Una scolara speciale

di
genere
etero

1 – UNA SCOLARA SPECIALE - LA FOLGORAZIONE
Ora che tutto era finito e che tutto sembrava tornato a posto, mi sentivo finalmente serena e felice. A volte, il solo tornarci su col pensiero, mi faceva ripiombare nell’inferno di quegli ultimi mesi. Quel tormento mi era ormai dietro alle spalle, ma quella mattina in cui le cose nel seguito cambiarono, non camminavo certo col solito passo spedito. Non m’importava più di niente. Non m’importava, in quel momento e come facevo sempre di risparmiare il più piccolo istante per poi spendermelo al bar a gustarmi in santa pace il rito della colazione per di iniziare bene la mia giornata di lavoro. Purtroppo sono pigra e mi piace alzarmi solo all’ultimo momento, per cui è sempre un rincorrere il tempo; troppo bello centellinare l’ultimo minuto acquattata al caldo sotto le coperte. Quel giorno non pensavo minimamente a quell’allegro scambio di parole con gli altri soliti “abitué” della colazione che normalmente mi lasciavano allegra e di buon umore per buona parte della mattinata. Cupi pensieri mi stavano facendo vagare in una palude infernale. In quel momento stavo vivendo nel pieno del mio incubo infinito. Ero stanca! Stanca di tutto; anche fisicamente. Non riuscivo a capacitarmi di ciò che mi stava accadendo. Stanca anche di combattere e poi non sapevo nemmeno contro chi o che cosa. Passando davanti alla chiesa una donna, uscendo, mi fece bloccare di botto ed evitai con fatica di andarle addosso, ma quel contrattempo mi fece percepire improvvisamente quel remoto odore familiare che ricordai come amico e che mi riportò ad anni indietro. Quell’insieme di cere per mobili un po’ speziate, d’incenso, un odore di antico e pulito, mescolato all’acre fumo delle candele di cui era impregnata la cappella delle mie suore. Avevo cominciato lì, dall’asilo ed era stata la mia scuola fino alla maturità; poi ero andata all’università. Ormai sembravano passati mille anni da quei bei tempi spensierati. Seguii il mio istinto e deviai, come per trovare un momentaneo rifugio. Spinsi quella porta e mi ritrovai dentro. Era da quando tutto era cominciato che non ero più entrata in una chiesa e non so dire neppure il perché. Lì tutto mi era familiare. M’inginocchiai e nella genuflessione all’ingresso vidi da lontano il ritratto di Santa Rita. Mi diressi verso l’immagine della Santa. Raccolsi due euro dal borsellino che ruppero per un attimo quel silenzio magico, quando scesero nella cassetta delle elemosine; presi un cero, lo accesi e andai all’inginocchiatoio. Avevo bisogno di raccogliere le idee, mormorai una preghiera, poi come se la santa mi ascoltasse, le parlai senza muovere le labbra.
“Perdonami! È da molto non che vengo qui. Ultimamente non sono più stata un’assidua della chiesa come una volta, ma sono disperata. Tu che sei l’Avvocata dei casi impossibili, ti prego, aiutami tu! Dimmi tu cosa mi resta da fare. Io non so più dove sbattere la testa!”
Le dedicai ancora una preghiera di commiato, poi mi alzai e uscii all’aperto, riprendendo il cammino di tutti i giorni, con l’animo in qualche modo alleggerito da quella breve disgressione.
Al bar c’erano le solite facce. Alfredo, il barista mi salutò cordiale come al sempre.
“Ciao Rosa; ti porto il solito?”
Sapevo che lui aveva una simpatia per me, ma non gli avevo mai consentito col mio comportamento di oltrepassare il lecito e non avevo mai dato spazio a equivoci: non volevo chiacchiere sul mio conto.
Poi c’era il signor Gino: il tabaccaio. Un toscanaccio burbero dal cuore d’oro; ogni settimana comprava da Hamed dei calzini variopinti che poi non gli avevo mai visto indossare. Probabilmente a casa ne aveva un baule pieno. Anche Hamed ormai faceva parte della combriccola. Aveva una fisionomia gentile ed un portamento nobile che, nella mia fantasia, era così che doveva essere quella di un principe del deserto. Dicevano anche che fosse anche un bravo muratore e non di rado si assentava per giorni. Si serviva di un angolo del bar come vetrina per la merce del suo borsone e non mi aveva mai rivolto la parola, a meno che non fossi io a salutarlo per prima; credo che fosse solo per una profonda educazione e pudore nei miei confronti e delle donne in genere.
C’era poi la signora Gianna, la moglie del salumiere; una matrona emiliana che trattava le forme di parmigiano come fossero senza peso; matta come un cavallo, che come apriva la bocca, col suo vernacolo colorito e a volte sconveniente e sboccato, ma tremendamente simpatico, ti faceva sbellicare dalle risa anche quando mesta ti raccontava che era appena tornata da un funerale. Quella mattina c’era anche Renato, il bellone del negozio all’angolo; lui si arrabbiava se gli dicevi che vendeva scarpe perché lui vendeva invece calzature. È simpatico, ma a volte un po’ meno, specie quando si sforza di farsi accreditare come grande “tombeur de femmes” e, forse per colpa del mio rigido moralismo un pochino bigotto e intransigente, mi fa sentire in imbarazzo quando racconta delle sue occasionali avventure amorose senza tralasciare i particolari più lubrici. Pur non parlando direttamente con me, vedevo sempre che mi guardava di sottecchi, sicuramente per essere certo che lo stessi a sentire e verificare un eventuale mio riflesso concupiscente nella mimica del mio volto, ma fino ad allora, poverino, non aveva avuto fortuna. Ogni volta poi che indossavo la gonna anziché gli abituali pantaloni, guardandomi platealmente le gambe, m’invitava sempre ad andare da lui a provarmi quel bellissimo ed elegante sandalo o quel primaverile decolté che sul mio piede starebbe stato certamente al posto giusto. Prima mi arrabbiavo, ma ormai erano tanto abituali queste sue schermaglie che non sortivano più nella platea quel sapore intrigante che lui avrebbe voluto e erano accettate da tutti come consuetudine e come segnale di commiato, giacché era per tutti l’ora di iniziare a lavorare.
Mi diressi verso un tavolino libero e salutando gli altri avventori, guardai Alfredo che chiedeva: “Cappuccino?” “No. Fammi un caffè forte, ma con un po’ di crema e il solito cornetto.”
Quando mi portò la colazione mi guardò e mi sussurrò:
“Cara Rosa, capisco che siete sposati da poco, ma devi dire a tuo marito di calmarsi. Sembri proprio uno straccio.” E se ne andò facendomi l’occhiolino col sorriso complice di uno che aveva capito tutto. Mi sentii offesa per quell’intromissione nella mia sfera intima, ma diedi un morso al cornetto come per mordermi la lingua, costringendomi a non replicare.
“Buongiorno Rosa.”
Mi salutò il signor Pietro che faceva il ferroviere.
“Non volevo andarmene prima di averla vista; sto meglio se comincio la giornata vedendo qualcosa di bello e ora posso anche andare.” Sorrisi alla battuta perché l’età del signor Pietro, prossimo ormai alla pensione, glielo consentiva e affondai i denti nel cornetto che attirava ora tutta la mia attenzione, intenta a controllare la goccia di crema che poteva cadere o la traiettoria dello zucchero a velo che piovigginando, poteva sporcarmi la giacca scura del tailleur. Ancora masticando, riportai lo sguardo sulla platea e mi accorsi che qualcosa stava accadendo, ma non capivo cosa. Il signor Pietro che voleva andare via ora sembrava non voler più uscire e si era seduto ad un tavolino ammiccando col signor Mario. Tutti erano ammutoliti, anche la signora Gianna. Poi la vidi comparire da dietro la colonna e incrociai il suo sguardo per un attimo, mentre lei si dirigeva al bancone. Alfredo le chiese qualcosa che non capii, ma lo fece con fare mellifluo e tutti sembravano non perdere una mossa di quella giovane e bella signora elegante che a me pareva che tutti conoscessero. Prese il caffè, accanto a Renato, che non perdeva una sua mossa. Pagò e salutando uscì. Giudicai che aveva circa una decina d’anni più di me. Era bella certamente, ma cosa avessero visto in lei, per starle tutti intorno quasi in attesa, non lo capivo proprio.
Fu il signor Pietro a rompere il silenzio e disse:
“Che bella porcona! È davvero una gran bella gnoccolona.”
Poi vedendo il mio volto esterrefatto aggiunse subito.
“Ooops. Mi scusi l’espressione.”
“Ma signor Pietro! Fa sempre così quando entra una donna?”
“Eh cara, quella è un bel miraggio.”
Al mio viso interrogativo, fu la signora Gianna a rispondere guardando gli uomini e poi me:
“Oh, ben, ben! Brisa fèr l’èsen! Voi uomini ci avete in mente sempre una cosa sola! Mo non hai capito, cara, che quella è una corpivendola? Mo non vedi che “ci” hanno tutti il naso più lungo di una messa cantata?”
Le replicò ancora il signor Pietro:
“Ma no signora Gianna, qui non c’è nessun dice le bugie. Noi non abbiamo nemmeno aperto bocca.”
E lei ridacchiando:
“Ma no, non parlavo di quello, ma del naso che “pissa” nel vaso, che siete lì che non vi sta più dentro.”
E partì una gran risata da parte di tutti, ma quasi non l’avvertii: ero rimasta folgorata.
“Grazie Santa Rita.”
Pensai, ma quel pensiero improvviso mi apparve malsano e blasfemo e subito me ne vergognai. Pagai in fretta e uscii, sperando di poterla ancora rintracciare.
Anche questo era un altro segno che mi aveva mandato Santa Rita, pensai, vedendola da lontano osservare la vetrina del mio negozio che velocemente raggiunsi. Non potevo porre indugi!
“Buongiorno signora, dentro ho anche tutti i nuovi arrivi che non sono riuscita ancora ad esporre in vetrina. Venga se ha tempo che glieli mostro in anteprima.”
Le dissi aprendo la porta con la chiave e ponendomi di lato invitandola ad entrare.
“Buongiorno. Ah, lei è la ragazza che era al bar!”
Contraccambiò lei con un sorriso, entrando nel negozio mentre le tenevo la porta aperta.
“Ha davvero dei capi molto belli.
Disse piacevolmente sorpresa dopo che le avevo mostrato vari modelli.
“Sì, sono gli ultimi arrivi per la primavera.”
Guardò ancora qualche capo, poi aggiunse:
“Ha anche della lingerie?”
“Sì, qualcosina c’è, ma certamente non di quella che può piacere a lei.”
Risposi incautamente e troppo precipitosamente.
Piccata, la signora aggiunse freddamente:
“Perché? Qual è quella che piace a me?”
“Mi scusi non intendevo offenderla. Avrei bisogno di parlarle.
“Ma io non desidero parlare con lei!”
Mi sentii mancare. Avevo rovinato tutto, Arrendevolmente, quasi piagnucolando, replicai:
“Ho bisogno di parlare con lei di lavoro.”

La signora mi fissò freddamente per qualche secondo di troppo. Poi riprese:
“Mi spiace. Non lavoro con le donne.”
Sentivo che tutto mi si stava sgretolando in mano e che una vampata doveva avermi acceso il viso di rosso vivo, ma ebbi ancora la forza di replicare:
“No. No. Non è per quello.”
La signora mi fissò come soppesandomi nuovamente e aggiunse dandomi del tu:
“Hai bisogno di qualche extra? Ora ho da fare, non posso. A che ora hai la pausa pranzo?”
“Dalle dodici e un quarto alle quindici e trenta.”
E allungandomi un biglietto da visita:
“Vieni a mezzogiorno e mezzo a quest’indirizzo.”
E uscì voltandomi le spalle, senza salutarmi. Scoraggiata e mesta lessi il biglietto:
“Luana
massaggi tantrici
massaggi thai
riceve solo su appuntamento
Via dei Tigli n. 3.”
Pensai:
“Ma per chi mi ha preso? Ma chi crede che io sia? ... Chissà in che pasticcio mi sto cacciando.”
Però il posto era abbastanza vicino.

2 – UNA SCOLARA SPECIALE - LA PRIMA LEZIONE
Ero in anticipo, ma faticai a trovare il numero tre di Via dei Tigli. Comunque fui rinfrancata del fatto che l’accesso era del tutto anonimo e non vi si accedeva da una scala, ma dava sul piano strada, attraverso un tortuoso corridoio a più uscite. Quando suonai guardinga e timorosa alla porta, mi accorsi anche che nessuno poteva vedermi, sempre che quel qualcuno non si fosse diretto dove andavo io. Proprio un posto discreto. La signora Luana venne ad aprirmi con un lindo camice bianco.
L’ingresso era una piccola reception formata da un angolo d’attesa con un discreto bancone elegante. Vi erano delle poltroncine e il classico tavolino accanto ad un portariviste che notai conteneva anche qualche sconveniente rivista per uomini.
“Tu sei?”
Mi chiese allungando la mano.
“Mi chiamo Rosa.”
“Hai già pranzato?”
“No, non ne ho avuto il tempo.”
“Allora mangiamo qualcosa insieme. Vieni.”
Mi fece passare attraverso una porta con scritto “privato” e arrivammo in una cucina attraverso un piccolo salottino e ci sedemmo al tavolo. Mi guardò attentamente per un tempo che mi sembrò troppo lungo, poi si alzò prese un vassoio di tramezzini dal frigo, due piatti di plastica, una bottiglia di acqua minerale con due bicchieri e li dispose sul tavolo.
“Hai bisogno di un lavoro extra? Qui il lavoro non ti mancherà certamente. Anzi bella come sei, faranno la coda per inzuppare il biscotto con te.”
In quel momento ebbi un tuffo al cuore e sentii mancarmi le gambe, ma mi feci forza e continuai.
“No, no, non è per questo. Ho bisogno di aiuto. Del suo aiuto.”
Vedevo lo stupore sul suo volto e allora mi confidai, sciorinando tutto quello che aveva dentro, come ad un confessore.
“Mi sono sposata tre mesi fa, ma credo che mio marito non aspetterà ancora per molto e se non cambia qualcosa, credo che penserà seriamente di lasciarmi.”
E le dissi, come un fiume in piena, che mi ero sposata da poco perché che ero innamorata pazza di lui e lui di me e che, finalmente, avevamo coronato il nostro sogno, ma già in viaggio di nozze erano iniziati i nostri problemi.
Ogni volta che mio marito si avvicinava a me, io, pur ardendo dal desiderio, provavo un dolore terribile alle sue manovre e, morale della favola: a tre mesi dal matrimonio ero ancora vergine. Al ritorno del mio scellerato viaggio di nozze avevo fatto tutte le analisi possibili, ma il professore cui mi ero affidata, mi comunicò che non avevo nessuna malformazione e niente di patologico; era una semplice dispareunia di origine psicogena che, com’era arrivata, se ne sarebbe andata via da sola. Mi disse che la mia dispareunia nascondeva un vaginismo d'ordine psichico che poteva derivare da un trauma, da una paura o addirittura da una mia fobia della sessualità. Mi prescrisse delle sedute con una psicologa che io feci, per poi sentirmi dire che probabilmente erano tutti i freni che mi erano stati autoimposti dalla mia rigida educazione che non riusciva a coniugare il mio stato con quello di donna e futura madre e che ....... bla, bla, bla, ....... ma, che col tempo sarebbe andato tutto a posto. Insomma: aria fritta. Ma quando sarebbe finito? Nessuno sapeva darmi una risposta certa. Ancora la sera prima con mio marito avevamo riprovato, ma tutto si era risolto in un altro buco nell’acqua ed un’altra notte insonne a piangere in silenzio. Anzi, no: di buchi neanche l’ombra.
“Ecco, è tutto.”
Ce l’avevo fatta a dirlo tutto d’un fiato. Le avevo detto tutto quello che dovevo!
“La prego, mi aiuti lei. Sono disperata.”
Lei pensò un attimo, mi guardò e disse con un mesto sorriso:
“Capisco, mi sei simpatica, ma non sono né un medico né una missionaria e non ...........” In quel momento, la interruppi per non farle finire la frase.
“Ma io intendo comunque pagarla. Vorrei solo che mi facesse capire e mi insegnasse cosa devo fare per non perdere mio marito.”
Stette in silenzio per un tempo che a me parve lunghissimo, poi riprese:
“Va bene, proviamo. Diciamo cinquanta euro a seduta, ma tu dovrai essere come creta nelle mie mani e dovrai fare tutto ciò che io ti dico. Cominciamo da ora. Spogliati.”
La guardai spalancando gli occhi.
“Su, su, forza!”
In quel momento stavo pensando se fuggire o fare quello che mi aveva chiesto, ma dovevo vincere la scommessa con me stessa.
Mentre cominciai a spogliarmi, lei cominciò la sua lezione.

“Lo sai che la maggior parte delle puttane, quando decidono di smettere, sono le migliori infermiere e badanti che ci siano? E sai perché? Perché conoscono bene sia il loro corpo, sia il corpo degli uomini e sanno rapportarsi bene con quella realtà. Non hanno remore a fare cose che per la maggior parte delle persone sono disdicevoli e sconce. Leccheresti il culo di tuo marito? Vedrai che presto ti piacerà fare anche quello. Noi, e anche tu vedrai, lo lecchiamo anche agli estranei e cosa vuoi che sia per noi pulire dei culi, quando fino a ieri l’abbiamo fatto con la lingua. Ecco perché siamo le più attrezzate a fare poi le badanti ed infermiere.”
Io mi ero fermata rimanendo in mutandine e reggiseno abbastanza atterrita da quella premessa.
“Dai, dai. Togli tutto. Da oggi sei apprendista puttana e non credere che sia un disonore per una donna ed una moglie.”
Feci uno sforzo immane a non piangere e a non fuggire via a gambe levate; ero scossa dal linguaggio che non mi era abituale e che non condividevo, ma soprattutto da ciò che stavo facendo.
Ora ero completamente nuda.
Mi guardò con gli occhi che le sorridevano, mi prese la mano e mi condusse nel salottino in mezzo alla stanza, poi si sedette su una poltrona e mi guardò attentamente.
“Sei proprio una gran bella figa. Domani tagliamo tutto questo bosco informe che hai in mezzo alle gambe e poi cominciamo gli esercizi per far contento tuo marito. Girati.”
Mi sentii arrossire e mi girai dandole le spalle.
“Hai proprio un bel culo! Ora allargati le chiappe con le mani.”
No! Quello non potevo proprio farlo!
“Dai, cosa aspetti?”
Dopo quel richiamo, scoppiai in un pianto dirotto. Tutta la tensione che avevo soffocato fino a quel momento, aveva improvvisamente rotto gli argini. Anche lei se ne accorse e mi venne vicino. Mi coprì con una vestaglia e mi sussurrò all’orecchio:
“Non era una richiesta per metterti in imbarazzo o per dare il colpo di grazia alla tua dignità. Gli uomini amano particolarmente il nostro buco del culo, ma quando è bello rosa e noi donne l’abbiamo spesso scuro, così però fa un brutto effetto, ma si può intervenire a schiarirlo. La chirurgia estetica fa miracoli oggi col laser. Voglio migliorare la strafiga che già sei. Vieni che ti mostro la casa.
Io ancora singhiozzando la seguii, ma capivo che lei cercava un diversivo per stemperare la tensione che si era creata.
“Come vedi, gli ambienti sono divisi in due parti alle quali si accede dalle due porte che sono nell’ingresso. Qui, siamo nella parte privata, dall’altra porta nella reception si accede alla parte clienti. Ora sta venendo tardi. Fra poco ho un appuntamento e il lavoro aspetta anche te. Rimettiti in sesto.”
Lei mi accompagno in bagno e mi lasciò aggiungendo:
“Questo è il mio bagno personale e qui non verrà nessuno. Se senti suonare, fermati e aspetta, finché non mi senti andare in camera, poi esci tirandoti la porta alle spalle. Ci vediamo domani alla stessa ora. Ricordati di mettere cento euro sotto il vaso sulla mensola dell’ingresso, prima di uscire; cinquanta per la lezione e cinquanta per il materiale didattico che ti darò domani. Ciao.”
Chiuse la porta e mi lasciò sola.
Mi diedi una lavata al viso e mi vestii in fretta e furia; stavo per uscire quando sentii il campanello dell’ingresso suonare e mi ritrovai in preda al panico. Rimasi immobile in ascolto attentamente con l’orecchio appoggiato alla porta sentendo delle voci allegre, ma non capii niente a causa delle porte chiuse; poi mi parve di sentire una porta che si chiudeva e poi più nulla. Aspettai ancora qualche minuto che mi parve un’eternità e dopo essermi mossa con circospezione e aver messo i soldi sotto il vaso in modo che non si vedessero, uscii in fretta come una ladra, sperando di non incrociare il cliente. Aprii col batticuore, ma nessuno era in vista e velocemente m’incamminai al mio negozio. Che liberazione!
Ero piena di dubbi. Chissà se avevo fatto bene. Nel tratto per raggiungere il negozio avevo come l’impressione che tutti mi guardassero, sapendo cosa avevo combinato e a fatica riuscii a scacciare quel pensiero maligno. Capii, però che non erano tanti gli elementi per decidere se andare avanti o interrompere e mi dissi che non dovevo pensarci più per il momento, ma se non facevo nulla avrei certamente perso mio marito.
Devo dire che mi sentivo molto emozionata e tesa, ma soddisfatta; cosa avrebbe detto e fatto Francesco, se avesse saputo? Mi resi conto che questo era qualcosa che non avrebbe potuto mai essere anche suo e mi rattristò pensare di cominciare ad avere dei segreti con lui. Forse avrei fatto bene a dimenticare i soldi che avevo lasciato sotto il vaso e piantare tutto. Ebbi l’impressione di essere proprio come un cane che si mordeva la coda.

