Un'avventura
di
Aonima1981
genere
saffico
Confesso. Ho preso spunto per questo racconto da un vecchio contributo di ua penna che mi è sempre piaciuta. Chissà se qualcuno ricorda quel racconto "antico"..
Sono tutte uguali le città quando piove. Nelle prime luci del giorno le strade quasi deserte sono lucide di pioggia, l’asfalto non ancora segnato da tracce di pneumatici che sollevano schizzi d’acqua sui rari passanti. Qualcuno si affretta verso il quotidiano lavoro, chiuso nel suo impermeabile e nei suoi pensieri.
Con un colpo di testa dei miei ho lasciato marito e figli per regalarmi due giorni e una notte da sola. E sono “fuggita” a Madrid per vedere di nuovo il Museo Reina Sofia”, Picasso e Guernica, e per camminare senza meta precisa per piazze e strade. Due giorni e una notte da sola in un’altra città, in una città che non è la mia e dove non conosco nessuno.
In piedi davanti alla porta-finestra al quinto piano dell’albergo nella Gran Via guardo la città che lentamente rinasce e riprende a correre. Credo che fuori il clima sia fresco ma la camera è calda. Indosso la leggera camicia da notte di seta rossa che sento scivolare dolce sulla pelle nuda, libera dalle costrizioni di altri indumenti. In mano la tazza del primo caffè. Nero e amaro. Dietro, la tenda bianca mi accarezza la testa e la schiena. Una sensazione piacevole.
Nel palazzo di fronte un uomo, indossa un pigiama azzurro. Beve qualcosa. Sta guardando anche lui la strada. Poi solleva la testa e mi vede: credo di essere una gradevole vista nella luce ancora incerta del mattino. Solleva la tazza in un silenzioso e ironico brindisi. Alzo la mano e lo saluto. Sorrido, anche se non può distinguere la mia espressione da quella distanza. Per qualche istante, incerta, rimango in mostra, seminuda, davanti alla finestra.
Poi mi sottraggo allo sguardo. Abbandono le strade lucide di pioggia e le prime auto che corrono approfittando dei semafori che ancora lampeggiano solo di giallo. Folta e tiepida la moquette sotto i piedi nudi mentre torno verso il letto disfatto. La soffice e leggera coperta disegna il suo corpo, un braccio scoperto, il cuscino quasi scompare sotto la massa dei folti capelli, gli occhi ancora chiusi, le lunghe sopracciglia, le morbide labbra dischiuse nel lento respiro. Lei dorme.
Con la mente impazzita ritorno a ieri.
Ormai sera. Sono seduta al bancone del bar dell’albergo, un Dry Martini davanti. So che non dovrei bere niente di così forte: mi girerà la testa. Ma tanto che devo fare? Sono sola e dopo salirò in camera a dormire. Luci soffuse, la musica di un pianoforte in sottofondo, qualche risata, una coppia che beve in silenzio a un tavolino in fondo alla sala. I piedi dolenti, le gambe stanche, la schiena a pezzi: non dovevo camminare così a lungo, girare senza meta per la città. Scoprire una piazza nascosta e poi una strada, un vicolo, un’altra piazza.
Buono il Martini. Sarà meglio non finirlo alla svelta e magari mangiare qualcosa, al di là delle tristi ciotoline di patatine e olive verdi. Chiedo al barman se posso avere un piatto di verdure grigliate.
Un profumo lieve e persistente, fragranza di fiori primaverili, mi cattura. Alla mia destra si è seduta una giovane donna, una cascata di capelli castani, lunghi e mossi, un piccolo naso diritto, una bocca piena e morbida, due grandi occhi scuri. Si volta verso di me, accenna un sorriso e indica il mio cocktail: “Is that a Dry Martini?”
Mi perdo nei suoi occhi bruni e nella sua voce morbida che parla un inglese con una strana inflessione. Forse sono già i primi effetti del mio drink a stomaco vuoto. Mi rendo conto di non aver risposto alla sua domanda quando, sorridendo, mi agita una mano davanti al viso indicando nel contempo il mio bicchiere. Ha delle bellissime unghie con uno smalto color rosso sangue.
