La scoperta delle mogli 1 - L'inizio-
di
ExPugile
genere
corna
La nostra storia ebbe inizio ad agosto 2012. Tramite un’amica in comune incontrai Rebecca: lei, timida e giovane, appena 20 anni, e io, Andrea un ventiquattrenne libero e in piena forma. La sua presenza mi colpì immediatamente: superava di un paio di centimetri il metro e sessanta, i suoi occhi immensi, così espressivi da sembrare in grado di svelare l’anima, si abbinavano a un viso leggermente allungato e ben delineato, con labbra fini e un corpo snello.
Ma fu il suo lato B, sodo, ben scolpito e leggermente sporgente subito dopo il ristretto bacino, a innescare in me un’irresistibile eccitazione. Solo a pensarci mi eccito da matti. Rebecca lavorava part-time come commessa in un negozio di vestiti, mentre io sono direttore in un’azienda metalmeccanica. Fin dalle prime uscite, tra baci e incontri appassionati, il passo fu rapidissimo: la scoperta dell’altro, la voglia di conoscersi in maniera totale. Facevamo sesso ovunque, in ogni modo possibile; l’unica eccezione era il suo favoloso culetto, che mi ha sempre negato. Ricordo in modo vivido quella domenica passata dai miei: dopo pranzo, è bastato uno sguardo per farmi correre in bagno con lei. Una volta, dopo aver chiuso la porta a chiave, Rebecca si spogliò velocemente, invitandomi a seguirla senza esitazioni.
Si inginocchiò e, senza perdere tempo, afferrò la base del mio cazzo, il mio membro, robusto e fiero, che supera i 18 cm cominciò a leccarlo dalla base fino alla cappella. La sua bocca abile, ripeté quel gesto più volte, fissandomi intensamente negli occhi mentre iniziava il classico movimento di testa. Era bravina a fare i pompini: si fermava appena sotto la cappella, lasciando che il suo ritmo mi portasse sempre più vicino all’orgasmo. Alla fine, quando sentì le prime contrazioni del mio arnese, imboccò la cappella succhiandomi con una furia tale da inghiottire, come se inghiottisse anche l’anima, tutto ciò che avevo da offrire. Non appena riprese fiato, leccò gli ultimi residui di sborra dagli angoli delle sue favolose labbra, si appoggiò sul lavandino e mi pregò di prenderla, di farla godere. E io, senza pensarci due volte, la presi, avendo il cazzo ancora bello tosto. Beata gioventù! Presi posto immediatamente nella sua bagnatissima figa, che tiene sempre depilata e perfetta, e cominciai a battere il mio bacino contro il suo fondoschiena, stringendola per quelle fantastiche chiappe, il suo punto forte.
Non resistii a lungo, mentre si toccava il clitoride, ebbe un’orgasmo, come faceva di solito con la bocca aperta, fissandomi dallo specchio con quegli occhi pieni di godimento e desiderio, accompagnati da un leggero tremolio alle gambe. Quel momento fu così intenso che mi fece venire, e venni sulla sua schiena. Scopavamo come conigli ogni volta che l’occasione se ne presentava, senza precauzioni; si correva il rischio di gravidanze, rischio che si materializzò un anno dopo il nostro primo incontro. Dopo quella gravidanza, che fu un’esperienza di piacere e amore quasi surreale, nacque una splendida bambina, tutta uguale alla mamma. Noi eravamo al settimo cielo, giovani e pieni di voglia di vita.
Purtroppo, però, dopo il parto Rebecca sembrò dimenticare le gioie del sesso. Con comprensione accettai quel periodo, consapevole che la maternità era un momento speciale, ricco d’amore ma anche di fragilità, e mi mostravo sempre vicino a lei e alla piccolina. Ma i nostri incontri intimi si ridussero a pochissime volte al mese, se andava bene, e ogni notte, andando a letto, mi rimaneva l’amaro in bocca. Negli anni, la mancanza di sesso, la frustrazione e la visione quotidiana di video porno, quei video in cui il marito condivideva sua moglie o in cui, sempre la moglie, veniva presa da cazzi sproporzionati, fecero germogliare in me l’idea folle di veder montare mia moglie da sconosciuti con membri enormi.
All’inizio mi preoccupai, pensando che quella fantasia potesse essere anomala, ma scoprì che moltissimi mariti la condividevano. La consapevolezza mi sollevava e, allo stesso tempo, mi agitava sempre di più, perché desideravo con ogni fibra del corpo soddisfare quelle fantasie.
Così, durante i pochi momenti in cui facevamo sesso, le parlavo apertamente, cosa che lei odia mentre fa l’amore, ma accettava per darmi il “contentino” e perché capiva quanto mi eccitasse e quanto, in quei momenti, durassi meno.
Le chiedevo di immaginare la presenza di un’altra persona nel nostro letto, iniziando perfino a metterle due dita in bocca, domandandole di succhiarle come se fossero un vero cazzo, o di immaginare un altro al mio posto.
Le prime volte si arrabbiò, e in alcune di quelle volte finimmo di scopare in mezzo a discussioni, ma col tempo lei si abituò, accontentandomi e succhiando le dita sempre con maggiore partecipazione. Tuttavia, al termine dell’amplesso, con uno sguardo duro e una voce rimproverante, mi domandava:
"Ma come fai a pensare a certe cose? Non starai diventando un pervertito?" Ricordo una volta, mentre stavamo facendo l’amore sdraiati sul fianco, io dietro di lei, le dita ancora in bocca, mimando un pompino le chiesi:
"Rebecca, se questo cazzone che stai succhiando ti vuole scopare, tu che fai?"
La sua risposta mi fece venire un orgasmo all’istante: si girò, mi fissò negli occhi e, con tono secco, mi disse:
"Mi faccio sbattere come una vacca."
Finita la frase, venni, sborrando tra le lenzuola. Lei si girò e mi diede la buonanotte in modo freddo.
In un rapporto è fondamentale il dialogo, ma in quel periodo, con Rebecca, ogni confronto era un nodo difficile da sciogliere: il suo carattere forte e irascibile rendeva complicata ogni discussione. Così mi chiusi sempre più in me stesso. La mia ossessione divenne tale che iniziai a fotografarla di nascosto, mentre faceva le faccende domestiche, sotto la doccia, mentre si cambiava e persino mentre dormiva, soprattutto d’estate, quando indossava quei perizomi strozzanti che la facevano sembrare ancora più erotica. Mi segavo spesso sulle foto, immaginandola impegnata con un cazzo bello grosso. Passarono nove anni di quella convivenza, apparentemente felice, ma senza un vero sesso. In quegli anni cominciai a chattare con altri mariti, che frustrati come me, si sfogavano scambiandosi immagini e fantasie. L’episodio decisivo accadde una sera, mentre scambiavo foto con uno dei soliti con cui chattavo, ma quello che evitavo di più per le sue richieste insistenti e domande fin troppo personali: si faceva chiamare Alessandro, di Como. Un uomo che, a dispetto delle sue richieste troppo personali e delle fantasie spinte da dominatore, vantava un cazzo spropositato, enorme, con una cappella pronunciata, un corpo robusto e venoso, incurvato lievemente verso l’alto e, soprattutto, molto largo. Quella sera, Alessandro mi scrisse:
"Caro cornutello mio, tua moglie ho capito benissimo chi è, e sappi che se non farai in modo di farmela scopare le racconterò tutto mostrandole le chat avute con te." Inizialmente non ci credetti, ma per avvalorare la sua tesi mi mandò una foto di mia moglie scattata di nascosto nel negozio dove lavorava, dicendomi che lui, che fa il fattorino, aveva scommesso fosse lei dalle cose che gli avevo raccontato e dalle foto che gli mandavo.
