole come manganelli. Ci impiegarono poco a stendere i due avversari, che lasciarono sulla sabbia, privi di sensi e sanguinanti.
Dopo, insieme ai tre ragazzi, ci allontanammo dal concerto ed entrammo in un pub poco distante. Badù era messo abbastanza male, sanguinava dal sopracciglio e zoppicava un po', i suoi amici invece, non erano stati minimamente scalfiti. Simona ci raccontò che quei due le si erano avvicinati in modo cordiale, avevano rollato un paio di canne e poi, fingendo di scherzare, cominciarono a metterle le mani addosso. Lei tentò di farli stare con le mani a posto, ma vista la loro insistenza si alzò per andar via. Fu allora che la costrinsero a seguirli...
Una mezzoretta più tardi, mia cugina decise di accompagnare Badù a casa, aveva la macchina e questo era il suo modo per ringraziarlo. Sapevamo tutti che quel passaggio sarebbe durato molto, infatti Simona, che mi aveva più volte confidato della sua passione per i cazzi giganti, quella sera al pub mostrò un fin troppo evidente interesse per il bestione nero, che a giudicare dalla stazza e dal colore della pelle prometteva veramente bene. Così, io, Sofia e i due amici di Badù, decidemmo di tornare sulla spiaggia, dove il concerto volgeva ormai al termine. Qui trovammo Francesca, di cui ci eravamo quasi dimenticate, in compagnia di Marcello, un suo compagno di classe.
Marcello era davvero un bel ragazzo; capelli scuri ed occhi chiari stavano sopra al suo sorriso accattivante, inoltre era abbastanza alto e, sebbene indossasse una larga maglietta ed un paio di calzoni altrettanto larghi, si riusciva benissimo ad intuire il suo fisico da atleta.
Alla fine del concerto, mentre gli altri andavano via, facemmo le presentazioni. Gli unici estranei risultammo io e Marcello, in quanto Sofia e Francesca frequentavano la stessa classe, e di conseguenza erano entrambe compagne di classe di Marcello, i due ragazzi invece erano proprio i suoi amici; per intenderci, visto che il concetto di amicizia è un po' troppo astratto, quelli con cui usciva e andava a divertirsi.
Aspettammo, in compagnia dei tre ragazzi, per parecchio tempo che Simona tornasse. Erano tutti arguti e molto simpatici, ed era piacevole conversare con loro. Presto, però, Marcello divenne taciturno, forse gli ultimi spinelli della serata gli stavano facendo questo strano effetto. Nonostante ciò continuava a rollare canne e a passarle, e nessuno gli diceva niente, anzi... Io, dal canto mio, avevo già da un pezzo raggiunto il livello di saturazione e non mi andava affatto di continuare a fumare.
Mentre, tra un tiro e un altro, tutti seguitavamo a scherzare, Marcello era l'unico che rimaneva in silenzio, con le palpebre lievemente calate, perso in chissà quale dimensione.
Dopo un paio d'ore ritornò Simona. Appena si avvicinò a noi, si levò una clamorosa ovazione, poi, continuando a prenderla in giro, i ragazzi le strinsero la mano e si complimentarono.
- Finalmente ce l'hai fatta!
- Scommetto che è stata "dura"!
Lei, tutta in disordine, sorrise maliziosa ai commenti dei ragazzi e rispose a tono.
- Dura, lunga, ma sopratutto "entusiasmante"!
Poi, rivolgendosi a noi ragazze, ci fece notare che si era fatto tardi e che sarebbe stato meglio rincasare. Che imbecille, sembrava fosse per colpa nostra che si era fatto tardi!
Così ci alzammo, salutammo i ragazzi e ci avviammo verso la macchina. Prima però, mia cugina consegnò una chiave a Marcello, dicendogli che Badù lo pregava di riportargli la moto l'indomani mattina, visto che essendo tornato in macchina con Simona l'aveva dovuta lasciare lì. Lui la prese e le disse di non preoccuparsi.
Era così lampante che non poteva essere in grado di guidare alcunchè, da spingermi ad intervenire e suggerirgli di chiedere ai suoi amici di riportare la moto a Badù.