“Si, è quello” le rispondo senza pensarci. “Ma allora sei italiana!!! Lo avevo capito subito vedendo come sei vestita!” mi dice ridendo e passando subito al tu come se ci conoscessimo da tempo.
Francese, ecco la strana inflessione. “Sono nata a Lione” mi precisa dopo un istante. “E tu di dove sei? Io vivo a Parigi, sono sposata e ho due bimbi. Lavoro per una multinazionale americana del farmaco e sono qui per l’apertura della nuova sede madrilena. Tu cosa fai? Sei sposata? Hai figli? Come mai sei qui a Madrid?”.
Parla l’italiano, mi spiega, perché ha vissuto qualche anno in Italia prima di cambiare sede e rientrare in Francia. Mi travolge con le sue parole, con la sua simpatia, con il suo italiano morbido e sensuale che nasconde la musicalità della sua lingua madre. Mi affascina. Non riesco a staccare gli occhi dalle sue mani, dalle labbra, dagli occhi, dai capelli.
E’ più giovane di me, di una decina d’anni presumo, e il suo tailleur elegante, blu scuro, non riesce a nascondere il fisico generoso ed elegante. Parliamo di tutto, il tempo passa veloce. Lavoro, famiglia, figli, marito, viaggi, amori passati. Sono totalmente sedotta da lei, come mai mi è successo. Mi sembra di conoscerla da sempre. I Dry Martini, nel frattempo, sono diventati due. Lei mi ha offerto il secondo senza che nemmeno potessi opporre un rifiuto. Indubbiamente lei regge meglio di me.
Dopo infinite parole e sguardi che dicono quello che ancora mi rifiuto di accettare, capisco che è tempo che vada a dormire. Scendo a fatica dallo sgabello troppo alto del bar, attenta a non far alzare troppo la gonna. “E’ stato bello e divertente! E grazie del drink.. ma sarà meglio che salga in camera” le dico mentre mi guarda con quegli occhi che incendiano l’anima. Una volta di più mi sorprende. “Ti accompagno, salgo con te”. Una frase ambigua, può voler dire tutto e niente ma mi emoziona più di quanto avrei immaginato solo due ore fa.
Mi muovo, un po’ incerta, verso l’ascensore. Lei al mio fianco. Continuiamo a parlare ridendo come due vecchie amiche. Mi domando, stupita, che impressione possiamo fare a quei pochi avventori che ci guardano mentre passiamo. Camminando sento la sua mano sfiorare la mia. Non la allontano, mi piace sentire la sua pelle tiepida e liscia sulla mia.
Nell’ascensore siamo sole, restiamo in silenzio, ora. Un silenzio che parla. Premo il pulsante del mio piano. Lei non dice nulla. Esco nel corridoio deserto e cammino sulla folta moquette, lei al mio fianco. Mi fermo davanti alla porta della camera. Tolgo dalla borsa la tessera magnetica e mi volto per salutarla e augurarle la buonanotte. Mi sta guardando. Mi sembra così naturale il gesto mentre le offro la tessera. Con un sorriso lei apre la porta. Non servono più le parole.
Entriamo e mi appoggio con la schiena alla porta. Prendo la sua mano, la porto alle labbra. Un lieve bacio esitante. Poi le mie labbra conoscono le sue, la lingua accarezza la lingua, il bacio diventa desiderio e passione. La sua bocca sa di alcool e fiori. Mi stacco a fatica dopo un tempo infinito. La guardo, la voglio. Le sue dita slacciano rapide e nervose i bottoni della mia camicetta, si china a baciarmi l’attaccatura dei seni. Non so cosa sto facendo ma, qualunque cosa sia, la voglio fare e la voglio fare con lei.