In quel momento mi maledissi: ero furioso e, se l’avessi avuto di fronte, avrei fatto una cavolata. Quella notte restai sveglio a rimuginare su quanto fossi stato stupido nel dare informazioni dettagliate e sulle possibili conseguenze. La vita è davvero beffarda: pensa alla coincidenza di questo Alessandro, che regolarmente consegna nel negozio dove lavora lei! Nei giorni seguenti, ero praticamente assente, cercando di capire come uscire da quella situazione scomoda. Una sera, tornato a casa tardi, dopo aver mangiato, rassettato la cucina e fatto addormentare la piccola, mentre eravamo sul divano, Rebecca mi disse:
"Amore, ma tu conosci un certo Alessandro xxxx?"
"Non mi dice nulla questo nome, perché?" risposi, già in pre-allarme, sperando non si trattasse proprio di lui. "No perché mi ha contattato su Instagram. All’inizio non l’ho dato peso, tanti mi inviano richieste di amicizia, ma questo mi sembra simpatico. Guarda le foto, non ti dice nulla?" Guardai il suo telefono: se potevi vedere il profilo che è privato, la richiesta era già stata accettata, pensai.
"Non l’ho mai visto. Ma hai accettato la richiesta? Cosa vi siete scritti?"
"Amore, all’inizio non volevo accettarla, te l’ho detto, ma poi abbiamo chattato qui su Instagram ed è stato molto carino. Penso sia innocuo. Guarda, fa molta palestra, come si vede dalle foto, e viene da Como, lavora per una ditta di trasporti sempre in zona del negozio!"
Pensai: "Ma guarda che fortuna."
"Che fai, gli guardi il fisico?"
"Ma no, amore, non fare il geloso; scorrendo le foto sono passata anche sulle sue foto in palestra." Il disagio cresceva dentro di me, ma stranamente non era solo il disagio a crescere. Mentre guardavamo la televisione, notai che spesso Rebecca prendeva il telefono, scriveva qualcosa e poi ritornava con lo sguardo fisso sullo schermo. Le immagini passavano, ma la mia mente era altrove. Quella sera andammo a letto e forse, in un certo senso, era destino, facemmo una grande, bella scopata, piena di quella soddisfazione che non provavo da anni. Appena andati a letto, Rebecca si voltò verso di me e mi baciò; la sua passione era tornata, era calda, più di quanto non lo fosse stata negli ultimi anni. Sentivo la sua lingua che si intrecciava con la mia, mentre si posizionava sopra di me e muoveva il bacino con una voglia travolgente. Ogni pressione contro il mio cazzo la faceva ansimare, a testimonianza di quel desiderio latente. Si sollevò e mi liberò dalle mutande, in quell’attimo pensai a quanto fosse comodo dormire solo con gli slip, soprattutto in quel caldo di giugno. Iniziò un favoloso lavoro di bocca: era passato troppo tempo dall’ultimo pompino. Indemoniata, succhiava e lappava dalla base fino alla cappella, fermandosi sempre subito sotto di essa con le labbra serrate e con il movimento energico della testa mi portava sempre più vicino all’orgasmo, resistetti solo per via delle tante masturbazioni fatte con altri mariti in chat. Dopo alcuni minuti di intensa stimolazione, la spinsi via, la presi di peso e la posizionai supina sul letto; la spogliai con vigore e mi tuffai sulla sua fighetta. Iniziai a leccarla con desiderio, partendo dal foro d’ingresso e constatai quanto fosse fradicia ed eccitata. Succhiavo le sue labbra, il clitoride, soffermandomi su ogni sua porzione, mentre contemporaneamente le infilavo due dita, muovendole dentro di lei con decisione.
Lei era indemoniata: mi prese per i capelli e mi spinse con forza contro la sua vulva, tenendomi stretto. Feci fatica a contenere il suo vigore, leccando e succhiando con tutta l’energia possibile, tanto che, con la mia faccia pressata contro la sua figa, faticavo persino a respirare.
Ansimava a bocca aperta, e io amavo guardarla mentre godeva: è una cosa che manda in estasi ogni marito.
Di colpo, sempre stringendomi per i capelli, mi spinse verso di lei, e, dopo un bacio passionale, posizionai il mio cazzo contro il suo clitoride, iniziando a strusciarlo con insistenza. Lei impazziva, stringendomi il viso contro il seno e sussurrandomi:
"Scopami, scopami, fammelo sentire, allargami… ahhhhhh…" lo appoggiai all’entrata, e quasi risucchiato entrò fino in fondo iniziando a stantuffarla con vigore.
Dopo alcuni minuti, raggiunse un orgasmo impressionante, le gambe tremanti, mentre io, appena in tempo, le riversai una notevole quantità di liquido sulla pancia e sul seno.
Rimanemmo qualche minuto, accoccolati, a riprenderci dall’orgasmo, sudati e con ancora il fiatone. Poi andammo in bagno a sistemarci e, infine, tornammo a letto scambiandoci un dolce bacio. Ma quella notte, mentre Rebecca si addormentava quasi immediatamente, io non riuscivo a prendere sonno. La mia mente era un turbinio di pensieri: mi domandavo da quando in poi mi incitava a scoparla, ad allargarla… Non aveva mai parlato apertamente di certe cose durante il sesso; anzi, di solito lei respingeva tali allusioni e quel bacio dopo averla leccata “sporco” degli umori di lei, non ha mai voluto che la baciassi dopo quel trattamento. E poi, che pompino, che voglia di succhiare aveva…
Ma all’improvviso, una notifica sul suo telefono, chiaramente di Instagram mi fece intuire che qualcosa non quadrava. Senza fare troppo rumore, presi il suo telefono, che giaceva sul comodino dalla sua parte, so bene che non era la cosa più onorevole da fare, ma dovevo sapere. Aprii la sezione dei messaggi e vidi il profilo dello stronzo che mi stava ricattando. C’erano numerosi scambi di messaggi, accompagnati, ahimè, da sue foto. All’inizio, i messaggi erano innocui: lui scriveva di averla notata nel negozio, dicendo che tra tutte le commesse lei era la più simpatica; davvero, mia moglie aveva un carattere unico: buona, generosa, sempre allegra e con un sorriso contagioso.
Ma poi i messaggi presero una piega diversa, passando all’attacco.
A-Alessandro, R-Mia moglie Rebecca
A: Beh, te lo dico chiaro: in quel negozio, tu sei la più figa. Non c’è dubbio, sei un incanto e tu lo sai bene.
R: Grazie, ma non dimenticare che sono sposata. E poi, c’è Marisa che non smette di fissarti.
A: Marisa, sì lo so...la conosco molto bene”. R: In che senso? Lei è fidanzata!
A: Si certo che lo so! Sono uscito da solo con lei e stiamo organizzando una sera a casa loro”. R: Da domani ti chiameremo “provolone” e raccontafrottole!”
A: Ah, non ci credi? R: Certo che non ci credo! A: Foto del suo cazzo, come me lo ricordavo io quando mi faceva i tributi su mia moglie, bello grosso, appena più lungo del mio quindi penso 20-21 cm, con una cappella pronunciata a fungo. Nella foto si capisce che sono in macchina, “impugnato” a mala pena da una manina, con il pollice e indice che arrivano appena dopo di metà diametro, fa abbastanza impressione a vederlo. R: Certo, su internet si trova di tutto…
A: Altra foto: con Marisa che lecca la cappellona con impegno, tenendo saldamente il cazzo.
R: Ma non ci posso credere... Che diavolo sta facendo Marisa?