Allora, con tono spavaldo, mi propose di fare un patto: avrebbe dato la moto ai suoi amici solo se io avessi acconsentito ad un picnic insieme a lui, per il giorno seguente.
Il mio consenso sarebbe stato immediato se avesse usato un altro tono, ma quella notte rifiutai e gli dissi che se era così stupido avrebbe potuto liberamente decidere di andarsi ad ammazzare con quella cavolo di moto, tanto a me non mi interessava niente di lui.
La cosa che più detesto nella gente è l'arroganza, tutto il resto, mantenendo la sua importanza, passa in secondo piano. Perciò Marcello, nonostante fosse un gran bel figo, dopo quella stupidaggine che aveva detto, perdeva ai miei occhi qualsiasi attrattiva.
_________
Il telefono suonava senza tregua già da dieci minuti, segno evidente che ero sola in casa. Non mi andava di rispondere perchè volevo seguitare a dormire, stavo facendo un sogno strano e, al tempo stesso, molto eccitante. Sognavo di essere in una spiaggia deserta, non avevo niente addosso e, distesa sulla sabbia, mi godevo i piaceri della tintarella integrale. Il sole era molto caldo e i suoi raggi mi colpivano forte il viso, le cosce, il ventre, le tette. La cosa non mi dava fastidio perchè, sul mio corpo, passava anche una piacevole brezza. Lentamente, sia il sole, che il vento, divennero più insistenti. Volevo alzarmi, ma qualcosa mi teneva inchiodata sulla sabbia. Adesso il mio corpo scottava e i miei capezzoli si erano induriti, il vento diventava sempre più forte e sfiorava con insistenza la mia intimità...
Gli squilli non cessavano e, nonostante le mie resistenze nell'ignorarli, il sonno ormai era svanito. Così aprii gli occhi, mi alzai dal letto e, incazzatissima, mi diressi verso l'apparecchio telefonico più vicino, in camera dei miei.
Il sogno appena fatto, anche se lasciato a metà, mi aveva eccitata parecchio. L'unico indumento che indossavo, un piccolo perizoma nero, era fradicio di umori ed io avevo una voglia tremenda di sfregarmi la patatina. Ma facendo violenza ai miei desideri, mi sdraiai sul lettone, afferrai, dal comodino di mamma, la cornetta del telefono e risposi.
- Pronto Giulietta!
- Chi sei?
- Quello che secondo le tue catastrofiche previsioni dovrebbe essere già morto!
- Marcello!
- Complimenti Giulietta, allora ti sei svegliata!
- Si, per colpa tua! E non chiamarmi "giulietta"!
- Okkey, scusami Giulietta... Senti che ne dici se passo a prenderti e ci facciamo un giro?
Continuava con il suo stupido modo di fare, però questa volta non mi dava fastidio, anzi mi divertiva.
- E tu come sai dove abito?
- Ho cercato sulle pagine gialle alla voce "ragazze che se la tirano" e ho trovato il tuo nome, con numero e indirizzo...
- Io non sono una che se la tira, uffa!..
- Bene, allora passo?
- D'accordo, ma dove andiamo?
- Ce l'hai una bici?
- Si...
- Benone, tra venti minuti sono da te!
- Si, ma dove andiamo?..
Nessuna risposta, aveva riattaccato.
In venti minuti dovevo essere pronta, perciò corsi a farmi una doccia. Mi intrigava questa storia, Marcello mi piaceva molto e di conseguenza, mi piaceva, anche essere corteggiata da lui. Certo, per colpa del suo carattere, non era il mio ideale di uomo, ma era bello e ciò mi bastava. E poi lo conoscevo ancora troppo poco per poter sentenziare.
Quando fui sotto il getto d'acqua della doccia non riuscii più a resistere all'eccitazione e cominciai a stuzzicarmi il grilletto. Il sogno da cui mi ero destata riecheggiava ancora nella mia mente, fu questa l'immagine con cui raggiunsi l'orgasmo.
Avevo sentito dire che nei sogni affiorava la parte più recondita del nostro essere, paure, voglie, desideri che venivano rimossi o semplicemente ignorati dal nostro essere cosciente. Non che credessi molto in questa o in altre stranezze della psico-analisi, ma quello strano sogno mi dava da pensare...