3 – UNA SCOLARA SPECIALE - LA SECONDA LEZIONE
Il giorno dopo, alle dodici e venticinque suonai il campanello e lei si presentò come il giorno prima, con il camice bianco immacolato che si tolse entrando nella parte privata.
Mi accompagnò in cucina, dove sul tavolo aveva già sistemato un vassoio con tramezzini e pizzette e una Coca cola grande con due bicchieri.
“Accomodati.”
Presi il borsellino e feci per pagare la lezione, ma lei a quel punto mi fermò:
“Pagherai domani. Ho bisogno di verificare alcune cose che domani ti dirò.”
Non capii il significato della frase, ma ero troppo tesa per replicare; riposi comunque il borsellino a posto, ma quella cosa in sospeso mi allarmò non poco, Cosa stava pensando di propormi?
Lei si rivolse ancora a me e disse indicandomi la sedia.
“Serviti pure.”
Lo disse prendendo un tramezzino subito imitata da me.
“Hai mai fatto un pompino a tuo marito?”
Feci ogni sforzo a non farmi strozzare dal morso a quel tramezzino che non riuscivo più a mandare giù e masticando a fatica scrollai la testa con diniego.
“Tuo marito ti ha mai leccato la fica?”
Sempre masticando e cercando disperatamente di fermare le lacrime che ce la stavano mettendo tutta per uscire, ripetei la scena di prima.
“Sai cos’è un ditalino?”
Quel tramezzino cominciava a diventarmi indigesto e non riusciva ad andare giù. Risposi ancora col capo. Prima dissi di sì, ma subito dopo, sempre col capo, feci segno di no.
“Che risposta è questa? Insomma tu hai mai goduto in vita tua? Sai cos’è un orgasmo?”
Ingoiai con fatica quel boccone indigesto.
“Sì, so cos’è un orgasmo e anche cos’è un ditalino. Avevo, credo, quindici anni quando provai a farlo, ma mi fermai subito, perché ero terrorizzata dal perdere la verginità per sbaglio con le mie dita e non l’ho più fatto da allora. Però a volte, a letto, mi fregavo col cuscino tra le gambe fino a farmi arrivare all’orgasmo, ma è stato molto tempo fa. Il sesso, a dire il vero, non ha mai rappresentato qualcosa d’importante per me e ne sento ora tutto il peso.”
“Pazzesco. Ma da che mondo sei uscita?”
Riempì due bicchieri con la bibita, mangiammo ancora qualche pizzetta, bevemmo e poi disse:
“Vieni, andiamo in bagno, che non abbiamo troppo tempo e ci sono un sacco di cose da fare.”
Passammo per la porta della zona clienti attraverso un salotto molto ben arredato che conteneva riproduzioni di incisioni erotiche del ‘700 che di fatto erano rappresentazioni di una sfrenata pornografia che portarono la temperatura del mio disagio al calor bianco. Il bagno era più grande del salottino, dove mi aveva fatto accomodare il giorno prima. Si capiva che quel posto per Luana costituiva una stanza da lavoro. Una vasca con idromassaggio per almeno quattro persone, posta a filo del pavimento occupava gran parte del locale; davanti alla vasca, appeso a metà della parete, c’era un televisore immenso, mentre sulla parete opposta vi era appesa la riproduzione di un quadro che seppi in seguito essere “L’odalisca bionda” di Boucher che io immaginai come un bravo pittore, ma sicuramente anche come un vecchio sporcaccione.
Prese un telo da bagno bianco e lo stese su una sorta di triclinio in raso, molto elegante e quasi barocco. “Spogliati e poi sdraiati, che torno subito.”
E uscì.
Tornò dopo breve, con un piccolo catino fumante in mano che mi porse ed un fagotto nell’altra che posò sul ripiano della toeletta. Mi si avvicinò sorridendo con una bomboletta, un paio di forbici ed un rasoio e si sedette sul bordo dov’ero sdraiata io.
“Dai che facciamo pulizia.”
Lei tolse il lembo del telo col quale mi ero pudicamente coperta, accarezzandomi i peli del grembo come a sistemarli e io provai a dire:
“Ma cosa dirò a mio marito quando mi vedrà?”
“Che ti sei fatta bella per lui, ma devi imparare che nelle tue cose lui non deve mai entrare; devi sempre lasciarlo ogni tanto a bocca aperta nelle cose del sesso, altrimenti si adagerà e poi, pian piano perderà il ritmo. La voglia di sesso va curata e rimpolpata giorno per giorno.”
Probabilmente sarebbe passato del tempo prima che Francesco si accorgesse che ero depilata; del resto non mi aveva mai vista lì.
Iniziò con le forbici, finché poté, poi mi massaggiò con una crema idratante ed emolliente.

La sentivo armeggiare su di me in zone dove quasi anch’io avevo remore a toccarmi, poi cominciò ad applicare la schiuma dolcemente con i polpastrelli delle sue dita. In quel momento mi sentii illanguidire; forse non è il termine giusto, ma sentii che ciò che stava facendo, aveva un certo effetto su di me.
“Non aver paura, vedo che ti stai rilassando; sento anche, che il tuo corpo reagisce così perché sta bene. Guarda i tuoi capezzoli. Ti stai bagnando; me ne accorgo da come si scioglie la crema vicino alla fessura. È del tutto normale e vedrai che riuscirai ad uscirne dal tuo calvario.”
Poi mi passò delicatamente il rasoio e dove prima c’erano i peli, ora rimaneva una pelle liscia ed infantile.
Mi fece girare e mettere bocconi, allargandomi i glutei che ormai anche per me erano le chiappe.
“Aspetta, vuoi che mi allarghi da sola le chiappe?”
“Ah, ah, ah! Addirittura; ricordi ieri? Comunque hai un culo rosa che è tutto da baciare, ma vedrai che tuo marito ci farà anche dell’altro e non solo quello. Togliamo un po’ di peluria anche qui e abbiamo finito.” Guardai il quadro dell’odalisca e notai che quell’istante ci aveva colto quasi nella stessa posa, ma anche qualcosa d’altro ci univa: anch’io ero sulla strada per diventare una cortigiana.
Dopo un quarto d’ora e dopo aver ispezionato e ritoccato, dove necessario, dalle gambe alle braccia, dalle ascelle alla schiena, prese un panno umido, lo passò sulle parti trattate, mi spalmò ancora della crema e mi fece alzare.
“Guardati ora.”
Mi portò davanti allo specchio. Ora si vedevano bene le mie parti intime; sembravano in rilievo, dettagliatamente morbide e gonfie, in realtà erano della forma naturale, ma tutto quel “bosco” davanti, non mi aveva mai permesso di rendermene conto prima. Quando mi muovevo un po’ di più quelle mie labbra nascoste si aprivano e lo specchio di fronte mi faceva intravvedere qualcosa di apparentemente umido, di un colore rosso cremisi. Sembrava carne viva e avrei voluto esplorarla, ma, per pudore rimandai a dopo quella curiosità; almeno fino a quando avrei potuto farlo in solitudine.
“Hai una figa perfetta, bella da vedersi. E ora provati questo; speriamo di non essermi sbagliata con le misure.” Prese un corsetto nero molto romantico, ornato di pizzi, molto frou-frou, con inserti stringati rosa che prima ancora di indossarlo mi fece l’effetto di un frivolo addobbo peccaminoso. Non dissi nulla e lasciai che mi aiutasse ad indossarlo. Luana abbottonò i gancetti dietro, poi lo adattò perfettamente al mio corpo, regolando e tirando gli inserti a stringa sul davanti e riuscì ad enfatizzare incredibilmente la morbidezza delle mie curve. Poi fu la volta delle calze. Avevano una balza più scura anch’esse nere con inserti rosa in sintonia col corpetto. Non avevo mai usato calze che prevedessero l’utilizzo del reggicalze per essere sostenute e queste erano con la riga dietro che finiva in un fiocchetto ricamato sulla balza; il mio, era il regno dei collant, ma, con l’aiuto di Luana, riuscii ad indossarle senza troppa fatica. Ho una tremenda vergogna a dirlo, ma mi piacevo. Mi ero sbagliata tuttavia sulla mia prima definizione: il corpetto era molto più che peccaminoso, a partire dalle coppe del seno, che non erano coppe, ma semicoppe. Erano piuttosto rigide, anche se all’apparenza sembravano di un morbido pizzo trasparente. Mi stringevano quel tanto il seno da proiettarlo in avanti e poi lo sorreggevano da sotto, lasciando scoperti i capezzoli e tutta l’areola. Non erano previste mutandine e il corsetto abbastanza corto poneva in primo piano le nuove fattezze della mia vagina, anche se quella ormai, anche per me, non era più la mia vagina, ma la mia fica, che veniva enfatizzata e messa in primo piano dal contrasto tra il suo biancore latteo e il nero delle calze e del corsetto Mi vidi come la personificazione del peccato. Avevo una tremenda vergogna e non volevo neppure sussurrarlo a me stessa, ma mi erano bastati due giorni per modificare di molto il mio metro di giudizio sulla moralità in genere e soprattutto sulla mia; questo sì che mi spaventava. In quella casa vivevo ogni attimo avvolta nella mia vergogna intima, ma mi accorgevo che l’asticella del mio limite si stava continuamente alzando. Era davvero questo che volevo? Fin dove mi sarei spinta? Fin dove sarei arrivata?
“Guardati. sei favolosa.”
Si avvicinò e prendendomi i capezzoli tra i pollici e gli indici delle due mani li sfregò energicamente fino a indolenzirmeli e con terrore mi accorsi che quegli stimoli mi facevano effetto non solo nella zona del petto; anche i capezzoli ora puntuti e voluminosi erano proiettati in avanti.
Luana prese un rossetto a stick, ritoccò lievemente i capezzoli e con due dita sfumò, fino ad ottenere un accentuata colorazione rosea.
“Questo è resistente all’acqua. Se fossi un uomo, guardandoti così, mi farei una sega.”
A quella battuta arrossii violentemente, ma mi sentivo segretamente soddisfatta della mia immagine. “Questa sarà la tua tenuta standard, quando sarai qui. Arriverai, ti cambierai e starai sempre in quel modo. Devi abituarti a saperti vedere così e come hai potuto constatare qui gli specchi non mancano.”
Aveva ragione. Ero più che nuda e devo dire che quasi non ci facevo più caso.
“Vieni, cammina pure scalza. Ora ti mostro il resto dei locali. Come ti ho detto, gli ambienti sono divisi in due parti: la parte privata e la parte riservata ai clienti. All’ingresso, come hai visto ci sono due porte una, quella con scritto “privato” dà sul salotto che hai visto, da cui si accede alla cucina, alla mia camera personale e ad un piccolo servizio che hai già utilizzato; dall’altra porta si accede ad un altro salotto, a questo bagno, a tre

camere, ognuna fornita di un angolo con lavandino e bidet e ad un ripostiglio normalmente chiuso. Ogni tanto viene anche qualche amica che mi aiuta nel lavoro, quando è richiesto.
Se tu dovessi per necessità dover entrare nella zona clienti quando c’è qualcuno, indosserai per tua sicurezza questa maschera, finché tu stessa non te la sentirai di farti vedere spontaneamente. Tu sei un bellissimo fiore e con un trucco un pochino più accentuato saresti perfetta. Faresti soldi a palate. Pensaci! Intanto provati la maschera.”
Ecco un’altra volta con la proposta di lavoro e sapevo che non sarebbe stata l’ultima volta, ma in quanto a farmi vedere senza maschera poteva certamente scordarselo.
La maschera mi stava bene, soprattutto perché la sua appendice di seta ricamata, scendeva a coprirmi i lineamenti del viso.
Poi suonò il campanello dell’ingresso. Io caddi in preda al panico. Sentivo il cuore che mi martellava nelle tempie e non sapevo che fare.
“Ecco l’avvocato Fabiani, un mio ottimo cliente. Vieni, voglio presentartelo.”
“No, no! La prego.”
Sussurrai per non farmi sentire.
“Solo un attimo, la pubblicità è l’anima del commercio. Su! Su! Devi prendere confidenza col tuo corpo. Devi vincerti e superare queste invisibili barriere.”
Mi prese per mano e mentre io cercavo di tirarmi indietro divincolandomi, lei aumentò la stretta, trascinandomi verso la porta d’ingresso.
“No, no! Non posso. Non in questo stato.”
Quasi urlai sottovoce.
“Non essere in ansia. Sei perfetta e non dire una parola, lascia che parli solo io. Dai, lasciati spostare un attimo, altrimenti quando apro la porta, tutti potrebbero vederti da fuori.”
Approfittando del mio smarrimento alle sue parole, lei aprì l’uscio. Mi ritrovai alla presenza di un uomo che non era mio marito ed io ero peggio che nuda. Sentii un groppo in gola che mi esplose in un grumo acido. Mi dissi che dovevo farmi forza e che non potevo svenire proprio in quel momento.
“Accidenti che piacevole sorpresa, cara Luana.”
Disse guardandomi da capo a piedi, soffermandosi con lo sguardo sui punti cruciali.
“Che meraviglia!”
“Ciao, avvocato. Questa è Maona, ma per ora non parla una parola d’italiano.”
L’avvocato mi prese la mano e mi fece il primo baciamano della mia vita.
“Non serve che parli italiano o qualsiasi altra lingua per quello che vorrei fare io della tua bocca, cara, e faremo in modo che il proverbio che dice che non è educazione parlare con la bocca piena diventi il tuo motto e la tua bocca, ne sono sicuro, sarà sempre piena. Dimmi, che cosa è? È una sorpresa per me?”
“Ah, ah, ah! No. Mi spiace. Volevo solo presentartela, perché ti rifacessi gli occhi, ma deve scappare in gran fretta. È di partenza. Se ci sarà una prossima occasione vuoi che ti metta in nota?”
“Ma certamente e vi voglio tutte e due assieme. Tu e questo rarissimo fiore.
È qui solo occasionalmente?”
“Sì, ma potrebbe darsi che si possa godere ancora della sua presenza.”
“Sì, appunto, cara Luana. Godere è proprio la parola giusta?”
Tutti e due risero a quel doppio senso; io non potevo: avevo tutti i muscoli tesi e bloccati!
Poi Luana fece una cosa che non mi aspettavo, alla quale rinculai lievemente, più per la sorpresa che per altro.
Mi passò due dita sulla fessura affondando leggermente nella figa e poi le mise sotto il naso all’avvocato che chiudendo gli occhi, annusando esclamò:
“Che dolce fragranza! Ecco il nettare degli dei.”
“Bene, ora Maona deve andare e anche noi.”
L’avvocato ripeté ancora il rito del baciamano e raccomandandosi a Luana di tenerlo presente, dandomi un’ultima compiaciuta occhiata, si ritirò con lei nella stanza.
Mi sentivo tutto un tremito interiore che non mi dava tregua.
Mi passai anch’io il dito sulla fessura e l’annusai e sentii il mio odore che non era più la solita puzza, ma, come aveva detto lui, per la prima volta mi sembrò davvero una piacevole fragranza.
Ero diventata una puttana a tutti gli effetti! Per l’avvocato certamente si!
Stavo scardinando tutti i miei punti fermi. Cinque minuti dopo ero già in strada per raggiungere il mio negozio.

4 - UNA SCOLARA SPECIALE - LA TERZA LEZIONE
Feci tutto secondo il mio motto: “meglio cinque minuti prima che cinque minuti dopo” e il giorno dopo non avendo più voglia di aspettare, guardinga come un gatto, quando mancava ancora una manciata di minuti, suonai alla porta di Via dei Tigli.
Sentii scattare il tiro automatico che non sapevo nemmeno ci fosse ed entrai. La luce era accesa ma non c’era anima viva. In fretta imboccai la porta con scritto “privato” ed entrai tirandomela dietro velocemente, col terrore che qualche estraneo potesse comparire all’improvviso e vedermi.
La porta della sua camera era aperta e sul letto in ordine era posata la mia tenuta standard e una mascherina diversa da quella del giorno precedente. Era di merletto e tutta traforata e in più, sul pavimento, ai piedi della mia tenuta, risaltavano un paio di scarpe con un tacco improbabile ed incredibilmente alto, di un rosso fuoco; forse era meglio chiamarli trampoli.
Riuscii a mettermi tutto da sola anche se con un po’ di fatica con tutti quei gancetti e calzai anche le scarpe. Cominciai a muovere i piedi da seduta e mi stupii di come le misure di tutto quel corredo mi andassero a pennello senza mai averle comunicato le mie misure. Anche se portavo abitualmente scarpe col tacco, non ero abituata a quei tacchi che mi aveva proposto Luana. Provai ad alzarmi in piedi e mi trovai un po’ impacciata, ma non andavo troppo male. Le scarpe avevano una zeppa piuttosto consistente e facevano nascere più problemi a guardarle che a camminarci su. Mentre gironzolavo per la stanza per prendere sicurezza, sentii la porta aprirsi e vidi Luana che mi guardava sorridente.
“Ciao Maona. A proposito, ieri ti ho battezzato così e da oggi, qui dentro ti chiamerai Maona, sempre che ti piaccia.
Sai? Hai fatto colpo sull’avvocato. Non la smetteva di farmi domande su di te. Quando mi ha chiesto il perché portavi la maschera, gli ho dovuto rivelare che tu sei una freelance occasionale, una dolce sposa che ogni tanto vuole arrotondare le finanze, che porti la maschera e non vuoi parlare con nessuno per non farti riconoscere. Questo l’ha fatto impazzire dal desiderio ed è disposto a sborsare qualsiasi cifra. Pensaci su che le occasioni così non capitano tutti i giorni.”
Come al solito! Lei ci provava e lo avrebbe rifatto ancora, ma sentivo che quel mondo mi stava in qualche modo inquinando dentro. La scoperta che non era più la repulsione, ma la voglia di ampliare le mie conoscenze che guidava ora i miei pensieri, mi fece dubitare che il mio futuro potesse essere ancora come me lo ero sempre immaginata. Cosa mi stava succedendo?
Poi lei mi squadrò con un sorriso.
“Complimenti. Ieri non ti ho detto nulla, ma il camminare con le sole calze non ti donava. Ora è tutta un’altra cosa. Quei tacchi ti fanno un culo che sembri indossare un push-up invisibile.”
Fece una pausa.
“Vedremo se tutto questo darà i risultati sperati, ma se ci volesse più tempo di quello che penso per risolvere il tuo problema, certamente ti farà un gran bene anche familiarizzare con tutte le pratiche che sono certa, piaceranno a tuo marito, ma che sono ancora inimmaginabili per te e io, stai tranquilla, te le insegnerò. Non sono una psicologa, ma più tu ti addentrerai in questo mondo e più prenderai coscienza della sua importanza per te e la tua tensione, secondo me, si alleggerirà.”
Avevo capito tutto! Lei ora intendeva dirmi che dovevo diventare comunque esperta in tutte quelle pratiche amatorie che non interessavano la mia dispareunia. Pensavo alle mani, alla bocca e a quello che lei diceva che avevo rosa e da baciare: il mio culo. Mi spaventavano i termini che ora usavo anche con me stessa. “Misurati questa. È più bella su di te.”
Mi avvicinai allo specchio e con terrore mi accorsi che, una volta addosso, era sì una mascherina abbastanza coprente ma molto meno della prima.”
“Non aver paura nessuno potrà riconoscerti anche con questa mascherina, ma almeno quella veletta non ti sarà d’impedimento nei movimenti della bocca. Vieni, cominciamo. Lasciati la mascherina.”
Mi riprese l’ansia e con lei anche il grumo acido in gola.
“Ma ci sarà qualcun altro insieme a noi?”
“Vorresti fare esperienza con un succedaneo del cazzo? Nel tuo caso, il surrogato non è indicato. Dai vieni, Forza, andiamo.”
“No, ti prego, non farmi questo.”
Piagnucolai.
“No, per ora no, ma portati la maschera dietro e non preoccuparti, Non c’è niente che ti possa succedere.” Mi fece entrare in una stanza da letto tutta specchi e molto ampia, con una toeletta in un angolo. Anche qui un grande televisore occupava la parete di fronte al letto.
“Ora sdraiati sul letto.”
Mi avvicinai al letto e mi tolsi le scarpe.