Una scia di indumenti. Cadono, uno dopo l’altro, sulla moquette mentre lente e abbracciate percorriamo i pochi metri che ci separano dal grande letto in attesa. Poi nulla rimane tra noi e il nostro desiderio che brucia. Si stende sul letto in penombra, la pelle vellutata che spicca sul candore del lenzuolo. Scivolo su di lei, riprendo a baciarla meno esitante, ora so cosa voglio. Le sue dita, le sue unghie rosse sulla mia schiena mi dicono più di mille parole. La mia bocca, la mia lingua che corre sulla sua pelle mi rivelano cose che non volevo sapere.
I suoi seni riempiono le mie piccole mani, i larghi e scuri capezzoli eretti si abbandonano alle mie cure, alla bocca, ai miei denti che li mordono impazienti e irrequieti. La lingua lascia una scia di desiderio lungo il suo corpo, gioca con il piccolo ombelico, si perde nei profumati sentieri del tiepido monte per infine tuffarsi nel lago di miele odoroso. I suoi gemiti sono un dolce suono nelle mie orecchie, l’unico suono che riempie l’ovattato silenzio. A fatica abbandono l’umido nido in cui il viso ha trovato profumato riparo e risalgo di nuovo verso la bocca che si apre all’urgenza della mia lingua bagnata di lei.
Poi è solo follia. Dita e mani impazzite, bocche e lingue nervose, morsi affamati e cattivi. Sento la sua coscia divaricare le mie quasi con rabbia. Abbandono il mio sesso bagnato alla furia del suo movimento. Poi sono io a possederla con gesti e moti che giacevano presenti e silenti dentro di me.
Profondi sono i sospiri che riempiono la stanza, parole di passione e di desiderio in lingue diverse. Universale il significato. Precipito nel pozzo senza fine del piacere. Buio illuminato da mille bagliori. Riprendo vita e poi di nuovo mi sento cadere.. e ancora e ancora. E lei cade con me, insieme a me, senza barriere e senza ostacoli. Senza fine, nella notte che cede lentamente al nuovo giorno.
Lei dorme quando lascio la finestra e la prima luce dell’alba per tornare a letto. Mi fermo incantata a guardarla, a guardare sorpresa la schiena nuda, i glutei rotondi e armoniosi, la pelle liscia che rivela gli accennati segni del reggiseno e del piccolo tanga. Mi stendo al suo fianco e la accarezzo con un dito, leggera e incredula che lei sia qui, nel mio letto, che lei esista davvero. Poi mi addormento, serena e appagata.
Mi sveglio nel letto inondato di luce. Mattino pieno. Lei è vestita, indossa di nuovo il tailleur blu notte, si è rifatta il trucco, forse ha usato i miei prodotti lasciati in bagno. E’ bellissima nella luce del sole. Siede sul letto, mi sorride. La sua mano gioca morbida tra le mie cosce, nel mio nido che subito risponde. In pochi istanti mi sento precipitare di nuovo in quel paradiso infernale, travolta da quei brividi profondi e senza confini. Poi la sua voce mi dice qualcosa che ha il sapore amaro di un addio: “Devo scappare. Ho una riunione tra meno di un’ora e poi più tardi l’aereo per Londra”.
Mi alzo, sono nuda. La stringo tra le braccia. Mi chino e raccolgo da terra l’accappatoio che ho lasciato cadere poche ore fa per infilarmi nel letto al suo fianco, per sentire tutto il calore della sua pelle, per morire nel suo profumo. La accompagno alla porta e ci unisce un ultimo bacio, ancora una volta il suo sapore. Non importa se qualcuno vede, non importa se ci sono testimoni della mia prima volta.
“Non so nemmeno come ti chiami, qual è il tuo nome”. Non ce lo siamo dette, non ce lo siamo chieste. “Non è importante. Siamo state noi due”.
Corro a prendere il telefono per registrare il suo numero, un suo recapito di posta. Ma lei già sta camminando verso l’ascensore. Incrocia un uomo che la guarda curioso e poi gira il suo sguardo su me, sull’accappatoio che si è aperto rivelando la mia pelle nuda.
Me ne accorgo in ritardo. Lei, in attesa davanti all’ascensore, ride con gli occhi e con la bocca. Poi, prima di scomparire, solleva la mano, mi mostra due dita piegate a uncino. Cosa mi hanno fatto quelle dita stanotte.
