Oggi è già domani. Quel che è successo prima
di
Madresolitariaa
genere
incesti
Ci si sbaglia nella vita. Eccome se ci si sbaglia. O almeno io ho sbagliato. Errori piccoli, errori grandi. Il più grande quando mi innamorai di lui, lo sposai, ci feci un figlio. Nacque Matteo.
Errore fu e non me ne accorsi fino all’ultimo. D’altra parte, ho le attenuanti: era carino, ben vestito, un lavoro affidabile, sempre disponibile. Errore fu e ci cascammo tutti, io, la mia famiglia, le mie amiche. Peccato che lui, che non merita neppure di essere ricordato per nome, queste sue qualità le esercitasse anche altrove. D’altra parte, non ve l’ho già detto, era carino, ben vestito, sempre disponibile. Ah! E sapeva anche parlare bene ed era romantico. Un uomo pericoloso, insomma.
Di quanto fosse pericoloso lo capii alla seconda lettera anonima (alla prima non avevo dato peso, mi sembrava una cosa ridicola, con le lettere ritagliate dal giornale come in un cattivo e banale film). La seconda invece era precisa e dettagliata con acclusa foto inequivocabile. Devo dire che uscì dalla mia vita senza neppure protestare troppo, evidentemente io e Matteo eravamo più un ostacolo alla sua vita che altro. Libero lui, liberi noi.
Io e Matteo. Matteo e io.
Gli anni sono passati così, aiutata dai miei, lavorando e soprattutto crescendo Matteo. Altre storie? No, poca roba. Legarmi a un uomo non mi interessava, neppure ho permesso ai pochi che ho incrociato che conoscessero mio figlio.
Dunque, io e Matteo. Fino ai suoi dieci anni dormivano insieme. Io gli leggevo storie, racconti e lui piano piano si addormentava. Poi abbiamo deciso insieme che era giusto che avesse la sua libertà, così gli attrezzai l’altra camera del mio piccolo appartamento.
Lo guardavo crescere ed era sempre più bello il mio Matteo.
Poi… come è successo non lo so. O meglio so come è avvenuto ma cosa ci abbia preso quella sera, ancora non l’ho capito. Erano gli ultimi giorni di scuola, quinta superiore, la maturità a un passo. Sabato, nel pomeriggio, aveva smesso di studiare e mi aveva comunicato che avrebbe passato la sera con gli amici, i soliti. Un sabato qualunque, dunque.
Io invece finii di sistemare casa, mi preparai da mangiare e mi misi davanti alla televisione. Faceva caldo, un caldo anomalo per essere fine maggio. Decisi per una doccia. Mentre finivo di asciugarmi sentii la voce di Matteo:
“Ma’, sono tornato!”
“Sì, amore. Sei tornato presto. Come mai?”
“Così…”
Pur attutita dalla porta del bagno la voce non mi aveva convinto. Mi strinsi addosso l’asciugamano e uscii dal bagno. Lo trovai in camera sua, sdraiato sul letto, occhi chiusi.
“Beh, che c’è?”
“Niente. Sono stanco. Avrò studiato troppo”
Risi di gusto
“Questa è bella come scusa, originale soprattutto. Dai Matteo, dimmi cosa è successo”
“Ma niente dai, davvero”
“Fammi posto” gli dissi spingendolo verso il bordo del letto e sdraiandomi accanto a lui.
“Allora, ragazzo triste. Racconta tutto alla tua mamma”
Tutto mi sarei aspettato meno che si mettesse a piangere. Singhiozzava, le mani sulla faccia.
Lo abbraccia forte stringendolo a me, la sua testa sul mio petto, gli accarezzavo i capelli. Per calmarsi ci mise tempo poi alla fine riuscì a raccontarmi cosa era successo: nel gruppo di amici era arrivata da poco una ragazza. Simpatica, carina. A Matteo era piaciuta e a quanto sembrava, anche lui a questa ragazza.
“Bene no? Come si chiama?” gli chiesi sorridendo
“Sara”
“E mi hai detto che ti piace”
“Sì”
“E tu a lei”
“Così sembra”
“E allora il problema qual è?”
“Tu ma’…” mi rispose in un sussurro e io mi senti il cuore scendere alle ginocchia
“Io – chiesi – perché sono un problema?”
Non mi rispose e si limitò a stringersi ancora di più a me.
