La punizione di Martina (parte 1)
di
TiDomino
genere
dominazione
“Certo che è stata proprio una grande stronza!” disse A, una 27enne disinibita, magra e intelligente, ridacchiando senza ritegno in faccia al suo migliore amico. R, stessa età, muscoloso e dolce ma con una vena nascosta di cattiveria, stava seduto davanti a lei con un contegno noncurante e gli occhi al cielo: Faceva finta di nulla, ma dopo tanti anni di profonda trombamicizia A gli leggeva direttamente dentro ogni emozione. Si aspettava che fosse ferito, invece fu colpita da una luce sinistra nei suoi occhi, dal fatto che apparisse completamente morbido e rilassato, ad eccetto della mano destra. Non poteva dire che si stesse aggrappando al tavolino di solido marmo. Teneva piuttosto la lastra come fosse un cracker. Come se si chiedesse se valeva la pena spezzarlo in due.
Ma lei non aveva alcuna paura. Troppa familiarità. Solo non voleva farlo soffrire.
Smise subito di ridere, passando attraverso diverse smorfie piuttosto buffe.
“Che animale che sei” disse lui, sorridendo.
“No dai scusa aspetta. Voglio solo capire. La puttanella ti ha chiamato e vi siete visti in spiaggia, lei con le tette di fuori. Erano belle almeno?”
-”Sì, sono sempre state molto belle. Mi piaceva sborrarci sopra e strizzarle...”
-”Che invidia. Poi ti ha raccontato queste 'storie di sesso violento' col tipo che l'ha presa ha schiaffi. E tu sei stato ad ascoltare?”
-”Sì, non me fregava un cazzo. Non è più la mia compagna. Ti ho detto, potrei perdonare un tradimento. Ma lei non mi ha tradito, si è stancata di me e aveva un bisogno fisico di fare la puttanella. Quindi.”
-”Quindi rosichi.”
-”No, non ne valeva la pena”
-”Poi scommetto che ti ha detto qualcosa del tipo ho iniziato a masturbarmi, nessuno è riuscito a farmi godere...”
R agitò le spalle per scacciare un brivido. -“E-tu-come-cazzo-hai-fatto-a-indovinare???”
-”Sei un pollo R. Queste trappole da fighette sono così prevedibili. Tu non sei prevedibile, è questo che amo di te, ma lo diventi quando hai il sangue al pisello. Ecco perché non potevate stare insieme...ed ecco perché stavate insieme. Ed ecco perché so che rosichi.”
-”L'unica cosa di cui mi importa è che non si faccia male. Stavamo bene insieme, l'amavo, questo le dà un valore.”
-”Questo dà a *te* un valore. Di cui avevi bisogno, povero narcisista ferito. Come osa qualcuno che degni della tua attenzione stancarsi di te? Ammetti che stai rosicando. Lei ha vent'anni e devi accettare che si diverta. È stata buona buona per due anni con te, ma ora se vuole farsi rompere il culo da uno sconosciuto in un parcheggio può farlo. Lei non è più nessuno per te.”
-”Oh, cazzo lo vedi che sai essere utile? Una brava amica finalmente. Hai ragione. Lei non conta. È solo un'altra ex giovane e sexy che aveva imparato a far bene i pompini.”
-”Anch'io sono brava a fare i pompini!”
-”Sì, se ti piace mettere il cazzo in un aspirapolvere profondo e vorace. Tu sembra che hai il punto G dentro alla gola, lei invece voleva far godere *me*, e adorava leccarmi le palle come una brava gattina.”
-”Adesso mi hai ferita. Non ce n'era bisogno, stronzo. E so quanto sono brava.”
-”Dovresti farmi un pompino adesso, A, scommetto che cambio idea”
-”Dopo questa, non te ne farò mai più. E comunque da questo sbocco acido si capisce quanto rosichi. Ammettilo e non fare il bambino.”
-“E va bene, rosico.”
-”Bravo; è il primo passo. Ora posso dirti che la odio? E non perché non era giusta per te, come tutti ti abbiamo SEMPRE detto. Né perché per due fottuti anni non mi hai scopata per essere fedele alla principessina sul pisello. Né perché non mi hai più chiamata, su sua richiesta. Ma perché ti ha ferito. La odio e voglio che paghi. Voglio vederla piangere.”
Entrò prima R, da solo. Erano d'accordo per un caffè. Martina si sentì un po' sciogliere, ma era decisa a rispettare la sua decisione: non doveva succedere niente di sessuale. Proprio niente niente? - si chiese guardando il grosso pacco, evidenziato dai pantaloni strettissimi che proprio lei aveva rubato per lui. (“Si sta eccitando. Non lo guardare. Ha fatto un sacco di palestra...”)
R guardava lei. Era vestita in modo un po' sciatto, un vestito molto semplice, poco truccata, i capelli un po' sporchi. “Pensava di non darmela” si disse R, e mostrò i denti in un sorriso.
Doveva essere piuttosto inquietante perché Martina si fece piccola piccola, gli diede due bacetti cercando di non respirare il suo odore e andò in cucina, dove si era sempre sentita regina della casa, invitandolo a seguirla.
Mentre R entrava nella stanza, la porta di casa si chiuse, e si sentì il chiavistello.
-“Dici che è tornata mia madre?” chiese Martina, girandosi verso di lui.