“No, lasciati le scarpe. Le scarpe non servono per te ma per appagare la vista degli uomini. Quando le indossi lasciatele guardare portandole anche a letto. Sono un segnale e lascia che gli uomini ti identificano.”
Già, ora ero proprio una puttana!
Era un letto matrimoniale che aveva un unico cuscino in centro e io mi ci coricai sopra.
Accostai la mia immagine su quel letto a quella di me su un sudario funebre; era così che mi sentivo dentro e chissà cosa mi aspettava ancora.
Non me ne ero davvero accorta prima. Anche il soffitto era un immenso specchio che rimandava la mia immagine; rimasi senza parole, osservandomi. Che sporcaccioni gli uomini! A loro piaceva vedersi mentre...... Lei andò alla toeletta, prese una serie di oggetti, poi si sedette sulla sponda del letto accanto a me, e posò quelle cose sotto i miei occhi.
“Questi sono dei dildo; il tuo obiettivo è quello grande, ma per ora è troppo impegnativo. È per questo che inizierai da quello più piccolo e, man mano che ti abituerai, passerai in successione a quelli più grandi. Ce ne sono anche altri che sono impreziositi da pietre preziose incastonate sul disco di ritegno, come questo. Come vedi ha un bel rubino e lo puoi utilizzare anche come un gioiello per impreziosire la tua persona nelle occasioni e nelle feste particolari che richiedono la tua presenza con un abbigliamento simile a quello che stai indossando ora. Per ora questo mondo non ti tocca ed è un grande punto interrogativo per te, ma vedrai che pian piano potrebbe anche piacerti.”
Ma davvero poteva pensare che tutta quell’immondizia avrebbe potuto piacermi?
Purtroppo intuivo che quel pensiero era solo scaramantico, perché quelle idee che mi ostinavo a rigettare e che forse mi illudevo di poter cancellare definitivamente una volta arrivata al traguardo, se mai ci fossi arrivata, in realtà stavano subdolamente facendo presa nei miei pensieri. Mi imposi di non pensarci più e di continuare di portare avanti l’unico tentativo serio di salvare il mio matrimonio che fino ad allora avevo tentato.
Erano quattro fusi neri e appuntiti, senza alcuna asperità, con superficie arrotondata e lisci al tatto che proseguendo si restringevano di diametro per terminare in un’appendice piatta e curvilinea, che si allargava senza asperità a formare una specie disco di ritenzione. L’altro era dorato e con una grossa pietra rossa incastonata sul dischetto. Avevo intuito il loro utilizzo, ma non ne ero certa, vista la grandezza e rimasi ancora in attesa, timorosa di sbagliarmi e poi erano da mettere davvero dietro?
Mi porse il più grande, lo presi in mano rigirandolo, pensando davvero di essermi sbagliata sul suo impiego. Viste le sue dimensioni non poteva essere quello che pensavo, quindi chiesi:
“A cosa serve.”
“Serve a far sì che il tuo culo si abitui a qualunque cazzo, per darti modo di provare solo piacere e non dolore. E questo ha davvero le dimensioni di un signor cazzo.”
Allora avevo pensato giusto! Quegli affari che io avevo battezzato nella mia mente vergognandomene, cazzi matrioska perché erano identici, ma di dimensioni variabili, servivano proprio per quello. Io non sarei mai riuscita a far entrare quello più grande nel mio culo; le sue dimensioni erano davvero mostruose. Mi avrebbe squartato. Ma che razza di vocabolario stavo assumendo ormai?
“Questa è una crema emolliente, leggermente anestetizzante che ti aiuterà ad alleviare gli effetti dell’introduzione. Usala sempre anche tu quando ci avrai preso gusto con tuo marito, ma ricordati anche che puoi fare anche una pulizia preventiva per evitare che lui possa ritrovare qualche sorpresina marrone sul suo cazzo. Fatti un clistere con acqua tiepida o con l’aggiunta di un po’ di bicarbonato. C’è anche qualcuno che impazzisce a vedere su di se quella roba. Sarà la tua esperienza a farti capire come procedere.”
Mi sollevò le gambe allargandole e prendendomi per le caviglie se le passò sulle sue spalle inginocchiandosi sul letto davanti a me. Tutto il mio panorama era a sua disposizione. Mi vedevo guardandomi sul soffitto; vedevo la mia fica aperta e d’un rosso acceso che la faceva sembrare una ferita sanguinante. Si abbassò ulteriormente su di me, facendo scivolare le mie gambe sulle sue braccia, allargandomi le gambe ulteriormente e ponendo le sue labbra sulla mia fica. Inaspettatamente mi diede un bacio in cui sentii tutto lo scorrere della sua lingua sulla mia fessura. Non avevo mai vissuto situazioni emozionanti come quella; cominciai a tremare, ma non di paura; mi sentii illanguidire. Chiusi gli occhi quando avvertii il suo dito che mi spalmava la crema proprio là. Poi sentii il dito forzare, cominciando ad entrare dentro di me. Non era neppure troppo fastidioso; non mi faceva male. Per due o tre volte mi spalmò quella crema facendola entrare anche dentro.
Con due dita dell’altra mano mi allargava le mie labbra nascoste, soffiandomi sulla mucosa e accarezzandomi coi polpastrelli.
”Ora facciamo un piccolo intermezzo per far fare effetto all’anestetico.
Hai una clitoride che sembra un cazzetto da quanto è gonfia. Ora non ti muovere.”
Sentii la sua lingua, poi prese un pezzo di me tra le labbra, leccandolo; i miei sensi erano acutissimi, come le sensazioni quasi dolorose che mi dava l’alternarsi della sua lingua su di me e quel dito invadente, ma per niente fastidioso piantato nel mio culo.
“Dai, ci sei quasi. Lo sento dalle tue contrazioni sul dito.” All’improvviso un lampo bianco abbagliante mi accecò la mente. Cominciai a tremare, ma lei continuò a martoriarmi. Mi era scoppiato il paradiso in mezzo alle gambe

e non riuscivo a fermarlo. Sentii la pelle delle tempie raggrinzirsi, come se si fosse staccata e ora potesse tranquillamente vagare e viaggiare su tutto il mio corpo. Lei continuava ad infierire con la sua lingua, ma quando la sensazione di piacere che mi aveva rapito sembrava attenuarsi, subito riesplodeva più forte a sconquassarmi.
Mi sentivo sottosopra e avevo perso il senso dell’equilibrio; respiravo rumorosamente affamata d’aria, provando il terrore di non riuscire a farla arrivare ai polmoni. Le ondate si attenuavano, per tornare, subito dopo a sopraffarmi nuovamente con violenza. La sensazione era quella di essermi allontanata pian piano dalla realtà e di essere trasportata in un mondo magico, finché una sensazione di rilassamento morboso, mi fece riapprodare da quella nebbia che mi avvolgeva, con la percezione di una spossatezza e stanchezza assolute. “Ehi, ma mi stai pisciando addosso. Fermati!”
Improvvisamente me ne accorsi anch’io, ma non avevo più alcun potere e capacità di governare il mio corpo che faceva ormai quello che aveva deciso lui.
Dopo non so quanto, riaprii gli occhi; l’affanno ora aveva ceduto il posto ad una rilassatezza totale e vidi lei che mi guardava sorridente. Chissà perché pensai che, in quel momento, lei avesse la stessa espressione di mia madre quando mi guardava al mattino dopo il mio risveglio. Forse mi ero destata davvero.
“Bene, abbiamo scoperto che sei anche multiorgasmica. Sembri fatta proprio per il sesso. Allora, andiamo avanti?”
Io ero sfatta.
“Sai che non ho mai visto una godere come te? Mi hai quasi spaventato. Pensavo che ti fosse venuto un qualche attacco, che so: un infarto! Nel mio mestiere quasi sempre si finge e ci capita anche di enfatizzarlo, ma mai come è successo a te; nessuno mi crederebbe se lo facessi io. Voltati, mettiti in ginocchio sul letto, affonda la testa nel cuscino e alza il culo più che puoi.”
Mi appariva un’ardua impresa acconsentire alla sua richiesta, ma riuscii nell’intento. Sentii qualcosa appoggiarsi sul mio culo.
“Sei bella unta e morbida. Non irrigidirti.”
Quello, spossata com’ero, non sarei riuscita a farlo in ogni caso.
Avvertii che cominciava a spingere e la pelle cominciava a cedere. Avanzava lentamente e più entrava più sentivo la pelle tendersi, poi, quando mi aspettavo di sentire comparire il dolore, fu come per una supposta: superata la soglia critica di non ritorno, quel “coso” fu risucchiato dentro. La sensazione era di ingombro e di pienezza. Era come qualcosa di tozzo che avevo piantato nel culo e che lo stava tendendo e forzando. Comunque una sensazione strana.
“Come si chiama quel “coso”?
“Si chiama dildo; questo è un plug anale. è andato giù benissimo, anzi troppo bene. Vorrei che provassi anche quello più grande.”
“Sei matta? Quello mi squarta.”
“Ma no, non quello. Questo”
E prese il secondo della serie, lo mise prima in bocca umettandolo poi prese il tubetto di crema e se ne spremé un poco sul dito, spargendola poi su tutta la superficie del dildo.
“Ora proviamo a toglierlo.”
Afferrò il disco e cominciò a cercare di farlo arretrare, ma l’impressione che ebbi fu quella che una parte del mio culo stesse seguendo il dildo. Ora ero supina sul letto con la testa appoggiata al cuscino, quando mi resi conto, guardando lo specchio di lato che era proprio così. Il dildo stava uscendo ma una parte del mio culo lo seguiva. Mentre aspettavo la lacerazione, un “plop” e un senso di vuoto mi fecero capire che era uscito. “Vedi, questo non ha nessuna sorpresina marrone che tuttavia è sempre possibile. Ora proviamo con questo.” Le cose andarono pressoché come nell’introduzione precedente, ma Luana dovette procedere molto più lentamente nella fase terminale, per evitarmi lacerazioni, poiché accusavo un bruciore diffuso in tutta la zona. “Anche questa è fatta. Sei stata bravissima. Se vuoi la mia opinione, secondo me tu sei già a posto per questa pratica e credo che se lasciassi ora, perderesti molto. Tu forse non te ne sei accorta, ma oggi ti ho fatto godere perché tu possa domani insegnare a tuo marito come si fa. Lui non sa e forse nemmeno tu che la tua clitoride e dieci volte più sensibile del suo pisellino e se lo affonda subito può indurti una reazione dolorosa che comprometterebbe il tuo piacere, ma se cercasse di aumentare il tuo desiderio sessuale cominciando a baciarti l’interno delle cosce, per poi avvicinarsi a baciarti le grandi labbra, avvicinandosi poi a stuzzicarti le piccole labbra, a quel punto tu ti sentiresti già bruciare in mezzo a le gambe, e quando attaccherebbe la clitoride tu esploderesti. Sapevi tutto questo? Tu dovrai essere maestra per tuo marito e io ti farò scuola.”
Capivo ora perché inconsciamente avevo visto mia madre in lei, non appena mi ero ripresa da quell’esplosione di ...... splendore! Godere mi era ancora una parola difficile da assimilare, anche e soprattutto perché non c’era Francesco.
“Credo che tu abbia ragione. Devo imparare.”
“Sono davvero contenta della tua decisione. Ora prova ad alzarti e dimmi come ti va il culo.”

Mi alzai e, a parte un po’ di fastidio, non andava troppo male. Quando iniziai a camminare mi sembrò invece di essere un po’ goffa perché me lo sentivo andare alternativamente a destra e a sinistra, ma tutto era sopportabile.
“Direi che posso farcela. Spero che mio marito non se ne accorga.”
“Se dovesse accorgersene, dai la colpa al consiglio di un’amica. Piuttosto, riesci a non andare in bagno fino a domani?”
“Sì, spero di si. Semmai domani mi prendo ferie e sto da te tutto il giorno, senza intralciarti il lavoro naturalmente. Aspetta un attimo e guardami se faccio bene. Per ogni emergenza provo a vedere se posso riuscire da sola.”
“No, non così. Prova a scendere dal letto e accovacciati come se volessi fare la pipì sul pavimento. Bene, si così. Ora prendilo saldamente con due mani sul dischetto e punta i pollici; prova ad estrarlo facendolo ruotare un poco; ecco, così. Un po’ a destra e un po’ a sinistra tirando sempre. Ora fermati se no esce davvero. Bravissima! Sei formidabile. Ok, allora ci vediamo domani mattina. Ti va bene alle nove?”
“Benissimo.”
“Lo sai, vero che hai il simulacro di un cazzo notevole piantato nel culo.”
“Davvero?”
“Tu hai una predisposizione naturale per fare la puttana, ma te l’ho già detto, non prenderla come un’offesa; detto da me puoi stare tranquilla che è un complimento. Hai una pelle elastica incredibile. Chissà che tu non possa davvero cambiare idea e fare la felicità non solo di un unico uomo.”
Prima di andare, feci per prendere il borsellino, ma lei mi fermò ancora.
“No, oggi non ho avuto il tempo di verificare quello di cui ti parlavo ieri. Ma non preoccuparti, rimandiamo a domani. Al limite potrei concederti di pagare in natura.”
E ridai! Poi lei per la prima volta mi salutò con un bacio sulla guancia.
Meno male che era presto perché con quel .....come si chiama? Bè, sì, insomma con quel coso piantato nel culo ci misi almeno un quarto d’ora in più ad arrivare in negozio.

5 - UNA SCOLARA SPECIALE - UNA GIORNATA DI FERIE
Il giorno dopo alle nove precise suonai alla porta di Luana.
Era solo il quarto giorno, ma l’alterata percezione che avevo ormai del tempo me la faceva già sembrare un’abitudine.
Sentii il tiro e quando entrai mi spaventai vedendo una ragazza della mia età che mi guardava dalla porta clienti.
“Ciao Maona. Io sono Giorgia. Luana arriverà fra poco e mi ha detto che se tu hai delle urgenze con quel succedaneo di cazzo, posso aiutarti io.”
“No, grazie, va tutto bene.”
“Allora vado a mettere in ordine di là e a prepararmi. Fra poco ho due clienti per un doppio.”
“Cioè?”
“Uno davanti e uno dietro, ma insieme. Una cosa abbastanza divertente.”
Le feci un sorriso che per me era di circostanza e mi rifugia nel mio spazio privato.
Luana non le aveva detto che il mio nome vero era Rosa; meno male! Non mi ero ancora messa del tutto la mia tenuta, quando sentii suonare. Con apprensione indossai subito la maschera, ma nessuno venne a disturbarmi. Mi stupii perché quasi non avvertivo più fastidio al culo. Probabilmente mi stavo assuefacendo a quell’ospite ingombrante.
Mi ero appena preparata e subito dopo arrivò anche Luana che entrando, con un sorriso mi squadrò:
“Ti vedo sempre più bella. Come è andata a casa? Tutto bene?”
“Sì, tutto bene. Subito mi sentivo terrorizzata, ma poi mi imposi di calmarmi; avevo paura di tradirmi e che mio marito potesse accorgersene. Non solo di questo, ma anche della depilazione e poi, invece, persino io mi sono dimenticata di averlo e devo dire che non è stato fastidioso come avevo supposto.”
Non le dissi proprio tutto, ma il resto doveva essere solo mio.
“Vieni ora lo togliamo.”
Provai la stessa sensazione del giorno prima, come se il plug si portasse dietro parte del mio culo che gli andava dietro allungandosi finché, più o meno fastidiosamente e come già era successo la volta prima, un silenzioso “plop” appena udibile, mi fece capire che era finalmente tutto fuori. In quel momento mi sentii vuota. Era come se qualcosa che faceva parte di me, ora mi mancasse. Che impressione strana provai; mi sentivo quasi defraudata.
“Ora vai pure in bagno ad evacuare e dopo lo rimettiamo. Lo dovrai tenere almeno per tutta la settimana in modo da dar modo ai tessuti di adattarsi alla dilatazione, ma tu hai delle capacità innate e sembri proprio fatta per questa vita e certamente non avrai problemi. È conveniente che tu tenga sempre la pelle morbida ed idratata con una crema emolliente in questo periodo. Sai, è un corso accelerato il tuo e nemmeno io so bene come giostrarmi a volte e se fai quello che ti dico, forse non sempre ti servirà, ma certamente non ti farà male. Ora vai che poi abbiamo da fare.”
Quando tornai dal bagno, lei non era nella parte privata e io mi sedetti su una poltrona nel salottino. Avevo uno specchio davanti e guardai la mia figura riflessa. Mi piacevo. Mi piaceva quell’atmosfera di perdizione che mi coinvolgeva mentre mi guardavo. Mi osservai mentre con studiata lentezza aprivo le gambe, attratta da quella ferita rosso fuoco che lentamente ora si palesava a richiesta. Mi sentii felicemente puttana, scoprendomi a riderne allegra. Forse era segno che tutto il mio mondo ora stava girando alla rovescia
Poco dopo ritornò Luana tenendo in mano il plug dorato.
“Giorgia ha già finito ed è già andata via. Voleva salutarti, ma lo faccio io per lei. Vieni. Andiamo in cucina che ho preparato il caffè ed è ancora caldo.”
Poi, dopo avermi porto la tazzina fumante facendosi più seria aggiunse:
“Hai qualche remora a continuare e ad andare avanti. Te la senti?”
Non capivo perché me lo chiedeva: le avevo già assicurato la mia collaborazione assoluta e credevo di averlo anche dimostrato. Perché me lo chiedeva nuovamente?
“No, no. Credo che ieri tu avessi ragione. Sì, Lo voglio e lo devo fare!”
Ribadii ulteriormente.
“Vieni che adesso voglio agghindarti come per una festa. Prova a metterlo da sola.”
Disse porgendomi il plug gioiello.
Mi abbassai quasi a sedermi per terra e poi lo feci entrare quasi senza sforzo alcuno, meravigliata per la facilità con cui ero riuscita ad infilarlo.
“Tu sei nata per essere la gioia degli uomini. Il tuo culo sarà un paradiso per tuo marito e chissà di quanti altri. Te l’ho detto, hai proprio una predisposizione naturale. Sai, la prima volta che l’ho preso in culo, io l’ho fatto con un mio fidanzatino. Non ho usato un plug anale e pur avendo preso tutte le precauzioni, mi è bruciato il culo per una settimana. La facilità con cui tu riesci a fare le cose è davvero sorprendente. Ora metti la maschera che andiamo di là, ma prima guardati ingioiellata.”

