La sua puttanella - prima parte
di
Mave
genere
dominazione
La voce profonda, lontana, colorata dal fumo. Le parole scandite, precise e cadenzate così da non poter essere fraintese. È un ordine, lei lo sa bene e lo esegue in silenzio, come è stata abituata a fare, in modo preciso e non affrettato.
La scioglie, poi cerca lo sguardo di lui per sapere cosa fare.
- Bendati gli occhi.
Lei lo fa.
- Ti ho dato un ordine, rispondi in modo appropriato!
Le dice.
- Sì, padrone.
La risposta di lei, un tremore nella voce.
- Ora voglio che ti giri e che appoggi le mani contro il muro.
Comincia a ordinare lui.
- Appoggia la guancia contro il muro. Abbassati, porta il culo verso di me.
Lei esegue e sussurra:
- Sì, padrone.
Lui incalza:
- Incrocia le caviglie, piega di più quella schiena. Abbassati ancora.
- Sì padrone.
Lei ha la faccia e le mani al muro, piegata a novanta, le caviglie incrociate, l'equilibrio è delicato.
Lui si allontana, lei sente il rumore dei suoi passi. Poi sente rumore di vetro, ghiaccio, sente un liquido versarsi in un bicchiere. Il rumore di un accendino e il suono di una boccata di fumo. Poi i passi tornano verso di lei.
Secondi.
Passano svariati secondi.
Lei sente lui fumare, bere, sente l'imbarazzo della presenza dietro di lei, sente le natiche e la parte bassa della schiena esposte, non coperte dall'unica cosa che indossa oltre alle scarpe col tacco alto: un maglione largo.
Poi avverte il fumo caldo accarezzarle il culo.
Si lascia scappare un mugolio sommesso.
Un sorso.
Poi lei sente qualcosa di freddo appoggiarsi nella zona lombare della schiena.
- Deve essere il bicchiere - pensa - mi sta usando come tavolino.
Poi avverte un rumore che conosce bene, che la bagna e le fa tremare le gambe: la cintura di lui che si slaccia.
Lui fa schioccare la pelle della cinta nelle mani.
- Avevo detto "scarpe rosse".
No, aveva detto "nere" e lei indossava scarpe nere come ordinatole. Ma sapeva cosa stava per succedere e le piaceva.
- Sì, signore, mi perdoni, padrone.
Ancora il fumo caldo sul culo.
- Hai il mio bicchiere di rum sulla schiena, fallo cadere e ti farò rivestire e tornare a casa. Chiaro?
- Sì signore. Certo, signore. Non lo farò cadere.
La voce le viene fuori sicura, ma ansimante. Sente caldo tra le cosce e sa che sta colando. È eccitata, vorrebbe toccarsi, sa che non può muoversi. Lui non scherza.
La voce di lui, potente:
- Conta.
Un colpo secco, rapido, un rumore sordo. La natica sinistra in fiamme, la fica bollente. Il bicchiere fermo al suo posto. Lui l'ha colpita con la cinghia, lei, gemendo:
- Uno.
Un altro colpo, secco, sull'altra natica. Il bicchiere resta immobile. La voce di lui:
- Non muovere le mani da lì, schiava.
Lei:
- Due.
Lei si morde il labbro, si compiace, ingoia la saliva, poi il bicchiere le lascia la schiena. Sente il rumore di un sorso. Lui deve aver bevuto.
Poi sente il bicchiere tornare sulla sua schiena, in un posto più in basso. Lei capisce che lo ha fatto apposta, lì sarà più difficile tenerlo.
Un colpo ancora, più forte dei primi due.
Poi un'altro subito dopo.
Lei non se li aspettava due di fila, fatica a tenere il bicchiere, quasi si taglia il labbro in un morso. Poi, tra i denti:
- Tre, quattro.
Poi tre colpi di fila. Forti. Fanno male.