A: Non si vede? sta ciucciando il mio cazzo. Alla vista del mio arnese si è rifiutata di scopare. La prossima volta sarà mia.
R: Ma dai, è fidanzata, conosco anche Andrea, il suo ragazzo, vivono insieme da anni!
A: Andrea.. è stato lui a spingerla tra le mie gambe. La prossima volta, la scoperò di fronte a lui.
R: Ma che perversione è questa?
A: Si chiama cuckold, un marito che si eccita a vedere la sua donna dominata da altri. Non dirmi che tuo marito non ha mai avuto quella fantasia. R: cu che?? Ma che cavolo stai dicendo???
A: Guarda che è una fantasia molto comune nelle coppie, e molte di queste lo fanno regolarmente. Ci sono siti specializzati per queste cose dove le coppie cercano i bull, molte delle volte lo scelgono per il cazzo in questo caso il mio, per far montare la donna. Non dirmi che tuo marito non ha di queste fantasie???
Il bastardo sapeva dove fare breccia grazie al fatto che ci scriviamo da tempo e sa che le parlo mentre facciamo sesso.
M: Effettivamente me ne parla spesso mentre lo facciamo, ma io non sono come quelle.
A: Dicono tutte così. Poi quando lo provano, non prendono più il cazzo del marito e vogliono solo il mio. Cosa pensi, una volta che Marisa lo prova, cosa succederà? Che mi chiamerà tutti i giorni per chiavarla con o senza il marito. Pensa che il fidanzato di Marisa, Andrea, vuole che le apra il culo.. M: Ma stai scherzando… Ma che pervertito… noo nel sedere nooo! Io non lo darei neanche per 1 milone di Euro!!
A: Quindi c’è speranza di farti scopare da un altro ma non nel culo?? Che tra l’altro il tuo sembra urlare di possederlo..
M: Ma smettila…Comunque grazie, lo prendo come complimento...
La stronza non ha neanche negato il fatto che potrebbe scoparselo... ero imbestialito, ma col cazzo durissimo. Nonostante la precedente scopata dovetti correre in bagno a masturbarmi. Presi sonno solo poco prima che la sveglia suonasse.
Il giorno dopo in ufficio gli scrissi:
IO: Ciao Alessandro, ma che cazzo fai? Messaggiare con mia moglie? Ma come cazzo ti permetti?
A: Ciao Cornutello, dovresti ringraziarmi: non le ho detto nulla, ma se non fai attenzione, presto tutti sapranno quanto tua moglie adora il cazzo. A proposito, piaciuta la scopata di ieri sera?
IO: Ma che cazzo stai dicendo? E come fai a sapere di ieri?
A: Stiamo messaggiando, e indovina… lei mi ha chiesto del mio cazzo. Ahahah! Presto porterai corna che nemmeno sotto il Ponte di Brooklin potrai passare. Ti farò fare seghe fino a fartelo consumare. IO: Che cazzo stai facendo? Che iintenzioni hai?
A: Non preoccuparti, voglio sedurre e scopare tua moglie, poi sei ho visto bene, non ci limiteremo solo a quello.
IO: Non fare cazzate, altrimenti le dico tutto.
A: E cosa le diresti? Che scrivevi con sconosciuti, che ti masturbavi con loro sulle sue foto fatte di nascosto? Sai perfettamente che hai fatto una cazzata.
Aveva ragione, ho fatto una cazzata, una cazzata bella grossa…
IO: Almeno tienimi aggiornato.
A: Non preoccuparti, Cornutello… Sabrinai sempre aggiornato su ogni mia mossa.
I giorni passavano, e Rebecca era sempre più radiosa e felice. Lei e Alessandro continuavano a sentirsi su WhatsApp, e io venivo costantemente aggiornato da lui. Passavo dallo stato di rabbia a quello di iper-eccitazione. Oramai si scrivevano tutti i giorni e molte volte al giorno, ma la cosa che mi faceva più incazzare era che lei non mi diceva nulla. Quando le chiesi se Alessandro le avesse ancora scritto, lei, infastidita, mi rispose di no. Intanto, io mi segavo più volte al giorno grazie ai resoconti di Alessandro. Il sesso era peggiorato, per colpa mia: ogni volta che lei si concedeva, ora molto vogliosa, avevo in testa l’immagine di lei alle prese con il cazzone di Alessandro, e venivo appena inserivo il cazzo nella sua fighetta che ultimamente trovavo davvero fradicia. Stavo impazzendo. Da Alessandro appresi che avevano iniziato a scambiarsi foto e a masturbarsi in chat: mi inviava screenshot delle conversazioni e foto di mia moglie mentre, in pose da troia navigata e in completini che faticavo a ricordare, si masturbava. Questo non fece altro che ingelosirmi a dismisura, ma anche a tenermi sempre eccitato e sempre sul filo dell’orgasmo. La prova la ebbi quando, una volta, Alessandro mi mandò degli screenshot, evidentemente fatti qualche minuto prima (lo confermava l’ora sul suo telefono riportato sullo screenshot). Corsi nel bagno dell’azienda e mi collegai, il più velocemente possibile, all’app delle videocamere che abbiamo in casa. Ne abbiamo due in salotto, che riprendono l'ingresso e la porta finestra che dà sul giardino, da angolazioni differenti. L’audio non è ottimo, ma le immagini erano chiare. Lì la vidi: lei era nuda, sdraiata supina sul divano, con le gambe spalancate. Con una mano sgrillettava furiosamente il clitoride, mentre con l'altra si scattava una foto, evidentemente mentre messaggiava con Alessandro. In quel momento mi tirai fuori il cazzo, durissimo, dai pantaloni. La scena era così intensa che sborrai subito schizzando con una forza tale da imbrattare il muro e la tavoletta del water. Nel video lei continuava a sgrillettarsi ansimando, stavolta fissando il telefono, probabilmente leggendo o guardando qualcosa. Allora scrissi ad Alessandro chiedendogli se poteva mandarmi altre foto o le conversazioni con lei, era online, ma non rispondeva; sicuramente si stava masturbando anche lui con mia moglie. Lei allontanò il telefono e iniziò, penso, a fare un video o una videochiamata, tenendo il braccio teso per riprendere tutta la sua figura, mentre continuava il lavoro di mano sulla sua fighetta, che immaginavo allagata. Ad un certo punto portò la mano alla bocca ed iniziò a ciucciarsi le dita, mimando un pompino. Ricominciai a segarmi furiosamente, mentre lo schermo del mio smartphone trasmetteva quelle immagini peccaminose, ma estremamente eccitanti. Lei posizionò il telefono, chiaramente in videochiamata verso la testata del divano, e si mise in posizione a pecora: la visione che ebbi era subliminale, era una dea del sesso, emanava voglia da tutti i suoi pori. Ma non si limitò a sgrillettarsi: ora si inserì due dita e iniziò a farle entrare ed uscire energicamente. Era indemoniata, si contorceva dal godimento; vedevo la sua testa scuotersi a destra e a sinistra e la sua bocca aprirsi per cercare aria, evidente segno che era vicina all’orgasmo. Dopo pochi secondi iniziò a tremare, stringendo le gambe e continuando ad accarezzarsi il clitoride. Nonostante il pessimo audio, la sentivo gemere, cosa che mi fece sborrare un’altra volta. L’ultima cosa che riuscii a percepire, dall’audio e dai movimenti labiali, prima di chiudere la sessione, fu: “Ti voglio.”