Una donna fece capolino dalla porta. Era magrissima, le gambe lunghe e fasciate dai jeans che lasciavano intravedere le ossa del bacino largo e sensuale, mentre la maglietta mostrava i seni sodi e non nascondeva i capezzoli eccitati. Aveva i capelli lisci castani, e un paio di Rayban che si tolse mostrando gli occhi grandi, verdi ed impietosi.
“Ciao Martina”. Squadrò la ventenne dall'alto in basso, dai capelli lunghi e mossi ai piedi nudi. Una tappetta. Il vestitino largo, facile da strappare. Fin troppo facile. “Sarà un piacere cara.”
Martina non capiva. Dopo due secondi si riscosse. Cercò con lo sguardo R, ma immediatamente si sentì abbracciare da dietro, con una tenerezza che la sconvolse. Ora il suo ex le sussurrava nell'orecchio. La sua voce le faceva vibrare i capelli. “Questa è A. Credo di avertene parlato, una volta o due... Sai, ha insistito tanto per conoscerti.”
-”La facevo meno cicciottella” disse A mentre la bambolina processava l'informazione e cominciava a sentire vera paura alla bocca dello stomaco e ad agitarsi tutta, incalzata dall'abbraccio che si faceva sempre più solido, bloccata fra i muscoli in tensione e ora sconvolta dalla pressione del cazzone che aveva avuto dentro tante volte sul culetto morbido e sensibile. Certo che R le aveva parlato di lei... Una volta si erano lasciati per un mese, perché lui non aveva potuto resistere quella volta che A l'aveva chiamato in lacrime, ed era andato a casa sua. Quella puttana!
Aprì la bocca per dire qualcosa, urlare insulti, ma la donna già vicinissima le premette una mano sulla bocca e fece mezzo giro a lato di R, abbracciandolo e soffocando gli insulti di lei, mentre lui sollevava senza sforzo la ragazzetta lasciandola scalciare in aria.
-”Tesoro, qualunque cosa hai da dire non me ne frega un cazzo. Cominciamo dalle mani.”
Con un movimento rapido ma cauto R mise a terra la ragazza furiosa e scalciante, tenendola ferma. In un attimo Martina era distesa a pancia sotto bloccata dal peso di quello che pochi mesi prima diceva di amare. Appena poté respirare, ancora sotto shock si accorse che lui le aveva già afferrato i polsi e glieli portava dietro la schiena. Cominciò a urlare, ma di colpo A le diede un pugno sulla testa, con cattiveria e gusto, alzandole poi il viso per dirle “Devi stare zitta, pecora.”. Poi le chiuse il naso con due dita.
Non c'era un movimento che potesse fare. E gli occhi di A, crudeli e divertiti, dicevano chiaramente che ogni tentativo sarebbe stato punito.
Ci vollero tre secondi perché questa realtà si facesse strada nella sua testolina, tre secondi di apnea forzata che la spaventarono a morte. Era incredula, le lacrime cominciarono a sgorgare, Martina piangeva e smoccolava ma i polsi erano già legati da una specie di cintura. Gli strattoni erano inutili. Ormai era a terra inerme.
R la girò sulla schiena, si alzò e uscì dal suo campo visivo, mentre A si sedette sulla sua pancia, sempre tenendola per i capelli, e si avvicinò alla sua faccia per annusarla.
Riusciva a rendere elegante anche la scena più violenta. Sembrava una gatta che tiene una zampa su un topolino, e nel frattempo si guarda intorno strafottente.
Martina aveva cominciato a tremare. La sua dominatrice le passò un'unghia sul collo, scendendo e tirando giù una spallina del vestito fino ad esporre un seno, che accarezzò e soppesò con una mano calda e ossuta.
“È bello, sì, lo devo ammettere” mentre le passava un unghia sul capezzolo. Prima di strizzarlo forte, facendo di nuovo urlare la povera puttanella vittimizzata.
L'urlo fece uscire di testa A, che tirò uno schiaffone alla sua preda. Le tenne la faccia in mano, la girò da un lato, si avvicinò e le gridò quasi in un orecchio
“HO DETTO CHE DEVI STARE ZITTA STUPIDA PECORA”
R, in piedi, ora torreggiava sulla ragazza in lacrime. “Ti avevo chiesto di non picchiarla... troppo. So io come prendere questa bimba viziata, vero amore?” e le accarezzò il viso guardandola negli occhi. Martina era furiosa, ma a questo gesto ricominciò a lacrimare e a tirare su col naso, ricambiando lo sguardo, anzi fissandolo negli occhi, quasi col terrore che lui se ne andasse lasciandola sola con quella.
Lui si sedette accanto alla sua testa, senza interrompere il contatto.
“Ti ho portato un regalo. Indovina”
-”Sei un bastardo!”
-”È la tequila che ti piace tanto. Adesso ci facciamo tutti un bel sorso, e vedrai come ci calmiamo, non è vero A?”
Quella non sembrava convinta, ma prese la tequila, la stappò e si fece un sorso.
“Sì, va meglio. Adesso facciamo bere la pecora.”
Martina serrò la bocca. R la prese per il collo e la sollevò mettendola a sedere, mentre A sedeva sulle sue gambe. Le due donne ora erano vicinissime. A le prese il naso e lo strinse forte, accompagnando il soffocamento con diversi schiaffoni ben assestati, finché Martina dovette aprire la bocca; si ritrovò la bottiglia fra i denti, e con un rapido movimento A la mise in verticale. Parecchio liquido bruciante le scese in gola, ma molto andò un po' ovunque, inzuppandole il vestito e finendo sputacchiato anche sulla faccia dell'aguzzina sorridente, che si vendicò strizzandole di nuovo il capezzolo esposto, forte, e a lungo.
