Pulman per il mare

di
genere
confessioni

L'estate dei miei diciotto anni era un'esplosione di sole e desiderio, un segreto ardente nascosto tra le colline lucane. Ogni alba, il richiamo del mare di Metaponto, una gemma sconosciuta ai più, mi strappava dalle lenzuola. Una colazione fugace, una doccia che mi accarezzava la pelle ancora addormentata, e correvo verso il pullman, il mio passaggio segreto verso un mondo di sabbia calda e corpi abbronzati.
Metaponto, con le sue spiagge dorate e l'acqua cristallina, era il palcoscenico dei miei sogni proibiti. Ogni sguardo rubato, ogni tocco sfiorato sulla pelle bruciata dal sole, era una scintilla che alimentava il fuoco interiore. Sapevo che quell'estate sarebbe stata diversa, che il desiderio avrebbe preso il sopravvento, e che il mare avrebbe custodito i miei segreti più intimi, le mie fantasie più audaci.
Lido Venere, la mia meta, era anche quella di una vicina di casa di mia nonna, una donna quarantenne bionda, con un viso ordinario ma un corpo da Venere. Il suo seno prosperoso, che intravedevo sotto i leggeri abiti estivi, era una promessa di voluttà. Abitava a Milano, sposata e con una figlia piccola, ma ogni estate tornava nel mio piccolo paese, come una sirena richiamata dal suo scoglio, per trovare sua madre vedova.
La osservavo da lontano, con la curiosità e il desiderio che solo una diciottenne può provare. Il modo in cui si muoveva, la sicurezza con cui si mostrava, il suo sorriso malizioso... tutto in lei mi affascinava e mi incuriosiva. Mi chiedevo quali segreti nascondesse, quali desideri la spingessero a tornare ogni anno in quel luogo lontano dalla sua vita patinata. E sentivo, nel profondo, che le nostre estati si sarebbero intrecciate, come le onde del mare che lambivano la sabbia, lasciando una scia di mistero e sensualità.
Quella mattina di mezza estate, la fila per il pullman sembrava non finire mai. Mancavano pochi giorni alla festa patronale, e l'aria era elettrica, carica di promesse. La mia comitiva di amici, con le chitarre e gli zaini da mare, si era già posizionata in fondo, come al solito. Ma io, in ritardo, mi ritrovai tra gli ultimi della fila.
Entrai nel pullman, cercando con lo sguardo un posto libero. La mia solita postazione era occupata, così, con un pizzico di esitazione, lasciai la chitarra e lo zaino sulla rastrelliera e mi sedetti accanto a lei, la vicina di mia nonna. Il suo profumo, dolce e avvolgente, mi inebriò all'istante. La sua amica, una ragazza dai capelli scuri e dagli occhi vivaci, era seduta davanti a lei, e le due chiacchieravano animatamente.
La vicina di mia nonna indossava un vestito leggero, che lasciava intravedere le sue curve generose. La sua pelle, dorata dal sole, sembrava brillare di luce propria. Sentivo il suo sguardo posarsi su di me, un'occhiata fugace ma intensa, che mi fece arrossire leggermente. Le nostre gambe si sfiorarono, un contatto casuale che mi fece fremere.
Mentre il pullman si metteva in moto, sentii un brivido di eccitazione percorrermi la schiena. Sapevo che quell'estate sarebbe stata diversa, che quel viaggio in pullman sarebbe stato solo l'inizio di qualcosa di inaspettato e sensuale.
Il viaggio era tranquillo, le due chiacchieravano animatamente della vita frenetica a Milano, delle cose belle e brutte di una grande città, e ogni tanto buttavano uno sguardo verso di me... A metà strada, ero insofferente, relegato lontano dai miei amici che avevano iniziato in modo soft a suonare e cantare qualche motivetto orecchiabile. La mia vicina di posto smette di parlare, si gira verso di me e dice: "Sei il nipote di Fortunata (mia nonna)?"
Gli rispondo di sì, con uno sguardo malizioso e un sorriso a trentadue denti mi dice: "Piacere, Giovanna". E la sua amica, anche lei di origini meridionali ma che abitava a Torino, mi dice: "E io Francesca". Fu così che conobbi Giovanna.
Il suo sguardo indugiava sul mio corpo, un'occhiata che mi faceva sentire nudo sotto i vestiti. Il suo sorriso era un invito silenzioso, una promessa di avventure proibite. Francesca, con i suoi occhi scuri e penetranti, sembrava leggere nella mia mente, come se conoscesse i miei desideri più nascosti.
Giovanna mi raccontava di Milano, delle serate eleganti e dei locali alla moda, mentre le sue mani si muovevano sinuose nell'aria, sfiorando la mia pelle. Francesca, invece, mi parlava di Torino, dei suoi vicoli nascosti e dei suoi segreti, e la sua voce era un sussurro caldo che mi faceva rabbrividire.
