Un Giorno nel Buio: Le Confessioni di uno Schiavo Sadomaso - Parte III

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sadomaso

Quando il padrone venne l'ultimo giorno delle mie ulteriori tre settimane di torture, avevo raggiunto il limite della mia sopportazione fisica e mentale. Tuttavia, invece di trovare la tanto desiderata libertà, il mio destino subì un'altra svolta.

Il padrone mi guardò con occhi freddi e mi disse: "Visto che sei un ragazzo disoccupato, ho deciso che sarai il mio schiavo per sempre. Ora ti levo le catene e per una settimana starai chiuso nella tua cella per riprenderti. Porterai solo delle catene alle caviglie. Dopo, sarai portato nella cava di pietra dove ci sono altri ragazzi in schiavitù e dovrai spaccare pietre per tutto il giorno. Starai sempre nudo con le catene alle caviglie. Uno schiavo deve stare sempre nudo come un verme. Sarai portato alla cava a piedi: saranno una decina di chilometri di strada impervia. Ti ricordo che lì non ti è consentito parlare con nessuno e devi lavorare duramente; ci saranno punizioni corporali a giudizio insindacabile delle guardie."

La Settimana di Recupero
Per una settimana, fui chiuso nella mia cella, le catene alle caviglie mi impedivano qualsiasi movimento rapido. La pelle bruciava ancora per le cicatrici lasciate dai chiodi del collare. Ogni giorno, ricevevo solo il cibo e l'acqua necessari per sopravvivere. Il riposo era relativo, perché la mente era ancora prigioniera dell'angoscia e del dolore subiti. Tuttavia, quel breve periodo di tregua mi permise di recuperare abbastanza forze per affrontare il prossimo orrore.

Il Viaggio alla Cava
Il giorno della mia nuova vita da schiavo nelle cave arrivò presto. Venni condotto fuori dalla mia cella, nudo e incatenato alle caviglie, con un collare che mi ricordava costantemente la mia condizione di schiavo. Il viaggio verso la cava era lungo e tortuoso, una decina di chilometri di strada impervia. Ogni passo era una lotta contro il terreno aspro e la stanchezza che mi attanagliava.

La Vita nella Cava
Quando finalmente raggiunsi la cava, fui accolto dal rumore incessante delle pietre che venivano spezzate e dalle urla di altri schiavi che, come me, erano condannati a quella vita infernale. Senza preamboli, mi venne consegnato uno strumento rudimentale per spaccare le pietre e fui gettato nel pieno del lavoro.

Le regole erano semplici ma spietate: lavorare incessantemente, senza parlare con nessuno. Ogni errore, ogni distrazione, era punita severamente dalle guardie. Le punizioni corporali erano una costante minaccia, eseguite con crudeltà e senza preavviso. Ogni colpo di frusta, ogni pugno, erano moniti per ricordarmi la mia totale sottomissione.

La Routine della Schiavitù
Ogni giorno era uguale al precedente: sveglia all'alba, una marcia forzata verso la cava, e poi ore di lavoro estenuante sotto il sole cocente o sotto la pioggia battente, sempre nudo, sempre incatenato. Il cibo era scarso e insufficiente, solo quel tanto che bastava per tenermi in vita e funzionale come uno strumento di lavoro.

Le notti erano trascorse in una baracca fredda e sovraffollata, dove gli schiavi dormivano accatastati l'uno sull'altro, le catene alle caviglie tintinnavano ad ogni minimo movimento. Il sonno era spesso disturbato dalle guardie che, di tanto in tanto, entravano per controllare o punire chiunque considerassero insubordinato o pigro.

La Resistenza e la Sottomissione
Col passare del tempo, il corpo si abituò alla routine del dolore e della fatica, ma la mente lottava per non cedere completamente alla disperazione. Ogni colpo, ogni insulto, erano un ulteriore passo verso l'annientamento totale della mia volontà. Eppure, una piccola parte di me si aggrappava alla speranza di una fuga o di un improbabile riscatto.

La Lezione del Padrone
Un giorno, il padrone venne a visitare la cava. Mi osservò mentre lavoravo, i muscoli tesi e il sudore che mi colava lungo il corpo. Con un sorriso maligno, disse: "Questo è il tuo destino, schiavo. Accetta la tua condizione, perché non c'è via di fuga. Qui, la tua volontà è nulla, e la tua esistenza è solo un mezzo per servire il mio volere."

Quelle parole risuonarono nella mia mente come un eco infinito. Ogni colpo di martello, ogni frusta, ogni passo doloroso verso la cava, erano un costante promemoria della mia nuova identità. La libertà era un sogno lontano, e la mia vita si era trasformata in una continua prova di resistenza e sottomissione.

In quella cava, sotto il peso delle pietre e delle catene, imparai cosa significava essere un vero schiavo, privato di ogni dignità e libertà, ridotto a un mero strumento di lavoro e piacere del mio padrone. E mentre i giorni passavano, l'idea di una fuga o di una ribellione svaniva sempre di più, seppellita sotto le pietre che ero costretto a spaccare.
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scritto il
2024-07-03
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