Ero sconvolto e ferito per quell’ultima affermazione, ma il cazzo era ancora duro. Pulii il bagno il meglio che potei e tornai in ufficio in uno stato pietoso, talmente evidente che un collega mi chiese se andasse tutto bene. Facendo un riesame della situazione, direi: tutto bene, un corno. Non riesco a scopare mia moglie per più di due minuti, poi sborro come un ragazzino alla prima volta, tanto sono eccitato al solo pensiero di vederla con il cazzone di Alessandro, messaggia con lui, manda foto e fa pure videochiamate per masturbarsi. Direi che sono vicino ad avere le corna! E, in tutto questo, non riesco a reagire: sarà la voglia di vedere realizzate le mie fantasie erotiche o la paura che Alessandro rovesci tutta la verità su quello che facevo a sua insaputa. Resta il fatto che mi comporto da cornuto senza carattere. La svolta arrivò un giorno, mentre ero al lavoro, verso le 14 del pomeriggio: mi giunse un messaggio da Alessandro contenente una foto. Il mio cuore saltò un paio di battiti nel vedere il suo cazzo, ormai ben noto a me con mia moglie che glielo lecca. Non so descrivere lo smarrimento che provai, miscelato a una paura intensa, mal di stomaco e vertigini. Corsi nel bagno del mio ufficio per rispondergli:
IO: “Che cos’è questa foto? Cos’è successo?”
IO: “Alessandro, rispondi per favore.”
IO: “Sto male. Dimmi cosa hai fatto!!”
A: “Ciao, cornuto! Non si vede? È abbastanza palese cosa sia successo questa mattina!”
Mentre leggevo le sue parole, il cuore mi batteva all’impazzata, sentivo conati di vomito e la testa mi girava.
IO: “Mi puoi dire perché ti trovavi a casa mia? E cosa cazzo hai fatto?!”
A: “Tua moglie è una bomba. Ha una voglia di scopare, è una porca assurda.”
IO: “Dimmi che cazzo hai fatto!”
Alessandro si era dimostrato un abile stratega e seduttore. Con il tempo l’aveva corteggiata, lusingata con complimenti, ma non erano state le parole a far cedere mia moglie. Era stato il suo lato dominante, il suo controllo totale su di lei. Nelle loro videochiamate lui la guidava, la possedeva con le parole, la faceva sentire la sua schiava. E io, in quel periodo, non ero in grado di soddisfarla. Lei aveva solo trovato una soluzione naturale al problema: ripiegare su di lui.
Racconto ciò che successe quella mattina grazie al racconto di Alessandro e i video che mi ha mandato: Si erano accordati per un caffè, giovedì mattina alle 9:00. A casa nostra. Quando Alessandro arrivò, lei lo accolse con un paio di leggings neri aderenti e una maglietta bianca larga, senza reggiseno, come era solita stare in casa. Un trucco leggero ma curato, come se inconsciamente volesse apparire perfetta per lui. Si erano presentati di persona per la prima volta con una stretta di mano e due baci sulle guance. Poi lo fece accomodare sul divano mentre preparava i caffè. Lui rimase a guardarla, ipnotizzato dal suo sedere perfetto, stretto in quel tessuto aderente. Con una mano si sistemò il cazzo nei pantaloni, che già iniziava a indurirsi, pregustando ciò che sarebbe successo. Si alzò dal divano e le si avvicinò alle spalle, mentre lei era ancora voltata. Poi l’abbracciò da dietro.
Mia moglie ebbe un sussulto di sorpresa.
R: "Che cavolo stai facendo?"
Era più una finta che altro. Non voleva sembrare troppo facile, anche se probabilmente era più un tentativo di autoinganno, un modo per preservare l’immagine di moglie e madre.
A: "Sappiamo entrambi perché sono qui e cosa succederà oggi..."
R: "Mmmh... lo sento già duro."
A: "Sei una donna pazzesca... questo tuo culo è una calamita per gli uomini. Vedrai, come ti ho già detto in una delle nostre videochiamate... anche lì entrerà. E Sabrinai tu a chiedermelo." La mano di Alessandro le scivolò sul corpo come un esploratore su una mappa proibita, tracciando linee di fuoco dalla pancia piatta ai fianchi morbidi, poi su, sotto la maglietta, per afferrare i seni con possesso. Le dita di lui strinsero i capezzoli già duri, facendoli ruotare tra indice e medio in un movimento esperto. Rebecca trattenne un gemito, ma il respiro le si fece più rapido, il petto che si sollevava mentre il desiderio le serrava la gola. Lui lasciò un seno, la mano che discendeva con lentezza calcolata, oltre l’ombelico, entrando nei leggings fino a sfiorarle il pube liscio e sprofondare nelle mutande. La trovò bollente, pulsante, il clitoride già gonfio sotto le sue dita. Un tocco circolare, deliberatamente lento, e lei inarcò le anche all’indietro, premendo il sedere contro quel che non poteva ignorare: la massa dura che premeva contro di lei, promettente e minacciosa insieme. “Dio, quanto è grosso…” disse, mentre la sua mano scivolava dietro, tastando il volume attraverso il tessuto. Alessandro la girò di scatto, afferrandole la nuca, e la baciò con una fame che le tolse il fiato. La sua lingua invadeva, reclamava, mentre le braccia la sollevavano con uno scatto da predatore. La schiena di Rebecca affondò nel divano, i corpi ora avvinghiati, le mani frettolose a svestirla. Rimase solo il perizoma di lei, gli slip di lui. Poi, anche quelli sparirono. E lui emerse, imponente. Rebecca lo osservò per un attimo, quasi intimidita, prima di allungare una mano. Il peso era diverso da quello che immaginava: caldo, vivo, una vena che pulsava sotto la sua pelle mentre lei lo soppesava, insieme ai testicoli pieni. Si chinò, le labbra che sfioravano la punta in un bacio, poi la lingua che partiva dalla base, una strisciata lenta, salendo fino a cingere il glande. Non ci starà mai tutto, ma Alessandro le afferrò i capelli, raccogliendoli in una coda stretta. “Aprimi bene quella bocca” sussurrò, spingendole la testa in giù. Lei riuscì a prendere solo pochi centimetri, la saliva che le colava lungo la base, mentre lui con l’altra mano prendeva il telefono. Lo schermo si accese, catturando ogni suo sforzo, ogni suono umido, l’immagine di lei, moglie e madre, con le labbra stirate attorno al cazzo di lui. Alessandro tiene la telecamera puntata su di lei, il suo sorriso è un coltello. «Ti piace succhiarmelo?» domanda, voce raschiata dal piacere. Lei non risponde, ma il suo corpo lo fa per lei: le labbra gonfie, lo sguardo annebbiato tra vergogna e bisogno. «Sei una perfetta troia che ha voglia di cazzo» le sibila lui, afferrandole i capelli. La spinge giù, imponendo un ritmo che non ammette pause. Lei ansima, cerca di tirarsi indietro, conati, sputi, un fiume di saliva che le cola dal mento, ma Alessandro non concede tregua. «Che cazzo fai? Ti ho detto che puoi fermarti?» Uno schiaffo le schiocca sulla guancia, lasciandole la pelle in fiamme. E lei, lei che con me alzava la voce anche solo se parlo durante l’amplesso, ora obbedisce. Si piega, riprendendo a succhiare con una dedizione che non le ho mai visto. Le mani di Alessandro le guidano la testa, affondandola più in profondità ogni volta. «Il lo facciamo vedere al cornuto di tuo marito?» «No, ti prego» La sua protesta è un gemito, soffocato dalla carne che le riempie la bocca. «Allora continua. E dimostrami che sai fare la brava.» E lei lo fa. Come se fosse nata per questo. Labbra strette attorno al suo cazzo, lingua che scivola dalle palle alla punta, mani che lavorano con frenesia. Sembra posseduta, come se quel cazzo l’avesse risvegliata da un torpento di anni. «Dimmi cosa sei» le ordina lui, mentre la riprende. «Una… una troia» ansima, tra un colpo di tosse e un respiro affannoso. E Alessandro ride, soddisfatto. «Esatto. La mia troia.»