“Mi spiace, ma credo che ti deluderò. Oltre a mio marito, lì non entrerà nessuno. Tu sei sposata?”
Le chiesi a bruciapelo.
“Lo sono stata purtroppo. È stato lui a vendermi la prima volta. Ora ho un compagno con cui vado d’accordo. Ma ora andiamo che ci aspettano un po’ di cose da fare.”
Mi guardai dietro, sorprendendomi per la sensazione di appagamento che provavo guardando quel rubino rosso che brillava al centro dei miei glutei e senza che me ne rendessi conti mi sentii dire:
“È proprio un bel culo il mio!”
Avvampando subito dopo per la mia istintiva e non voluta sfacciataggine.
Misi la maschera, senza preoccuparmi troppo dacché non avevo sentito nessun campanello suonare alla porta.
“Sì! Hai proprio il più bel culo che abbia mai visto; bello, alto e sporgente al punto giusto. Hai un culo brasiliano da pubblicità.”
Poi si fece più seria:
“Senti, per quello che mi hai chiesto c’è tuttavia bisogno di un cazzo; di un cazzo vero.”
Mi trovai immersa nuovamente nella mia paura, con l’ormai consueta costrizione al petto e quell’affannoso smarrimento che mi faceva vacillare. Ecco quale era il problema che faceva crollare tutto. No, non potevo acconsentire. Anche se sapevo che con Francesco sarebbe finita definitivamente, non potevo acconsentire. “Lo so. Hai ragione, ma non posso farlo. Non voglio illudermi. Se lo facessi, so che in qualche modo si verrebbe a sapere e non ci sarebbero possibilità di ritorno. Piuttosto che una vita senza di lui e senza dignità, preferisco una vita senza di lui, ma con dignità. Sapevo che sarebbe successo! Grazie Luana e scusami se ti ho fatto perdere del tempo. È finita qui.”
Due grosse lacrime cominciarono a rigarmi il volto. Era davvero finita.
“Tu stai sbagliando. Non parlarmi di dignità di facciata. Il problema vero è con lui o senza di lui. Pensi davvero che sia più degno lasciarlo andare che cercare di trattenerlo qualunque sia il mezzo che impieghi per farlo? Vuoi proprio lasciare tutto adesso? Non vuoi concederti la “chance” di poter verificare se il problema può andare a posto? Perché se permane, il “menage” con tuo marito probabilmente è avviato verso una fine ingloriosa, ma se rimani e continui, puoi acquistare quell’armamentario che ti sarebbe utile per combattere la tua battaglia, perlomeno dilatando il tempo a tua disposizione surrogando quel sesso che la natura ti sta negando, con quello che potresti imparare qui e che ti sarebbe necessario per consentirti di ottenere la tua vittoria finale. Combatti per te.”
Lo capii anch’io che aveva ragione lei e su tutta la linea! Ma potevo ancora addentrarmi in quell’inferno seducente che cominciava a mettere radici dentro di me e a piacermi? Potevo veramente riporre le mie speranze in quell’azzardo, pensando di poterlo governare o ne avrei subito le conseguenze nefaste? E se fosse stato lui a governarmi? Persino a casa, nel letto accanto a Francesco che dormiva mi ero toccata al ricordo vivido di quando lei mi aveva devastato la mente con quella sua lingua e mi ero fermata appena in tempo, ritrovandomi poi con l’amaro in bocca per aver desistito, quando già avvertivo che sarei nuovamente esplosa. Cosa sarebbe successo se lui mi avesse scoperta depilata e con un plug piantato nel culo a godere masturbandomi?
“La persona a cui avevo pensato per te è un mio buon cliente ed amico del quale mi fido ciecamente e so che niente di ciò che sarebbe avvenuto tra queste mura sarebbe mai uscito da qui.”
Poi cadde nella stanza un silenzio opprimente.
Fu sempre lei che dopo una lunga pausa riprese:
“E a me non pensi? Io ho cercato di mettercela tutta e mi sono appassionata a che tu potessi vincere. Datti un’altra possibilità. altrimenti significa che non solo tu hai perso tutto, ma che io non sono stata capace di risolvere proprio niente del tuo problema. Davvero la tua morale è più importante della vita con tuo marito?” Vidi due lacrime scendere dal suo viso e capii che lei stava parlando con sincerità.
Io, in fin dei conti, non ero Giovanna d’Arco e non avevo proprio voglia morire sul rogo e contrariamente a quello che avrei dovuto fare, mi sentii mormorare incredula:
“Va bene. Proviamo.”
Ci trovammo abbracciate e sorridenti e piangenti allo stesso tempo e sentii sussurrandomi all’orecchio:
“Ora posso dirtelo. So che questo aspetto non è importante, ma come ti avevo accennato ed anticipato sono riuscita anche ad accordarmi con lui che si è offerto di pagare al tuo posto, dopo la descrizione che gli ho fatto di te, felice solo di poterti guardare, ma non te ne preoccupare, le sue tasche se lo possono permettere ed ha solo qualche anno più di te, ma la cosa importante è che ha un cazzo magnifico. E poi è vero che sono venale, ma se non l’avesse fatto lui, l’avrei fatto io, anche gratis. Anzi no; magari mi sarei fatta pagare da te in natura.” “Certo cominciava a preoccuparmi anche il costo della mia pazzia perché non è che navighiamo nell’oro e .......”
Lei mi interruppe a ridendo disse:

“Non hai che da schioccare le dita e potrei farti davvero ricca. Sai cosa succederebbe se spargessi la voce che ho una vergine disponibile? Hai idea di quanti soldi e di quanti sarebbero disposti a partecipare?”
Il suo viso era dolce ora e facendomi una carezza riprese:
“Grazie Maona, aspettami. Torno subito.”
Mi aveva chiamato Maona. Già! Maona la puttanona.
Poco dopo tornò.
“Dai, vieni e mettiti la maschera.”
Mi portò verso una delle due camere e quando aprì la porta e mi fece entrare, quasi mi prese un colpo. Proprio non me l’aspettavo! In mezzo alla stanza, nudo e con un battacchio tra le gambe che gli arrivava quasi a mezza coscia, mi stava guardando sorridendo, intento a non perdersi nemmeno una sfumatura del mio corpo. Non avevo per niente esperienza, ma quell’appendice mi appariva enorme e mostruosa.
Prendendo una sedia e spostandola davanti a lui, Luana disse guardandoci:
“Maona questo è Johnny. Johnny questa e Maona. Vieni Maona, siediti qui.”
“Piacere, io sono Giovanni, detto Johnny.”
Io rimasi un attimo di troppo intontita da quella situazione avvertendo il sangue del mio cuore martellarmi le tempie e solo dopo mi resi conto che non avevo ancora aperto bocca e ricambiato il saluto:
“Piacere ..... Maona.”
Fu solo la fortuna che mi fece trattenere solo all’ultimo istante dal pronunciare il mio vero nome e questo mi fece esalare un sospiro che Luana interpretò non proprio correttamente, ma che era solo di sollievo.
“Piace anche a te, vero? Eh, sì. Questo e davvero un bel cazzo. Sentilo, toccalo pure, non morde, sai?” Johnny era anche un bel ragazzo, con un bel corpo tonico ed atletico, ma non stracarico di palestra. Per fortuna rispondeva ai miei canoni di gradimento. Questo non era importante, ma credo che mi avrebbe aiutato molto a sopportare tutta quella situazione. Non avevo mai visto bene il cazzo di mio marito, ma sapevo per certo che non era depilato e notai subito che, come me, anche lui lo era nelle sue parti intime.
“Ma dove l’hai trovata questa meraviglia?”
Disse lui rivolto a Luana.
“Non ti far venire grilli per la testa. Per ora è solo da guardare e non toccare.”
A quel complimento arrossii fin sulla punta dei capelli e fingendo indifferenza cercai di guardare altrove, ma la curiosità mi attanagliava e per quanto mi sforzassi di mostrare indifferente il mio sguardo era sempre calamitato sul suo cazzo.
Rimasi immobile, guardandolo come ipnotizzata. Era la prima volta che avevo la possibilità di vederne uno da vicino e di poterlo osservare con attenzione.
Allungai timorosa una mano e quando lo toccai mi sembrò di prendere la scossa da quanto ero emozionata. Mi appariva più complicato di quello che fino a quel momento avevo ritenuto e diverso da come l’avevo immaginato.
“Afferralo bene con tutta la mano e palpane la consistenza.”
Era caldo. Morbido ed avvolgente. Provai ad impugnarlo come diceva Luana, stringendolo con delicatezza e sorpresa più che spaventata sentii che si muoveva, agitandosi nella mia mano.
“Ah!”
Esclamai lasciando la presa.
“No, no! Riprendilo. Anche a lui piace sentire il contatto della tua mano, non solo a te. È per questo che ora sta scalpitando.”
Lo impugnai nuovamente e guardandolo attentamente mi accorsi che si stava pian piano alzando e gonfiando; in cima qualcosa che appariva come la gemma di un fiore scarlatto cominciò a sbocciare. Guardai Luana perché non capivo cosa stesse succedendo e lei sorridendomi mi incitò:
“Vedi? L’eccitazione che trasmetti a Johnny glielo sta facendo ingrossare. Man mano che la tua mano si fa sentire e lo blandisce, lui pompa naturalmente sangue che va ad ingrossarlo ed irrigidirlo per raggiungere la condizione adatta a potersi accoppiare con te. Insomma: ora sta diventando un bel cazzo duro.”
A quel punto forse equivocai perché replicai impaurita:
“Ma io non intendo accoppiarmi!”
La sua risata argentina scoppiettò creando una atmosfera allegra.
“No, non preoccuparti. Non succederà.”
In quel momento si fece sentire anche la voce di Johnny:
“Io comunque sono pronto a sacrificarmi. Non immaginavo davvero che fossi davvero di una bellezza così sconvolgente.”
Vedendomi avvampare, Luana intervenne sempre ridendo:
“Sta zitto tu che me la spaventi ulteriormente.”
Anche se non avrebbe mai immaginato che i miei pensieri erano in quel momento più in sintonia con quelli di Johnny che con i suoi.

Johnny aveva una voce calda e particolare, con un tono che mi piaceva.
Capii anche che Luana mi conosceva molto più di quanto supponessi. Mi resi conto in quel momento che era una fine conoscitrice dell’animo umano, o quanto meno del mio, e il fatto che ora fossi lì a maneggiare tranquillamente il cazzo di una persona che non avevo mai visto lo stava a dimostrare. A dire il vero non conoscevo nemmeno bene quello di mio marito. Poi un pensiero fugace attraversò la mia mente: dovevo stare sempre in guardia e molto attenta a non farmi intrappolare: e se il suo fine fosse stato quello di far prendere a me le decisioni in modo da non poterle, poi, addossare apparentemente nessuna colpa? Mi sarei distrutta da sola! Ora basta! Stavo davvero rasentando la paranoia! Sto rovinando tutto con questo groviglio di pensieri. Ritornai alla realtà scoprendomi attaccata con una mano a quel cazzo che stavo trastullando.
Già, senza accorgermene lo stavo davvero maneggiando e quella gemma rossa ora era evidente.
“Dai, ora scappellalo!”
Cosa dovevo fare? La guardai sperando che interpretasse, nonostante la mascherina che mi copriva il volto, la mia tacita richiesta di aiuto.
“Porta la mano verso la base del cazzo e trascina indietro la pelle. Sì, ecco. Così. Ora è scappellato. Hai visto che meraviglia hai creato con le tue mani?”
“Già, perché il suo culo e la sua figa non c’entrano, vero?”
Quella battuta di Johnny contagiò anche e me e fu l’occasione per spazzare quei brutti pensieri dalla mia mente con una bella risata.
Quella gemma era ora di un rosso violetto come una grossa prugna; levigata e lucida come una grande goccia di preziosa ambra dove solo il colore faceva difetto; l’asta era rigida con tutte le sue vene in rilievo. Ero affascinata. Da quando avevo cominciato a toccarlo si era indurito ed ingrossato a dismisura. La mia mano che già prima non riusciva a congiungere le dita al pollice, ora quando lo stringeva era come serrare le dita attorno ad una lattina e il solo pensare di accoglierlo dentro di me mi faceva dubitare che fosse possibile. “Ora prova ad andare su e giù con la tua mano. Ecco così. Brava. Lo sai che gli stai facendo una sega?” Feci finta di niente, ma sapevo che lo stavo masturbando e questo mi diede un piacere recondito ed oscuro. Continuai a farlo molto lentamente, accentuando la stretta su quella prugna quando la raggiungevo e dai suoi fremiti capivo che stavo procedendo bene.
“Lo senti il suo profumo? Prova ad avvicinarti col viso. Brava. Senti che aroma conturbante?”
Già da un po’ avevo avvertito quel profumo che stava suscitando in me emozioni e turbamenti eccitanti in mezzo alle mie gambe. Anche i capezzoli mi facevano male come quando ero nei prodromi delle mie mestruazioni. Senza pensarci con la mano non impegnata mi accarezzai un seno, provando una fitta nelle profondità del mio grembo.
“Sei eccitata. Lo vedo. Ti sta piacendo eh?.”
Era vero. Me ne vergognavo, ma era vero.
“Guarda! Sta lacrimando di gioia per te.”
E vidi improvvisamente la goccia che si era formata sulla sua cappella.
La guardai sbarrando gli occhi.
“No, stai tranquilla. Non ancora. Non sta eiaculando, ma chiamala pure sborra. Anche pronunciarla così è già un piacere per l’effetto che fa.”
Era proprio vero. Sborrare aveva sempre avuto per me il suono sconcio e volgare, ma ora sentirlo pronunciare, mi aveva causato come un senso di tensione emotiva incontenibile.
“Dai, prova a gustartela. È liquido prespermatico. È per farlo scivolare meglio quando è dentro di te. Prova, su.”
“Ma con la bocca?”
“Certo. Dai, prova.”
Stringendo quello scettro con la mano, mi avvicinai cautamente sempre guardandola e feci mia quella goccia carpendola con la lingua. Non ricordo alcuna impressione sul suo gusto, ma il profumo di proibito che avvertii avvicinandomi mi ghermì all’improvviso, annebbiandomi la mente e risvegliando in me un istinto animale che mi era totalmente sconosciuto. Il cuore mi batteva forte ora, ma la paura mi aveva abbandonato. Guardavo sempre fissa Luana, attenta ad ogni sua indicazione che però non arrivò. Pia piano cominciai a leccarlo come un gelato, poi chiusi gli occhi cominciando a far affondare con fatica quel frutto rosso che ora toccava e fregava il mio palato e che a fatica e solo in parte riuscivo a contenere in bocca. La mia lingua si muoveva spasmodica e io cercando di carpire e memorizzare ogni impressione ed ogni messaggio che mi rimandava.
Avevo la bocca piena di saliva che si stava accumulando per quel mio continuo lavorio. Poi, nella concitazione di quel momento, la saliva fece breccia tra le mie labbra e traboccando copiosa; mi colò dal mento fin sul collo e sul seno. La sensazione che mi diede il fatto che Luana mi stesse guardando proprio in quel momento mi fece scoprire una forma sottile soddisfazione e di piacere esibizionistico che non credevo potesse toccarmi. “Attenta a non usare i denti.”
Quella voce mi fece come svegliare dal un sogno.

Aprii gli occhi e mi staccai timorosa da quello che stavo facendo.
Lei sorrideva soddisfatta.
“Sapevo che la tua era un’attitudine congenita. Sei una ciucciacazzi incredibile. Ora che hai rotto la diga, stai dilagando, ma ora fermati un attimo.
Poi rivolta a Johnny:
“Johnny, tu stenditi sul letto, almeno potrete stare più comodi.”
Mentre lui eseguì il suo comando, lei mi fece alzare mi diede un bacio con la lingua che io la ricambiai senza vergogna come se davvero fosse una cosa normale. Con piacere sentii la sua mano che si era intrufolata delicatamente tra le labbra della mia fica.
Poi portandosi le dita alla bocca e leccandole mi disse:
“Stai colando e sai di buono. Sei davvero impressionante.”
Sentivo di essere bagnata perché muovendomi esponevo all’aria quella mia umidità che mi trasmetteva sensazioni di freddo.
Johnny mi stava guardando estasiato e anch’io gli mandai un sorriso coperta da quella mia mascherina. “Vieni, Sali anche tu sul letto e siediti sulla sua faccia?”
“Ma gli farò male!”
“Tu non ci pensare, che gli farai solo un gran bene. Aspetta Maona. Non così, ma con le spalle alla testiera.” Scavalcai il corpo Johnny e quando scesi a gambe larghe, calando lentamente sul suo volto sentii un piacere nocivo ghermirmi al pensiero che gli stavo offrendo la visione delle parti più segrete di me stessa e che neppure io conoscevo bene. Mi stavo estasiando a sentirmi osservata e mai avrei immaginato che un simile gesto indecente ed osceno potesse darmi fremiti di emozione.
Mi mossi come cercando di accomodarmi meglio perché Johnny, tenendomi sollevato il culo con le mani mi stava già facendo sentire la sua lingua solleticandomi ed esaltando il mio stato.
“Johnny, ricordati quello che ti ho detto e tu Maona stenditi pian piano su di lui.”
Mi ritrovai nuovamente con il viso quasi a contatto del suo cazzo e proprio in quel momento avvertii che lui mi stava togliendo il plug e fu un attimo sentirmi nuovamente vuota.
“Dai Maona fammi vedere quanto sei brava.”
Questa volta lo feci golosamente e ricominciai di nuovo a portare avanti ciò che avevo interrotto. Avendo ora le mani libere, cominciai a farle vagare sul suo culo imitando quello che del resto stava facendo lui. Quando le mie dita gli accarezzarono il culo, lo sentii fremere e cominciai a fargli sentire i miei polpastrelli che premevano come ad entrare. Giocai con la lingua sulle sue palle, prendendole alternativamente in bocca per poi ricominciare tutto da capo. Sentivo la tensione salire e quando la sua lingua toccò la rosellina del mio culo, mi bloccai dalla sorpresa. Mi fermai per cercare di comprendere appieno l’esaltante eccitazione che mi dava quel tocco, cercando di assaporare appieno la sensazione incredibile di quel momento dovuto alla mia arrendevole sudditanza. Scoprii in quel istante la gioia che mi dava assecondare il mio corpo al suo piacere sentendolo rovistare dentro il mio intestino con le sue dita impertinenti. La sua lingua riprese a vellicarmi la fica per tutta la lunghezza per poi fermarsi a solleticare con le labbra la clitoride che sentivo dolorosamente gonfia, poi il lampo bianco cui anelavo irruppe quasi inaspettato nuovamente nella mia testa a sconvolgermi. Cominciai a tremare non più padrona del mio corpo che esplodeva nella gioia incontenibile di quell’eccitamento parossistico. Sì, stavo godendo. Stavo godendo fino a starne male. Non riuscivo più a governare nessun muscolo e sperai che Johnny potesse farmi prolungare all’infinito quello stato. Sperai che il mio folle pensiero, come una muta supplica gli arrivasse e rompendo gli indugi mi facesse assaporare finalmente il significato di cosa volesse dire essere chiavata. Ascoltai le mie grida penetrarmi nelle orecchie con un suono reso ovattato da quel magnifico turbamento. Nuovamente quel senso di fame d’aria mi ghermì e cominciai a rantolare respirando rumorosamente. La mia dolce agonia mi apparve lunga, ma non abbastanza perché pian piano scemò e tornai nuovamente alla realtà con la sensazione di qualcosa d’incompiuto. Sentii che dovevo restituire a Johnny la gioia che mi aveva dato e mi appropriai nuovamente con la bocca del suo scettro e cominciai a pomparlo con le gote, quasi ad aspirargli fuori l’anima. Sentii Johnny muoversi nuovamente e ora avevo le sue dita intrecciate affondate nel mio culo e le roteava, mentre alternativamente le faceva entrare ed uscire rovistando nelle mie viscere Andai avanti fino ad avvertire l’indolenzimento delle mascelle. Ora avvertivo i movimenti del suo corpo che si facevano più accentuati e accelerati e quando cominciai ad avvertire il suo irrigidimento e gli impulsi che si irradiavano dal suo cazzo lo imitai, violando veloce a mia volta il suo culo con un dito, facendolo roteare al suo interno. Fu in quell’attimo che mi sentii invadere la bocca dai suoi getti che in rapida successione mi portarono quasi a soffocarei. Quando quella marea incontenibile di sborra mi tracimò bruciante dal naso dovetti arrendermi e fui costretta a deglutirla tossendo. Fu una sorpresa scoprire il suo intrigante sapore salatino, prima di concludere con qualche colpo di tosse. Mi sentivo tutta arrossata in volto e sollevando il capo e vidi Luana che mi sorrideva. Cercai di pulirmi il volto che sentivo imbrattato dal piacere di Johnny quando lo sentii esclamare:
“È la prima volta che vedo una donna squirtare, sembrava che pisciasse. Sono tutto bagnato.”

