Professoressa lesbica

di
genere
saffico

- Sei una ragazza intelligente, ma se non t’impegni a studiare sarò costretta a non ammetterti al quinto anno. Lo sai, no?
- Ce la sto mettendo tutta Prof. Cosa altro potrei fare?
- Molto, molto di più. Potresti prendere delle ripetizioni, ad esempio.
- Mica posso raccontare ai miei genitori che ho bisogno di lezioni private. Mi terrebbero chiusa dentro le mura di casa fino al termine dell’anno scolastico.
- Potresti venire a casa mia due pomeriggi la settimana. Resterebbe un segreto fra noi. Che ne dici?
- Glielo farò sapere Prof.
- Erika, ci conto eh!
Per tutto il tempo della chiacchierata la professoressa Franchini non mi aveva tolto gli occhi di dosso. Ero imbarazzata, a disagio, ma non sapevo che pesci pigliare per sbarazzarmene. All’uscita da scuola mi aveva preso da parte e non era la prima volta che lo faceva. La minaccia di una bocciatura assomigliava più a un ricatto piuttosto che a un materno consiglio.
La mia classe era mista. I maschi, una decina in tutto, erano per lo più goffi e maldestri, con il viso pieno di brufoli. Ragioni sufficienti per giustificare il mio interesse per le femmine. Stavo meglio in compagnia delle ragazze piuttosto che con i maschi, ma non mi sentivo lesbica, anche se molte delle mie compagne mi giudicava tale.

L’abitazione della professoressa Franchini si trovava al terzo piano di un antico palazzo in pieno centro cittadino. Raggiunsi l’appartamento mettendo piede su un vetusto ascensore che arrestò la corsa al pianerottolo dove abitava l’insegnante.
- Sei in perfetto orario, brava!
La professoressa Franchini era ad attendermi sulla porta di casa. Indossava una vestaglia da camera di seta bianca con disegnati dei piccoli fiorellini. Un tipo di abbigliamento che la faceva sembrare più giovane rispetto ai suoi quarant’anni.

- Temevo non saresti venuta. - disse quando misi piede nell’appartamento.
- Sarei giunta prima, purtroppo mi ha fatto ritardare il traffico che a quest’ora è caotico in città.
- Vieni, accomodati, andiamo nel mio studio.
Lo studio era una grossa stanza con le pareti occupate da scansie di legno pregiato. I mobili custodivano una grande quantità di libri. Mi sentivo in soggezione in quel luogo troppo austero per il mio carattere.
- Ci mettiamo accanto alla scrivania, va bene?
- Sì, come vuole lei.
La luce soffusa del paralume di una abat-jour faceva brillare il ripiano della scrivania dove avevamo preso posto, ingentilendo l’ambiente troppo severo.
- Da cosa cominciamo?
- Lo dica lei.
- Dove ti senti meno preparata?
- Il Medioevo è un periodo storico che non digerisco bene.
- Hmm… vediamo, vediamo, da dove possiamo iniziare.
Rimasi a studiare in sua compagnia per circa due ore prestando attenzione alle spiegazioni che mi suggeriva nell’interpretazione degli eventi storici. Verso le sette di sera mi accomiatai.
- Ti accompagno alla porta.
- Sì, grazie.
Mi fermai sull’uscio di casa con l’intenzione di ringraziarla.
- Beh, allora, la saluto.
- Ci vediamo fra due giorni, se vuoi…
- Sì, certo, va bene. Alla stessa ora?
- Hmm… sì, direi di sì.
- Grazie di tutto!
Le porsi la mano in segno di saluto e lei fu sollecita nello stringerla. Presi commiato ricevendo un tenero bacio sulla guancia che ricambiai.