Martina aveva gli occhi rossi per il liquore ingollato a forza. Bagnata di quel liquido appiccicoso, terrorizzata, faceva schifo a vedersi. Riusciva solo a piangere piano, mentre l'alcool la riscaldava dentro contro la sua volontà.
A si alzò e guardò R. “Voglio far capire a questa pecora qual è l'unica cosa a cui può essere utile.”
Sempre guardandolo, si tolse facilmente i pantaloni e rimase con un tanga che faceva risaltare splendidamente il suo culo sodo. Sia R che Martina sembravano ipnotizzati dallo spazio fra le cosce della donna crudele, e lei, stranamente imbarazzata a stare in intimo, si sfilò le mutandine, mettendo in mostra la fica eccitatissima e bagnata. “Guarda quanto mi hai fatta bagnare, pecora. Vuoi sentire meglio?” Le sbatté le mutandine sul viso, sfregandogliele sulle labbra e di nuovo tenendole il naso chiuso, finché non poté ficcargliele in bocca. Il gusto bruciante della tequila si mescolò agli umori appiccicosi, un mugolio disperato uscì dalle labbra di Martina, la gola le si serrava fra i conati, mentre i due finivano di imbavagliarla con uno straccio da cucina.
-“E fin qui ci siamo. Ora viene il bello. Puliamola, che è lurida.”
La ragazzina, le mani legate dietro la schiena, cercava di fare resistenza passiva. R la prese alla radice dei capelli e cominciò a trascinarla nel corridoio. Lei provò a puntare i piedi, ma il dolore le impediva di ragionare e per non farsi strappare i capelli cominciò a strisciare nella direzione voluta dagli aguzzini. Davanti alla porta del bagno c'era uno specchio, e quando si trovò lì davanti guardò con terrore il suo stesso volto rosso e imbavagliato.
A aveva preso un paio di forbici dalla cucina.
“Non preoccuparti, questo vestito è da quattro soldi, che ti frega?”
Infilò le forbici nella scollatura e tagliò la stoffa dall'alto in basso, rivelando le tette pesanti e arrossate, la pancetta e un tanga nero con dei fiocchetti rossi.
R lo riconobbe immediatamente, afferrò un fiocchetto e lo tirò verso l'alto, per torturare quella stupida fichetta. L'espressione di dolore sul volto di Martina lo fece intenerire.
Allungò la mano e la mise a coppa fra le cosce di lei, gustando il calore col palmo della mano.
“Povera coccola. Povera coccolina. Non le faremo male. Se... Se fai la brava bimba.”
Martina ebbe solo un attimo per vedersi in quello specchio, in mutandine, fra il suo ex che la teneva per i capelli con un'erezione gigante nei pantaloni e la sua nemica giurata solo con la maglietta nera che faceva risaltare il culo piccolo, bianchissimo e nudo.
La trascinarono in bagno, aprirono la porta della doccia e le misero la testa dentro.
Con gli occhi serrati sentì l'acqua calda che le inondava la faccia, il seno e le scorreva verso la fica. Era difficile respirare.
Ma l'incubo vero, era la sensazione congestionata che aveva nell'utero; più pensava “non voglio!” più l'umidità della vagina si confondeva ai rivoli caldi che le scendevano fra le gambe. Fra poco non avrebbe più potuto opporre resistenza.
Cercò di ribellarsi mordendo il bavaglio, poi di dare testate all'indietro sul pavimento della doccia, ma la mano di R strinse la morsa che teneva sui capelli.
Si sentì sollevare di peso, il dolore si faceva più distante man mano che l'adrenalina le scorreva dentro. Sbatté da una parte all'altra contro porte e mobili finché atterrò pesantemente sul letto di schiena.
“Oddio no” pensò, serrando strette le cosce... che le strizzavano la fica già congestionata, stimolandola ancora di più.
“Oddio no” si disse, mentre quattro mani la giravano sulla pancia, e uno schiaffone le arrivava sul culo già pieno di lividi, inviandole una scarica bruciante al cervello.
“Oddio no...” mugolò nel bavaglio sentendo le cosce nude di A che le si sedeva sulla schiena, e il peso di R che le bloccava le gambe. Due mani femminili le afferrarono i glutei saldamente. Le strizzarono le chiappe morbide, piantando le unghie nella carne, e poi le allargarono con forza, esponendo le sue parti più tenere, mentre una mano più grande e rozza le strizzava fra due dita le labbra della fica ancora coperta dal sottile strato di stoffa, svegliando di forza il clitoride e mandandole scariche di elettricità al cervello.
Martina provò a usare le sue manine, sempre legate dietro la schiena, per proteggere il buchetto del culo e l'entrata della sua femminilità dagli aggressori, ma un'altra mano le spostò con rabbia da lì. La poverina non poteva più difendere il suo corpo, era in mano loro. Sentì le mutandine sollevarsi e lasciarla totalmente indifesa ed esposta all'aria fresca, e agli sguardi dei suoi torturatori. Più di tutto soffriva immaginando gli sguardi della sua rivale, li immaginava quasi bruciare sulla pelle sensibile, mentre contro la sua volontà un fiume di umori fluidi cominciava a scorrerle da dentro per lubrificarla. Sentiva già la prima gocciolina farsi strada fra le labbra della fica. In un attacco di rabbia aprì gli occhi, vedendo fra un velo opaco di lacrime la sua stanza, i libri e i soprammobili così familiari, ora testimoni della sua umiliazione.