Lei solleva una gamba per il dolore, perde il controllo, prega che il bicchiere non cada.
Il bicchiere resta sulla schiena dopo una danza leggera.
Lei gode, sente il culo bruciarle, la fica fradicia. Vorrebbe essere penetrata, il cuore le batte nella gola.
- Cinque, sei, sette. La prego, padrone, mi scopi.
Poi una sensazione imprevista, lei sente la fica bruciare, stringe il culo di riflesso - è liquido - pensa - mi sta facendo cadere dalla bocca il rum sul culo.
Il liquido le cola lungo le gambe, le bagna la fica mischiandosi ai suoi umori.
- Hai la mia saliva e il rum tra culo e fica. Ti piace, troietta?
- Sì, padrone, mi piace.
La mano di lui le sfiora il culo, il bicchiere le lascia la schiena, la voce di lui:
- Questa è la mia mano, la senti? Ora ti infilerò dentro un dito. Dove vuoi che te lo infili? Nella fica o nel culo?
Il solo sentirlo pronunciare quelle parole la eccita in modi che non aveva mai immaginato, ci pensa, ma lui le afferra i capelli e la tira per metterle fretta:
- Nella fica.
Uno schiaffo duro e potente sul culo, le gambe cedono, un grido le riempie la gola, si corregge:
- Padrone! Padrone! Nella figa, padrone. Mi perdoni.
Lui:
- Pregami.
Lei, la voce tradita dalla vergogna:
- Ti prego, padrone, mettimi un dito nella fi...
Grida. Lui le infila un dito nel culo, con violenza. Fa l'esatto contrario di quello che lei ha chiesto e questo la manda in estasi.
- Scopami il dito, muovi il culo.
Lei obbedisce, chiede con tono sommesso:
- Posso toccarmi, padrone, ti prego.
- No. Non ancora. Dimmi cosa sei.
- Sono la tua puttanella, padrone.
Sentire la sua voce pronunciare quelle parole la manda in estasi. Vorrebbe un cazzo dentro più di ogni altra cosa al mondo. Continua a muoversi per infilarsi dentro il culo il dito di lui.
FINE PRIMA PARTE.
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La scioglie, poi cerca lo sguardo di lui per sapere cosa fare.
- Bendati gli occhi.
Lei lo fa.
- Ti ho dato un ordine, rispondi in modo appropriato!
Le dice.
- Sì, padrone.
La risposta di lei, un tremore nella voce.
- Ora voglio che ti giri e che appoggi le mani contro il muro.
Comincia a ordinare lui.
- Appoggia la guancia contro il muro. Abbassati, porta il culo verso di me.
Lei esegue e sussurra:
- Sì, padrone.
Lui incalza:
- Incrocia le caviglie, piega di più quella schiena. Abbassati ancora.
- Sì padrone.
Lei ha la faccia e le mani al muro, piegata a novanta, le caviglie incrociate, l'equilibrio è delicato.
Lui si allontana, lei sente il rumore dei suoi passi. Poi sente rumore di vetro, ghiaccio, sente un liquido versarsi in un bicchiere. Il rumore di un accendino e il suono di una boccata di fumo. Poi i passi tornano verso di lei.
Secondi.
Passano svariati secondi.
Lei sente lui fumare, bere, sente l'imbarazzo della presenza dietro di lei, sente le natiche e la parte bassa della schiena esposte, non coperte dall'unica cosa che indossa oltre alle scarpe col tacco alto: un maglione largo.
Poi avverte il fumo caldo accarezzarle il culo.
Si lascia scappare un mugolio sommesso.
Un sorso.
Poi lei sente qualcosa di freddo appoggiarsi nella zona lombare della schiena.
- Deve essere il bicchiere - pensa - mi sta usando come tavolino.
Poi avverte un rumore che conosce bene, che la bagna e le fa tremare le gambe: la cintura di lui che si slaccia.
Lui fa schioccare la pelle della cinta nelle mani.