Non avevo più parole da dire. Appoggiai le labbra ai suoi capelli, lo bacia sulla fronte, sugli occhi, sul naso. Lui alzò la testa e prese a fissarmi. Non so quanto tempo restammo così a guardarci negli occhi, poi cedetti e lo baciai leggermente sulle labbra. Il suo sguardo non si spostò. Lo baciai una seconda volta poi una terza. Al bacio successivo spinsi forte le mie labbra sulle sue e sentii distintamente la sua lingua forzarle, cercare la mia. Quei baci… ancora oggi quando li ripenso mi emozionano. Due naufraghi, assettati di vita.
Poi sentii la sua mano sulla mia gamba nuda, entrare sotto l’asciugamano.
“No Matteo, no ti prego”, provai a dire ma fu tutto inutile. Risalì velocemente al mio sesso e lo trovò umido, pronto. Chiusi gli occhi mentre mi liberava dell’asciugamano, mentre la sua bocca impazzita correva lungo il mio corpo, mentre le mani stringevano ora i seni, ora di nuovo il sesso. Chiusi gli occhi quando lo sentii scalciare lontano i pantaloni, appoggiarsi su di me e penetrarmi. Mentre lo accoglievo con tutta me stessa le gambe oscenamente aperte, le mie mani su di lui a spingerlo con forza dentro di me.
Quando tutto finì si accasciò su di me, esausto. Respirava velocemente. Io facevo scorre le mie dita sulla sua schiena e mi sembrava impossibile che proprio del mio bambino, del mio Matteo fosse quel corpo che mi aveva voluto, desiderato, posseduto. Che suo fosse il seme che sentivo ora uscire lentamente dal mio sesso. Dovevo alzarmi, lo spinsi di lato e mi allontanai.
Anche senza guardarlo sapevo che ora si stava chiedendo cosa sarebbe successo ma la sua domanda era la stessa mia. E ora?
Mi chiusi in bagno a lungo. Il problema era fare i conti con quanto mi fosse piaciuto ciò che era successo. Quanto, seppur inconsciamente l’avessi desiderato. Fare i conti con una situazione complicata: essere madre e contemporaneamente essere la donna di mio figlio.
Infine, mi decisi, mi rivestii e tornai da Matteo. Se ne stava rannicchiato su un lato, in posizione fetale.
Mi sedetti accanto a lui.
“Amore, va tutto bene. Non ti preoccupare. Non è stata colpa tua. Apri gli occhi, guardami, per favore”
Matteo li aprì e riconobbi i miei stessi pensieri. Da seduta com’ero l’abbracciai forte e tornai in camera mia.
Il futuro tra di noi era tutto da costruire.
Errore fu e non me ne accorsi fino all’ultimo. D’altra parte, ho le attenuanti: era carino, ben vestito, un lavoro affidabile, sempre disponibile. Errore fu e ci cascammo tutti, io, la mia famiglia, le mie amiche. Peccato che lui, che non merita neppure di essere ricordato per nome, queste sue qualità le esercitasse anche altrove. D’altra parte, non ve l’ho già detto, era carino, ben vestito, sempre disponibile. Ah! E sapeva anche parlare bene ed era romantico. Un uomo pericoloso, insomma.
Di quanto fosse pericoloso lo capii alla seconda lettera anonima (alla prima non avevo dato peso, mi sembrava una cosa ridicola, con le lettere ritagliate dal giornale come in un cattivo e banale film). La seconda invece era precisa e dettagliata con acclusa foto inequivocabile. Devo dire che uscì dalla mia vita senza neppure protestare troppo, evidentemente io e Matteo eravamo più un ostacolo alla sua vita che altro. Libero lui, liberi noi.
Io e Matteo. Matteo e io.
Gli anni sono passati così, aiutata dai miei, lavorando e soprattutto crescendo Matteo. Altre storie? No, poca roba. Legarmi a un uomo non mi interessava, neppure ho permesso ai pochi che ho incrociato che conoscessero mio figlio.
Dunque, io e Matteo. Fino ai suoi dieci anni dormivano insieme. Io gli leggevo storie, racconti e lui piano piano si addormentava. Poi abbiamo deciso insieme che era giusto che avesse la sua libertà, così gli attrezzai l’altra camera del mio piccolo appartamento.
Lo guardavo crescere ed era sempre più bello il mio Matteo.
Poi… come è successo non lo so. O meglio so come è avvenuto ma cosa ci abbia preso quella sera, ancora non l’ho capito. Erano gli ultimi giorni di scuola, quinta superiore, la maturità a un passo. Sabato, nel pomeriggio, aveva smesso di studiare e mi aveva comunicato che avrebbe passato la sera con gli amici, i soliti. Un sabato qualunque, dunque.