Di colpo sentì uno sputo denso e freddo che atterrava sulle pieghe di pelle sensibilissima del suo ano. Strizzo gli occhi e contrasse ogni singolo muscolo. Oddio, R stava per ficcarle il suo coso nel culo, oddio no no no non così. I mugolii divennero strilli soffocati.
Ma invece della punta del cazzone che la sua fica conosceva così bene, sentì un dito sottile, femminile, che le disegnava dei cerchi intorno al buchetto.
“Non finirà così presto, bambolina mia”. La voce di R, profonda e dolce, le diede un filo di speranza. Forse avrebbe fermato la sua torturatrice, forse l'amava, forse...
“Non prima di avermi fatto venire, 'sta pecora...” disse una voce femminile acuta e crudele, che la costrinse per la prima volta ad accorgersi della sensazione morbida, umida e calda che sentiva alla base del collo.
Le parti intime della sua peggior nemica che le si strusciavano addosso, su e giù lungo la spina dorsale, finché la sentì distintamente appoggiata contro il suo orecchio, il culo caldo e nudo della stronza che le abbracciava il cranio.
“Mi è venuta un'idea” disse R, e si sollevò dalle cosce della sua ex che immediatamente prese a scalciare, ricevendo per tutta risposta da A una tempesta di sculacciate pesanti e cattive. Non poteva fare proprio nulla, e sentì di nuovo lacrime di disperazione. Lo vide girare intorno al letto e prendere qualcosa dalla scrivania.
“Usa questo” disse lui alla sua complice.
A ridacchiò e la piccola Martina sentì quasi subito un oggetto duro di plastica contro il suo buchino quasi-vergine. Strinse forte lo sfintere nonostante il dolore che ciò le provocava, e A bestemmiò: non riusciva a ficcarlo bene in profondità.
R si fece restituire l'oggetto e l'avvicinò al faccino zuppo e imbavagliato della sua ex-bambolina.
“Marti” le disse, fissandola negli occhi “guarda questo pennarello. È molto sottile, e non ti farà male se lo lubrifichiamo perbene, anzi... Magari ti piacerà sentirlo dentro. Ricordi le mie dita nel culetto? All'inizio ti faceva strano e non volevi, dopo quanto ti hanno fatto godere? Basta che ti rilassi. Ma se non collabori te lo dovremo ficcare dentro con la forza, farà tanto male, e dopo... dopo temo che dovrò romperti il culo col mio cazzo, che è parecchio più grosso, te lo ricordi vero? Ricordi come ti riempiva la coccola? Ti farà male, e io non vorrei. Allora... cosa vogliamo fare?”
Le diede una carezza incredibilmente tenera sul faccino, e un altra sul culo di A, sempre poggiato sul collo di lei, per rabbonirla.
Poi tolse il bavaglio alla sua ex, che riuscì solo a sussurrare... sei uno stronzo...
“Lecca questo pennarello Marti. Leccalo bene e bagnalo tutto, vedrai che così non ti farà alcun male. Non hai alternative. Possiamo farti quello che vogliamo.”
Martina chiuse gli occhi, mentre un po' di moccio le colava dal naso. L'oggetto di plastica le si insinuò fra le labbra, facendole provare l'odore pungente del suo stesso culo. Cominciò a salivare come una cagnetta, odiando la sua debolezza.
“CIUCCIALO HO DETTO!”
Allargò i denti, e sentì il pennarello in bocca, mentre automaticamente la salivazione aumentava ancora di più. Sempre con gli occhi chiusi, si sorprese ad accarezzare il pennarello con la lingua. “che sto facendo” pensò la puttanella mentre il suo corpo si rilassava e poi si contraeva di nuovo.
“Brava bambolina” disse R, togliendole l'oggetto di bocca e passandolo alla sua complice “Ora ficcaglielo dentro. E tu amore,” disse rivolgendosi a Martina “goditela”.
Immediatamente la piccola sentì l'oggetto violarla fino al cappuccio, e strabuzzò gli occhi mentre la sua rivale ridacchiava. Non poté evitare di aprire la bocca, e R le accarezzò il viso, passandole il grosso pollice sulle labbra.
“Ora... ricordi questo?”
Davanti al volto di Martina, costretto su un lato fra il materasso e il culo di A, c'era il cazzo dell'uomo che amava, durissimo, teso e arrossato, puntato verso di lei.
“Dagli un bacino Marti. Ti prometto che se ti sottometti di tua volontà andrà molto meglio. È la tua natura, lasciati andare.” e le diede qualche colpetto con quel bastone caldissimo sulla punta del naso, sugli occhi e sulla fronte, mentre la poverina sentiva dentro di sé quel duro pennarello di plastica che le si infilava nell'intestino, toccandole la spina dorsale e l'utero da dentro. Le mani di A cominciavano a toccarle anche la fica, stuzzicandole il clitoride e dandole brividi di piacere che le correvano lungo la schiena, facendole contorcere il collo, che A cavalcava strusciandovi contro la sua fica e le chiappe sode. Marti chiuse gli occhi mentre le sensazioni la possedevano e gli odori, soprattutto quello del cazzo di R, le toglievano ogni barlume di lucidità. “Oddio, oddio” pensava, quando sentì un tocco bruciante, caldissimo. Il cazzo del suo ex che aveva succhiato tanto volte, che aveva lasciato la innaffiasse con la sua sborra bollente, spingeva con cattiveria contro le sue labbra, che non riusciva più a tenere chiuse. “Che devo fare...”
