La nuova schiava
di
LucioSestio
genere
dominazione
Scese dall'autobus qualche fermata prima, per comprare un paio di calze. Passando accanto ad un negozio di scarpe, vide in vetrina un paio di sandali che catturarono la sua attenzione. A listine colorate, con pochi centimetri di tacco, come piacevano a lei. Si intonavano con diversi colori e per la bella stagione che stava arrivando sembravano ideali. Il prezzo poi! Bassissimo.
Silvia entrò nel negozio anche se aveva i minuti contati e doveva sbrigarsi. Si sedette su una poltrona in attesa della commessa, che arrivò premurosa chiedendole cosa volesse provare. Silvia le indicò i sandali bassi in vetrina, le chiese come calzavano e le disse che di solito portava il 36. Accanto a lei sedevano due donne, molto ben vestite, la incuriosirono perché non stavano provando niente, né sembravano attendere qualche commessa. Né le commesse parevano dedicarle attenzione. Appena Silvia distolse lo sguardo da loro, la commessa tornò con due scatole di scarpe
- Ti ho preso il 36 e il 37, cosi vedi quello che ti sta più comodo.
Silvia ringraziò e si tolse entrambe le scarpe da ginnastica ed i calzini corti di spugna. Mentre lo faceva pensò che avrebbe anche dovuto farsi una doccia prima di uscire. Doveva sbrigarsi e forse quell'acquisto poteva aspettare. Ma ormai era lì e infilò il piede sinistro nel sandalo numero 36. Le stava benissimo: le listine a colori erano davvero belle.
E poi proprio il giorno prima si era fatta mettere per gioco uno smalto rosso fuoco dalla sorellina su tutte le unghie dei piedi. Doveva ammettere che l'accostamento era molto femminile. Li avrebbe comprati.
Decise di provare anche il destro col 37. Anche quello le stava molto bene, ma il piede leggermente scivolava. Si alzò in piedi, ondeggiando per trovare l'equilibrio sui tacchi. Non erano alti, cinque centimetri al massimo, ma lei non era molto abituata a portarli. Non sopportava proprio di sentirsi costretta a cercare continuamente l'equilibrio, ma da qualche anno riusciva a camminare almeno su 7/8 cm.
E poi c'era la sua passione; l'unica cosa che voleva far diventare la sua professione nella vita, la danza. Le caviglie erano importanti e non valeva la pena rischiare di slogarsi una caviglia e perdere magari qualche provino importante per qualche compagnia. Ne stava facendo molti in questo periodo, la cosa cominciava a piacergli. Finalmente dopo tanti anni di studio, il liceo coreutico all'accademia nazionale, infiniti pomeriggi di allenamento, ora riusciva a vedere qualche risultato. Le dicevano brava, le avrebbero fatto sapere. Ma le piaceva.
Si accorse che le due donne la stavano fissando.
- Ti stanno molto bene - disse una delle due.
Silvia non fece in tempo a dire - Grazie - mentre si guardava la punta delle dita per capire quale dei due numeri le stesse meglio, che l'altra donna aggiunse - Si vede che fai danza ..-
Silvia si girò verso la seconda donna con aria interrogativa. Come sapeva che era una ballerina? L'avevano vista in qualcuno dei piccoli spettacoli cui aveva partecipato? Le pareva strano ma decise di sorridere
- Mi ha vista ballare? - chiese garbata.
- No, ho solo immaginato - disse la donna con uno sguardo che a Silvia parve gelido - ma ho azzeccato vero? E comunque ti stanno benissimo ma dovresti mettere un tacco più alto -
- Si - aggiunse l'altra donna - visto che sei bassa, dovresti mettere tacchi molto più alti.
Addirittura ‘molto più alti' pensò Silvia esternando un sorriso indeciso e imbarazzato. Le parve molto fuori luogo.
- Non riesco a portarli più alti, mi danno fastidio - disse sbrigativa, facendo per togliersi la scarpa destra. Aveva deciso per il numero più piccolo.
- Oh che peccato...- disse la donna, ridendo.
Silvia non capiva cosa ci fosse da ridere, né poi capì il senso di quello che disse l'altra donna.