Sentivo il loro profumo, un mix inebriante di fiori esotici e spezie, che mi stordiva e mi eccitava. I loro corpi si muovevano sinuosi, come se danzassero al ritmo di una musica invisibile, e i loro sguardi si incrociavano con i miei, creando una tensione elettrica che mi faceva tremare.
Sapevo che quell'incontro non era casuale, che c'era qualcosa di più profondo, di più oscuro, che ci legava. E sentivo che quell'estate sarebbe stata diversa, che Giovanna e Francesca avrebbero risvegliato in me desideri sopiti, passioni proibite, che anche loro avrebbero cambiato il corso della mia vita.
Uno sguardo tra le due Francesca si gira e giovanna inizia a parlare con me mi dice della sua vita frenetica a milano nessuno svago solo cose standard e il sabato cena a cena fuori con suo marito chiede di me dove andavo a scuola e cosa facevo nel tempo libero
Gli raccontai che a settembre sarebbe stato il mio ultimo anno di geometra e che poi non sapevo se prendere l’abilitazione o continuare negli studi… eravamo giunti a fine viaggio di andata ci alziamo per ultimi presi le mie cose e la chitarra e aspettavo che lei scendesse per prima si gira e mi dice …perché non venite vicino ai nostri ombrelloni con le chitarre? Accetto la proposta mi dirigo verso i miei amici e gli dico il tutto , anche loro accettano ci posizionamo per primi mentre giovanna e francesca arrivano con le rispettive figlie si tohlie il vedisto e rimango letterelmente incantato, mi chiede mai visto una donna mentre francesca la guardava e sorrideva
Mentre le note della mia chitarra e la voce delle mie amiche si fondevano con il suono delle onde, sentivo gli occhi di Giovanna e Francesca che mi scrutavano, mi spogliavano, mi desideravano. O almeno, così mi piaceva immaginare. Il sole, la musica, i loro sguardi... tutto concorreva a creare un'atmosfera di sensualità e mistero. Sapevo che l'estate era appena iniziata, e che le sorprese non erano finite.
Francesca si defilò, andando a giocare con le bimbe, mentre i miei amici e amiche si tuffavano in acqua. Restammo soli io e lei. Mi chiese il motivo del mio stupore quando si svestiva, e con uno sguardo titubante, sperando di non sbagliare, le dissi che era bellissima. Lei, con noncuranza, mi chiese se le piacevo. "Sai, è la prima volta che un ragazzo mi spoglia con gli occhi. Non sono bella, ma tu mi hai fatto sentire un brivido mentre mi guardavi."
Passammo la giornata al mare, scherzando, ridendo e stuzzicandoci quando eravamo soli. All'ora del ritorno, salimmo sul pullman strapieno e ci sedemmo di nuovo insieme. Francesca non si girò più a parlare con gli altri, e io mi sedetti al contrario sul sedile. Iniziammo a giocare con le mani, nascosti alla vista degli altri. Lei aveva un asciugamano da mare intorno alla vita. Prese la mia mano e la portò sulla sua coscia. Iniziai ad accarezzarla, salendo sempre più su, e lei, con gli occhi pieni di desiderio, mi disse di salire ancora. Spostai il costume e la sentii bagnata. Forse fui un po' ruvido, perché sobbalzò e rise piano, dicendomi: "È vero che sono un lago, ma..." La sua voce si spense, lasciando la frase in sospeso, mentre i suoi occhi mi invitavano a scoprire il resto.
La sentii gemere, un suono basso e profondo che mi fece rabbrividire. Mi tolse la mano con un sorriso malizioso e mi chiese se sarei tornato al mare il giorno dopo. Le dissi di no, mentre tornavamo verso il paese. Ci salutammo con un "ciao, alla prossima", ma il suo sguardo indugiò un istante di troppo sul mio, un invito silenzioso che mi fece tremare. Francesca si avvicinò e mi salutò con un sorriso... un sorriso eccitante, come se sapesse esattamente cosa mi passava per la testa.
Quella sera, nella solitudine della mia stanza, mi abbandonai a fantasie proibite, immaginando le sue curve sinuose, il suo seno prosperoso, il suo corpo caldo e avvolgente. Mi masturbai all'inverosimile, fino a quando il piacere non mi travolse come un'onda impetuosa.
Qualche sera dopo, mi trovavo sul balcone di mia nonna, affacciato sulla piazza. Era buio, ma le luci dei lampioni creavano ombre intriganti. Il mio sguardo cercava qualcosa, o meglio, qualcuno. Ero lì per spiarla, per vedere se riuscivo a intravederla nella penombra. E la vidi.