Ma lei non aveva alcuna paura. Troppa familiarità. Solo non voleva farlo soffrire.
Smise subito di ridere, passando attraverso diverse smorfie piuttosto buffe.
“Che animale che sei” disse lui, sorridendo.
“No dai scusa aspetta. Voglio solo capire. La puttanella ti ha chiamato e vi siete visti in spiaggia, lei con le tette di fuori. Erano belle almeno?”
-”Sì, sono sempre state molto belle. Mi piaceva sborrarci sopra e strizzarle...”
-”Che invidia. Poi ti ha raccontato queste 'storie di sesso violento' col tipo che l'ha presa ha schiaffi. E tu sei stato ad ascoltare?”
-”Sì, non me fregava un cazzo. Non è più la mia compagna. Ti ho detto, potrei perdonare un tradimento. Ma lei non mi ha tradito, si è stancata di me e aveva un bisogno fisico di fare la puttanella. Quindi.”
-”Quindi rosichi.”
-”No, non ne valeva la pena”
-”Poi scommetto che ti ha detto qualcosa del tipo ho iniziato a masturbarmi, nessuno è riuscito a farmi godere...”
R agitò le spalle per scacciare un brivido. -“E-tu-come-cazzo-hai-fatto-a-indovinare???”
-”Sei un pollo R. Queste trappole da fighette sono così prevedibili. Tu non sei prevedibile, è questo che amo di te, ma lo diventi quando hai il sangue al pisello. Ecco perché non potevate stare insieme...ed ecco perché stavate insieme. Ed ecco perché so che rosichi.”
-”L'unica cosa di cui mi importa è che non si faccia male. Stavamo bene insieme, l'amavo, questo le dà un valore.”
-”Questo dà a *te* un valore. Di cui avevi bisogno, povero narcisista ferito. Come osa qualcuno che degni della tua attenzione stancarsi di te? Ammetti che stai rosicando. Lei ha vent'anni e devi accettare che si diverta. È stata buona buona per due anni con te, ma ora se vuole farsi rompere il culo da uno sconosciuto in un parcheggio può farlo. Lei non è più nessuno per te.”
-”Oh, cazzo lo vedi che sai essere utile? Una brava amica finalmente. Hai ragione. Lei non conta. È solo un'altra ex giovane e sexy che aveva imparato a far bene i pompini.”
-”Anch'io sono brava a fare i pompini!”
-”Sì, se ti piace mettere il cazzo in un aspirapolvere profondo e vorace. Tu sembra che hai il punto G dentro alla gola, lei invece voleva far godere *me*, e adorava leccarmi le palle come una brava gattina.”
-”Adesso mi hai ferita. Non ce n'era bisogno, stronzo. E so quanto sono brava.”
-”Dovresti farmi un pompino adesso, A, scommetto che cambio idea”
-”Dopo questa, non te ne farò mai più. E comunque da questo sbocco acido si capisce quanto rosichi. Ammettilo e non fare il bambino.”
-“E va bene, rosico.”
-”Bravo; è il primo passo. Ora posso dirti che la odio? E non perché non era giusta per te, come tutti ti abbiamo SEMPRE detto. Né perché per due fottuti anni non mi hai scopata per essere fedele alla principessina sul pisello. Né perché non mi hai più chiamata, su sua richiesta. Ma perché ti ha ferito. La odio e voglio che paghi. Voglio vederla piangere.”
Entrò prima R, da solo. Erano d'accordo per un caffè. Martina si sentì un po' sciogliere, ma era decisa a rispettare la sua decisione: non doveva succedere niente di sessuale. Proprio niente niente? - si chiese guardando il grosso pacco, evidenziato dai pantaloni strettissimi che proprio lei aveva rubato per lui. (“Si sta eccitando. Non lo guardare. Ha fatto un sacco di palestra...”)
R guardava lei. Era vestita in modo un po' sciatto, un vestito molto semplice, poco truccata, i capelli un po' sporchi. “Pensava di non darmela” si disse R, e mostrò i denti in un sorriso.
Doveva essere piuttosto inquietante perché Martina si fece piccola piccola, gli diede due bacetti cercando di non respirare il suo odore e andò in cucina, dove si era sempre sentita regina della casa, invitandolo a seguirla.
Mentre R entrava nella stanza, la porta di casa si chiuse, e si sentì il chiavistello.
-“Dici che è tornata mia madre?” chiese Martina, girandosi verso di lui.
Una donna fece capolino dalla porta. Era magrissima, le gambe lunghe e fasciate dai jeans che lasciavano intravedere le ossa del bacino largo e sensuale, mentre la maglietta mostrava i seni sodi e non nascondeva i capezzoli eccitati. Aveva i capelli lisci castani, e un paio di Rayban che si tolse mostrando gli occhi grandi, verdi ed impietosi.
“Ciao Martina”. Squadrò la ventenne dall'alto in basso, dai capelli lunghi e mossi ai piedi nudi. Una tappetta. Il vestitino largo, facile da strappare. Fin troppo facile. “Sarà un piacere cara.”