Sono tutte uguali le città quando piove. Nelle prime luci del giorno le strade quasi deserte sono lucide di pioggia, l’asfalto non ancora segnato da tracce di pneumatici che sollevano schizzi d’acqua sui rari passanti. Qualcuno si affretta verso il quotidiano lavoro, chiuso nel suo impermeabile e nei suoi pensieri.
Con un colpo di testa dei miei ho lasciato marito e figli per regalarmi due giorni e una notte da sola. E sono “fuggita” a Madrid per vedere di nuovo il Museo Reina Sofia”, Picasso e Guernica, e per camminare senza meta precisa per piazze e strade. Due giorni e una notte da sola in un’altra città, in una città che non è la mia e dove non conosco nessuno.
In piedi davanti alla porta-finestra al quinto piano dell’albergo nella Gran Via guardo la città che lentamente rinasce e riprende a correre. Credo che fuori il clima sia fresco ma la camera è calda. Indosso la leggera camicia da notte di seta rossa che sento scivolare dolce sulla pelle nuda, libera dalle costrizioni di altri indumenti. In mano la tazza del primo caffè. Nero e amaro. Dietro, la tenda bianca mi accarezza la testa e la schiena. Una sensazione piacevole.
Nel palazzo di fronte un uomo, indossa un pigiama azzurro. Beve qualcosa. Sta guardando anche lui la strada. Poi solleva la testa e mi vede: credo di essere una gradevole vista nella luce ancora incerta del mattino. Solleva la tazza in un silenzioso e ironico brindisi. Alzo la mano e lo saluto. Sorrido, anche se non può distinguere la mia espressione da quella distanza. Per qualche istante, incerta, rimango in mostra, seminuda, davanti alla finestra.
Poi mi sottraggo allo sguardo. Abbandono le strade lucide di pioggia e le prime auto che corrono approfittando dei semafori che ancora lampeggiano solo di giallo. Folta e tiepida la moquette sotto i piedi nudi mentre torno verso il letto disfatto. La soffice e leggera coperta disegna il suo corpo, un braccio scoperto, il cuscino quasi scompare sotto la massa dei folti capelli, gli occhi ancora chiusi, le lunghe sopracciglia, le morbide labbra dischiuse nel lento respiro. Lei dorme.
Con la mente impazzita ritorno a ieri.
Ormai sera. Sono seduta al bancone del bar dell’albergo, un Dry Martini davanti. So che non dovrei bere niente di così forte: mi girerà la testa. Ma tanto che devo fare? Sono sola e dopo salirò in camera a dormire. Luci soffuse, la musica di un pianoforte in sottofondo, qualche risata, una coppia che beve in silenzio a un tavolino in fondo alla sala. I piedi dolenti, le gambe stanche, la schiena a pezzi: non dovevo camminare così a lungo, girare senza meta per la città. Scoprire una piazza nascosta e poi una strada, un vicolo, un’altra piazza.
Buono il Martini. Sarà meglio non finirlo alla svelta e magari mangiare qualcosa, al di là delle tristi ciotoline di patatine e olive verdi. Chiedo al barman se posso avere un piatto di verdure grigliate.
Un profumo lieve e persistente, fragranza di fiori primaverili, mi cattura. Alla mia destra si è seduta una giovane donna, una cascata di capelli castani, lunghi e mossi, un piccolo naso diritto, una bocca piena e morbida, due grandi occhi scuri. Si volta verso di me, accenna un sorriso e indica il mio cocktail: “Is that a Dry Martini?”
Mi perdo nei suoi occhi bruni e nella sua voce morbida che parla un inglese con una strana inflessione. Forse sono già i primi effetti del mio drink a stomaco vuoto. Mi rendo conto di non aver risposto alla sua domanda quando, sorridendo, mi agita una mano davanti al viso indicando nel contempo il mio bicchiere. Ha delle bellissime unghie con uno smalto color rosso sangue.