Seguitai per parecchie settimane a frequentare la sua abitazione. Ero consapevole che le attenzioni che riversava su di me non erano del tutto disinteressate, ma non me ne davo pensiero. Volevo essere promossa al quinto anno ed ottenere la maturità liceale, questo solo contava per me. Ogni volta che le facevo visita mi preparava una tisana con degli infusi di tè o di una qualsiasi altra erba aromatica. Affabile e garbata sapeva mettermi a mio agio senza reclamare niente in cambio e ciò mi stupì. Abbandonai persino l’idea che volesse scoparmi. Un pomeriggio ruppe la sua riservatezza e mi fece un invito.
- Domani, al Teatro Farnese, Jacques LeGoff tiene una conferenza. E’ uno degli studiosi medievalisti più valenti e preparati. Ti andrebbe di assistervi in mia compagnia?
- Non lo so… e poi non conosco un acca della lingua francese.
- Non preoccuparti, mettono a disposizione delle cuffie con la traduzione simultanea. Cosa ne pensi?
- Daccordo, ci vediamo là. A che ora?
- La conferenza inizia alle cinque. Vediamoci qualche minuto prima.
Uscendo dall’appartamento mi salutò con un bacio sulla guancia, ma stavolta trascinò le labbra a sfiorarmi la bocca, baciandomi frugalmente sulle labbra, e la cosa mi piacque. Rimasi un istante ferma sulla porta auspicando che rendesse manifesta l’attrazione che provava per me, seducendomi, ma non lo fece.

Il Teatro Farnese era colmo di persone sedute in platea. Giunsi con qualche minuto di ritardo all’appuntamento rispetto all’ora convenuta. Non c’era rimasto un solo posto libero a sedere, fummo costrette a rimanere in piedi, con la schiena appoggiata su di una parete di legno in fondo alla sala. Le cuffie per la traduzione simultanea erano esaurite. Della narrazione del relatore non riuscivo a capire che poche parole.
- Ti annoi?
La domanda della professoressa Franchini mi colse di sorpresa. Altrettanto sinceramente le risposi.
- Sì.
- Andiamocene allora.
Mi feci largo fra le persone che albergavano lungo il corridoio. Poco dopo ci ritrovammo fuori dell’antico teatro sotto le volte del palazzo della Pilotta.
- E’ colpa mia, dovevo immaginarlo che ci sarebbe stata una gran folla di gente. Se fossimo giunte mezzora prima avremmo preso possesso di un posto a sedere e le cuffie per la traduzione simultanea.
- Non importa, che facciamo ora?
- Beh, potremmo andare a casa mia. Ti va?
- Eh?
- Potresti ripassare un po’ di storia. - mi rassicurò.
Mi prese sottobraccio e proseguimmo a camminare. Il buio ci sottraeva solo in parte alla vista della gente. Andavamo a spasso affiancate, strusciando le tette contro quelle dell’altra e questo mi eccitava. Attraversammo Ponte Verdi illuminato dai lampioni e ci trovammo dinanzi l’ingresso del Parco Ducale.
- Ti spiace se attraversiamo il parco? La strada per raggiungere la mia abitazione è più breve che passare per il centro.
- Va bene, andiamo pure.
I lampioni posti ad una certa distanza uno dall’altro illuminavano il selciato lasciando ampie zone in penombra. Il parco a quell’ora della sera era vuoto di gente e misterioso.
- Non vengo mai al parco quando è buio, m’incute paura. - dissi.
- Anche ora? In mia compagnia?
- No, non è questo che intendevo dire, anzi sto bene con lei. - dissi.
Questa risposta sembrò rassicurarla perché subito dopo lasciammo il viale principale e c’inoltrammo per un sentiero dirette al centro del parco, lontano dal nostro itinerario.
- Dove andiamo? - chiesi.
- Voglio farti vedere una cosa.
- Di che si tratta?
- E’ una sorpresa.
Poco dopo mi ritrovai dentro un’ampia radura plasmata a cerchio da querce secolari.
- Questa è la zona più vecchia del parco. In questo spazio la tradizione popolare vuole che Maria Luisa d’Austria, moglie di Napoleone, venisse a farci l’amore con gli amanti.
- E lei. - dissi rivolgendomi alla mia accompagnatrice. - Lei ha già avuto occasione di fare l’amore qui?
- Io? Sì, ed è stato fantastico.
Ero turbata, maledettamente turbata. Non opposi resistenza quando la sua bocca si posò sulla mia e mi baciò. Lo desideravo da troppo tempo per resisterle.