- E' perfetta per noi...-
Silvia si alzò con la scatola in mano, avviandosi verso la cassa. Non si girò a salutare le due donne, come la sua educazione le avrebbe suggerito di fare. Pagò per le sue nuove scarpe e poi guardò l'orologio. Non sarebbe passata a comprare le calze e sarebbe andata al cinema con i nuovi sandali. La strada che portava fino al cinema le avrebbe dato il tempo di abituarsi un po' a camminarci e sarebbe arrivata al cinema con calma.
C'era solo il tempo di una rapida doccia e così quando arrivò a casa fece tutto di fretta: si lavò e si rivestì. In poco più di mezz'ora era pronta di nuovo. L'ultima cosa che fece fu mettersi i nuovi sandali e riassaporare la nuova estetica che le donavano. Quando fu in piedi, li trovò più comodi di come se li ricordava nel negozio. Fece attenzione ai primi passi ed uscì di casa. Scese le scale con attenzione, cercando un equilibrio sui quei nuovi sandali.
Per raggiungere il cinema doveva tornare sul viale principale e come tutte le volte che voleva camminare di meno, decise di passare per la stradina che costeggiava la ferrovia. Era decisamente più corta anche se era spesso deserta e, proprio per questo, mancava di pulizia e decoro. Cartacce ovunque, una lunga fila di macchine degli abitanti del suo condominio che consideravano quella strada alle spalle del loro palazzo una sorta di parcheggio privato e comodo. Ma le macchine che percorrevano quella stradina erano sempre poche. Scendendo per la discesa Silvia vide una macchina che stava parcheggiando. Si girò, vedendo che tutte le serrande sul lato del palazzo erano chiuse. Il Silvia aveva battuto forte fino a poco prima, era naturale che gli abitanti non volessero lasciar riscaldare le case. Dall'altro lato della strada un muro grigio separava la strada dalla ferrovia e dalla vicina stazione. Ma su quella stradina era sola. Si concentrò ancora sui suoi passi, che diventavano ogni istante più sicuri sui tacchi.
Chissà se il suo fidanzato sarebbe stato contento nel vederla, se l'avrebbe trovata più bella, come lei si sentiva in quel momento.
Poi, quando fu sulla strada, si accorse che la macchina che stava parcheggiando era ancora in moto. Quando fu per passarle a fianco, riconobbe subito le due donne del negozio. Ebbe un attimo di spaesamento quando le vide scendere dall'auto proprio mentre lei si avvicinava. Ebbe l'istinto di dire buonasera mentre una delle due apriva la portiera posteriore della macchina. Poi le due donne si voltarono verso di lei e dissero qualcosa che lei non capì.
Quando i loro sguardi si incrociarono, Silvia non riuscì subito a capire quello che stava succedendo. La seconda donna le arrivò alle spalle passando dietro la macchina. Si ritrovava chiusa tra le due donne. Fece per fare un passo indietro e aggirare l'ostacolo ma la donna alle sue spalle la spinse violentemente dentro la macchina. Silvia perse l'equilibrio e finì stesa sul sedile di dietro della macchina. La donna che era dietro di lei entrò seguendola e dandole uno schiaffo fortissimo sulla guancia mentre Silvia cercava di rialzarsi. Non capiva quello che era successo ma si ritrovò il corpo premuto contro il sedile.
Poi dal sedile davanti l'altra donna cercava di premerle un fazzoletto contro il viso. Sentì del liquido bagnarle il viso. Cercò di divincolarsi, urlando. Ma non riuscì a sentire la sua voce. Poi smise di avere coscienza di quello che succedeva intorno a lei.
La donna al volante ripartì lentamente lasciando il parcheggio. Nessuno vide nulla. Dalle finestre chiuse del palazzo nessuno si era interessato alla scena. Dalla stazione, l'alto muro impediva lo sguardo. Silvia venne appoggiata semidistesa sul sedile dalla donna che le era seduta a fianco; venne coperta con un lenzuolo bianco. La macchina uscì sulla strada principale ed imboccò subito una traversa secondaria. A metà della strada, che costeggiava una scuola ed una fabbrica chiusa, la macchina si fermò e la donna che era dietro scese e gettò la borsetta aperta di Silvia dentro un cassonetto dell'immondizia. Tenne in mano il portafoglio, tirò fuori i soldi infilandoseli subito nella tasca, poi estrasse la carta di identità e la gettò separatamente nel cassonetto vicino.