Poi rivolto a me:
“Mi hai sborrato tutto addosso. Non mi è mai successo di essere pompato in questo modo; mi hai prosciugato anche il midollo dalla spina dorsale.”
Mi accorsi solo in quel momento che ero tutta bagnata anch’io. Che disastro avevo combinato. Barcollando, ancora tremante e instabile cercai di sollevarmi.
Lui mi guardò ancora e aggiunse:
“Sei davvero fenomenale. Posso farti una confidenza? Luana mi conosce bene e ha ragione quando dice che tu hai un talento naturale. Non mi è mai successo di sentirmi in imbarazzato di fronte ad una donna. Il mio cazzo ha sempre fatto il suo dovere, ma purtroppo stavolta Luana mi ha estorto una promessa e a te, purtroppo, non mi è riuscito di dimostrarlo appieno. Tu in ogni caso mi hai fatto sentire inadeguato e quando io facevo qualcosa per farti stupire mi accorgevo che tu eri già un passo più avanti, costringendomi a rincorrerti. E questo da una pivellina come te non me lo sarei proprio atteso; se penso che sei ancora vergine ed inesperta.......... Pensavo ad un frutto acerbo e mi hai dato l’impressione che fossi io quello col gusto agro e che doveva rincorrere. Ah! Un’ultima cosa: guarda che nel trambusto hai perso la mascherina!”
Sgranai gli occhi e mi tastai il viso.
“Aiuto! Presto, presto.”
E mi lanciai sul letto sollevando le lenzuola alla ricerca della mascherina.
La trovai finalmente e tutta appiccicosa e umida me la rimisi addosso.
“Che schifezza, sembra spalmata di gelatina! E tu, per piacere dimentica il mio volto, ti prego, io ..........” Anche Luana ridendo intervenne:
“Non preoccuparti. Tu non lo conosci, ma lui è davvero un bravo ragazzo e direi che a questo punto te la puoi anche togliere. Oltretutto mi sembrava che ti piacesse poco fa.”
Mi sentii arrossire, ma mi unii alla loro risata togliendomela, ma constatando però che ora qualcuno conosceva il mio volto.
“Confidenza per confidenza. Quando affondavi la tua lingua tra le mie gambe, ho sperato che tu sentissi il grido del mio pensiero silenzioso e affondassi davvero in me, scardinando finalmente questa mia verginità ingombrante. Grazie per non averlo fatto perché avresti trovato la strada sgombra davanti. Sono arrivata alla mia età come se fossi stata tenuta sotto una campana di vetro per scoprire che la terribile verità è che non sono gli ideali che avevo fino a ieri quelli che guidano i miei pensieri in certi momenti, ma la ricerca del godimento sfrenato e dirompente. Faccio pena, vero?”
“Non sentirti abbattuta. È logico che tu ti senta così. Fino a ieri eri come una suora laica e questa è la tua reazione per aver scoperto che la vita offre molto di più di quello che tu le hai chiesto fino ad oggi e ti senti defraudata. Stai però attenta agli eccessi nell’alto senso se davvero non vuoi diventare una viziosa. Subito avevo difficoltà a credere che potesse esistere una come te, poi ho capito che eri vera e non ho dubbi sul fatto che riuscirai a trovare la strada giusta, ma ora cerca di recuperare il tempo perduto, anzi il piacere perduto. Il toccare con mano che la vita è ben più gioiosa di quanto hai sempre pensato, ha frantumato le tue certezze e godine a piene mani ora. Io voglio farti recuperare il tempo perduto. Ti conosco solo da qualche giorno, ma ho capito chi sei e tu sai meglio di me che la virtù sta nel mezzo”.
“Già, speriamo! Però nominare la virtù in questo caso non mi suona troppo bene: non mi sembra proprio che quello che sto facendo abbia qualcosa di virtuoso; io direi che ha qualcosa piuttosto di vizioso. Aveva ragione Orazio: “est modus in rebus”; il fatto è che sto diventando anch’io un po’ troppo epicurea! Speriamo di non affondare.”
Le risposi abbacchiata.
“Affondare? Ma cosa dici. Ma se hai appena dimostrato di essere una delle rare donne che sono capaci di squirtare. Venite che andiamo a darci una sistemata in bagno.”
Ci spostammo e Luana riempì la Jacuzzi e noi finimmo per toglierci quel poco che avevamo indosso. Johnny che era già pronto non perdeva una nostra mossa per tormentarci con le sue dita non appena i nostri movimenti mettevano in mostra qualcosa di palpabile in un susseguirsi di risolini e ammiccamenti concupiscenti.
“Vedo che ti fa effetto questo gioco.”
Dissi fissandolo in mezzo alle gambe.
Lui sogghignando e guardandomi fissamente se lo prese in mano e cominciò a masturbarsi palesemente di fronte a me.
Mi sentivo ancora curiosa e mi ritrovai emozionata a guardarlo, non perdendo una mossa di quello che faceva quasi esaltata.
“Dai, fammi vedere come fai tu.”
Io mi sentii arrossire come un peperone e dentro avvertii quel subbuglio e quell’agitazione che ormai cominciavano ad essermi familiari e mi immaginai intenta ad eseguire per lui quell’ordine.
“Ma dai sciocco.”
Dissi guardando Luana che si stava accomodando nella jacuzzi e lui, ancora di rimando.

“Che figa che sei. Forza. Dai accontentami.”
Fu Luana che mi salvò:
“Che diavolo tentatore! Saltate dentro alla vasca che si sta d’incanto.”
Entrammo anche noi e ci sistemammo nella vasca. Si stava davvero bene. Chiacchierammo stancamente, parlando e rivivendo i particolari di quello che era successo prima. Poi appoggiai la testa sul morbido cuscino e chiusi gli occhi. Qualcuno nel frattempo aveva aumentato la potenza dei getti d’acqua che ora mi accarezzavano piacevolmente proprio laddove il mio ventre ancora bruciava, rinnovando il mio desiderio di lussuria. Allargai le gambe a quel piacere e poco dopo Luana mi prese la mano e dolcemente la portò al suo grembo e io con movimenti dolci e impalpabili iniziai un delicato gioco con le sue segrete labbra. Che pace! Mi sentivo bene e lentamente, senza accorgermene Morfeo mi prese tra le sue braccia. Non so quanto tempo passò. Quando riaprii gli occhi ammirai Luana che sorridendo a occhi chiusi si succhiava il pollice con voluttà come fosse quella cosa che invece già l’aveva invasa. Con le sue lunghe gambe affusolate tenute larghe e alte dalle braccia di Johnny, inerme subiva i suoi tremendi fendenti, sobbalzando e aggrappandosi a lui. Fui rapita dalla forza con cui Johnny l’apriva ogni volta che penetrava in lei per poi rinculare, uscendo quasi completamente con una irruenza impetuosa che avrei pensato dolorosa, mentre lei ne appariva appagata e felice. Il suo ventre si rimodellava ad ogni bordata riportando sulla sua superficie l’immagine di quello che in profondità la stava scavando, deformandolo ogni volta che era soggetto a quell’irruente cimento, per poi ritornare nuovamente a posto, ricominciando d’accapo.
Mi soffermai a guardare quel andirivieni ipnotico quasi con gelosia. Quanto avrei voluto essere al suo posto in quel momento! Poi la vidi irrigidirsi, spalancare gli occhi e aprire la bocca come per urlare, ma nessun suono se non un flebile e rauco ansito. Aveva il volto trasfigurato e gli occhi girati e bianchi che mostravano la sola sclera, offrendo la misura del suo piacere. Capii allora che anche le puttane godono. Lui continuò ancora per poco quella sequela, poi uscì da lei e si mise a terminare da solo finchè una serie infinita di schizzi la raggiunsero sul collo e sui seni.
“Ma guarda che magnifico stronzo. Mi ero appena sistemata e messa a posto.”
Lei tuttavia non mi sembrava per niente contrariata come avevo quasi creduto da quello che aveva appena detto e spalmandosi il seno e massaggiandosi compiaciuta quello sperma come una crema, guardandomi fissa, aggiunse:
“Vediamo di non sprecare tutto questo bendidio; sai, è ricco di proteine nobili ed è un vero toccasana naturale per la pelle. È davvero un grande. È l’unico che mi fa davvero godere fino in fondo. Ogni tanto ci vuole anche a me.”
Poi gli si avvicinò e lo baciò, lasciandomi in imbarazzo col moccolo acceso in mano.
Quando si calmarono i bollenti spiriti di tutti, chiacchierammo piacevolmente ancora per poco.
Ormai si era fatto tardi e Luana rivolta a me disse porgendomi il dildo:
“Preparati perché direi che per oggi può bastare. Domani cerca di arrivare abbastanza puntuale, che ho un po' di appuntamenti. Penso io a pulire tutto qui, anche il tuo corsetto. Ho una via preferenziale con la lavanderia a secco qui vicino. Per domani ti ho già preparato il programma, ma prima di andare devi rimetterti il plug.” Lo presi mi accosciai e con una mano, quasi senza nessuno sforzo, lo infilai tranquillamente. La vidi sorpresa. “Sei stupefacente. Dai toglilo e vediamo se riusciamo già a mettere anche quello un po’ più grande. È importante farlo però senza causarti traumi o ferite; bisogna che la pelle sia elastica e morbida, altrimenti si lacera e ti si formano delle cicatrici che poi creano poi degli ispessimenti della pelle; questi diventando più rigidi e meno elastici possono essere causa poi di penetrazioni dolorose, ma, in verità, non ho mai visto una capace di mettersi un plug come quello che hai con tanta facilità.”
Mi finii di vestire lasciando per ultime le mutandine e porsi la mano a Luana che mi allungò quello leggermente più grande che aveva già cosparso di crema.
Lo afferrai, ma con timore mi resi conto della notevole differenza con quello che avevo dentro. Rimboccandomi la gonna fin sulle spalle, mi accosciai nuovamente, sedendomi quasi a terra come prima, riuscii a togliermelo sempre con una mano sola, quasi senza fatica, poi cominciai a due mani a tentare di far penetrare quello più grande. Sforzava ad entrare e la pelle attorno a quel maglio mi si stava tendendo in modo spasmodico e bruciante, ma quando già disperavo e stavo per desistere sentendomi ormai tesa allo stremo, riuscii a fargli oltrepassare la soglia fatidica che lo fece risucchiare dentro completamente.
“Devo dire che ho fatto un po’ di fatica, ma ora sembra quasi una presenza a cui mi sento già abituata. Non mi ha creato grossi problemi. Solo un po’ di bruciore.”
“Hai proprio tutte le doti per essere una magnifica troia.”
Voltando il capo si rivolse verso Johnny:
“Johnny quanto mi daresti se la convincessi a farsi fare il culo da te?”
Infilandomi le mutandine, la guardai sbigottita.
“No, per favore non scherzare; non farmi prendere di queste paure.”
Vidi Johnny che mi stava guardando sorridendo con gli occhi lucidi.

“Ah, no! Non ci penso nemmeno un po’ a dirtelo. Non ci sto a dirti una cifra perché tu mi possa poi dirmi di no. Fissa tu l’importo che io mi fido.”
“Ma siete matti? Non mi prendete in giro, per favore. Guardate che io domani non vengo.”
Lo dissi pensando che scherzassero, ma Luana si fece più seria e non riuscivo a capire se era davvero uno scherzo oppure no.
“Senti, credo ormai che sia arrivato il tempo di capire se il cazzo ti piace oppure no e per capirlo occorre prenderne uno. Dove lo vuoi, davanti o nel culo? Io penserei che la verginità davanti, nel tuo caso, dovresti conservarla per tuo marito, ma se vuoi provare, vediamo di farti fare una bella chiavata e addio al tuo sogno romantico.”
“Ma voi siete davvero matti. Non ci penso nemmeno. Ciao a tutti.”
Mi avviai alla porta per uscire. Avevo già aperto la porta che la voce di Luana mi raggiunse appena prima che chiudessi l’uscio.
“Ok, domani a mezzogiorno e mezzo non siamo qui e ti aspettiamo. Ciao.”
Mi ritrovai sola nel corridoio, con l’animo in tumulto. A metà del corridoio chiusi gli occhi mi fermai un attimo e mi dissi:
“Calmati. Non pensare a niente. Se ti vede in questo stato, Francesco se ne accorge subito che hai qualcosa che non va. Lui non deve sospettare niente, quindi cerca di non fare la scema. Tanto domani tu non ci andrai.” Poi ancora scossa, cercando di non sculettare per alleviare quel lieve fastidio del plug, ripresi la strada di casa.

6 – UNA SCOLARA SPECIALE - IL PRIMO ESAME
Quella notte dormii poco e male. Più di una volta mi ero impedita di muovermi nel letto nonostante mi sentissi irrequieta, per non far trapelare a Francesco la mia inquietudine. Tra di noi avevamo sempre parlato molto di ogni argomento e parlavamo ancora molto, ma ora sentivo che qualcosa si stava incrinando e certi argomenti non venivano più affrontati. Era solo una sensazione, ma ero quasi certa che non fosse dovuta alla mia condizione di prostrazione per quel periodo scellerato; quella storia ci stava pian piano logorando. Quel giorno anch’io feci colazione con lui per risparmiare tempo e quando mi diede un bacio, guardandomi mesto mentre prendeva l’uscio per uscire, mi venne il magone. Non capivo bene se stavo prendendo in giro anche me, ma nonostante fossi fermamente convinta che non sarei andata da Luana nella pausa pranzo, stavo predisponendo tutto, come se avessi invece già deciso diversamente. La sera precedente avevo persino trovato il tempo per passare dal negozio di sanitari per comprare l’occorrente per fare un clistere. Era qualcosa che non avevo mai fatto e quando ero bambina, ma allora era la mamma che provvedeva con una minuscola peretta. Dovevo far presto se volevo salvare il mio matrimonio. Misi un pentolino d’acqua sul fuoco, mi tolsi il plug anale che non creò alcun problema e preparai l’occorrente per la mia lavanda intestinale. Quando infilai la cannula, immaginai che quell’appendice lunga e sottile potesse essere qualcosa di diverso e mi scoprii a immaginarne l’effetto pensando che fosse qualcosa che il giorno prima avevo anche già assaporato che non era poi così mortificante come ricordavo; anzi tutt’altro. Passai tutta la mattinata in negozio a ripetermi che no, non ci sarei andata! E quando arrivò l’ora della mia pausa, ruppi gli indugi con me stessa e accettai la verità che in fondo avevo sempre conosciuto, ma che fingevo, da atavica moralista, di considerarla come una macchia e un disonore anziché la mia unica ancora di salvezza.
Quando suonai alla porta venne Luana ad aprirmi col solito camice bianco. Ci guardammo immobili e silenziose sulla soglia un attimo di troppo, ambedue col cipiglio severo. Non ci eravamo nemmeno salutate. Stanca entrai senza dire una parola e mi diressi verso la camera da letto, entrando nella zona privata. Tutto era in ordine, con sul letto il mio corpetto stirato e profumato di pulito e un paio di calze nuove. Aveva già preparato tutto. Cominciai a spogliarmi, mentre lei mi guardava appoggiata alla porta della camera e quando fui nuda le rivolsi un’occhiata incrociando i nostri sguardi. Indossai il corsetto e le calze, regolando bene che la riga dietro fosse diritta. In quell’attimo sentii suonare, ma lei non si mosse e non mi mossi neppure io; non volevo darle la soddisfazione di mostrarmi titubante, manifestando il mio cambio di umore. Poi mi sedetti sulla sponda del letto e calzai le scarpe.
“Avrei bisogno del gioiello.”
E accosciandomi tolsi quello che avevo senza alcun problema, lo fasciai in un fazzolettino e glielo diedi. “Questa mattina mi sono fatta una lavanda.”
Lei apri un cassetto lo prese e me lo porse mentre io ero ancora china, lo inumidii mettendolo in bocca e in un attimo lo sistemai.
Quando mi rialzai mi fermai immobile davanti a lei e ci ritrovammo a guardarci fisse negli occhi.
Non riuscimmo a guardarci per più di una manciata di secondi perché, come se ci fossimo segretamente accordate, cominciammo a ridere e abbracciandoci ci scambiammo un lungo e lascivo bacio.
No, non era lascivo. Quel bacio tra noi aveva acquistato un significato diverso. Quello scambio di lingue e salive era il nostro modo di dimostrare all’altra tutta la nostra affinità affettiva, offrendoci a vicenda la nostra intimità, anche se poi il risultato finale, almeno per me, era quella di farmi gonfiare i capezzoli e risvegliare in me un ignoto prurito tra le gambe. In effetti, forse un po’ di lascivia c’era in quel bacio.
“Aspetta. Siediti un attimo alla toeletta e girati verso di me.”
Prese un beauty case e lo posò accanto a me sul ripiano di vetro.
“Ti ho tolto tutto il rossetto e dobbiamo rimediare.”
Il rossetto tuttavia fu l’ultima cosa che mi sistemò e dopo parecchi minuti:
“Ecco, ho finito. Guardati!”
Mi guardai stralunata. Ero uno schianto.
“Non immaginavo davvero che fossi così brava.”
Le mie labbra erano rosse come il fuoco. Io non avrei mai comprato un rossetto così, ma era terribilmente accattivante e mi stava bene; dava vivacità e un’aggressività rapace al mio volto.
“Ma come hai fatto?”
Sentii ancora suonare alla porta, ma lei non parve aver udito e anch’io ignorai la cosa.
Gli occhi poi, erano il suo capolavoro. Aveva sfumato il nero sulle palpebre in ombre magistrali. Non rendendoli più scuri, ma più penetranti ed intriganti; direi più viziosi, e con quelle sfumature di ombretto dorato, dosate con quello blu pastel, mi vedevo come una principessa egiziana in attesa di compiacere il faraone. Aveva dosato le sfumature del trucco rendendomi il viso più affusolato. Non sembravo più io e di certo l’aspetto d’insieme non era certo peggiorato. Indossando la mascherina avrei coperto una buona parte del mio viso. Peccato! Arrivai a pensare che con quel trucco nemmeno io avrei saputo riconoscermi se mi fossi avventurata

di là, senza la mascherina, ma abbandonai subito quella balzana idea che scomparve dalla mia mente con la stessa velocità con la quale mi era venuta.
“Siamo pronte? Mettiti anche la maschera che possiamo incrociare altre persone.”
“Dammi una mano a indossarla. Ho paura di sbavarmi il trucco.”
“Ecco fatto; andiamo.”
Quando entrammo nel salottino sentii provenire dall’altra parte un vocio allegro e scherzoso. Ma chi c’era? Luana aprì la porta sulla reception ed ebbi subito l’impressione di una gran quantità di persone e fui nuovamente sopraffatta dall’agitazione e dalla paura.
“Buongiorno signori questa è Maona.
Maona questa è Carmen.
Questa è Nancy.”
Ad ognuna stringevo la mano che mi porgeva e rispondevo:
“Piacere.”
Mi accorsi subito che io ero la più discinta; le altre due ragazze avevano sì una mise che si accordava con la mia, ma per quanto ridotti, ognuna aveva degli eleganti string a coprire le nudità.
Johnny lo conosci già e questi sono Il dott. Martelli e il prof. Klauster, miei buono amici.
Notai subito che tutti e due mi stavano guardando in modo impertinente una sola cosa.
Subito dopo, però, mi dovetti ricredere quando il prof. Klauster mi accarezzò un seno, stringendomi un capezzolo.
“E dire che io di seni ne vedo tutti i giorni, ma per vederne uno uguale bisogna andare a scomodare Venere sull’Olimpo. Il tuo è davvero perfetto.”
Fu Luana a fornirmi il chiarimento.
“Il professore è un emerito chirurgo senologo e di tette se ne intende.”
Mi ero voltata di spalle e lui si accorse del mio plug anale.
“Son diventato senologo perché mi piaceva toccare le tette, ma anche fare il proctologo non sarebbe stato male e mi diede un buffetto su una chiappa per poi stringarla chiudendo le dita attorno alla mia carne che finì per essere una palpata licenziosa con la scusa del mio gioiello.
Mi ritrovai immedesimata e a mio agio in quel mio Salon Kitty, come se l’avessi sempre fatto.
Poi, come ad un silenzioso segnale ognuno si diresse verso il proprio paradiso e io, con Luana e Johnny mi diressi verso il mio inferno. Johnny si sedette sul letto e guardandomi mi chiese di togliermi la mascherina. “Dai, voglio vederti bene.”
Quando lo feci rimase a bocca aperta.
“Che meravigliosa creatura. Sei perfetta.”
Mi tolsi il plug con facilità e visto che c’era del disinfettante, lo lavai, lo asciugai con un kleenex, irrorandolo con la soluzione disinfettante per poi posarlo diritto senza più toccarlo sulla mensolina del lavabo.
Quando mi girai anche Luana si era levata il camice e aveva addosso un magnifico completo di pizzo che con le sue trasparenze era pressoché inesistente e guardandomi aggiunse.
“Vedi? È questa la lingerie che mi piace.”
“È molto bella davvero!”
“Dovresti tenere anche tu qualche “boite a desir” di Aubade nel tuo negozio.”
Mi sedetti sul letto accanto a Johnny che ne approfitto subito per carezzare l’interno della mia coscia, mandandomi fremiti che subito mi fecero risvegliare e lievitare i capezzoli che ora sembravano due pollici rosa. Johnny si alzò, andò a lavarsi le mani e poi con calma, guardando ora me ora Luana, cominciò a spogliarsi sorridendo.
Fu la volta di Luana a sedersi sul letto accanto a me e parlandomi sottovoce, ma non tanto, in modo che anche Johnny potesse sentire, guardandomi aggiunse:
“Lo so che tutto questo per te vuol dire dare un taglio con quello che sei stata fino ad oggi, ma vedrai che tutto andrà bene. Non aver paura, ci sono anch’io e so quanto questo sia penoso per te.”
Sì, aveva ragione. Per me era penoso, ma quello che non sapeva era che in quei pochi giorni passati da quando l’avevo vista per la prima volta, mi avevano trasformato dentro ed era come se fossero già passati anni da quando avevo conosciuto Luana. Ora volevo con impazienza che tutto si compisse. O meglio: quasi tutto; purtroppo tutto non poteva compiersi, ma ora nella mia voglia di sapere era subentrata con tenacia anche la mia curiosità morbosa. Lo volevo sapere come donna, non come implicazione morale che poteva ripercuotersi su di me. Sentivo che quella barriera era già stata superata anche se cercavo di negarlo. Compresi che ero curiosa di assaporarlo, ma solo come atto sessuale.
Com’ero cambiata! Il sesso non mi era mai stato familiare e anche per mio marito era qualcosa di poca importanza a cui comunque io tendevo e avevo manifestato interesse, ma solo per canonico dovere coniugale nei suoi confronti. Solo che ora, pur non avendolo mai assaporato, lo volevo per pruriginosa curiosità.
Poi lei mi fece sdraiare sul letto.