Martina non capiva. Dopo due secondi si riscosse. Cercò con lo sguardo R, ma immediatamente si sentì abbracciare da dietro, con una tenerezza che la sconvolse. Ora il suo ex le sussurrava nell'orecchio. La sua voce le faceva vibrare i capelli. “Questa è A. Credo di avertene parlato, una volta o due... Sai, ha insistito tanto per conoscerti.”
-”La facevo meno cicciottella” disse A mentre la bambolina processava l'informazione e cominciava a sentire vera paura alla bocca dello stomaco e ad agitarsi tutta, incalzata dall'abbraccio che si faceva sempre più solido, bloccata fra i muscoli in tensione e ora sconvolta dalla pressione del cazzone che aveva avuto dentro tante volte sul culetto morbido e sensibile. Certo che R le aveva parlato di lei... Una volta si erano lasciati per un mese, perché lui non aveva potuto resistere quella volta che A l'aveva chiamato in lacrime, ed era andato a casa sua. Quella puttana!
Aprì la bocca per dire qualcosa, urlare insulti, ma la donna già vicinissima le premette una mano sulla bocca e fece mezzo giro a lato di R, abbracciandolo e soffocando gli insulti di lei, mentre lui sollevava senza sforzo la ragazzetta lasciandola scalciare in aria.
-”Tesoro, qualunque cosa hai da dire non me ne frega un cazzo. Cominciamo dalle mani.”
Con un movimento rapido ma cauto R mise a terra la ragazza furiosa e scalciante, tenendola ferma. In un attimo Martina era distesa a pancia sotto bloccata dal peso di quello che pochi mesi prima diceva di amare. Appena poté respirare, ancora sotto shock si accorse che lui le aveva già afferrato i polsi e glieli portava dietro la schiena. Cominciò a urlare, ma di colpo A le diede un pugno sulla testa, con cattiveria e gusto, alzandole poi il viso per dirle “Devi stare zitta, pecora.”. Poi le chiuse il naso con due dita.
Non c'era un movimento che potesse fare. E gli occhi di A, crudeli e divertiti, dicevano chiaramente che ogni tentativo sarebbe stato punito.
Ci vollero tre secondi perché questa realtà si facesse strada nella sua testolina, tre secondi di apnea forzata che la spaventarono a morte. Era incredula, le lacrime cominciarono a sgorgare, Martina piangeva e smoccolava ma i polsi erano già legati da una specie di cintura. Gli strattoni erano inutili. Ormai era a terra inerme.
R la girò sulla schiena, si alzò e uscì dal suo campo visivo, mentre A si sedette sulla sua pancia, sempre tenendola per i capelli, e si avvicinò alla sua faccia per annusarla.
Riusciva a rendere elegante anche la scena più violenta. Sembrava una gatta che tiene una zampa su un topolino, e nel frattempo si guarda intorno strafottente.
Martina aveva cominciato a tremare. La sua dominatrice le passò un'unghia sul collo, scendendo e tirando giù una spallina del vestito fino ad esporre un seno, che accarezzò e soppesò con una mano calda e ossuta.
“È bello, sì, lo devo ammettere” mentre le passava un unghia sul capezzolo. Prima di strizzarlo forte, facendo di nuovo urlare la povera puttanella vittimizzata.
L'urlo fece uscire di testa A, che tirò uno schiaffone alla sua preda. Le tenne la faccia in mano, la girò da un lato, si avvicinò e le gridò quasi in un orecchio
“HO DETTO CHE DEVI STARE ZITTA STUPIDA PECORA”
R, in piedi, ora torreggiava sulla ragazza in lacrime. “Ti avevo chiesto di non picchiarla... troppo. So io come prendere questa bimba viziata, vero amore?” e le accarezzò il viso guardandola negli occhi. Martina era furiosa, ma a questo gesto ricominciò a lacrimare e a tirare su col naso, ricambiando lo sguardo, anzi fissandolo negli occhi, quasi col terrore che lui se ne andasse lasciandola sola con quella.
Lui si sedette accanto alla sua testa, senza interrompere il contatto.
“Ti ho portato un regalo. Indovina”
-”Sei un bastardo!”
-”È la tequila che ti piace tanto. Adesso ci facciamo tutti un bel sorso, e vedrai come ci calmiamo, non è vero A?”
Quella non sembrava convinta, ma prese la tequila, la stappò e si fece un sorso.
“Sì, va meglio. Adesso facciamo bere la pecora.”
Martina serrò la bocca. R la prese per il collo e la sollevò mettendola a sedere, mentre A sedeva sulle sue gambe. Le due donne ora erano vicinissime. A le prese il naso e lo strinse forte, accompagnando il soffocamento con diversi schiaffoni ben assestati, finché Martina dovette aprire la bocca; si ritrovò la bottiglia fra i denti, e con un rapido movimento A la mise in verticale. Parecchio liquido bruciante le scese in gola, ma molto andò un po' ovunque, inzuppandole il vestito e finendo sputacchiato anche sulla faccia dell'aguzzina sorridente, che si vendicò strizzandole di nuovo il capezzolo esposto, forte, e a lungo.
Martina aveva gli occhi rossi per il liquore ingollato a forza. Bagnata di quel liquido appiccicoso, terrorizzata, faceva schifo a vedersi. Riusciva solo a piangere piano, mentre l'alcool la riscaldava dentro contro la sua volontà.