Durante tutto l'anno scolastico appena trascorso quasi tutte le mie amiche avevano perso la verginità e il sesso, in molte delle sue sfaccettature, era diventato l'argomento cardine, attorno al quale ruotavano la stragrande maggioranza dei nostri discorsi. Io, ad essere sincera, non ero poi così attratta dal sesso; quando mi sentivo eccitata mi masturbavo, godevo e tutto finiva lì, non sentivo il bisogno d'altro. Ma quel sogno, quel sogno, aveva un significato, ne ero sicura.
Purtroppo non ebbi il tempo di analizzarlo accuratamente, erano passati a stento dieci minuti da quando Marcello aveva messo giù il telefono, che già suonava alla porta. Io, da poco uscita dalla doccia, andai ad aprirgli con ancora addosso l'accappatoio.
(E qui comincia il mio "blocco narrativo", lo stallo dello scrittore cagionato da carenza di fantasia, da "mestizia erotica"... Perciò, se qualche srittore o scrittrice dilettante, magari dopo aver fantasticato sulla mia storia, avesse intenzione di continuarla, ben venga, lo faccia pure...)
Saluti dalla supercazzola69
il vostro tetraplegico-trombante
Quando uscivo con mia cugina non era cosa strana che venissimo circondate da plotoni di maschi che, in modo più o meno spudorato, ci facevano la corte. Così, anche quella sera, furono in tanti i ragazzi che si affiancarono a me, a Simona (mia cugina), a Francesca e a Sofia. Chi ci offriva da bere, chi passava da fumare e chi invece cercava soltanto di strusciarsi. Noi, come sempre, facevamo le simpatiche con tutti e ai più carini concedevamo anche qualche strusciatina.
Dopotutto non facevamo niente di male, ci divertivamo come gli altri, bevendo, fumando e ballando. Ad un tratto però, vidi due ragazzi che tentavano di portare mia cugina fuori dalla calca. Simona faceva resistenza ma i due la tiravano per le braccia, le sue grida di protesta venivano soffocate dalla musica e dalla gente, pian piano la persi di vista. Allora corsi subito da Sofia per dirle quello che avevo visto, lei stava ballando con un ragazzone di colore, altissimo e muscoloso.
Accompagnate dal negrone andammo a cercare Simona. La trovammo quasi subito, poco distante dalla folla, con i due ragazzi che adesso cercavano di scoparsela. Lei continuava ad opporre resistenza, ma evidentemente senza riscuotere successo alcuno, dato che era già mezza nuda.
Quando Badù (questo era il nome del ragazzo nero) intimò ai due di lasciarla in pace, quelli gli si avventarono contro, contemporaneamente e con una furia inaudita. Io e Sofia intanto correvamo a vedere come stava Simona.
Come accade di frequente quando c'è una lite in corso, anche quella sera sulla spiaggia ci furono degli spettatori. Ovviamente, nonostante fosse chiaro a tutti che erano due contro uno, nessuno si mosse per aiutare Badù, e nessuno fece niente per separarli. Finchè non si accorsero della rissa due amici di Badù. Si gettarono nella mischia con le bottiglie di birra che avevano in mano, usandole come manganelli. Ci impiegarono poco a stendere i due avversari, che lasciarono sulla sabbia, privi di sensi e sanguinanti.
Dopo, insieme ai tre ragazzi, ci allontanammo dal concerto ed entrammo in un pub poco distante. Badù era messo abbastanza male, sanguinava dal sopracciglio e zoppicava un po', i suoi amici invece, non erano stati minimamente scalfiti. Simona ci raccontò che quei due le si erano avvicinati in modo cordiale, avevano rollato un paio di canne e poi, fingendo di scherzare, cominciarono a metterle le mani addosso. Lei tentò di farli stare con le mani a posto, ma vista la loro insistenza si alzò per andar via. Fu allora che la costrinsero a seguirli...
Una mezzoretta più tardi, mia cugina decise di accompagnare Badù a casa, aveva la macchina e questo era il suo modo per ringraziarlo. Sapevamo tutti che quel passaggio sarebbe durato molto, infatti Simona, che mi aveva più volte confidato della sua passione per i cazzi giganti, quella sera al pub mostrò un fin troppo evidente interesse per il bestione nero, che a giudicare dalla stazza e dal colore della pelle prometteva veramente bene. Così, io, Sofia e i due amici di Badù, decidemmo di tornare sulla spiaggia, dove il concerto volgeva ormai al termine. Qui trovammo Francesca, di cui ci eravamo quasi dimenticate, in compagnia di Marcello, un suo compagno di classe.