- Avevo detto "scarpe rosse".
No, aveva detto "nere" e lei indossava scarpe nere come ordinatole. Ma sapeva cosa stava per succedere e le piaceva.
- Sì, signore, mi perdoni, padrone.
Ancora il fumo caldo sul culo.
- Hai il mio bicchiere di rum sulla schiena, fallo cadere e ti farò rivestire e tornare a casa. Chiaro?
- Sì signore. Certo, signore. Non lo farò cadere.
La voce le viene fuori sicura, ma ansimante. Sente caldo tra le cosce e sa che sta colando. È eccitata, vorrebbe toccarsi, sa che non può muoversi. Lui non scherza.
La voce di lui, potente:
- Conta.
Un colpo secco, rapido, un rumore sordo. La natica sinistra in fiamme, la fica bollente. Il bicchiere fermo al suo posto. Lui l'ha colpita con la cinghia, lei, gemendo:
- Uno.
Un altro colpo, secco, sull'altra natica. Il bicchiere resta immobile. La voce di lui:
- Non muovere le mani da lì, schiava.
Lei:
- Due.
Lei si morde il labbro, si compiace, ingoia la saliva, poi il bicchiere le lascia la schiena. Sente il rumore di un sorso. Lui deve aver bevuto.
Poi sente il bicchiere tornare sulla sua schiena, in un posto più in basso. Lei capisce che lo ha fatto apposta, lì sarà più difficile tenerlo.
Un colpo ancora, più forte dei primi due.
Poi un'altro subito dopo.
Lei non se li aspettava due di fila, fatica a tenere il bicchiere, quasi si taglia il labbro in un morso. Poi, tra i denti:
- Tre, quattro.
Poi tre colpi di fila. Forti. Fanno male.
Lei solleva una gamba per il dolore, perde il controllo, prega che il bicchiere non cada.
Il bicchiere resta sulla schiena dopo una danza leggera.
Lei gode, sente il culo bruciarle, la fica fradicia. Vorrebbe essere penetrata, il cuore le batte nella gola.
- Cinque, sei, sette. La prego, padrone, mi scopi.
Poi una sensazione imprevista, lei sente la fica bruciare, stringe il culo di riflesso - è liquido - pensa - mi sta facendo cadere dalla bocca il rum sul culo.
Il liquido le cola lungo le gambe, le bagna la fica mischiandosi ai suoi umori.
- Hai la mia saliva e il rum tra culo e fica. Ti piace, troietta?
- Sì, padrone, mi piace.
La mano di lui le sfiora il culo, il bicchiere le lascia la schiena, la voce di lui:
- Questa è la mia mano, la senti? Ora ti infilerò dentro un dito. Dove vuoi che te lo infili? Nella fica o nel culo?
Il solo sentirlo pronunciare quelle parole la eccita in modi che non aveva mai immaginato, ci pensa, ma lui le afferra i capelli e la tira per metterle fretta:
- Nella fica.
Uno schiaffo duro e potente sul culo, le gambe cedono, un grido le riempie la gola, si corregge:
- Padrone! Padrone! Nella figa, padrone. Mi perdoni.
Lui:
- Pregami.
Lei, la voce tradita dalla vergogna:
- Ti prego, padrone, mettimi un dito nella fi...
Grida. Lui le infila un dito nel culo, con violenza. Fa l'esatto contrario di quello che lei ha chiesto e questo la manda in estasi.
- Scopami il dito, muovi il culo.
Lei obbedisce, chiede con tono sommesso:
- Posso toccarmi, padrone, ti prego.
- No. Non ancora. Dimmi cosa sei.
- Sono la tua puttanella, padrone.
Sentire la sua voce pronunciare quelle parole la manda in estasi. Vorrebbe un cazzo dentro più di ogni altra cosa al mondo. Continua a muoversi per infilarsi dentro il culo il dito di lui.
FINE PRIMA PARTE.
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