Mentre guardavo il video, le mani mi tremavano. Il telefono era bagnato di sudore. Ogni gemito di Rebecca mi trafiggeva come un coltello... eppure il mio cazzo era durissimo, pulsante nella stretta della mia mano. Odiavo me stesso per quanto mi eccitava. Odiavo Alessandro. Odiavo lei. Ma soprattutto odiavo quel maledetto istinto che mi costringeva a guardare, a rigiocare ogni frame nella mente come se fossi stato io a metterla in quella posizione. Alessandro la rovesciò sul divano come un trofeo, i polsi premuti contro il tessuto. Le cosce di Rebecca si aprirono in un silenzio sacrale, quel frutto proibito che per anni avevo creduto mio, ora esposto alla luce cruda del soggiorno. Con un ghigno, afferrò il suo cazzo, un mostro venato che facevo fatica a guardare, e lo fece scivolare lungo la sua figa già bagnata. Uno, due, tre colpetti del glande sul clitoride, come un metronomo crudele. Rebecca sobbalzava a ogni contatto, le unghie che graffiavano il divano. "Aspetti il tuo momento, eh troietta?" le sussurrò, premendo la punta contro l'ingresso stretto. La punta affondò di qualche centimetro, le labbra di Rebecca si stirarono come mai con me, bianche per la tensione. Un gemito strozzato. Alessandro non voleva accontentarsi solo di penetrarla. Voleva possederla fino alle viscere. Con un movimento lento e calcolato, spinse in avanti, il cazzo che dilagava dentro di lei, centimetro dopo centimetro, superando ogni resistenza. Rebecca ansimò, le dita che si aggrappavano alle sue braccia, le unghie che affondavano nella carne. "Piano... Cristo, sei troppo grosso". Ma Alessandro non si fermò. Un’ultima spinta. E poi Lo sentì. La punta del suo cazzo sbatté contro il fondo, premendo direttamente contro la cervice, l’ingresso stesso del suo utero. Rebecca urlò, un suono strozzato, metà dolore e metà stupore. "Cazzo... mi hai... mi hai aperta tutta!" Alessandro sorrise, sadicamente compiaciuto. "Sì, troia. Ti sento il fondo." Appena si mosse, anche solo di un millimetro, Rebecca ebbe un sussulto. Un brivido improvviso le attraversò il corpo, come una scossa, partendo dalla figa e diffondendosi fino alle punte dei piedi. Dapprima fu fastidio, una pressione quasi insostenibile, come se lui le stesse rimodellando le viscere. Ma poi Il piacere. Un piacere mai provato prima, primordiale, che le fece contrarre i muscoli delle gambe. "Oh Dio... oh Dio, cos’è" Alessandro la guardò, gli occhi pieni di fuoco. "È quello che succede quando un uomo ti prende davvero." E ricominciò a muoversi. Ogni colpo era una rivendicazione. Ogni spinta la faceva tremare. Non era più solo sesso era una ridefinizione di ciò che il suo corpo poteva sentire. Le labbra di Rebecca si aprirono in un gemito muto, le lacrime che le rigavano il viso non più di dolore, ma di scoperta. "Non... non credevo... potesse esistere... una sensazione del genere..." Alessandro rise, afferrandola per i fianchi e scavando ancora più a fondo. "E invece sì, troia. E ora è tutto tuo." Ora la scopava ruotando il bacino, avvitandosi dentro, svasandola mentre lei singhiozzava. "Respira... ecco così". La figa pulsava, costretta a ingoiarlo centimetro dopo centimetro. Alessandro le carezzò i fianchi: "Vedi? l'hai preso tutto, la tua figa è nata per me"
Dallo schermo, contai i sette secondi di silenzio prima che ricominciasse a muoversi. Sette secondi in cui capii che lui le aveva insegnato cos'era davvero essere pieni. Alessandro la tiene inchiodata sul divano, il suo cazzo lubrificato dai suoi stessi succhi le apre la figa con una lentezza sadica. Rebecca digrigna i denti, le unghie gli affondano nelle spalle. R: "Ti prego... fai piano... ce l'hai enorme—" A: "Tranquilla, troietta. Tra poco mi chiederai di scoparti come si deve." Era vero. La stava sventrando. E a me, a me veniva da vomitare, ma il mio cazzo continuava a sgocciolare pre sperma. Alessandro inizia a muoversi, lento, calcolato, mentre le massaggia il clitoride con il pollice. Rebecca ansima: R: "Cazzo... lo sento tutto... mi sta spaccando ma.." A: "Ma ti piace. Lo sapevo. Le troie come te vivono per questo." E lei annuisce, gli occhi vitrei. Alessandro accelera, affondando fino all'osso ogni volta. Ora le gambe di Rebecca sono sulle sue spalle, il culo schiaffeggia contro di lui a ogni colpo. R: "Dai, scopami come mi hai promesso! Consumami, cazzo! Fammi camminare storta domani!" La voce di mia moglie, quella stessa voce che usava per sgridarmi, ora gemeva come una pornostar. E Alessandro ride, godendo del suo potere: A: "Guarda come ti sbatto. Sei nata per essere riempita. Dimmelo." R: "Sì! Sono una... una troia! La tua troia!" E io, dietro lo schermo, scoppio di gelosia... mentre mi sego come un ragazzino. La scopata era diventata una cosa primitiva, un corpo contro corpo dove il sudore e i gemiti si mescolavano al rumore umido delle cosce che si schiaffeggiavano. Rebecca ormai si muoveva contro di lui, la figa stretta ma ormai plasmata a quel cazzo, avida. «Sì, mi piace… continua… fammi godere…» ansimava, le unghie affondate nelle sue braccia. Alessandro rispondeva a ogni invito con un colpo più violento, il bacino che schioccava contro di lei in un ritmo ipnotico. La figa era un lago, e il suono quel shlick-shlick volgare e irresistibile riempiva la stanza insieme ai suoi urli. Poi, all’improvviso, si fermò. Si tirò fuori e inquadrò col telefono il disastro che aveva fatto: la figa di Rebecca era una voragine aperta, le labbra gonfie, lucide, che pulsavano ancora.