Marcello era davvero un bel ragazzo; capelli scuri ed occhi chiari stavano sopra al suo sorriso accattivante, inoltre era abbastanza alto e, sebbene indossasse una larga maglietta ed un paio di calzoni altrettanto larghi, si riusciva benissimo ad intuire il suo fisico da atleta.
Alla fine del concerto, mentre gli altri andavano via, facemmo le presentazioni. Gli unici estranei risultammo io e Marcello, in quanto Sofia e Francesca frequentavano la stessa classe, e di conseguenza erano entrambe compagne di classe di Marcello, i due ragazzi invece erano proprio i suoi amici; per intenderci, visto che il concetto di amicizia è un po' troppo astratto, quelli con cui usciva e andava a divertirsi.
Aspettammo, in compagnia dei tre ragazzi, per parecchio tempo che Simona tornasse. Erano tutti arguti e molto simpatici, ed era piacevole conversare con loro. Presto, però, Marcello divenne taciturno, forse gli ultimi spinelli della serata gli stavano facendo questo strano effetto. Nonostante ciò continuava a rollare canne e a passarle, e nessuno gli diceva niente, anzi... Io, dal canto mio, avevo già da un pezzo raggiunto il livello di saturazione e non mi andava affatto di continuare a fumare.
Mentre, tra un tiro e un altro, tutti seguitavamo a scherzare, Marcello era l'unico che rimaneva in silenzio, con le palpebre lievemente calate, perso in chissà quale dimensione.
Dopo un paio d'ore ritornò Simona. Appena si avvicinò a noi, si levò una clamorosa ovazione, poi, continuando a prenderla in giro, i ragazzi le strinsero la mano e si complimentarono.
- Finalmente ce l'hai fatta!
- Scommetto che è stata "dura"!
Lei, tutta in disordine, sorrise maliziosa ai commenti dei ragazzi e rispose a tono.
- Dura, lunga, ma sopratutto "entusiasmante"!
Poi, rivolgendosi a noi ragazze, ci fece notare che si era fatto tardi e che sarebbe stato meglio rincasare. Che imbecille, sembrava fosse per colpa nostra che si era fatto tardi!
Così ci alzammo, salutammo i ragazzi e ci avviammo verso la macchina. Prima però, mia cugina consegnò una chiave a Marcello, dicendogli che Badù lo pregava di riportargli la moto l'indomani mattina, visto che essendo tornato in macchina con Simona l'aveva dovuta lasciare lì. Lui la prese e le disse di non preoccuparsi.
Era così lampante che non poteva essere in grado di guidare alcunchè, da spingermi ad intervenire e suggerirgli di chiedere ai suoi amici di riportare la moto a Badù.
Allora, con tono spavaldo, mi propose di fare un patto: avrebbe dato la moto ai suoi amici solo se io avessi acconsentito ad un picnic insieme a lui, per il giorno seguente.
Il mio consenso sarebbe stato immediato se avesse usato un altro tono, ma quella notte rifiutai e gli dissi che se era così stupido avrebbe potuto liberamente decidere di andarsi ad ammazzare con quella cavolo di moto, tanto a me non mi interessava niente di lui.
La cosa che più detesto nella gente è l'arroganza, tutto il resto, mantenendo la sua importanza, passa in secondo piano. Perciò Marcello, nonostante fosse un gran bel figo, dopo quella stupidaggine che aveva detto, perdeva ai miei occhi qualsiasi attrattiva.