“Sei bellissima.”
Mi forzò ad allargare le gambe e io chiusi gli occhi.
“Non chiudere gli occhi. Guardati.”
Aprii gli occhi e mi guardai sul soffitto che rimandava la mia immagine e, sempre acquattata su di me con gli occhi puntati al soffitto, incrociai i suoi che famelici e sorridenti mi fissavano. Poi, sempre guardandomi, si avvicinò fino a farmi sentite il suo respiro sulle carni umide e facendo avanzare la lingua cominciò ad intrufolarsi golosa dentro di me. Chiusi gli occhi posando le mie mani sul suo capo cercando di aumentare quel torbido contatto.
Strinsi le gambe imprigionandola, e quel vortice fece piazza pulita dei miei pensieri e delle mie remore, tendendo il mio corpo fremente nell’attesa di quel lampo accecante che da poco Luana mi aveva fatto scoprire. Mi sentivo partecipe in quella tenzone. Sentii improvvisamente due mani calarmi sui seni e stringermi i capezzoli.
Johnny!
Mi piacque quando la sua bocca me li morse alternativamente fino a farmi sentire quella dolorosa sensazione che mi si rivelava là, dove Luana stava vorticando la sua lingua. Mi stava piacendo ciò che facevo. E ora, senza più provare vergogna, stavo partecipando.
Pensai con pena a Francesco, ma lui subito scomparve quando quella spirale viziosa cominciò a farmi sentire i suoi prodromi e mi misi in attesa che mi esplodesse in testa quel bagliore sorprendente.
Poi tutto si fermò.
Aprii gli occhi sbarrandoli.
Johnny e Luana si erano staccati da me.
“No, vi prego. Non lasciatemi così.”
Mi sentii piagnucolare.
“Vi prego. No, no. Non mi fate questo. Non potete!”
Mi sentii sballottare.
Poi vidi Luana impadronirsi della mia bocca e cominciare a baciarmi.
Le risposi in preda all’ansia, con la speranza che potesse farmi arrivare alla conclusione che qualche istante prima mi stava assalendo rapidamente.
Avvertii le mie cosce sollevarsi e due paia di braccia robuste che le tenevano sollevate.
Luana mi parlò con la bocca appoggiata al mio orecchio e mi sussurrò:
“Ecco, questo è il momento. Distenditi. Non essere tesa. Prova a spingere quando senti che Johnny prova ad entrare; come se volessi espellere qualcosa.”
E subito dopo sentii Johnny appoggiarsi dove prima c’era il mio gioiello. Lo sentivo spingere e arretrare e avvertivo che stava lentamente entrando forzandomi. Attendevo il dolore che sapevo sarebbe arrivato. Stringevo la mano di Luana e quando sentii l’inguine di Johnny appoggiarsi alle mie chiappe capii che era tutto dentro. Mi meravigliai di quello che era successo. Non era stato affatto doloroso. Non ho idea di quanto tempo passò, e mi ritrovai con Johnny che ora mi stava assestando pesanti colpi che ero contenta di ricevere e mi scoprii a muovermi all’indietro e ad andargli incontro, rinculando col suo stesso impeto. Capii che il mio piacere era quello di sentirmi alla sua mercé e il sentirmi sottomessa e scardinata mi fece comprendere appieno il senso del piacere che avvertivo in quel momento. Fu nell’attimo in cui sentii il mio sfintere trasmettermi le sue pulsanti contrazioni che mi irrigidii cercando di intrappolarlo come per impedirgli uscire da me. In quel momento presi coscienza che lui mi stava inondando gli intestini con il suo seme e compresi appieno che mi piaceva quella totale sottomissione.
Forse fu la grandiosità di quel pensiero a farmi esplodere e ciò cui bramavo mi strinse con la sua mano possente e mi fece esplodere finalmente quel lampo sconvolgente che poco prima mi era mancato. Mi sentii come premere da una benefica e incontrollabile pressione che era tanto forte da rimpicciolire il mio corpo alla sua essenza, dandomi la sensazione di allontanami da me stessa e guardarmi come spettatrice tutta quella scena, ma nulla rispondeva più ai miei comandi. Ritornai alla realtà con ancora il respiro concitato e con i polmoni che reclamavano ancora più aria.
Poi anche Johnny si staccò.
Ci guardammo e mi chiese:
“Ti ho fatto male.”
Mi sentii arrossire.
“Proprio per niente. Me lo aspettavo, ma .... ma mi son sentita solo tendere molto forte la pelle. Non mi hai fatto male, anzi .........”
Aggiunsi con un risolino seducente e vergognoso.
“Ho solo un fastidioso bruciore, ma credo che sia dovuto al fatto che io, il culo, non l’ho mai usato in questo modo. Quello che non sapevo e che pensavo impossibile era che non credevo proprio che si potesse godere

col culo. Pensavo che fosse solo un piacere mentale nel sentirsi come una preda in mano al proprio carnefice che poteva farmi qualsiasi cosa; insomma, un godimento solo mentale e invece .......”
“Che gioiosa troia. Mi sei costata, ma ne è valsa davvero la spesa. Sei il più bel culo che abbia mai riempito. Stretto e morbido come un guanto. Con una pelle che sembra velluto. Una carezza.”
Spalancai gli occhi guardando Luana e le dissi:
“Ma mi hai venduto? Ti sei fatta pagare?”
“Lo credo bene! Cosa credevi che gli lasciassi sverginare il tuo culo gratis? Non preoccuparti che facciamo fifty-fifty.”
Ora sì che ero una diventata una puttana, ma una puttana vera; una di quelle che lo fanno per soldi e, come diceva la signora Gianna, eccomi trasformata in una corpivendola.
Sentii una vergogna immensa, ma anche un intimo pensiero di compiacimento per quanto era successo. Ora tornare indietro non era più possibile e anche quel “gioiosa troia” con cui mi aveva chiamato Johnny, mi risuonava quasi come un complimento straordinario.

7 - UNA SCOLARA SPECIALE - IL GIORNO DELLA VERITA’
Il giorno dopo mi svegliai tutta sudata col pensiero che ora ero diventata una laida bagascia per davvero. Peraltro quel nascosto ed incredibile senso di soddisfazione interiore che continuavo a provare mi faceva stare ancora più male. Avevo il groppo in gola a quella sensazione! Per non parlare poi del bruciore insistente al culo che non mi era minimamente passato, anzi sembrava aumentato e quel fastidio rimaneva lì, come un monito, a ricordo delle mie malefatte. Che gran pasticcio avevo combinato. Il non sentirmi più intatta per Francesco mi creava un gran disagio e mi faceva sentire in colpa ed abbattuta. Se poi pensavo che mi avevano anche pagata ........ Sentii le lacrime cominciare a scendermi sul viso. Fu così che mi trovò Francesco quando aprì gli occhi.
“Rosa, amore mio, ma cosa fai? Che ti succede?”
Accese l’abatjour, si sedette sul letto e facendomi una carezza, col pollice mi asciugò la lacrima che scendeva a rigarmi il volto.
“Che mi succede? Ma non vedi che sta andando tutto a rotoli. Lo so che tu ne hai già le scatole piene di una come me.”
“Ma cosa stai dicendo sciocchina. Pensi che basti così poco perché io possa fare a meno di te. Ma non hai ancora capito che tu sei la mia vita e che lo sarai per sempre. Cosa ti prende? Non mi conosci ancora? Ti ho davvero dato questa impressione? Vedrai che passerà anche questo momento e fra qualche tempo ci rideremo pure su al ricordo.”
“No, io non ti merito. Io non ti merito più.”
E scoppiai in un pianto dirotto, nascondendo il mio viso sulla sua spalla. Fui tentata in quel momento di confessargli tutto, di liberarmi la coscienza e porre fine a tutta quella storia equivoca e che mi avrebbe irrimediabilmente condannata per sempre ai suoi occhi. Ma in quel mentre, muovendomi, la camicia da notte mi si aprì e lui ne approfittò per accarezzarmi il seno che svergognatamente aveva rotto gli indugi e fatto capolino dalla mia scollatura. Fu come un’eccitante frustata. Mentre io attenuavo i miei singhiozzi, lui prese ad accarezzarmi con la mano larga quella tetta, stringendomi a forbice il capezzolo tra l’indice e il medio che cominciò a gonfiarsi e spingere, sporgendo irto e già dolorosamente tronfio. Era la prima volta che ci eravamo spinti tanto in là con le carezze. Sentii il desiderio irrefrenabile di baciarlo e lo indirizzai, chiudendo gli occhi, alle mie labbra, guidando dolcemente la sua nuca verso di me. Fu come un’esplosione silenziosa che mi deflagrò in mezzo alle gambe dove già mi sentivo ribollire. Ero stupita; non ci eravamo mai baciati con tanta dirompente e lussuriosa bramosia. Sentii che stavo allargando inconsciamente le gambe e presa da una voglia irrefrenabile, mi impossessai della sua mano portandola sul mio grembo. Io avevo l’abitudine fin da piccola di dormire senza slip, ma il terrore si impossessò di me quando mi ricordai improvvisamente di essere depilata a sua insaputa.
“Non senti niente di diverso nella mia cosina?”
Gli sussurrai azzardando all’orecchio e cercando di parare il colpo in qualche modo.
“E cosa dovrei sentire?”
Mormorò lui con un fil di voce, rapito e beato, con gli occhi chiusi.
“Che lì sotto mi sono fatta barba e capelli, che mi sono depilata. Lo sai che la nonna mi diceva che dormire senza le mutandine era tanta salute per la mia farfallina e la salvava da malattie e infezioni, allora ho provato anche a togliere un po’ di peli. Non si sa mai, potrebbe anche far bene per quell’altra cosa.”
Avvertii che ora mi stava palpando con attenzione. Per un attimo sentii anche le sue dita entrare laddove non si erano mai addentrate. Lui si staccò e sempre tenendomi la mano a palparmi la fica e l’altra aggrappata alla mia tetta, mi guardò col suo sorriso aperto e mi disse:
“Sei umida. Ti prego, mi fai vedere come sei fatta lì sotto?”
“Ma sei matto? Non si fanno queste cose. Sono sconcezze.”
“Sì, lo so. Noi le abbiamo sempre considerate così, ma io non posso pensare che sia pernicioso il grande desiderio che ho di conoscere ogni centimetro di te.”
Magari ci conoscessimo anche noi, pensai e subito mi vennero in mente le mie suore e Adamo ed Eva. Loro mi avevano insegnato il significato biblico di conoscersi, estendendone il significato alla procreazione. Certo anch’io volevo conoscere una buona volta mio marito, ma io, più volgarmente, volevo solo che mi chiavasse e mi facesse godere con lui. Com’ero cambiata in pochi giorni!
Non c’era mai stata un’intimità così spinta tra di noi e per fortuna non aveva sospettato niente sulla mia depilazione. Però aveva ragione, anch’io morivo dal desiderio di vederlo. Gli rimandai il mio sorriso e alzandomi dal letto sempre guardandolo mi avviai alle finestre chiusi la sua abatjour e alzai le tapparelle allagando la stanza alla luce del mattino. Poi mimando una danza che voleva essere sensuale, ma che probabilmente risultò solo goffa, mi sfilai la camicia da notte rimanendo nuda per la prima volta a farmi ammirare da lui in piena luce. Senza vergogna apparente, ma avvertendo il tremore diffuso dall’emozione e lasciai che mi guardasse.

“Sei bellissima.”
Mi guardò affascinato, poi si avvicinò a me, mi abbracciò e ci baciammo nuovamente con l’ardore di una fiamma che avvertivo inestinguibile.
Mi resi conto dai suoi movimenti che con fatica, sempre baciandomi, lui stava faticosamente liberandosi del suo pigiama. Quando smise di agitarsi capii che ora eravamo tutti e due nudi. Ora era l’eccitazione che ci faceva tremare tutti e due. Gli guardai il cazzo e lo vidi finalmente bene per la prima volta. Era maestoso. Lo osservai attentamente e mi fu implicito paragonarlo a quello di Johnny e nel confronto non mi sembrava proprio che ne uscisse perdente. Mi pareva anche esteticamente più bello; aveva una forma curva verso l’alto che gli dava imponenza. Mi sentivo colare e portai una mano a tastarmi, ma trovai la sua ad intercettarmi e continuammo insieme in quel gioco a rimpiattino, finché agguantai anche qualcosa che non avevo mai bramato così tanto. Ora era mio e lo sentii vibrante tra le mie dita, gonfio e turgido come non mai. Era bellissimo stringerlo ed era solo mio, ma così grande forse mi avrebbe davvero scardinato.
Staccai il mio corpo da lui tenendomi sempre lo scettro stretto fra le dita, lo costrinsi a sdraiarsi sul letto. Lui faticava a guardarmi e a sostenere il mio sguardo mentre lo tenevo in tensione e chiuse gli occhi. Da buona scolara, ricordai ciò che Luana mi aveva insegnato e dopo averlo scappellato cominciai a farlo affondare nella mia bocca che allargai il più possibile, nella speranza vana di farlo entrare tutto.
“No, no. Non così. Ti prego.”
Mi fermai improvvisamente.
“Perché non ti piace quello che sto facendo?”
“No, non è quello. Mi piace immensamente, ma non voglio che tu possa sentirti umiliata.”
“E pensi davvero che io possa sentirmi umiliata a fare qualcosa che a te, come hai detto, piace immensamente? E se piacesse anche a me?”
“Ma queste sono cose che fanno le donnacce ....”
“E io sono una donnaccia?”
“Ti prego, non confondermi. Tu non sei per niente una donnaccia, ma .......”
Ma questa volta guardandolo malignamente con occhi insinuanti e facendomi guardare affondai la mia bocca sul suo cazzo e cominciai a pomparlo predace. Il gusto e l’odore di sesso che stavamo esalando, mi stavano facendo ubriacare.
Lui mi guardava estasiato e io cercavo di superarmi succhiandolo meglio che potevo. Lo affondavo il più possibile nella mia bocca e poi uscivo per leccarne la lunga asta come un gelato, passando a gustare uno per uno i suoi gonfi testicoli, per poi ricominciare, mulinando la lingua attorno al frenulo, facendolo affondare nuovamente nella mia bocca. Quando cominciò ad agitarsi sul letto capii che era quasi giunto il momento. Lo sentii arrivare prepotente, avvertendo in bocca le sue contrazioni. Mi lasciai riversare sul palato i suoi primi schizzi, per poi farlo terminare sul mio volto e sui miei capelli. A quel punto lo costrinsi con la mia mano a concludere quell’esplosione con una sega.
Lo guardai mentre godeva: era bellissimo. Lo faceva senza articolare una parola, solo ansando forte, con gli occhi che guardavano, ma non vedevano. La sua sborra odorava di muschio; aveva qualcosa di selvatico, ma allo stesso tempo era acidula, con una consistenza densa e collosa.
Quando ritornò dal suo stato di beatitudine, mi guardò serio.
“Sei stata grande, Rosa. Sei proprio come ho sempre sognato che tu fossi.”
“Intendi dire che mi hai sempre sognato come una porca?”
Gli dissi ridendo, facendolo arrossire come un peperone.
“È così che avrei voluto che fossi, ma non l’avrei mai sperato e non credevo che lo saresti mai stata. Anzi, ho sempre pensato che realizzare ciò che tu hai realizzato, non sarebbe mai stato in sintonia con la nostra vita. A dire il vero pensavo al nostro modo di fare sesso come ad una cosa calma e normale, con una certa monotonia, ma tu mi hai davvero sbalordito. Tu sei proprio travolgente.”
“E se vuoi puoi chiamarmi Bocca di Rosa anziché solo Rosa.”
Ci facemmo una risata insieme, tenendoci stretti per la mano.
“Senti, se io mi prendessi la giornata di ferie, tu potresti chiamare la signora Elisabetta a che ti sostituisca in negozio?”
Lo guardai con gli occhi che mi brillavano. Presi il cellulare, la chiamai e per fortuna la trovai disponibile. Sentii lui telefonare in ufficio nell’altra stanza. E quando lo vidi ritornare sorridente capii che era fatta. Lo baciai con ancora la bocca che sapeva della sua sborra e mentre lo facevo, con la mano mi ero già impadronita del suo scettro che ora aveva la consistenza di una grossa polpetta, ma sapevo bene come fare per riportarlo al suo splendore. Lui mi guardò felice e con un fazzolettino cominciò a togliermi i grumi di sborra che avevo ancora fra i capelli e sul viso.
“Forse è meglio se ti fai una doccia. Non è molto efficace il fazzoletto per togliertela bene. Non capisco perché l’abbiamo fatto solo ora. In effetti non è cambiato niente, ma sapessi come mi sento felice oggi con te.” Come potevo dirgli che era tutto merito di Luana.

“Vieni ho voglia di caffè. Non abbiamo ancora fatto colazione e per la doccia c’è ancora tempo.”
E tutti nudi ci dirigemmo verso la cucina.
Facemmo colazione seduti uno di fronte all’altra, ma senza alcuna vergogna e mi fu normale allungare il piede e solleticargli il cazzo con le dita dei piedi. Ci ritrovammo nudi, sul letto come se fosse stata la cosa più normale di questo mondo, uno accanto all’altra, tenendoci per mano a chiacchierare su quegli ultimi grandiosi avvenimenti. Era da qualche giorno che avevo la sensazione di qualcosa di diverso; come se tutto fosse tornato a posto, ma avevo un timore scaramantico a provare. Poi cominciai a palpargli il cazzo con delicatezza e lo sentii pian piano lievitare nelle mie mani. Avvertimmo tutti e due che l’atmosfera stava nuovamente cambiando. Lo guardai crescere e gonfiarsi pian piano. Il confronto con quello di Johnny mi ritornò nuovamente istintivo e devo dire che mentre lo stavo gioiosamente manipolando, quel confronto che intimamente sapevo a favore di Francesco, mi rendeva felice.
“Sai? Il mio desiderio più grande era avere una donna accanto come te, ma ne avevo una paura matta perché le donne così pensavo fossero pericolose. Io ti conosco bene e oggi mi hai fatto l’uomo più felice di quanto tu possa immaginare.”
Fu allora che mi ripetei e azzardando usai con lui un vocabolario che non ci era usuale:
“Tu mi vuoi davvero puttana?”
Lo vidi nuovamente arrossire.
“Sì. Volevo una puttana, ma solo per i miei sogni, ma sapevo bene che se mia moglie fosse stata così davvero, avrei probabilmente avuto una vita piena di pene. Quando ho conosciuto te, ho subito capito che saresti diventata mia moglie perché sono felice quando sono con te e non ho bisogno di parlarti per farti capire i miei pensieri. Sono certo che tu sarai la madre dei miei figli, anche se mai avrei pensato a te come una da dover condividere con altri e oggi sei stata una meravigliosa sorpresa.
“Perché? Vorresti davvero condividermi con altri?”
Gli dissi sorridendo e lui, di rimando e sorridendo:
“Non fare la gnorri che hai capito benissimo. Oggi in te io ho scoperto la donna ideale che non sapevo neppure io di aver sposato.”
E ci sciogliemmo in un bacio che casto non era, ma romantico a tal punto da far accelerare il battito dei nostri cuori che ci risuonavano come un rombo nelle orecchie. Mi allungai aprendo il cassetto del comodino e presi il tubetto di crema. Lo avevo messo lì ancora prima di sposarmi, ma non mi era mai servito. Me ne spalmai una buona dose, per quanto potevo anche dentro la fica che già trasudava umori in quantità. Non so perché, ma ero fiduciosa che quegli spasmi che mi avevano avvelenato la luna di miele e quegli ultimi tre mesi, fossero scomparsi per sempre, ma se non era vero sarebbe stato troppo atroce.
Il suo cazzo era bello, duro e arcuato verso l’alto: un vero spettacolo degno di Priapo. Spalmai anche lui, mentre Francesco mi guardava. Il momento era giunto e mi sentivo tesissima. Mi stavo domandando sa sarei riuscita a farlo stare tutto dentro, ma soprattutto se quei dolori mi avessero ancora aggredito mi dissi che sarebbe stato meglio morire. Mi sollevai e mi misi a cavalcioni su di lui guardandolo. Ci trovammo a guardarci senza dire una parola per un tempo infinito, col rimbombo assordante del cuore che mi martellava le tempie. Poi guardai il suo cazzo che ora mi faceva vedere tutte le sue vene come scolpite e in rilievo; lo presi con una mano, ma era troppo grande allora aggiunsi anche l’altra, mi sollevai sulle ginocchia e lo posizionai sulla mia fica. Trovò subito da solo l’ingresso e pian piano cominciai a farlo entrare, abbassandomi. Ancora niente. Quando avvertii come delle punture di spilli, mi fermai risollevandomi lo feci quasi uscire. Mi parve però che ne fosse già entrato più di quello che supponessi e non avevo provato nessun spasmo come in passato. Riprovai ancora a scendere e questa volta affondai di più e allora ripetei ancora e ancora e quelle punture di spillo pian piano cominciarono a scemare, lasciandomi la sensazione di un’intima felicità. Quando mi alzavo sulle ginocchia per farlo uscire ora lo vedevo tutto intriso dalle mie secrezioni che lo avvolgevano; lucido e biancastro, ma anche striato di rosso: ecco non ero più vergine. Mi esplose il cuore e allora ruppi ogni indugio e mi lasciai scendere su di lui facendo entrare tutta quella lunga spada in profondità a forzarmi. Non sentii il dolore lancinante che credevo, ma rimasi senza fiato dalla sorpresa di essere finalmente arrivata in fondo. Avevo la percezione anche visiva che ora era tutto dentro. L’effetto era solo un leggero bruciore, ma una sensazione di pienezza nella mia carne che sentivo tesa e piena e che mi faceva sentire, insieme a Francesco, come un’unica entità. Ora eravamo davvero uniti in un corpo solo. Senza rendermene conto, ora davo colpi poderosi perché mi entrasse dentro sempre di più. Non me lo aspettavo quando arrivò, ma riconobbi subito il lampo ed ogni mia cellula esplose di gioia in quell’attimo. Avevo perso, come le altre volte, il senso dell’equilibrio e non sapevo definire se ero o meno capovolta. Sentii l’aria mancarmi e mi ritrovai impaurita al rumore del mio rantolo per inspirare più aria perché i miei polmoni ne richiedevano ancora di più. Sentii la mia risata rimbombarmi nelle orecchie e udii la mia voce che gridando mi penetrava nelle orecchie:
“Ancora, ancora. Non ti fermare. Ti prometto che sarò sempre la tua puttana.”
Ma non potevo essere io quella che gridava.