“Si, è quello” le rispondo senza pensarci. “Ma allora sei italiana!!! Lo avevo capito subito vedendo come sei vestita!” mi dice ridendo e passando subito al tu come se ci conoscessimo da tempo.
Francese, ecco la strana inflessione. “Sono nata a Lione” mi precisa dopo un istante. “E tu di dove sei? Io vivo a Parigi, sono sposata e ho due bimbi. Lavoro per una multinazionale americana del farmaco e sono qui per l’apertura della nuova sede madrilena. Tu cosa fai? Sei sposata? Hai figli? Come mai sei qui a Madrid?”.
Parla l’italiano, mi spiega, perché ha vissuto qualche anno in Italia prima di cambiare sede e rientrare in Francia. Mi travolge con le sue parole, con la sua simpatia, con il suo italiano morbido e sensuale che nasconde la musicalità della sua lingua madre. Mi affascina. Non riesco a staccare gli occhi dalle sue mani, dalle labbra, dagli occhi, dai capelli.
E’ più giovane di me, di una decina d’anni presumo, e il suo tailleur elegante, blu scuro, non riesce a nascondere il fisico generoso ed elegante. Parliamo di tutto, il tempo passa veloce. Lavoro, famiglia, figli, marito, viaggi, amori passati. Sono totalmente sedotta da lei, come mai mi è successo. Mi sembra di conoscerla da sempre. I Dry Martini, nel frattempo, sono diventati due. Lei mi ha offerto il secondo senza che nemmeno potessi opporre un rifiuto. Indubbiamente lei regge meglio di me.
Dopo infinite parole e sguardi che dicono quello che ancora mi rifiuto di accettare, capisco che è tempo che vada a dormire. Scendo a fatica dallo sgabello troppo alto del bar, attenta a non far alzare troppo la gonna. “E’ stato bello e divertente! E grazie del drink.. ma sarà meglio che salga in camera” le dico mentre mi guarda con quegli occhi che incendiano l’anima. Una volta di più mi sorprende. “Ti accompagno, salgo con te”. Una frase ambigua, può voler dire tutto e niente ma mi emoziona più di quanto avrei immaginato solo due ore fa.
Mi muovo, un po’ incerta, verso l’ascensore. Lei al mio fianco. Continuiamo a parlare ridendo come due vecchie amiche. Mi domando, stupita, che impressione possiamo fare a quei pochi avventori che ci guardano mentre passiamo. Camminando sento la sua mano sfiorare la mia. Non la allontano, mi piace sentire la sua pelle tiepida e liscia sulla mia.
Nell’ascensore siamo sole, restiamo in silenzio, ora. Un silenzio che parla. Premo il pulsante del mio piano. Lei non dice nulla. Esco nel corridoio deserto e cammino sulla folta moquette, lei al mio fianco. Mi fermo davanti alla porta della camera. Tolgo dalla borsa la tessera magnetica e mi volto per salutarla e augurarle la buonanotte. Mi sta guardando. Mi sembra così naturale il gesto mentre le offro la tessera. Con un sorriso lei apre la porta. Non servono più le parole.
Entriamo e mi appoggio con la schiena alla porta. Prendo la sua mano, la porto alle labbra. Un lieve bacio esitante. Poi le mie labbra conoscono le sue, la lingua accarezza la lingua, il bacio diventa desiderio e passione. La sua bocca sa di alcool e fiori. Mi stacco a fatica dopo un tempo infinito. La guardo, la voglio. Le sue dita slacciano rapide e nervose i bottoni della mia camicetta, si china a baciarmi l’attaccatura dei seni. Non so cosa sto facendo ma, qualunque cosa sia, la voglio fare e la voglio fare con lei.
Una scia di indumenti. Cadono, uno dopo l’altro, sulla moquette mentre lente e abbracciate percorriamo i pochi metri che ci separano dal grande letto in attesa. Poi nulla rimane tra noi e il nostro desiderio che brucia. Si stende sul letto in penombra, la pelle vellutata che spicca sul candore del lenzuolo. Scivolo su di lei, riprendo a baciarla meno esitante, ora so cosa voglio. Le sue dita, le sue unghie rosse sulla mia schiena mi dicono più di mille parole. La mia bocca, la mia lingua che corre sulla sua pelle mi rivelano cose che non volevo sapere.