_________
Il telefono suonava senza tregua già da dieci minuti, segno evidente che ero sola in casa. Non mi andava di rispondere perchè volevo seguitare a dormire, stavo facendo un sogno strano e, al tempo stesso, molto eccitante. Sognavo di essere in una spiaggia deserta, non avevo niente addosso e, distesa sulla sabbia, mi godevo i piaceri della tintarella integrale. Il sole era molto caldo e i suoi raggi mi colpivano forte il viso, le cosce, il ventre, le tette. La cosa non mi dava fastidio perchè, sul mio corpo, passava anche una piacevole brezza. Lentamente, sia il sole, che il vento, divennero più insistenti. Volevo alzarmi, ma qualcosa mi teneva inchiodata sulla sabbia. Adesso il mio corpo scottava e i miei capezzoli si erano induriti, il vento diventava sempre più forte e sfiorava con insistenza la mia intimità...
Gli squilli non cessavano e, nonostante le mie resistenze nell'ignorarli, il sonno ormai era svanito. Così aprii gli occhi, mi alzai dal letto e, incazzatissima, mi diressi verso l'apparecchio telefonico più vicino, in camera dei miei.
Il sogno appena fatto, anche se lasciato a metà, mi aveva eccitata parecchio. L'unico indumento che indossavo, un piccolo perizoma nero, era fradicio di umori ed io avevo una voglia tremenda di sfregarmi la patatina. Ma facendo violenza ai miei desideri, mi sdraiai sul lettone, afferrai, dal comodino di mamma, la cornetta del telefono e risposi.
- Pronto Giulietta!
- Chi sei?
- Quello che secondo le tue catastrofiche previsioni dovrebbe essere già morto!
- Marcello!
- Complimenti Giulietta, allora ti sei svegliata!
- Si, per colpa tua! E non chiamarmi "giulietta"!
- Okkey, scusami Giulietta... Senti che ne dici se passo a prenderti e ci facciamo un giro?
Continuava con il suo stupido modo di fare, però questa volta non mi dava fastidio, anzi mi divertiva.
- E tu come sai dove abito?
- Ho cercato sulle pagine gialle alla voce "ragazze che se la tirano" e ho trovato il tuo nome, con numero e indirizzo...
- Io non sono una che se la tira, uffa!..
- Bene, allora passo?
- D'accordo, ma dove andiamo?
- Ce l'hai una bici?
- Si...
- Benone, tra venti minuti sono da te!
- Si, ma dove andiamo?..
Nessuna risposta, aveva riattaccato.
In venti minuti dovevo essere pronta, perciò corsi a farmi una doccia. Mi intrigava questa storia, Marcello mi piaceva molto e di conseguenza, mi piaceva, anche essere corteggiata da lui. Certo, per colpa del suo carattere, non era il mio ideale di uomo, ma era bello e ciò mi bastava. E poi lo conoscevo ancora troppo poco per poter sentenziare.
Quando fui sotto il getto d'acqua della doccia non riuscii più a resistere all'eccitazione e cominciai a stuzzicarmi il grilletto. Il sogno da cui mi ero destata riecheggiava ancora nella mia mente, fu questa l'immagine con cui raggiunsi l'orgasmo.
Avevo sentito dire che nei sogni affiorava la parte più recondita del nostro essere, paure, voglie, desideri che venivano rimossi o semplicemente ignorati dal nostro essere cosciente. Non che credessi molto in questa o in altre stranezze della psico-analisi, ma quello strano sogno mi dava da pensare...
Durante tutto l'anno scolastico appena trascorso quasi tutte le mie amiche avevano perso la verginità e il sesso, in molte delle sue sfaccettature, era diventato l'argomento cardine, attorno al quale ruotavano la stragrande maggioranza dei nostri discorsi. Io, ad essere sincera, non ero poi così attratta dal sesso; quando mi sentivo eccitata mi masturbavo, godevo e tutto finiva lì, non sentivo il bisogno d'altro. Ma quel sogno, quel sogno, aveva un significato, ne ero sicura.
Purtroppo non ebbi il tempo di analizzarlo accuratamente, erano passati a stento dieci minuti da quando Marcello aveva messo giù il telefono, che già suonava alla porta. Io, da poco uscita dalla doccia, andai ad aprirgli con ancora addosso l'accappatoio.
(E qui comincia il mio "blocco narrativo", lo stallo dello scrittore cagionato da carenza di fantasia, da "mestizia erotica"... Perciò, se qualche srittore o scrittrice dilettante, magari dopo aver fantasticato sulla mia storia, avesse intenzione di continuarla, ben venga, lo faccia pure...)
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