Poi la macchina si immise nuovamente nel traffico delle auto che uscivano fuori città.
La donna seduta dietro con lei sollevò il lenzuolo, tirò su il corpo senza coscienza della ragazza e le fissò la cintura di sicurezza: poi la sistemò come se dormisse, col capo leggermente reclinato sulla portiera. La macchina viaggiò per diverse ore. Attraversarono la frontiera con la Slovenia alle due di notte, senza che nessuno le fermasse. Alle sei di mattina entrarono in Ungheria ma neanche alla frontiera di Pince ci fu qualcuno che chiese loro i documenti.
Silvia ebbe un momento di semiveglia quando erano circa le quattro della mattina, ma la donna che le sedeva al fianco le fece inalare un'altra dose di cloroformio.
Quando erano circa le otto della mattina successiva, alla frontiera con la Romania, la donna su richiesta della polizia di frontiera consegnò tre carte di identità. In quel momento Irina Vasjlova, di anni 23, entrava addormentata in Romania. I poliziotti restituirono i documenti e fecero un cenno di saluto alla donna al volante.
Quando la macchina si addentrò nelle campagne alle porte di Cladova, a Silvia venne somministrato ancora del sonnifero. Dopo circa 18 ore di viaggio, a mezzogiorno del giorno successivo, la macchina entrò nella grande tenuta intestata alla società EXPOS. Percorse un lungo viale in mezzo ai boschi e quando, dopo dieci minuti riuscì in uno spiazzo davanti ad una enorme costruzione di pietra, si fermò.
Tre uomini vestiti di nero uscirono dalla villa. Si avvicinarono alla macchina ed estrassero il corpo ancora incosciente della ragazza che era entrata in Romania come Irina.
Il corpo di Silvia venne tirato fuori dalla macchina ancora addormentato. Due uomini lo sorreggevano tenendola uno per la testa ed uno per le caviglie. Venne portata dentro alla villa, mentre il portone si richiudeva alle spalle del terzo uomo, che li seguiva da dietro. La macchina con le due donne ripartì lentamente per andarsi a parcheggiare sul retro della villa.
Silvia entrò nel negozio anche se aveva i minuti contati e doveva sbrigarsi. Si sedette su una poltrona in attesa della commessa, che arrivò premurosa chiedendole cosa volesse provare. Silvia le indicò i sandali bassi in vetrina, le chiese come calzavano e le disse che di solito portava il 36. Accanto a lei sedevano due donne, molto ben vestite, la incuriosirono perché non stavano provando niente, né sembravano attendere qualche commessa. Né le commesse parevano dedicarle attenzione. Appena Silvia distolse lo sguardo da loro, la commessa tornò con due scatole di scarpe
- Ti ho preso il 36 e il 37, cosi vedi quello che ti sta più comodo.
Silvia ringraziò e si tolse entrambe le scarpe da ginnastica ed i calzini corti di spugna. Mentre lo faceva pensò che avrebbe anche dovuto farsi una doccia prima di uscire. Doveva sbrigarsi e forse quell'acquisto poteva aspettare. Ma ormai era lì e infilò il piede sinistro nel sandalo numero 36. Le stava benissimo: le listine a colori erano davvero belle.
E poi proprio il giorno prima si era fatta mettere per gioco uno smalto rosso fuoco dalla sorellina su tutte le unghie dei piedi. Doveva ammettere che l'accostamento era molto femminile. Li avrebbe comprati.
Decise di provare anche il destro col 37. Anche quello le stava molto bene, ma il piede leggermente scivolava. Si alzò in piedi, ondeggiando per trovare l'equilibrio sui tacchi. Non erano alti, cinque centimetri al massimo, ma lei non era molto abituata a portarli. Non sopportava proprio di sentirsi costretta a cercare continuamente l'equilibrio, ma da qualche anno riusciva a camminare almeno su 7/8 cm.