A si alzò e guardò R. “Voglio far capire a questa pecora qual è l'unica cosa a cui può essere utile.”
Sempre guardandolo, si tolse facilmente i pantaloni e rimase con un tanga che faceva risaltare splendidamente il suo culo sodo. Sia R che Martina sembravano ipnotizzati dallo spazio fra le cosce della donna crudele, e lei, stranamente imbarazzata a stare in intimo, si sfilò le mutandine, mettendo in mostra la fica eccitatissima e bagnata. “Guarda quanto mi hai fatta bagnare, pecora. Vuoi sentire meglio?” Le sbatté le mutandine sul viso, sfregandogliele sulle labbra e di nuovo tenendole il naso chiuso, finché non poté ficcargliele in bocca. Il gusto bruciante della tequila si mescolò agli umori appiccicosi, un mugolio disperato uscì dalle labbra di Martina, la gola le si serrava fra i conati, mentre i due finivano di imbavagliarla con uno straccio da cucina.
-“E fin qui ci siamo. Ora viene il bello. Puliamola, che è lurida.”
La ragazzina, le mani legate dietro la schiena, cercava di fare resistenza passiva. R la prese alla radice dei capelli e cominciò a trascinarla nel corridoio. Lei provò a puntare i piedi, ma il dolore le impediva di ragionare e per non farsi strappare i capelli cominciò a strisciare nella direzione voluta dagli aguzzini. Davanti alla porta del bagno c'era uno specchio, e quando si trovò lì davanti guardò con terrore il suo stesso volto rosso e imbavagliato.
A aveva preso un paio di forbici dalla cucina.
“Non preoccuparti, questo vestito è da quattro soldi, che ti frega?”
Infilò le forbici nella scollatura e tagliò la stoffa dall'alto in basso, rivelando le tette pesanti e arrossate, la pancetta e un tanga nero con dei fiocchetti rossi.
R lo riconobbe immediatamente, afferrò un fiocchetto e lo tirò verso l'alto, per torturare quella stupida fichetta. L'espressione di dolore sul volto di Martina lo fece intenerire.
Allungò la mano e la mise a coppa fra le cosce di lei, gustando il calore col palmo della mano.
“Povera coccola. Povera coccolina. Non le faremo male. Se... Se fai la brava bimba.”
Martina ebbe solo un attimo per vedersi in quello specchio, in mutandine, fra il suo ex che la teneva per i capelli con un'erezione gigante nei pantaloni e la sua nemica giurata solo con la maglietta nera che faceva risaltare il culo piccolo, bianchissimo e nudo.
La trascinarono in bagno, aprirono la porta della doccia e le misero la testa dentro.
Con gli occhi serrati sentì l'acqua calda che le inondava la faccia, il seno e le scorreva verso la fica. Era difficile respirare.
Ma l'incubo vero, era la sensazione congestionata che aveva nell'utero; più pensava “non voglio!” più l'umidità della vagina si confondeva ai rivoli caldi che le scendevano fra le gambe. Fra poco non avrebbe più potuto opporre resistenza.
Cercò di ribellarsi mordendo il bavaglio, poi di dare testate all'indietro sul pavimento della doccia, ma la mano di R strinse la morsa che teneva sui capelli.
Si sentì sollevare di peso, il dolore si faceva più distante man mano che l'adrenalina le scorreva dentro. Sbatté da una parte all'altra contro porte e mobili finché atterrò pesantemente sul letto di schiena.
“Oddio no” pensò, serrando strette le cosce... che le strizzavano la fica già congestionata, stimolandola ancora di più.
“Oddio no” si disse, mentre quattro mani la giravano sulla pancia, e uno schiaffone le arrivava sul culo già pieno di lividi, inviandole una scarica bruciante al cervello.
“Oddio no...” mugolò nel bavaglio sentendo le cosce nude di A che le si sedeva sulla schiena, e il peso di R che le bloccava le gambe. Due mani femminili le afferrarono i glutei saldamente. Le strizzarono le chiappe morbide, piantando le unghie nella carne, e poi le allargarono con forza, esponendo le sue parti più tenere, mentre una mano più grande e rozza le strizzava fra due dita le labbra della fica ancora coperta dal sottile strato di stoffa, svegliando di forza il clitoride e mandandole scariche di elettricità al cervello.
Martina provò a usare le sue manine, sempre legate dietro la schiena, per proteggere il buchetto del culo e l'entrata della sua femminilità dagli aggressori, ma un'altra mano le spostò con rabbia da lì. La poverina non poteva più difendere il suo corpo, era in mano loro. Sentì le mutandine sollevarsi e lasciarla totalmente indifesa ed esposta all'aria fresca, e agli sguardi dei suoi torturatori. Più di tutto soffriva immaginando gli sguardi della sua rivale, li immaginava quasi bruciare sulla pelle sensibile, mentre contro la sua volontà un fiume di umori fluidi cominciava a scorrerle da dentro per lubrificarla. Sentiva già la prima gocciolina farsi strada fra le labbra della fica. In un attacco di rabbia aprì gli occhi, vedendo fra un velo opaco di lacrime la sua stanza, i libri e i soprammobili così familiari, ora testimoni della sua umiliazione.