Indossava un vestito leggero, che le scivolava addosso come una carezza. Le curve del suo corpo erano appena accennate, ma la mia immaginazione le completava, disegnando forme sensuali e provocanti. Camminava lentamente, con un'andatura sinuosa, come se sapesse di essere osservata. Il suo sguardo era perso nel vuoto, ma sentivo che percepiva la mia presenza, nascosta nell'ombra del balcone.
Si fermò sotto un lampione, la luce che le illuminava il viso. I suoi occhi erano scuri e profondi, pieni di desiderio e mistero. Le labbra carnose erano socchiuse, come se stesse trattenendo un sospiro. In quel momento, sentii un'attrazione irresistibile, un impulso irrefrenabile a raggiungerla, a toccarla, a baciarla.

Era la sera della festa patronale, con la piazza che pulsava di musica e luci, era un richiamo irresistibile. Mentre mi avvicinavo alla piazza, un pensiero fisso nella mente, mi ritrovai quasi per caso (o forse no?) davanti alla casa della madre di Giovanna. Solo poche sere prima, con Giovanna e Francesca, in quella stessa piazza, avevamo condiviso risate e sguardi complici, mentre la banda suonava le note di una passione latente, una sinfonia di desideri inespressi. E poi, al momento dei saluti, il sussurro di Francesca, caldo come un alito di vento, che mi invitava a condividere un caffè, un invito che risuonava ancora nelle mie orecchie come una promessa sussurrata
Ma quella sera, Giovanna mi aspettava sull'uscio, i suoi occhi brillavano di una luce maliziosa. Mi chiese aiuto, un pretesto per avvicinarmi, per sentirmi suo. Un'anfora pesante, un divano da spostare, scuse per rinchiuderci nel garage, lontano da occhi indiscreti. Sua madre e sua figlia erano già in piazza, ignare del gioco che stava per iniziare.
Nel garage, l'aria era densa di elettricità. Un divano appena spostato, un invito silenzioso a esplorare nuovi territori. Afferrai l'anfora, sentendo il peso della sua scusa, e la poggiai delicatamente, come se stessi posando le mie mani sul suo corpo. I nostri sguardi si incrociarono, un'intesa tacita, un desiderio che ardeva sotto la superficie.
"Posala lì," mi disse, la sua voce un sussurro roca, "e poi... aiutami con qualcos'altro."
L'oscurità del garage avvolgeva ogni cosa, un preludio sussurrato a una sinfonia di desiderio che avrebbe presto incendiato il divano, un'isola temporanea di passione. Le nostre labbra si sono incontrate in un bacio vorace, le mie mani che esploravano le curve nascoste sotto la sua gonna, mentre l'abbraccio si trasformava in un vortice di calore. Lei, già madida di desiderio, mi ha spinto con impeto sul divano, trasformandolo in un altare improvvisato del piacere. Con gesti audaci e sicuri, ha svelato la mia pelle, iniziando un rituale di adorazione con labbra e lingua, un'ode sensuale alla devozione. Ogni tocco, ogni sussurro, era un invito a perdersi in un labirinto di sensazioni, dove il tempo si fermava e l'unico linguaggio era quello del corpo. Tira fuori il mio membro marmoreo caldo e pulsante, scivolare tra di esse. Iniziò a leccarlo con una dolcezza vorace, la sua lingua che danzava su di esso con maestria. Ogni tocco era una promessa, un invito a un piacere più profondo. Mentre lo assaporavo, mi accorsi l'assenza delle sue tonsille, un dettaglio rese molto eccitante il momento con un gesto delicato, la liberai dai suoi abiti, rivelando la sua bellezza in tutta la sua magnificenza. Il nostro incontro fu un crescendo di emozioni, prima dolce e avvolgente, poi selvaggio e impetuoso, un'escalation di passione che culminò in un'esplosione di piacere condiviso la riempii di sborra tanta quanta un 18enne puo averne Sei folle!" urlò con una risata, la passione che le illuminava gli occhi come un fuoco ardente. Mi afferrò per i capelli, tirandomi verso di sé con una forza inaspettata, e con un sorriso malizioso mi ordinò di ripulire ogni singola goccia di sborra calda mista ai suoi umori. Il suo tocco, inizialmente brusco, si trasformò in una carezza elettrizzante, un invito a esplorare i confini del piacere. Mentre ci rivestivamo in fretta, l'eco dei nostri respiri ancora caldi e affannati riempiva la stanza. Fuori, il brusio della piazza si faceva sempre più forte, un richiamo irresistibile. Francesca ci aspettava, i suoi occhi brillarono di malizia quando ci vide. Cosa avete combinato?, chiese con un sorriso enigmatico, la sua curiosità palpabile. La notte era ancora giovane, e la festa patronale ci chiamava a sé….
scritto il
2025-02-21
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