I suoi seni riempiono le mie piccole mani, i larghi e scuri capezzoli eretti si abbandonano alle mie cure, alla bocca, ai miei denti che li mordono impazienti e irrequieti. La lingua lascia una scia di desiderio lungo il suo corpo, gioca con il piccolo ombelico, si perde nei profumati sentieri del tiepido monte per infine tuffarsi nel lago di miele odoroso. I suoi gemiti sono un dolce suono nelle mie orecchie, l’unico suono che riempie l’ovattato silenzio. A fatica abbandono l’umido nido in cui il viso ha trovato profumato riparo e risalgo di nuovo verso la bocca che si apre all’urgenza della mia lingua bagnata di lei.
Poi è solo follia. Dita e mani impazzite, bocche e lingue nervose, morsi affamati e cattivi. Sento la sua coscia divaricare le mie quasi con rabbia. Abbandono il mio sesso bagnato alla furia del suo movimento. Poi sono io a possederla con gesti e moti che giacevano presenti e silenti dentro di me.
Profondi sono i sospiri che riempiono la stanza, parole di passione e di desiderio in lingue diverse. Universale il significato. Precipito nel pozzo senza fine del piacere. Buio illuminato da mille bagliori. Riprendo vita e poi di nuovo mi sento cadere.. e ancora e ancora. E lei cade con me, insieme a me, senza barriere e senza ostacoli. Senza fine, nella notte che cede lentamente al nuovo giorno.
Lei dorme quando lascio la finestra e la prima luce dell’alba per tornare a letto. Mi fermo incantata a guardarla, a guardare sorpresa la schiena nuda, i glutei rotondi e armoniosi, la pelle liscia che rivela gli accennati segni del reggiseno e del piccolo tanga. Mi stendo al suo fianco e la accarezzo con un dito, leggera e incredula che lei sia qui, nel mio letto, che lei esista davvero. Poi mi addormento, serena e appagata.
Mi sveglio nel letto inondato di luce. Mattino pieno. Lei è vestita, indossa di nuovo il tailleur blu notte, si è rifatta il trucco, forse ha usato i miei prodotti lasciati in bagno. E’ bellissima nella luce del sole. Siede sul letto, mi sorride. La sua mano gioca morbida tra le mie cosce, nel mio nido che subito risponde. In pochi istanti mi sento precipitare di nuovo in quel paradiso infernale, travolta da quei brividi profondi e senza confini. Poi la sua voce mi dice qualcosa che ha il sapore amaro di un addio: “Devo scappare. Ho una riunione tra meno di un’ora e poi più tardi l’aereo per Londra”.
Mi alzo, sono nuda. La stringo tra le braccia. Mi chino e raccolgo da terra l’accappatoio che ho lasciato cadere poche ore fa per infilarmi nel letto al suo fianco, per sentire tutto il calore della sua pelle, per morire nel suo profumo. La accompagno alla porta e ci unisce un ultimo bacio, ancora una volta il suo sapore. Non importa se qualcuno vede, non importa se ci sono testimoni della mia prima volta.
“Non so nemmeno come ti chiami, qual è il tuo nome”. Non ce lo siamo dette, non ce lo siamo chieste. “Non è importante. Siamo state noi due”.
Corro a prendere il telefono per registrare il suo numero, un suo recapito di posta. Ma lei già sta camminando verso l’ascensore. Incrocia un uomo che la guarda curioso e poi gira il suo sguardo su me, sull’accappatoio che si è aperto rivelando la mia pelle nuda.
Me ne accorgo in ritardo. Lei, in attesa davanti all’ascensore, ride con gli occhi e con la bocca. Poi, prima di scomparire, solleva la mano, mi mostra due dita piegate a uncino. Cosa mi hanno fatto quelle dita stanotte.
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