E poi c'era la sua passione; l'unica cosa che voleva far diventare la sua professione nella vita, la danza. Le caviglie erano importanti e non valeva la pena rischiare di slogarsi una caviglia e perdere magari qualche provino importante per qualche compagnia. Ne stava facendo molti in questo periodo, la cosa cominciava a piacergli. Finalmente dopo tanti anni di studio, il liceo coreutico all'accademia nazionale, infiniti pomeriggi di allenamento, ora riusciva a vedere qualche risultato. Le dicevano brava, le avrebbero fatto sapere. Ma le piaceva.
Si accorse che le due donne la stavano fissando.
- Ti stanno molto bene - disse una delle due.
Silvia non fece in tempo a dire - Grazie - mentre si guardava la punta delle dita per capire quale dei due numeri le stesse meglio, che l'altra donna aggiunse - Si vede che fai danza ..-
Silvia si girò verso la seconda donna con aria interrogativa. Come sapeva che era una ballerina? L'avevano vista in qualcuno dei piccoli spettacoli cui aveva partecipato? Le pareva strano ma decise di sorridere
- Mi ha vista ballare? - chiese garbata.
- No, ho solo immaginato - disse la donna con uno sguardo che a Silvia parve gelido - ma ho azzeccato vero? E comunque ti stanno benissimo ma dovresti mettere un tacco più alto -
- Si - aggiunse l'altra donna - visto che sei bassa, dovresti mettere tacchi molto più alti.
Addirittura ‘molto più alti' pensò Silvia esternando un sorriso indeciso e imbarazzato. Le parve molto fuori luogo.
- Non riesco a portarli più alti, mi danno fastidio - disse sbrigativa, facendo per togliersi la scarpa destra. Aveva deciso per il numero più piccolo.
- Oh che peccato...- disse la donna, ridendo.
Silvia non capiva cosa ci fosse da ridere, né poi capì il senso di quello che disse l'altra donna.
- E' perfetta per noi...-
Silvia si alzò con la scatola in mano, avviandosi verso la cassa. Non si girò a salutare le due donne, come la sua educazione le avrebbe suggerito di fare. Pagò per le sue nuove scarpe e poi guardò l'orologio. Non sarebbe passata a comprare le calze e sarebbe andata al cinema con i nuovi sandali. La strada che portava fino al cinema le avrebbe dato il tempo di abituarsi un po' a camminarci e sarebbe arrivata al cinema con calma.
C'era solo il tempo di una rapida doccia e così quando arrivò a casa fece tutto di fretta: si lavò e si rivestì. In poco più di mezz'ora era pronta di nuovo. L'ultima cosa che fece fu mettersi i nuovi sandali e riassaporare la nuova estetica che le donavano. Quando fu in piedi, li trovò più comodi di come se li ricordava nel negozio. Fece attenzione ai primi passi ed uscì di casa. Scese le scale con attenzione, cercando un equilibrio sui quei nuovi sandali.
Per raggiungere il cinema doveva tornare sul viale principale e come tutte le volte che voleva camminare di meno, decise di passare per la stradina che costeggiava la ferrovia. Era decisamente più corta anche se era spesso deserta e, proprio per questo, mancava di pulizia e decoro. Cartacce ovunque, una lunga fila di macchine degli abitanti del suo condominio che consideravano quella strada alle spalle del loro palazzo una sorta di parcheggio privato e comodo. Ma le macchine che percorrevano quella stradina erano sempre poche. Scendendo per la discesa Silvia vide una macchina che stava parcheggiando. Si girò, vedendo che tutte le serrande sul lato del palazzo erano chiuse. Il Silvia aveva battuto forte fino a poco prima, era naturale che gli abitanti non volessero lasciar riscaldare le case. Dall'altro lato della strada un muro grigio separava la strada dalla ferrovia e dalla vicina stazione. Ma su quella stradina era sola. Si concentrò ancora sui suoi passi, che diventavano ogni istante più sicuri sui tacchi.
Chissà se il suo fidanzato sarebbe stato contento nel vederla, se l'avrebbe trovata più bella, come lei si sentiva in quel momento.