Io invece finii di sistemare casa, mi preparai da mangiare e mi misi davanti alla televisione. Faceva caldo, un caldo anomalo per essere fine maggio. Decisi per una doccia. Mentre finivo di asciugarmi sentii la voce di Matteo:
“Ma’, sono tornato!”
“Sì, amore. Sei tornato presto. Come mai?”
“Così…”
Pur attutita dalla porta del bagno la voce non mi aveva convinto. Mi strinsi addosso l’asciugamano e uscii dal bagno. Lo trovai in camera sua, sdraiato sul letto, occhi chiusi.
“Beh, che c’è?”
“Niente. Sono stanco. Avrò studiato troppo”
Risi di gusto
“Questa è bella come scusa, originale soprattutto. Dai Matteo, dimmi cosa è successo”
“Ma niente dai, davvero”
“Fammi posto” gli dissi spingendolo verso il bordo del letto e sdraiandomi accanto a lui.
“Allora, ragazzo triste. Racconta tutto alla tua mamma”
Tutto mi sarei aspettato meno che si mettesse a piangere. Singhiozzava, le mani sulla faccia.
Lo abbraccia forte stringendolo a me, la sua testa sul mio petto, gli accarezzavo i capelli. Per calmarsi ci mise tempo poi alla fine riuscì a raccontarmi cosa era successo: nel gruppo di amici era arrivata da poco una ragazza. Simpatica, carina. A Matteo era piaciuta e a quanto sembrava, anche lui a questa ragazza.
“Bene no? Come si chiama?” gli chiesi sorridendo
“Sara”
“E mi hai detto che ti piace”
“Sì”
“E tu a lei”
“Così sembra”
“E allora il problema qual è?”
“Tu ma’…” mi rispose in un sussurro e io mi senti il cuore scendere alle ginocchia
“Io – chiesi – perché sono un problema?”
Non mi rispose e si limitò a stringersi ancora di più a me.
Non avevo più parole da dire. Appoggiai le labbra ai suoi capelli, lo bacia sulla fronte, sugli occhi, sul naso. Lui alzò la testa e prese a fissarmi. Non so quanto tempo restammo così a guardarci negli occhi, poi cedetti e lo baciai leggermente sulle labbra. Il suo sguardo non si spostò. Lo baciai una seconda volta poi una terza. Al bacio successivo spinsi forte le mie labbra sulle sue e sentii distintamente la sua lingua forzarle, cercare la mia. Quei baci… ancora oggi quando li ripenso mi emozionano. Due naufraghi, assettati di vita.
Poi sentii la sua mano sulla mia gamba nuda, entrare sotto l’asciugamano.
“No Matteo, no ti prego”, provai a dire ma fu tutto inutile. Risalì velocemente al mio sesso e lo trovò umido, pronto. Chiusi gli occhi mentre mi liberava dell’asciugamano, mentre la sua bocca impazzita correva lungo il mio corpo, mentre le mani stringevano ora i seni, ora di nuovo il sesso. Chiusi gli occhi quando lo sentii scalciare lontano i pantaloni, appoggiarsi su di me e penetrarmi. Mentre lo accoglievo con tutta me stessa le gambe oscenamente aperte, le mie mani su di lui a spingerlo con forza dentro di me.
Quando tutto finì si accasciò su di me, esausto. Respirava velocemente. Io facevo scorre le mie dita sulla sua schiena e mi sembrava impossibile che proprio del mio bambino, del mio Matteo fosse quel corpo che mi aveva voluto, desiderato, posseduto. Che suo fosse il seme che sentivo ora uscire lentamente dal mio sesso. Dovevo alzarmi, lo spinsi di lato e mi allontanai.
Anche senza guardarlo sapevo che ora si stava chiedendo cosa sarebbe successo ma la sua domanda era la stessa mia. E ora?
Mi chiusi in bagno a lungo. Il problema era fare i conti con quanto mi fosse piaciuto ciò che era successo. Quanto, seppur inconsciamente l’avessi desiderato. Fare i conti con una situazione complicata: essere madre e contemporaneamente essere la donna di mio figlio.
Infine, mi decisi, mi rivestii e tornai da Matteo. Se ne stava rannicchiato su un lato, in posizione fetale.
Mi sedetti accanto a lui.
“Amore, va tutto bene. Non ti preoccupare. Non è stata colpa tua. Apri gli occhi, guardami, per favore”
Matteo li aprì e riconobbi i miei stessi pensieri. Da seduta com’ero l’abbracciai forte e tornai in camera mia.
Il futuro tra di noi era tutto da costruire.
7
voti
voti
valutazione
3
3
Commenti dei lettori al racconto erotico