Io, dallo schermo, sentii il cuore fermarsi. Mia moglie. La madre di mia figlia. Eppure, era come guardare una sconosciuta. Un pensiero stupido mi attraversò la mente: "Resterà così per sempre? Il mio cazzo non lo sentirà mai più come prima." Nausea. Eppure, il mio corpo traditore era ancora eccitato. Alessandro non le diede tregua. La riafferrò, la ribaltò a novanta gradi con un cuscino del divano sotto il ventre, e prima che potesse protestare, le aprì le natiche con le dita e le passò la lingua su quel buco stretto, poi sputò sulla figa ancora aperta e glielo rimise dentro con un colpo secco. Rebecca urlò, un suono strozzato tra il dolore e il piacere. Alessandro era indemoniato, il cazzo che la sfondava con una furia nuova, ogni colpo più profondo del precedente. «Sei pazzesca» le ringhiò nell’orecchio, afferrandola per i capelli. «Mai nessuna mi aveva retto così alla prima volta.» Lei non rispose con parole, ma con il corpo arcuandosi, spingendosi contro di lui, come se volesse ancora di più. Una troia. La sua troia. Il mio tormento mentre Guardavo:
E nonostante il disgusto, non riuscivo a staccare gli occhi dallo schermo. Mia moglie. Quella bocca che succhiava con un’avidità che non mi aveva mai mostrato. Quelle dita che si intrecciavano alle sue, non per respingerlo, ma per trattenerlo mentre lui la sfondava. Il mio stomaco si contorse, ma il cazzo no. Il cazzo era duro come pietra, pulsante di un bisogno malato. Era questo che volevi, Rebecca? Tutte quelle volte che ti lamentavi e ora eccoti lì, a urlare come un’animale per un uomo che ti tratta come una puttana. Alessandro la scopava con una violenza che mi faceva serrare i pugni. Dovevo spegnere il video. Dovevo. Invece mi mordevo il labbro fino a sentire il sapore del sangue, immaginando che fosse il mio cazzo a riempirla così, il mio sudore a mischiarsi al suo. Ma no. Io non l’avevo mai sentita tremare così. "Sono tua…" gemeva lei, mentre lui le sbatteva contro il ventre con un rumore di carne umida. E io, dall’altro lato dello schermo, non respiravo. Dovevo odiarla. Dovevo spegnere tutto. Invece io continuavo il movimento masturbatorio sul mio cazzo duro come poche volte. Era sbagliato. Era disgustoso. Ma era la prima volta che la vedevo così viva, perduta in qualcosa di primitivo che io non le avevo mai dato. Perché io l’amavo. Per me è preziosa, da accarezzare al buio, da proteggere.
Lui no. Lui la usava, ed era proprio questo che la faceva urlare. Alessandro le afferrò la mascella, costringendola a spalancare la bocca. «Mima un pompino» le ordinò, voce roca. «La prossima volta ci sarà un altro cazzo da riempirti.» Rebecca ansimò, le labbra umide che si contrassero in una smorfia oscena. «Mmmmmmm… mi sfondate in due…» Lui rise, un suono animalesco, mentre il cazzo continuava a martellarle la figa, ormai slabbrata, le pareti stirate che cercavano ancora di stringerlo. «Altro che. Sabrinai la mia troia personale» ringhiò, afferrandole i glutei e divaricandoli con forza. «Scoperai solo chi io voglio. E tuo marito? Niente più figa per lui. Solo seghe… perché questa» Un colpo secco, profondo, che la fece contorcere. «è mia.» Rebecca gemette, una miscela di piacere e resa. «Sei un maiale…» Ma Alessandro non rallentò. I suoi colpi si fecero più brutali, come se volesse scolpirle l’utero a forza di cazzo. La piegò in avanti, esponendole il buco stretto e vergine che luccicava di sudore. «Mmmmmmm… la prossima volta questo culo sarà mio» sussurrò, sfiorandolo con la punta delle dita. «Pazzo…» lei singhiozzò, le dita che affondavano nel divano. «Vuoi spaccarmi davvero in due??» Lui non rispose. Era troppo vicino. Si limitò a incastrarla sotto di sé, i muscoli tesi come corde, e sfondarla con una furia che non conosceva tregua. Ogni colpo sembrava volerle strappare qualcosa l’orgoglio, il matrimonio, l’ultimo barlume di resistenza. E Rebecca, la moglie, la madre, l’angelo di un altro uomo, urlò. Non di dolore. Ma di godimento. Alessandro si irrigidì all'apice dell'orgasmo, il cazzo pulsante sepolto fino all'utero di Rebecca. "Cazzo, ti sento dentro fino allo stomaco!" urlò lei, le unghie che scavavano il divano. "Ti sento bollenteeee!" Un fiume di sperma le inondò l'utero in lunghe pulsazioni, così abbondante che quando finalmente si ritirò, la sborra colò lungo le cosce tremanti di Rebecca in rivoli biancastri. Lei si contorse in un ultimo orgasmo, il corpo sfinito ma appagato, la figa ancora contratta ma aperta a ricordare la violenza del possesso. Io eiaculai ancora senza toccarmi, le gambe che cedevano mentre mi appoggiavo al muro del bagno. Rabbia, vergogna e un'eccitazione viscerale mi laceravano. Lei si era fatta riempire come una troia da strada.
Niente preservativo. Niente precauzioni. Aveva rischiato tutto, il nostro matrimonio, una gravidanza, per quel cazzo.
Rebecca si toccò tra le gambe, improvvisamente contrariata: R:"Ti avevo detto di non venirmi dentro! Manca solo che mi hai ingravidata!" Alessandro sorrise, soddisfatto. A: "Dai, non fare la preziosa. Hai goduto come la peggio delle cagne." R: "Che ho goduto è vero..." ammise lei, abbassando lo sguardo. "Da ora in poi," disse Alessandro raggiungendo i suoi indumenti, "tutte le notti andrai a dormire con questo." Esternò un plug anale d'acciaio che luccicava minaccioso. Rebecca ebbe un sussulto. R: "Ma quindi... davvero la prossima volta ci sarà un terzo?" Alessandro le accarezzò la guancia: "Non dirmi che non ti eccita l'idea..." R: "Sì, mi eccita... ma ho paura." A:"Fidati," sussurrò lui mentre sputava sul plug, lubrificandolo con saliva prima di passare alla sua vergine rosetta anale. "Godrai come non immagini." Il metallo freddo penetrò lentamente, allargando quel buco stretto mentre Rebecca stringeva un cuscino, i denti serrati nel dolore misto a piacere. Tre sborrate nel bagno dell'ufficio mi avevano prosciugato fisicamente. Ma era il vuoto nell'anima a terrorizzarmi. Il plug luccicante nella sua foto finale mi perseguitava. Non era più solo un tradimento: era Alessandro che marca il suo territorio era l'inizio di una metamorfosi. E io, spettatore impotente, non sapevo più chi fosse mia moglie. Avevo la bocca secca, le mani che tremavano ancora. Come affrontare Rebecca ora?