Poi, quando fu sulla strada, si accorse che la macchina che stava parcheggiando era ancora in moto. Quando fu per passarle a fianco, riconobbe subito le due donne del negozio. Ebbe un attimo di spaesamento quando le vide scendere dall'auto proprio mentre lei si avvicinava. Ebbe l'istinto di dire buonasera mentre una delle due apriva la portiera posteriore della macchina. Poi le due donne si voltarono verso di lei e dissero qualcosa che lei non capì.
Quando i loro sguardi si incrociarono, Silvia non riuscì subito a capire quello che stava succedendo. La seconda donna le arrivò alle spalle passando dietro la macchina. Si ritrovava chiusa tra le due donne. Fece per fare un passo indietro e aggirare l'ostacolo ma la donna alle sue spalle la spinse violentemente dentro la macchina. Silvia perse l'equilibrio e finì stesa sul sedile di dietro della macchina. La donna che era dietro di lei entrò seguendola e dandole uno schiaffo fortissimo sulla guancia mentre Silvia cercava di rialzarsi. Non capiva quello che era successo ma si ritrovò il corpo premuto contro il sedile.
Poi dal sedile davanti l'altra donna cercava di premerle un fazzoletto contro il viso. Sentì del liquido bagnarle il viso. Cercò di divincolarsi, urlando. Ma non riuscì a sentire la sua voce. Poi smise di avere coscienza di quello che succedeva intorno a lei.
La donna al volante ripartì lentamente lasciando il parcheggio. Nessuno vide nulla. Dalle finestre chiuse del palazzo nessuno si era interessato alla scena. Dalla stazione, l'alto muro impediva lo sguardo. Silvia venne appoggiata semidistesa sul sedile dalla donna che le era seduta a fianco; venne coperta con un lenzuolo bianco. La macchina uscì sulla strada principale ed imboccò subito una traversa secondaria. A metà della strada, che costeggiava una scuola ed una fabbrica chiusa, la macchina si fermò e la donna che era dietro scese e gettò la borsetta aperta di Silvia dentro un cassonetto dell'immondizia. Tenne in mano il portafoglio, tirò fuori i soldi infilandoseli subito nella tasca, poi estrasse la carta di identità e la gettò separatamente nel cassonetto vicino.
Poi la macchina si immise nuovamente nel traffico delle auto che uscivano fuori città.
La donna seduta dietro con lei sollevò il lenzuolo, tirò su il corpo senza coscienza della ragazza e le fissò la cintura di sicurezza: poi la sistemò come se dormisse, col capo leggermente reclinato sulla portiera. La macchina viaggiò per diverse ore. Attraversarono la frontiera con la Slovenia alle due di notte, senza che nessuno le fermasse. Alle sei di mattina entrarono in Ungheria ma neanche alla frontiera di Pince ci fu qualcuno che chiese loro i documenti.
Silvia ebbe un momento di semiveglia quando erano circa le quattro della mattina, ma la donna che le sedeva al fianco le fece inalare un'altra dose di cloroformio.
Quando erano circa le otto della mattina successiva, alla frontiera con la Romania, la donna su richiesta della polizia di frontiera consegnò tre carte di identità. In quel momento Irina Vasjlova, di anni 23, entrava addormentata in Romania. I poliziotti restituirono i documenti e fecero un cenno di saluto alla donna al volante.
Quando la macchina si addentrò nelle campagne alle porte di Cladova, a Silvia venne somministrato ancora del sonnifero. Dopo circa 18 ore di viaggio, a mezzogiorno del giorno successivo, la macchina entrò nella grande tenuta intestata alla società EXPOS. Percorse un lungo viale in mezzo ai boschi e quando, dopo dieci minuti riuscì in uno spiazzo davanti ad una enorme costruzione di pietra, si fermò.
Tre uomini vestiti di nero uscirono dalla villa. Si avvicinarono alla macchina ed estrassero il corpo ancora incosciente della ragazza che era entrata in Romania come Irina.
Il corpo di Silvia venne tirato fuori dalla macchina ancora addormentato. Due uomini lo sorreggevano tenendola uno per la testa ed uno per le caviglie. Venne portata dentro alla villa, mentre il portone si richiudeva alle spalle del terzo uomo, che li seguiva da dietro. La macchina con le due donne ripartì lentamente per andarsi a parcheggiare sul retro della villa.
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