Appiccicata con la schiena contro la corteccia di una quercia subii le sue carezze. Le sue mani frugarono fra le cosce eccitandomi a dismisura. La professoressa accompagnava i gesti con dei gemiti senza pronunciare una sola parola. Subivo quei toccamenti col fiato sospeso, respirando in maniera irregolare, innalzando il torace per inspirare l’ossigeno di cui avevo bisogno per sopravvivere alle carezze che riversava sulla mia pelle.
Intrecciò le dita fra i miei capelli stirandoli. Le nostre lingue si cercarono titillando una contro l’altra. Ci toccammo reciprocamente le tette godendo del tocco delle dita che spremevano i capezzoli. Ero in balia del potere che esercitava su di me, consapevole che avrebbe ottenuto qualsiasi cosa se lo avesse voluto.
Ci sdraiammo sul prato. Fu lesta a sollevarmi la gonna sull’addome e infilare una mano sotto l’elastico delle mutandine. Ero bagnata, bagnata fradicia per l’eccitazione, indifesa di fronte alle sue avance.
Rivolse le sue attenzioni su di me in maniera delicata carezzandomi con dolcezza le labbra della figa. Mantenevo il capo girato da un lato per non incrociare il suo volto, certa che i suoi occhi erano puntati sui miei. Stese la mano sull’elastico delle mutande come sé stesse preparandosi ad abbassarle ma non lo fece.
- Levale! - ordinò.
Sollevai il bacino e lasciai scivolare il sottile tanga sopra le autoreggenti. Sfilai le mutandine facendole passare oltre le caviglie. Divaricai le gambe senza che me lo chiedesse. Lei si mise in ginocchio fra le mie cosce, chinò il capo e annusò a lungo la mia figa prima di inumidirla con la lingua.
Leccarmi le grandi labbra le piacque parecchio. Continuò a passarci sopra la lingua a lungo, senza decidersi a penetrarmi in profondità, accrescendo il desiderio che avevo di essere scopata e raggiungere al più presto l’orgasmo. Era instancabile nel leccarmi la passera. Accompagnava i movimenti della lingua carezzandomi le tette, pizzicandomi i capezzoli a più riprese. Ero fuori di testa, in estasi. Aiutandosi con le mani mi schiuse le grandi labbra e arrivò alla carne rosea. Con l’estremità della lingua cominciò a sfregare le piccole labbra, estrema protezione della vulva, decisa a penetrarvi dentro, cosa che fece spingendosi con la punta della lingua in profondità.
I movimenti erano misurati, la saliva che le usciva dalla bocca si mescolava al fluido che espellevo dalla passera ammorbidendo la mucosa. Non resistetti a lungo nel godere di quel piacevole tormento. Cercai di chiudere le cosce a più riprese, ma la professoressa me lo impedì servendosi della forza delle braccia.
Godevo, godevo come una cagna in calore e glielo dissi con voce rauca.
- Godo, godo, mi fai godere da morire, sì, sì continua. - dissi ripetendo le parole più volte.
All’apice del piacere riversò la lingua sul clitoride. Cominciò a leccarlo insistendo nel succhiarmelo quando lo ebbe avvolto fra le labbra, accanendosi persino con i denti sulla piccola superficie erettile.
- Sì, sì mi fai male! Mi fai male! - urlai colma di piacere.
Mentre si accaniva con le labbra e la lingua sul clitoride mi penetrò la vulva con due dita. Incominciò a scoparmi facendole scorrere avanti e indietro. Mi lamentai con dei gemiti di piacere scuotendo le cosce di continuo. Compiaciuta dal mio modo di fare seguitò a succhiare il clitoride, poi tolse le dita dalla vulva e prese a toccarmi il piccolo dosso di carne che congiunge la passera all’ano.
Con il dito medio bagnato andò a solleticarmi lo sfintere accennando a entrarvi. Inumidì di nuovo il dito di saliva e ripeté l’operazione sull’ano ammorbidendo la carne interna, poi m’infilò il dito nel culo.
Ero in affanno e stavo per raggiungere l’orgasmo. Cominciai ad ansimare sempre più forte. Lei riprese a penetrarmi con le dita nella figa fintanto che urlai scuotendo violentemente il corpo. Gli orgasmi si susseguirono a frotte, uno dopo l’altro. Stavo per perdere conoscenza nell’estasi di un ennesimo orgasmo multiplo, quando trovai la forza di gridare.
- Basta! Basta! ti prego, ti prego.
Serrai le cosce assumendo una posizione raggomitolata e rimasi a godermi gli ultimi istanti di piacere.

Con il sopraggiungere dell’estate l’anno scolastico giunse a termine. Fui promossa al quinto anno del liceo, premiata per l’impegno che avevo messo nei lunghi pomeriggi trascorsi a ripetizione dalla professoressa Franchini. L’anno seguente ottenni il diploma liceale superando a pieni voti l’esame di stato e m’iscrissi alla scuola per infermiere professionali.
scritto il
2009-11-25
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