Di colpo sentì uno sputo denso e freddo che atterrava sulle pieghe di pelle sensibilissima del suo ano. Strizzo gli occhi e contrasse ogni singolo muscolo. Oddio, R stava per ficcarle il suo coso nel culo, oddio no no no non così. I mugolii divennero strilli soffocati.
Ma invece della punta del cazzone che la sua fica conosceva così bene, sentì un dito sottile, femminile, che le disegnava dei cerchi intorno al buchetto.
“Non finirà così presto, bambolina mia”. La voce di R, profonda e dolce, le diede un filo di speranza. Forse avrebbe fermato la sua torturatrice, forse l'amava, forse...
“Non prima di avermi fatto venire, 'sta pecora...” disse una voce femminile acuta e crudele, che la costrinse per la prima volta ad accorgersi della sensazione morbida, umida e calda che sentiva alla base del collo.
Le parti intime della sua peggior nemica che le si strusciavano addosso, su e giù lungo la spina dorsale, finché la sentì distintamente appoggiata contro il suo orecchio, il culo caldo e nudo della stronza che le abbracciava il cranio.
“Mi è venuta un'idea” disse R, e si sollevò dalle cosce della sua ex che immediatamente prese a scalciare, ricevendo per tutta risposta da A una tempesta di sculacciate pesanti e cattive. Non poteva fare proprio nulla, e sentì di nuovo lacrime di disperazione. Lo vide girare intorno al letto e prendere qualcosa dalla scrivania.
“Usa questo” disse lui alla sua complice.
A ridacchiò e la piccola Martina sentì quasi subito un oggetto duro di plastica contro il suo buchino quasi-vergine. Strinse forte lo sfintere nonostante il dolore che ciò le provocava, e A bestemmiò: non riusciva a ficcarlo bene in profondità.
R si fece restituire l'oggetto e l'avvicinò al faccino zuppo e imbavagliato della sua ex-bambolina.
“Marti” le disse, fissandola negli occhi “guarda questo pennarello. È molto sottile, e non ti farà male se lo lubrifichiamo perbene, anzi... Magari ti piacerà sentirlo dentro. Ricordi le mie dita nel culetto? All'inizio ti faceva strano e non volevi, dopo quanto ti hanno fatto godere? Basta che ti rilassi. Ma se non collabori te lo dovremo ficcare dentro con la forza, farà tanto male, e dopo... dopo temo che dovrò romperti il culo col mio cazzo, che è parecchio più grosso, te lo ricordi vero? Ricordi come ti riempiva la coccola? Ti farà male, e io non vorrei. Allora... cosa vogliamo fare?”
Le diede una carezza incredibilmente tenera sul faccino, e un altra sul culo di A, sempre poggiato sul collo di lei, per rabbonirla.
Poi tolse il bavaglio alla sua ex, che riuscì solo a sussurrare... sei uno stronzo...
“Lecca questo pennarello Marti. Leccalo bene e bagnalo tutto, vedrai che così non ti farà alcun male. Non hai alternative. Possiamo farti quello che vogliamo.”
Martina chiuse gli occhi, mentre un po' di moccio le colava dal naso. L'oggetto di plastica le si insinuò fra le labbra, facendole provare l'odore pungente del suo stesso culo. Cominciò a salivare come una cagnetta, odiando la sua debolezza.
“CIUCCIALO HO DETTO!”
Allargò i denti, e sentì il pennarello in bocca, mentre automaticamente la salivazione aumentava ancora di più. Sempre con gli occhi chiusi, si sorprese ad accarezzare il pennarello con la lingua. “che sto facendo” pensò la puttanella mentre il suo corpo si rilassava e poi si contraeva di nuovo.
“Brava bambolina” disse R, togliendole l'oggetto di bocca e passandolo alla sua complice “Ora ficcaglielo dentro. E tu amore,” disse rivolgendosi a Martina “goditela”.
Immediatamente la piccola sentì l'oggetto violarla fino al cappuccio, e strabuzzò gli occhi mentre la sua rivale ridacchiava. Non poté evitare di aprire la bocca, e R le accarezzò il viso, passandole il grosso pollice sulle labbra.
“Ora... ricordi questo?”
Davanti al volto di Martina, costretto su un lato fra il materasso e il culo di A, c'era il cazzo dell'uomo che amava, durissimo, teso e arrossato, puntato verso di lei.
“Dagli un bacino Marti. Ti prometto che se ti sottometti di tua volontà andrà molto meglio. È la tua natura, lasciati andare.” e le diede qualche colpetto con quel bastone caldissimo sulla punta del naso, sugli occhi e sulla fronte, mentre la poverina sentiva dentro di sé quel duro pennarello di plastica che le si infilava nell'intestino, toccandole la spina dorsale e l'utero da dentro. Le mani di A cominciavano a toccarle anche la fica, stuzzicandole il clitoride e dandole brividi di piacere che le correvano lungo la schiena, facendole contorcere il collo, che A cavalcava strusciandovi contro la sua fica e le chiappe sode. Marti chiuse gli occhi mentre le sensazioni la possedevano e gli odori, soprattutto quello del cazzo di R, le toglievano ogni barlume di lucidità. “Oddio, oddio” pensava, quando sentì un tocco bruciante, caldissimo. Il cazzo del suo ex che aveva succhiato tanto volte, che aveva lasciato la innaffiasse con la sua sborra bollente, spingeva con cattiveria contro le sue labbra, che non riusciva più a tenere chiuse. “Che devo fare...”
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