Dovevo confrontarmi con lei, umiliarmi, chiederle perdono? Dovevo fingere che nulla fosse successo? "Ciao amore, com’è andata la giornata?" come se non avessi visto tutto. O sbatterle in faccia la verità? "So tutto. So che hai ancora il suo plug nel culo." Ma poi cosa avrei ottenuto? Urla? Lacrime? O peggio... l’incomprensibile per me era il suo carattere. Lei, la donna dal carattere di pietra, che non si piegava a nessuno, si era fatta smussare, letteralmente, da un ragazzotto qualunque. Sì, Alessandro era carino, ma io ero un uomo, alto un metro e novanta, moro con gli occhi azzurri e un fisico da ex atleta. Io la trattavo come una principessa. Eppure… Eppure, forse era proprio quello il problema. Lei non voleva essere una principessa. Forse, sotto quella maschera di sicurezza, Rebecca era solo una donna insicura, che cercava qualcuno che la dominasse. E Alessandro l’aveva capito. L’aveva annusata, come un predatore fiuta la preda. E ora? Quella minaccia di un terzo mi faceva ribollire il sangue. Come cazzo aveva fatto ad accettare? "Sì mi eccita…" Quelle parole mi rimbombavano in testa. Dovevo fermarli? Dovevo proporglielo io per primo? Ma anche solo pensarci mi faceva sentire uno schifo. Condividerla? Mai. O forse… sì? Non ci capivo più un cazzo. La riunione subito dopo era stata un incubo. Avevo annuito, sorriso, risposto a monosillabi, mentre nella mia testa scorrevano i video di Alessandro che la sfondava, le sue mani che le afferravano i fianchi, la voce che le ordinava di "aprirsi tutta". E ora ero qui, sotto casa, le scale che sembravano salire da sole. La mia mano sul pomolo trema. Aprii la porta. "Ciao, amore…" La mia voce suonava falsa, troppo normale, dentro di me, un uragano. Aprendo la porta, mi trovai di fronte a Rebecca radiosa, gli occhi luminosi, il sorriso dolce. Come se niente fosse successo. "Ciao, amore!". Evitai il suo bacio. Non potevo. Non mentre sapevo che quella stessa bocca aveva succhiato il cazzo di un altro, gemendo come non aveva mai fatto con me. Mia figlia mi corse incontro. La baciai. A Tavola, Rebecca era perfetta. Sorrideva, scherzava con nostra figlia, mi riempiva il piatto come sempre. Era la moglie affettuosa, la madre premurosa. Ma io sapevo. Mentre mangiavo, gli occhi mi scappavano verso il divano. Cercavo macchie, segni, qualcosa che tradisse cosa era successo lì poche ore prima. Niente. Poi guardai lei. I suoi leggings aderenti, il modo in cui si sedeva, normale, comoda. "Dov’è il plug, Rebecca?" avrei voluto urlare. "Lo hai ancora dentro mentre sorridi a nostra figlia?" Ma dissi solo: "La riunione è andata male. Sono preoccupato per l’azienda." Menzogna. L’unica cosa di cui ero preoccupato era se si fosse lavata via la sborra di Alessandro prima che fossi tornato a casa. La notte fu un inferno. Avevo il cazzo duro da ore, eccitato e disgustato per me allo stesso tempo. Volevo prenderla, riprendere ciò che è mio, riappropriarmi di mia moglie... Volevo sentire con le mie mani se fosse ancora aperta, se il plug era davvero lì dentro. Volevo scoparla con la stessa violenza con cui l’aveva fatto Alessandro, per vedere se avrebbe goduto anche con me. Ma quando le toccai il fianco, lei sospirò: "Sono stanca, amore." La zoccola. Avrebbe dovuto dirmelo. Avrebbe dovuto ammetterlo: "Scusa, ho la figa distrutta, piena di sborra, e il mio amante mi ha ordinato di tenere il plug tutta la notte e per di più ora è solo sua." Invece fingeva. Si addormentò serena, come se oggi fosse stato un giorno qualunque. Io no. Non riuscivo a dormire. Ogni volta che chiudevo gli occhi vedevo Lei che succhiava quel cazzone, la fede nuziale che luccicava mentre la mano scivolava su un’asta che non era la mia; La sua figa dilatata, ancora pulsante dopo essere stata riempita come non l’avevo mai riempita io. Il plug. Dov’era ora? Dentro di lei? Nel comodino? E la domanda più grande: Fin dove si spingerà? Accetterà davvero di scopare con l’amico di Alessandro? Diventerà la puttana personale di quell’uomo? O… Dovevo intervenire? Ma come? Avere un Confronto con Rebecca? E se poi chiedeva il divorzio? Parlando con Alessandro? Ma cosa dirgli? "Smettila"? "Condividila con me"? Diventare più dominante? Ma sarei capace? O voglio davvero che sia una troia? Mi girai nel letto, fissando la sua sagoma nel buio. Chi sei davvero, Rebecca? E, soprattutto… Chi sono io? Mi sveglio che sembro un cadavere rianimato male. La testa mi pesa come un macigno, lo stomaco è un subbuglio di dubbi. Per fortuna, la mattina è sempre un delirio: sveglia la piccola, prepara la colazione, corri in bagno, butti giù un caffè che sa di veleno, raccogli le briciole dal tavolo, butti la spazzatura, salti in macchina. Tutto pur di non guardare Rebecca negli occhi. Arrivo in ufficio, mi chiudo nel mio ufficio, bella la carriera, eh? Direttore di stabilimento, uomo rispettato, quello che ha sopraffatto tutti per arrivare in cima. Ironia della sorte: fuori comando un esercito di operai, e a casa non riesco neanche a comandare mia moglie. Prendo il telefono. Scrivo ad Alessandro. IO: "Alessandro, possiamo parlare?" A: "Ciao cornutello, di cosa vuoi parlare?" Già così, mi sale il sangue alla testa. Cornutello. Come se fossi un ragazzino spaventato invece di un uomo che potrebbe farlo sparire con una telefonata. IO: "Non chiamarmi così." A: "E come non dovrei? Hai permesso tutto questo. Sei solo tu la causa di quello che è successo ieri. Potevi fermarmi in qualsiasi momento. La verità è che ti piace questa situazione, ti piace essere cornuto. E non mi sorprenderei se volessi essere presente alla doppia monta di tua moglie. Della mia cagna." Sto per ribattere, ma poi mi fermo. Perché ha ragione. Avrei potuto intervenire. Avrei potuto dirgli di andare a fanculo, bloccare tutto, riprendermi mia moglie. Invece no. Ho guardato. Ho goduto. Mi sono segato come un deficiente. IO: "Non sono intervenuto per paura che dicessi tutto a Rebecca. Lei come l’avrebbe presa?" A: "Amico mio, ragiona. A me non frega un cazzo di voi. Ne ho quante ne voglio di cagnette con la figa bagnata che si farebbero sventrare da me. A me piace umiliare i mariti, prendere le brave mogliettine e trasformarle in puttane vogliose di cazzo. Se fossi intervenuto, mi sarei levato dal cazzo. Ma ora è troppo tardi." Ecco la verità. Non gliene importa nulla di lei. È solo un trofeo, un oggetto, io un altro marito da umiliare, lei un’altra moglie da plagiare. E io? Forse inconsciamente ho lasciato che accadesse tutto questo? Sono forse un cornuto, un cuckold?" A: "Ora vedrai come la trasformerò in zoccola vogliosa. La monta doppia è solo il primo passo. Ce ne Sabrinanno altri, e più andremo avanti, più il livello si alzerà. Deve essere un apprendimento. Il problema è che io non obbligo nessuno. Tua moglie l’ha voluto. Anche lei poteva e potrebbe rifiutarsi in qualunque momento. Ma non lo fa." E qui, Rebecca non è una vittima. Ha scelto. Sta scegliendo. E io? IO: "Ok, Alessandro. Ma vorrò essere presente, se possibile, a tutti i livelli. E, se possibile, lei non deve saperlo." A: "Bene, cornuto. Allora iniziamo per davvero. Mi farò sentire." I giorni seguenti si trascinarono via tra scartoffie, riunioni infinite e problemi aziendali che, per una volta, mi fecero quasi ringraziare il cielo perché almeno la mia mente non aveva il tempo di rimuginare su quel casino in cui mi ero cacciato. Eppure, ogni tanto, nei ritagli di silenzio tra una telefonata e l’altra, i pensieri tornavano a galla. Alessandro, Quel figlio di puttana mi aveva messo sotto torchio con le sue parole, con quei video, con quel modo di possedere Rebecca come se fosse una cosa sua. E io? Io ero lì, a chiedermi se dentro di me ci fosse davvero un cuckold, un cornuto che gode nel vedere la propria donna sfondata da un altro. Ma era davvero quello che volevo? O forse, ancora peggio, era Alessandro che stava plagiando anche me, trascinandomi in un gioco perverso in cui lui era il padrone e io lo spettatore inutile? Non lo sapevo. E non sapevo nemmeno con chi parlarne per sfogarmi, per alleggerire quel peso che sembrava schiacciarmi. Poi, un’illuminazione. Luca. Quell’amico che per molto tempo si è divertito con me mostrandoci le foto delle nostre mogli, a raccontarci di come le volessimo condivise con altri e di come le volevamo scopate. Ci eravamo persi di vista, ma ora più che mai avevo bisogno di sfogarmi con qualcuno che capisse. Una sera, mentre Rebecca andava a letto presto (stanchissima, chissà perché), lo contattai. "Devo parlarti. È urgente." Gli raccontai tutto. Tutto. Le foto, i video, il plug, le prime minacce di Alessandro, la metamorfosi di Rebecca da moglie perbene a troia sottomessa. Luca ascoltò senza interrompere. Poi, con una calma che quasi mi innervosì, mi chiese: "Mi mandi qualche foto?" E io, come un idiota, gliele inviai. Perché no? Tanto ormai pensai… Lui, in cambio, mi inondò di scatti di sua moglie. "Mi sono fatto una sega pazzesca con quelle di Rebecca" mi confessò, mentre io fissavo lo schermo, ammirando la moglie di Luca, quel fisico statuario, quel culo sodo che sembrava scolpito nel marmo. E poi, le domande. "Dove hai conosciuto Alessandro? Che tipo è?" A quel punto, un brivido mi corse lungo la schiena. Cazzo. Stavo facendo la stessa cosa con Luca. Ero diventato così disperato da cercare complicità in un altro uomo che, forse, stava solo approfittando della situazione per infilarsi anche lui nel gioco di Alessandro? Ma ormai era tardi per tornare indietro. Un'altra volta.