Non capivo più niente, avevo perso qualsiasi appiglio con la realtà e quando pensavo che tutto si stesse attenuando, la gioia mi accarezzò un’altra volta, col suo lampo abbagliante che mi ricacciò in quel labirinto dal quale non ero più capace ad uscire. Ogni volta che finiva, quel sole bianco abbagliante mi tornava a ghermire, sconvolgendomi e ricacciandomi in cima al precipizio per poi scagliarmi nuovamente giù con violenza in quel turbine.
Mi ritrovai stesa su Francesco che sembrava dormire, tutta bagnata di sudore; o forse non era solo sudore? Sentivo le gambe tremare, ma non riuscivo ancora a governarle. La spossatezza che mi aveva presa d’assalto mi permetteva appena di aprire gli occhi con fatica. Vidi Francesco aprire gli occhi e guardarmi; feci uno sforzo per sorridergli e con un filo di voce gli mormorai:
“Che te ne pare? Credo di aver superato la prova, vero?”
“Sei incredibile. Mi sento uno straccio.”
Poi cercò di farmi muovere da sopra di lui e capii che, anche se ora ero tutto finito, il suo scettro, per quanto si fosse ridotto, era ancora dentro di me. Quel pensiero mi fece ridere.
“Ora puoi anche riprendertelo.”
Con una mano lo feci uscire del tutto e fu come togliere il tappo ad una bottiglia perché mi resi conto di essere immersa in un’incredibile profusione di umori.
Che pasticcio avevo combinato. Mi era successo un’altra volta.
“Presto Francesco alziamoci che abbiamo quasi allagato il letto. Dobbiamo pulire tutto. Speriamo che le traverse abbiano salvato almeno i materassi; li abbiamo appena comprati e pagati un occhio.”
Con fatica dopo circa mezzora eravamo seduti in salotto ancora tutti nudi ed esausti.
“Meno male. I materassi erano appena umidi. Speriamo che una volta asciutti non restino aloni. Accidenti, non sapevo di aver perso anche tutto quel sangue.”
“E già carina. La colpa è tua. Dovevi deciderti prima a perdere la tua verginità.”
“Ah, è vero. Ora non sono più vergine.”
Ci guardammo e scoppiammo a ridere a crepapelle.
“Te l’avevo detto che ci avremmo riso su. Vedi? Sei stata incredibile. Quando ho capito che stavolta tutto era a posto, devo dire che avevo paura di non essere all’altezza di farti felice.”
Ero felice e sapevo che lui era come me: ora però dovevo sbozzarlo.
“Con farmi felice intendi dire farmi godere?”
“Sì, ma quando ti ho visto godere, ho continuato a .... a .....”
“A chiavarmi?”
“Sì, a chiavarti e ho continuato ancora per dieci minuti, mentre tu straparlavi e ..... Non so cosa sia successo. Sembrava che tu te la stessi facendo addosso, ma non era pipì, sembrava acqua e non aveva neppure odore, ma tu non la smettevi di urlare e godere. Poi è toccato anche a me di godere e poi l’emozione e la paura mi hanno tolto ogni forza.”
Allora mi aveva sborrato dentro.
Senza che me ne rendessi conto, mentre lui mi guardava mi passai l’indice e il medio sulla fessura della mia fica e poi le portai alla mia bocca.
Lui mi guardò e aggrottando gli occhi si mise a ridere.
“Ma non ti fa schifo?”
Risi anch’io ed esclamai:
“Sai di buono.”
E rincominciammo a baciarci.
Quel giorno non mangiammo né a pranzo né a cena, ma ogni tanto, per prendere respiro ci ritrovavamo davanti al frigorifero o alla dispensa a sgranocchiare biscotti, Kinder e grissini.
E fu quel giorno che realizzammo anche il nostro record rimasto ancora oggi insuperato e raggiunta l’ottava chiavata, gettammo la spugna sconvolti.

8 – UNA SCOLARA SPECIALE - L’ADDIO
Quando tutto era tornato a posto, avevo subito telefonato a Luana per avvertirla che sarei stata assente per un po’, poiché al momento ero impegnata a ....... chiavare con mio marito. In fin dei conti era scuola anche quella! Dovevamo recuperare tutto il tempo perduto e le dissi anche che mi sarei fatta sentire al più presto. In effetti subito dopo la guarigione ci prendemmo anche una settimana di ferie che tuttavia non ci bastò per metterci in pari e continuammo piacevolmente ed affannosamente a recuperare. Ormai erano già passati quasi tre mesi di “full immersion” e decisi quindi che quel “al più presto” doveva in qualche modo essere onorato, visto che era stata lei l’artefice della mia guarigione.
“Ciao Luana, sono .... Maona, come stai?”
“Oh, ciao. Come stai tu! Chi non scopa si risente. Hai bisogno di impacchi decongestionanti alla fica o hai finito di fare la porcella?”
“Spero proprio di no, perché, ad essere sincera, direi che scopare è una cosa che mi piace proprio tanto e ho un marito che, posso garantirti, lo sa fare bene.”
“Ma è vero, come mi hai detto, che tuo marito ha un cazzo più grande di quello di Johnny? Devi farmelo assolutamente provare. A quest’ora la tua sarà già una caverna e potresti farla un po’ riposare.”
“Attenta a te! Potrei cavarti gli occhi! Con Francesco va proprio bene. Quando siamo in casa, stiamo praticamente sempre nudi. Da una sessualità gretta e soffocante che avevamo tutti e due, abbiamo scoperto che le nostre affinità elettive vanno ben al di là di quello che pensavamo e come già ci succedeva prima, anche sul sesso siamo in completa sintonia e riusciamo a capirci e parlarci senza dover aprire bocca. Pensa che credo che siamo maturi anche per affrontare ....... No, no, non importa; mi vergogno a parlarne.”
“Mi stai dicendo che il pompino non è più un tabù tra voi?”
“Ah no. Siamo già avanti col programma. Pensa che quello è già successo quando ero ancora vergine e anche lui sembra che abbia la lingua prensile quando mi scappuccia e si appropria della mia clitoride.”
E risi di gusto.
“Allora mi vuoi dire che Francesco è già pronto a fotterti il culo?”
“Ecco! Proprio quello. Con la lingua c’è già arrivato e sul resto ne stiamo già parlando come di una cosa normale, ma voglio che sia lui a decidere quando. Poi c’è qualcosa che non capisco: mi sembra di ricordare di aver letto, ma non ricordo dove, che nella donna, è la clitoride che comanda il godimento e io ti posso garantire che quando Johnny me l’ha messo nel culo, ho goduto; eccome! Quindi credo che più della clitoride possa la mente. Sapessi come mi dispiace, ma pazienza; spero proprio che non si accorga che ormai sono un campo già arato.”
“Ma no, non ti preoccupare. Gli uomini non ragionano mica come noi donne; loro il cervello l’hanno nelle mutande. Sono proprio contenta per te che tutto si sia risolto, ma mi dispiace davvero l’averti persa. Ci siamo conosciute da poco e certamente in una maniera insolita, ma ti sono molto vicina; sei proprio come una sorellina minore. Peccato; avevo dei progetti su di te .......”
“Comunque posso dirti che leccargli il culo ora piace anche a me e quando poi lo sento fremere ricordo le tue profezie e mi sento piacevolmente trasformata in una esaltante puttana.”
“No, cara. Non è proprio così! Il problema è che tu lo sei proprio un’esaltante puttana e sotto, sotto conosci anche tu la verità.”
Sapevo che aveva ragione, ma le risposi con un tono di voce che non facesse trasparire i miei dubbi:
“No, non credo proprio.”
Insomma, fu una conversazione avviata sul divertente e stavamo allegramente gigionando.
“Senti, ai figli ci pensate?”
“Ai figli? Certo che ci pensiamo, ma, invece di prendere la pillola, visto che non sono più vergine, il ginecologo mi ha consigliato la spirale, perché per ora vogliamo un po’ continuare a coccolarci. Senti Luana, è merito tuo se sono riuscita ad archiviare quell’incubo e vorrei passare da te a salutarti un’ultima volta, per poi voltare pagina definitivamente! Quando posso passare? Domani mattina sei impegnata?”
“Puoi passare martedì? Domani ho proprio una giornata campale.”
“Sì, ok! Va bene.”
“Mi raccomando, prenditi pure una giornata di ferie che voglio organizzarti una bella festicciola. Avverto anche Johnny che credo sia stato un buon aiuto per te. È lui che possiamo considerare come vero artefice della tua guarigione. Anzi il suo cazzo.”
E ci facemmo una bella risata, ma subito mi ripresi:
“Guarda che ora sono una moglie felicemente sposata; non farmi brutti scherzi. Ok?”
“Ma certo. Per chi mi hai preso?”
“Per quello che sei! A posdomani, allora! Ciao.”
“Ciao Maona.”

Sapevo che per un addio, Luana avrebbe certamente messo in scena qualcosa. Lo sentivo dal suo tono falsamente offeso e faceto, quando aveva negato di prepararmi qualche sorpresa e per quanto mi dicessi che non potevo più farmi coinvolgere, il tarlo mi stava rodendo dentro la testa. La mattina di martedì, appena Francesco uscì di casa, mi precipitai nel bagno per togliermi la crescita dei peli dal pube. Che supplizio quei peli ispidi che stavano crescendo! Ormai era diventata una consuetudine fare quella pulizia per togliere il prurito che mi assaliva. E poi non si sa mai con Luana come va a finire, per cui tirai a lucido anche il mio intestino con due clisteri di acqua e camomilla tiepida. Ora ero pronta; vada un po’ come tutto deve andare! Dovevo anche stare attenta perché il sentirmi troia mi affascinava e ora ancor più di prima. Era una lotta senza tregua con me stessa e sapevo già, per quanto mi sforzassi davvero di oppormi, chi avrebbe vinto. Era necessario un taglio netto perché tornassi ad essere una buona moglie e era quello stavo facendo, anche se non ne avvertivo la percezione.
Arrivai in Via dei Tigli intorno alle nove e un quarto, col pacco del regalo che intendevo dare a Luana. Guardinga e, come mi succedeva prima di entrare, attenta e agitatissima, imbroccai in fretta il corridoio e suonai. La porta si aprì col tiro, ma quando velocemente entrai, non c’era nessuno ad accogliermi. Mi diressi subito nella zona privata dove anche lì non c’era anima viva e come arrivai alla soglia della camera di Luana, mi bastò uno sguardo per vedere ordinata sul letto la mia tenuta da lavoro.
“Ma guarda!”
Pensai.
“Vuole proprio che mi vesta ancora da puttana, ma per un’ultima volta posso anche farlo e a dir la verità mi diverte anche.”
Posai il pacco col regalo per Luana e cominciai a spogliarmi. In un attimo riposi in ordine sulla sedia la mia roba, rimanendo nuda. Presi il corpetto e cominciai ad abbottonarlo tirando i laccetti per adattarlo e conformarlo alle mie curve. Mi guardai allo specchio e la donna che vidi mi piaceva. Mi venne istintivo stringermi ed accarezzarmi le tette. Ormai era palese anche a me che mi sarebbe dispiaciuto rinunciare a tutto quello e, man mano che procedevo nella vestizione, l’affanno aumentava. Mettermi le calze col loro fruscio suadente, quei miei gesti ormai sicuri ed esperti e quella piacevole sensazione di contenzione che mi dava indossarle, aumentavano la mia voglia di qualcosa che cercavo di ricacciare indietro, ma che ormai sapevo essere padrona di me.
L’affanno vitale che mi pervadeva al pensiero che avrei colto quel frutto proibito ancora a me ignoto e nebuloso e la sensazione che mi trasmetteva quel turbamento interiore, con la certezza che avrei vissuto quel giorno da protagonista, mi infuse quell’eccitante oppressione allo stomaco che finì per smaniarmi in mezzo alle gambe dove già avvertivo l’umidore che già effondeva quell’odore muschiato e selvatico, come di mughetto. Era così che mi diceva Francesco e il suo effetto si ripercuoteva sui miei capezzoli che ora erano gonfi e turgidi tanto da farmi male. Non avevo mai gradito l’odore della mia fica, ma ora mi esaltava. Erano i momenti come quello che mi facevano render conto che non potevo fare più a meno del sesso. Il cazzo mi piaceva e mi attirava come una potente calamita. Mi passai due dita a stuzzicarmi quella ferita umida e bagnaticcia che intravvedevo riflessa nello specchio. Era al centro delle mie labbra gonfie e segrete, rossa e brillante come un esotico fiore di ibisco e insopportabilmente golosa, mi portai le dita alla bocca. Appagava anche il mio gusto. Allacciai le calze alle clips e indossai per quell’ultima volta le mie scarpe vermiglie e mi guardai ancora. Mi piacevo, ma soprattutto mi sconvolse constatare che era Maona che ammiravo allo specchio. Mancava ancora un’ultima cosa: sul letto era rimasto solo il plug dorato col suo bel rubino. Luana mi aveva lasciato anche il tubetto di crema sul letto. Lo afferrai e mi parve più grande di quanto ricordassi. Lo misi in bocca bagnandolo e lo cosparsi con la pomata. Abbassandomi, quasi a sedermi sul pavimento, lo infilai con qualche timore, ma scivolò, risucchiato dentro, senza alcun problema. Gli specchi rimandavano la mia figura da tutte le angolazioni. Fu proprio mentre mimavo un’improvvisata passerella, guardandomi danzare e piroettare davanti agli specchi, allargando e stringendo le gambe, come una solitaria esibizionista rapita da quel voyeurismo di me stessa che mi accorsi di Luana che mi stava guardando dall’uscio sorridendo.
“Che bellissima e spensierata puttana sei. Si vede proprio che il cazzo ti fa bene. Sei diventata più bella e sicura di te, luminosa e gioiosa da far invidia.”
Mi sentii il viso avvampare, poi, senza altre parole ci abbracciammo, stringendoci l’una all’altra teneramente. “Grazie Luana. Grazie per la tua pazienza. Senza il tuo aiuto sarei precipitata in un baratro senza fondo.” “Non esagerare ho solo fatto uscire dal guscio la puttana che è sempre stata dentro di te. Sei stata tu l’artefice di tutto. Vieni, che di là ci aspettano.”
“Ci aspettano? Ma chi c’è?
Dissi preoccupata.
“Non ti agitare. C’è solo Johnny. Ho chiamato anche Carmen, Nancy, e Giorgia, ma solo per mangiare la torta. Non voglio ingrassare troppo. Oggi puoi fare tutto senza maschera.”
Rinfrancata dalle sue parole, aggiunsi, prendendo la scatola posata sul letto.
“Ti ho preso un pensierino. Spero che ti piaccia.

Sai? Ora sono diventata anche “partner store” di Aubade.”
“Davvero? Fammi vedere.”
Prese la scatola e la scartò velocemente.
“Soleil nocturne. È una guêpière! Bella. Bellissima. Rosso fiammeggiante. Non dovevi proprio. La voglio provare subito!”
La tolse dalla scatola, posandola sul letto, per poi spogliarsi convulsamente.
Era davvero una bella donna, senza un filo di cellulite. Poi la indossò e in un attimo la aggiustò alle sue misure. “Vedi, Aubade mi piace perché la senti addosso come una tua seconda pelle. È una meraviglia. Per oggi le mutandine le lascio nella scatola.”
Aprì un cassetto e prese un paio di calza rosse che sembravano della stessa tonalità della guêpière, poi recuperò un paio di scarpe dal tacco spropositato nere e le indossò. Era fornitissima Luana. Capii che in fin dei conti quelli erano i suoi ferri del mestiere.
“Eccomi! Che te ne pare?”
“Sei davvero uno schianto.”
“Su forza, andiamo.”
Abbandonammo la zona privata e, aperta la porta verso la zona pubblica, ci dirigemmo verso una camera con l’uscio spalancato.
Entrando vidi per primo Johnny già in tiro, con un grosso e arzigogolato fiocco annodato attorno al cazzo, poi Carmen, Nancy e Giorgia tutti intonarono vedendo me e parafrasando un noto ritornello:
“Tanti cazzi a te! Tanti cazzi a te! Tanti cazzi Maona! Tanti cazzi a te!”
Battendo poi tutti le mani.
Non so come mai, ma a quella manifestazione di festa nei miei confronti, cominciai a piangere a dirotto.
Fu Luana che prendendomi per mano mi trascinò da Johnny.
“Dai, vieni che scartiamo il tuo regalo.”
“Ma Johnny, tu non mi saluti nemmeno.”
“Ciao Maona, è che sono troppo emozionato. Quando si tratta di te, mi emoziono. Se poi penso quanto ho desiderato questo momento ...... Non sto più nella pelle.”
E accompagnando la mia mano sul cazzo di Johnny, mi fece tirare il fiocco che si disfece cadendo a terra, mentre le altre batterono nuovamente le mani alle grida di evviva.
Luana guardandomi sorridente aggiunse:
“Per oggi è tutto tuo. Facci vedere come lo distruggi. Anzi, aspetta un attimo che sposto questo.”
E si diresse verso un carrello porta vivande dove faceva bella mostra di sé una grossa torta alla crema a forma di cazzo, con due profiterole giganti al posto dei coglioni.
“Che meraviglia di torta.”
Esclamai, pensando invece che fosse un po’ kitsch, ma in quell’occasione non lo ero forse anch’io nella mia tenuta e tutto ciò che mi era intorno?
“Meglio toglierlo di qui prima che qualcuno lo faccia cadere per terra e poi la precedenza ai cazzi veri.”
Non dissi nulla perché avrei rovinato la festa se mi fossi messa a discutere con Luana sulla mia partecipazione alla festa come vacca da monta. Ormai era troppo tardi per rimediare, ma non mi era sfuggita la frase di Luana. “Cazzi veri? Ma se c’è solo Johnny?”
Pensai, ma non diedi troppa importanza alla cosa, presa dalla concitazione e dalla confusione del momento. Luana si rivolse a Johnny:
“Vieni sdraiati sul letto tu.”
Il suo cazzo sembrava un paletto diritto piantato al centro del letto.
Poi prendendo una bandana venne verso di me e bendandomi gli occhi aggiunse:
“Non voglio che tu sia distratta da quello che succede intorno a te. Voglio che tu possa centellinare ogni sorso del tuo calice di piacere e che tu possa gustarlo fino in fondo, senza distrazioni. Voglio che tu goda di ciò che vorrai spremere da Johnny. Non temere. Vieni, ora ti guido io.”
“Ma voi due ce l’avete con me? Ho sempre pensato di essere uno sciupafemmine, ma voi mi fate sentire come un agnello offerto per il sacrificio.”
Bendata e sogghignante, mi feci condurre da lei e rivolta a Johnny aggiunsi:
“Ti faccio sentire davvero così? Ti faccio proprio questo effetto?”
“Non so cosa mi succeda con te, ma ti ho già detto che con te mi sembra sempre di essere sempre un passo indietro. Ho come la sensazione di doverti sempre rincorrere per raggiungerti.”
“Vieni, inginocchiati sul letto. Attenta, scavalcalo e mettiti a cavalcioni di Johnny.”
Allargai le gambe per mettermi sopra di lui e subito venni a contatto con ciò che bramavo. Avevo paura che mi sfuggisse, ma feci in tempo e riuscii ad afferrarlo. Sì, mi sembrava più piccolo di quello di Francesco, ma ora l’avrei messo alla prova dei fatti. Lo manipolai accennando una sega e mi resi conto era spaventosamente rigido e che non aveva bisogno di altri stimoli. Mi alzai sulle ginocchia e posizionandolo al centro del mio fiore

cominciai ad abbassarmi piano. Quell’allegro vociare femminile che mi aveva accompagnato mentre salivo sul letto improvvisamente si azzittì. Stavano tutte guardando me, ma anche loro scomparvero subito dalla mia mente. Ecco stava entrando e avvertivo che mi stava forzando tremendamente le pareti. Stavo procedendo con timore e tutto sembrava stesse accadendo lentamente, come al rallentatore.
La voce di Luana, stringendomi una mano, riprese vicino al mio orecchio:
“Lo senti? Sta entrando. Vedessi che spettacolo che sei. Ecco, abbassati ancora.”
Nella mia mente vidi la scena di come mi stavano vedendo gli occhi di Luana. Mi sentivo piena e lo percepivo mentre scivolava liscio sulle pareti che ora erano tese.
“È quasi tutto dentro. Ancora, siediti più in basso. Lasciati andare.”
Quando arrivai ad appoggiarmi col culo al suo inguine seppi che era tutto dentro. La sensazione di pienezza era quasi dolorosa. Uscii quasi del tutto, più rapidamente di quanto fossi entrata prima, ma mi calai quasi con un senso di disperazione che mi dava ora l’assenza di quel cazzo, cercando di rimpiazzarlo velocemente. Cominciai un movimento che dopo poco divenne convulso.
“Aspetta, non così veloce. Riposati un attimo su di lui.”
Perché mi chiedeva di fermarmi proprio adesso che cominciavo ad avvertire quel senso incredibile di vertigine? Io lo volevo sentire dentro a forzarmi le pareti tese e quasi doloranti da quello strusciamento. Feci quello che mi chiedeva. Mi piegai su di lui. Sentii il suo alito lambirmi il viso e cercai, aiutandomi con la mano, di raggiungere la sua bocca con la mia.
Ci fermammo un attimo quando le nostre lingue cominciarono a mulinare mescolando le nostre salive.
Sentii Luana sussurrarmi nell’orecchio:
“Aspetta che mi sposto.”
La sentii alzarsi dal letto. Si posizionò dietro di me, tra le mie gambe, avvertendo le sue dita spargermi qualcosa che mi era colata fresca nella zona del perineo. Nello stesso istante ne avvertii l’odore e realizzai che mi stava massaggiando il culo con un olio per massaggi. Le sue dita si stavano intrufolando anche dentro i miei intestini, mentre Johnny ancora non accennava a muoversi.
Sentii Luana muoversi avvicinandosi a me, divaricandomi ulteriormente le gambe già larghe, cominciando a forzarmi il culo per far penetrare qualcosa. Un dildo. Lo avvertivo duro e allo stesso tempo morbido e gentile. Mi stava entrando a fondo, tendendomi in modo spasmodico la pelle del culo e quando cominciò ad uscire per poi rientrare anche Johnny riprese in sintonia a compiere lo stesso movimento.
Sentii una bocca baciarmi l’orecchio. Chi era?
“Perdonami! So di essere stata perfida, ma ora hai due cazzi veri che ti stanno rovistando dentro.”
Feci uno scatto istintivo, ma la sua mano mi fermò e mi accarezzò. Avvertii improvvisamente un gran caldo. Capii l’inganno in cui mi aveva trascinato, ma non riuscivo a capire ancora me stessa. Era come se la cosa non mi interessasse. Mi ritrovai senza essermene accorta prima che stavo rispondendo a quei cazzi che ora avevano lo stesso ritmo, andandogli incontro. Capii in quel momento di essere perduta!
“Gustateli tutti e due perché questa è una sensazione che non proverai mai più per il resto della tua vita, a meno che ...... Io non ho ancora perso la speranza. Ora sta davvero a te decidere se vorrai essere solo una moglie o anche una puttana. Goditi questo momento e assaporalo tutto, ma sappi che un proverbio dice puttana una volta, puttana tutta la vita.
Brava, così. Segui quello che ti suggerisce il tuo corpo.”
Quando sentii che l’inguine che mi premeva dietro appoggiarsi ai miei glutei capii che era entrato tutto. Ora ero davvero piena.
Lo avevo appena pensato, ma capii subito che invece non lo ero ancora. Prima ancora che toccasse le mie labbra ne sentii il profumo e allargai la bocca per accoglierlo e quando si appoggio sulla mia lingua che avevo proteso, cingendolo con le labbra. Entrò strisciandomi sul palato, trovando le mie fauci bramose già spalancate. Provai ad aprire maggiormente la bocca per farlo entrare tutto.
“Brava, sei proprio come ti avrei voluto. Vedi? È proprio vero. Sei sempre un passo avanti. Il tuo è un istinto naturale che hai. Sei nata per fare la puttana.”
Sentii un brivido mentre mi baciava un orecchio, accarezzandomi con la sua lingua.
Non riuscivo a capirmi! Ora mi importava solo non perdere nulla di ciò che stava accadendo e mi vergognavo di aver messo Francesco in un angolo remoto della mia mente. Anzi, in quel momento riuscii anche a fare in modo di allontanarlo.
Johnny e l’altro ora si stavano agitando dentro di me come guidati da un unico intento. Avevano un tempo cadenzato identico.
Già! Era vero. Non avevo mai vissuto un momento simile nella mia vita ed io ero alla spasmodica ricerca di mantenermi lucida per fissare ogni particolare e ogni istante di quel meraviglioso cimento. Sentivo che pian piano i miei pensieri si staccavano dai miei propositi e che la razionalità con cui volevo seguire quello che mi stava capitando mi stava abbandonando. Quando avvertii le prime contrazioni del cazzo che stavo succhiando mi fermai per accogliere in bocca il suo piacere. Il primo schizzo giunse all’improvviso e quasi mi strozzò, ma

ingoiai subito gli altri per non farmi trovare a bocca piena, evitando che, come l’altra volta, mi trasbordasse dal naso. Subito non me ne resi conto, ma una volta ingoiato scoprii che la mia bocca era dolce. Sembrava avessi succhiato una caramella con uno strascico acidulo. Mi parve una cosa incredibile!
Poi si ritirò dalla mia bocca, ma subito dopo si ripresentò alle mie labbra che lo accolsero nuovamente. No, questo era diverso. Sì, lo sentivo diverso. Era il cazzo di un altro!
Anche quello che avevo piantato nel culo cominciò a fremere, ma improvvisamente, quasi senza preavviso un lampo accecante mi travolse e persi ogni contatto con la realtà. Mi sentii annichilita; rimpicciolita nell’immensità di quella vampata che mi stava schiacciando e aveva frantumato i miei buoni propositi. Sì, era davvero magnifico essere una puttana. Poi persi ogni aggancio con la realtà. Non ero più in grado di stabilire come mi trovavo nello spazio circostante. Non capivo dov’ero. Ero ancora sul letto? Ero sdraiata? Capovolta? Sì, ora sentivo nuovamente Johnny che mi dava colpi poderosi. Percepivo che stava succedendo, ma non ero in grado di governarmi. Quasi come se mi destassi riuscii con una fatica estrema ad arrestarmi, ma il danno era fatto. Mi ero pisciata ancora addosso. Ma come avevo fatto? Ecco, lo splendore stava scemando. Fu in quell’attimo di quasi coscienza, mentre sentivo Johnny scavarmi quasi con rabbia che sentii la voce sconosciuta di un uomo:
“Dai esci che sono pronto. Ora le rompo il culo.”
Non mi sorpresi e neppure non mi spaventai al suono di quella voce. Non mi importava più niente.
“Che facciano del mio corpo ciò che vogliono, ma che mi facciano godere ancora.”
Percepii che il mio culo disperatamente vuoto, stava colando e tutto mi dava una sensazione di malessere. Avvertii la mia voce come proveniente da lontano, rimbombarmi nelle orecchie proprio mentre quel nuovo cazzo lestamente entrava in me trionfante.
“Fatemi godere ancora. Vi prego. Fatemi godere!”
E ancora una volta la mia preghiera si avverò e il ritorno di quel lampo accecante mi catapultò come un turbine nel mio nirvana. Sentii la pelle raggrinzirsi sul mio corpo passivo e incapace di qualsiasi movimento. Il mio respiro si fece rantolante, alla continua ricerca dell’aria che sembrava mancarmi. Il cuore faceva di tutto per uscirmi dal petto e batteva all’impazzata martellandomi le tempie e quando pensavo di essere arrivata ormai al crepuscolo di quel godimento e il mio rantolare affannoso mi tornava nuovamente evidente, il lampo improvviso mi ricacciava nuovamente in quel mondo incosciente che mi faceva perdere la mente. Non so quante volte fuggii da quello splendore che ogni volta mi riacchiappava, ma quando capii che era finito, ero totalmente stremata. Sentivo voci ovattate che mi chiamavano e qualcuno che mi scuoteva, ma non ero in grado nemmeno di aprire gli occhi. Poi sentii freddo e rabbrividii. Tastai sul letto per trovare qualcosa per coprirmi, ma tutto era bagnato. Sentii una carezza e capii che Luana era vicino a me e le cercai la mano stringendogliela.
“Tutto bene? Sei tornata tra noi?”
“Cosa ho fatto?”
“Direi che hai fatto tutto.”
“Tutto cosa?”
“Bè, certamente una prestazione completa: bocca, fica, culo. Hai cacciato Johnny nella disperazione. Mi ha detto che è la prima volta che scopa una donna, sborrandole dentro e che lei chieda ancora disperatamente cazzo. Quando hai cominciato a godere, lui ha continuato ancora a chiavarti per un quarto d’ora e quando lui è venuto, tu piagnucolavi e volevi continuare ancora e ci si sono messi tutti e tre assieme a chiavarti a turno.” Non si muoveva più, ma io sentivo ancora un cazzo piantato dentro di me e mi tolsi improvvisamente la bandana degli occhi per accertarmi se era di Johnny quel palo di carne piantato ancora in me.
“Ciao, sono Dario, spero ti sia piaciuto l’impegno che ci abbiamo messo tutti, ma sei più impegnativa di un’orda di donne vogliose in un addio al nubilato.”
Mi alzai da lui, facendomelo uscire dalla fica che mi appariva tutta arrossata e macilenta, ma a prima vista quasi quasi integra. Guardai il suo cazzo ancora diritto, e mi abbassai, come rispondendo ad un riflesso condizionato, posando le mie labbra su quella cappella umida e violacea a dargli un ultimo bacio, dicendo. “Che spreco. È un delitto lasciarlo a rimpicciolire così, da solo.”
“Non ho mai visto un’assetata di cazzo come te. Avrai almeno un litro di sborra dentro. Anzi.....aspetta un attimo.”
Luana si alzò e uscì dalla stanza. Mi guardai intorno e mi accorsi che il letto era tutto bagnato. Cosa avevo combinato? Non ricordavo bene quello che mi era capitato.
Ritornò con una pillola e un bicchier d’acqua.
“Dai, prendila.”
“Che cos’è?”
“È una pillola del giorno dopo. Quando oggi ti ho chiesto che intenzioni hai per i figli, mi hai detto che hai messo la spirale, ma la mia era una domanda interessata; non volevo che avessi un figlio di padre dubbio e

pensavo che bastasse, ma tutti ti hanno sborrato dentro e non una volta sola, quindi prendila lo stesso e ci togliamo ogni dubbio.”
Ricordavo solo a sprazzi quello che era successo. Possibile che avessi perso in quel modo ogni contatto col mondo reale?
Presi la pillola e bevvi tutto il bicchiere d’acqua e mentre glielo restituii, mi assalì un altro brivido.
“Vieni. Togliti da questo sborratoio. Andiamo a farci un idromassaggio profumato. Comunque sappi che erano in cinque oltre a Johnny a disposizione dei tuoi buchi.”
Mi chiesi se era davvero possibile non ricordare tutto, ma poi abbandonando ogni altro pensiero le dissi mettendomi bocconi sul letto e allargandomi le chiappe:
“Guardami un po’. Ho il culo arrossato? Mi sento un po’ bruciare.”
“Oh, un pochino, ma appena, appena. Ma è praticamente già tornato normale. Tutti sono rimasti impressionati dall’elasticità della tua pelle. Hanno detto che quando uscivano, il tuo culo si richiudeva nuovamente come un culo vergine e che era liscio come un guanto e sempre bello strettino. Te l’ho detto che sei fatta per questa vita. Hai la pelle talmente elastica da sembrare ancora vergine.”
A quelle parole non ebbi il coraggio di replicare e le dissi solo:
“Dai, non esagerare.”
Ci crogiolammo per una decina di minuti a farci massaggiare dai getti di bolle al profumo di cocco e lavanda della jacuzzi e poi raggiungemmo, completamente nude, gli altri in un’altra camera da letto dove stavano completando gli ultimi preparativi per il taglio della torta. Quando entrai tutti applaudirono festanti e vidi finalmente tutta la squadra. Fu Luana a fare le presentazioni:
“Ecco, questi sono i “Cudgel boys”, letteralmente “ragazzi manganello” e come vedi sono tutti attrezzati con un bel randello tra le gambe. Questo è Dario che hai già conosciuto, poi ci sono Matteo, Riccardo, Mino e Giorgio. Sono un gruppo affiatato di ragazzi di cui mi servo quando mi chiamano per organizzare qualche festa particolare o qualche addio al nubilato pruriginoso, ma soprattutto sono cari amici.”
“Grazie a tutti voi. Siete stati magnifici.”
Mi sentii replicare con un po’ di vergogna.
“E questo è il nostro Rinaldo, il nostro grande social media manager e amico caro. L’unico che non ha partecipato a farti festa, ma credo con rammarico.”
“lo credo bene! Ho avuto il cazzo duro tutto il tempo e ora ho un male ai coglioni .......”
“Forza, ora taglia la torta!”
Presi il coltello e cominciai dalla cappella e quando affondai la lama nel dolce partì un lamentoso “haaaaa” da parte dei maschietti che fece ridere tutti.
Misi in un piattino quella fetta rossa e mi diressi verso Johnny.
“Grazie di tutto. Se sono qui a festeggiare è certo merito tuo. Perché quell’aria mogia? Non ti sono piaciuta?” “No, ma cosa dici? Sei l’unica donna che non sono riuscito a soddisfare e oggi che pensavo che ti avrei domato, sei tu che hai domato me. Non c’ero proprio abituato. Ma sono felice che tu sia nuovamente a posto perché vuol dire che ho ancora qualche chance per farti godere; la vita è ancora lunga. Sempre che tu lo voglia.”
“Sciocco! Non ti dimenticherò mai. Sei tu che mi hai spalancato alla vita proprio quando mi hai spalancato per la prima volta il culo. Non te ne ricordi? Tu mi hai fatto godere quando l’ho fatto per la prima volta in grande e te ne sarò sempre grata. Anzi scusami se ti ho pisciato addosso quella volta.”
Mi avvicinai alla sua bocca, chiusi gli occhi e mi trovai a mulinare la lingua giocando a rimpiattino con la sua. Mi trovai le sue mani larghe che mi stavano palpando il culo e pian, piano si stavano addentrando in una zona proibita. Fu la voce di Luana ad interromperci.
“Non ditemi che avete ancora qualche voglia da togliervi. Fate davvero schifo. E ora tu guardati un bel film.” Improvvisamente il televisore si accese e mi vidi mentre Luana stava finendo di sistemarmi la bandana.
“Ma mi hai ripreso?”
“Certamente, per ora non è ancora montato, ma sappi che dietro gli specchi ci sono quante telecamere vuoi e quando avrai nostalgia di questa festa, potrai rivedertela tutta. Anche nei dettagli che ti sei persa. Oltretutto, ad immortalarti dal vivo ci ha pensato il nostro Rinaldo che è un vero professionista.”
Mi sedetti in grembo a Johnny e fui rapita dallo schermo. Vidi quando lei si spostò dal letto permettendo con l’inganno ad uno dei “Cudgel boys” di venirmi dietro mentre Johnny era già dentro di me. Vidi l’attimo in cui quel cazzo che pensavo fosse un dildo stava entrando con la frode in me e subito dopo, resa conscia dell’evento, con la mia bocca spalancata e la lingua fuori cominciare a fagocitare quel cazzo che ormai stava a spennellarmi le guance e rivissi con un brivido quelle sensazioni già provate.
“Ma guarda questa impenitente!”
La voce di Luana mi scosse e mi accorsi che la mia mano era già impegnata a scappellare il cazzo di Johnny, senza nemmeno essermene accorta.
Tutta arrossata e sudata mi alzai e mi trovai faccia a faccia con uno dei “Cudgel boys”.

“Tu chi sei?”
Gli chiesi diretta.
“Sono Giorgio.”
“Tu eri quello che .....Sì, insomma.... Quello che si è fatto fare il primo pompino da me!”
“Ah, sì, certo. Son fotogenico, vero?”
“Ecco, appunto. Volevo chiederti una cosa, ma mi sento in difficoltà.”
“So che ti stai domandando che era dolce e ti è piaciuta, vero?”
“Sì, proprio quello.”
“Basta che la dieta di un paio di giorni prima sia a base di ananas, lamponi e papaia e bevi succhi di frutta e poi puoi stare tranquillo che ogni donna si attacca volentieri al tuo rubinetto.”
“Ma davvero?”
“Certo e vale anche per voi donne. Prova se vuoi stupire anche il tuo partner e sarai più dolce di una pesca.” “Grazie, proverò.”
Ormai si era fatto tardi e cominciai a tentare di tornare alla normalità, col fermo proposito di mettere la parola fine alla mia avventura, ma i dubbi erano davvero tanti.
Quel mondo intenso mi attirava, ma in gioco non c’era solo la mia vita e Francesco proprio non meritava una moglie come me. Sapevo di essere puttana fino al midollo e dovevo cercare con tutte le mie forze di esserlo solo per lui. Ce l’avrei fatta?
La festa era ormai finita. Tutti erano già andati e per le pulizie sarebbero arrivata la donna l’indomani mattina. Rimanemmo soltanto io, Luana e Johnny a guardarci mesti e silenziosi, seduti sul divano, già pronti per uscire. “È proprio finita?”
Disse Johnny guardandomi?
Gli rispose Luana:
“Lo sai che è più puttana di me e certo le piace tutto ciò che ha fatto qui. Chissà se le pruderà ancora la fica, ma lei sa bene che qui potrà trovare sempre chi potrà lenire il suo prurito, se suo marito non riuscirà a farlo. Ho fatto di tutto perché potesse assaggiare tutto ciò che poteva piacerle, per farle sapere che un tavolo prenotato per lei ci sarà sempre, anzi sperando di trattenerla, ma se ciò non fosse, ne sarei immensamente contenta.”
“È un augurio che ti faccio anch’io di tutto cuore.”
Disse Johnny e alzandosi venne a posarmi un casto bacio sulle labbra.
Mi alzai e con le lacrime che spingevano per uscire, li salutai con un bacio sulla guancia e uscii salutandoli: “Alla prossima!”

9 - UNA SCOLARA SPECIALE - L’EPILOGO
Erano già passati tre anni da quell’addio e la mia vita con Francesco stava correndo sempre al massimo e, contro ogni mia aspettativa, non sentivo il bisogno di allargare le gambe ad altre emozioni. Lui mi bastava in tutto e per tutto. Per fortuna Francesco si rivelò con la mia stessa curiosità e fantasia in fatto di sesso e non vi erano più strade inesplorate del mio corpo per lui e del suo per me. Tutto era filato liscio e non si accorse di niente anche quando fece il gran passo di penetrarmi il culo. Lui era il mio toro da monta e io la sua puttana. Luana era diventata una mia buona cliente e ogni tanto mi tampinava per estorcermi ancora la promessa di farle provare Francesco. Io e lui eravamo totalmente in sintonia e quando gli proposi la possibilità di ampliare i nostri orizzonti sessuali, non feci troppa fatica a instillargli in testa la novità. Insomma, ci stavo lavorando su, anche se non troppo volentieri. Johnny nel frattempo si era sposato e sua moglie, un po’ svampita, era diventata, grazie a lui, una mia buona cliente. Chissà, dai suoi discorsi ingenui capii che era già stata allieva di Luana e quando si assaggia Luana è difficile staccarsene e forse un giorno avremmo potuto bere il piacere allo stesso calice. Chissà se di Johnny o di Francesco, oppure di tutti e due. Solo il tempo avrebbe dato una risposta.
In occasione di qualche breve litigio con Francesco, in quei pochi anni trascorsi dopo il fatidico addio, composi per ripicca il numero di Luana, ma alla sua risposta finii sempre per fermarmi in tempo, consolidando la nostra amicizia.
Sono certa che se fossi tornata nel giro come voleva lei all’inizio, le avrei dato un grosso dispiacere. Credo che prima o poi l’accontenterò con Francesco. Troppo bello il suo cazzo per essere solo mio.
Chissà come andrà a finire!
scritto il
2019-09-04
5 . 5 K
visite
1
voti
valutazione
9
il tuo voto
Segnala abuso in questo racconto erotico

Commenti dei lettori al racconto erotico

cookies policy Per una migliore navigazione questo sito fa uso di cookie propri e di terze parti. Proseguendo la navigazione ne accetti l'utilizzo.