Ero sicuro che Rebecca e Alessandro continuassero a sentirsi. Non avevo prove, ma lo sentivo, nell’aria, nei suoi gesti, in quel modo di sorridere come se avesse un segreto che la rendeva viva in un modo che io non riuscivo più a provocarle. Lo capivo da come si muoveva in casa, troppo leggera, come se il suo corpo non le appartenesse più. Lo capivo dai suoi vestiti quegli slip di pizzo, quei perizomi che prima amava, ora talvolta percepivo che non li portava. A volte, quando si spogliava, sotto non c’era nulla. Anche se faceva molta attenzione a non farsi vedere, a spogliarsi quando io non ero lì. Lo capivo dal trucco, sempre perfetto, anche per andare a fare la spesa. Per chi, Rebecca? Non certo per me, che ormai ricevevo solo sguardi distratti e carenze affettive. Eppure, con me, era una moglie perfetta mi preparava la colazione, mi stirava le camicie, mi chiamava per chiedermi come stavo. Perfetta. Eppure, il sesso tra noi era morto. Ogni tanto, quando la tensione diventava insopportabile, mi concedeva una sega. Solo le sue mani che lavoravano meccanicamente, mentre il suo sguardo guardava il mio cazzo, faceva un confronto? E io? Io mi masturbavo come un ossesso. Immaginavo gruppi di uomini che la usavano. Immaginavo Alessandro che la riempiva di nuovo, più forte, più violento. Immaginavo lei che implorava, che gemeva, che si abbandonava a un piacere che io non le avevo mai dato. Ero malato. Ma più il tempo passava, più, in qualche modo, mi sentivo meglio. Più leggero. Quasi felice. Fino a quel messaggio di Alessandro.
Ma fu il suo lato B, sodo, ben scolpito e leggermente sporgente subito dopo il ristretto bacino, a innescare in me un’irresistibile eccitazione. Solo a pensarci mi eccito da matti. Rebecca lavorava part-time come commessa in un negozio di vestiti, mentre io sono direttore in un’azienda metalmeccanica. Fin dalle prime uscite, tra baci e incontri appassionati, il passo fu rapidissimo: la scoperta dell’altro, la voglia di conoscersi in maniera totale. Facevamo sesso ovunque, in ogni modo possibile; l’unica eccezione era il suo favoloso culetto, che mi ha sempre negato. Ricordo in modo vivido quella domenica passata dai miei: dopo pranzo, è bastato uno sguardo per farmi correre in bagno con lei. Una volta, dopo aver chiuso la porta a chiave, Rebecca si spogliò velocemente, invitandomi a seguirla senza esitazioni.
Si inginocchiò e, senza perdere tempo, afferrò la base del mio cazzo, il mio membro, robusto e fiero, che supera i 18 cm cominciò a leccarlo dalla base fino alla cappella. La sua bocca abile, ripeté quel gesto più volte, fissandomi intensamente negli occhi mentre iniziava il classico movimento di testa. Era bravina a fare i pompini: si fermava appena sotto la cappella, lasciando che il suo ritmo mi portasse sempre più vicino all’orgasmo. Alla fine, quando sentì le prime contrazioni del mio arnese, imboccò la cappella succhiandomi con una furia tale da inghiottire, come se inghiottisse anche l’anima, tutto ciò che avevo da offrire. Non appena riprese fiato, leccò gli ultimi residui di sborra dagli angoli delle sue favolose labbra, si appoggiò sul lavandino e mi pregò di prenderla, di farla godere. E io, senza pensarci due volte, la presi, avendo il cazzo ancora bello tosto. Beata gioventù! Presi posto immediatamente nella sua bagnatissima figa, che tiene sempre depilata e perfetta, e cominciai a battere il mio bacino contro il suo fondoschiena, stringendola per quelle fantastiche chiappe, il suo punto forte.
Non resistii a lungo, mentre si toccava il clitoride, ebbe un’orgasmo, come faceva di solito con la bocca aperta, fissandomi dallo specchio con quegli occhi pieni di godimento e desiderio, accompagnati da un leggero tremolio alle gambe. Quel momento fu così intenso che mi fece venire, e venni sulla sua schiena. Scopavamo come conigli ogni volta che l’occasione se ne presentava, senza precauzioni; si correva il rischio di gravidanze, rischio che si materializzò un anno dopo il nostro primo incontro. Dopo quella gravidanza, che fu un’esperienza di piacere e amore quasi surreale, nacque una splendida bambina, tutta uguale alla mamma. Noi eravamo al settimo cielo, giovani e pieni di voglia di vita.
Purtroppo, però, dopo il parto Rebecca sembrò dimenticare le gioie del sesso. Con comprensione accettai quel periodo, consapevole che la maternità era un momento speciale, ricco d’amore ma anche di fragilità, e mi mostravo sempre vicino a lei e alla piccolina. Ma i nostri incontri intimi si ridussero a pochissime volte al mese, se andava bene, e ogni notte, andando a letto, mi rimaneva l’amaro in bocca. Negli anni, la mancanza di sesso, la frustrazione e la visione quotidiana di video porno, quei video in cui il marito condivideva sua moglie o in cui, sempre la moglie, veniva presa da cazzi sproporzionati, fecero germogliare in me l’idea folle di veder montare mia moglie da sconosciuti con membri enormi.
All’inizio mi preoccupai, pensando che quella fantasia potesse essere anomala, ma scoprì che moltissimi mariti la condividevano. La consapevolezza mi sollevava e, allo stesso tempo, mi agitava sempre di più, perché desideravo con ogni fibra del corpo soddisfare quelle fantasie.
Così, durante i pochi momenti in cui facevamo sesso, le parlavo apertamente, cosa che lei odia mentre fa l’amore, ma accettava per darmi il “contentino” e perché capiva quanto mi eccitasse e quanto, in quei momenti, durassi meno.
Le chiedevo di immaginare la presenza di un’altra persona nel nostro letto, iniziando perfino a metterle due dita in bocca, domandandole di succhiarle come se fossero un vero cazzo, o di immaginare un altro al mio posto.
Le prime volte si arrabbiò, e in alcune di quelle volte finimmo di scopare in mezzo a discussioni, ma col tempo lei si abituò, accontentandomi e succhiando le dita sempre con maggiore partecipazione. Tuttavia, al termine dell’amplesso, con uno sguardo duro e una voce rimproverante, mi domandava:
"Ma come fai a pensare a certe cose? Non starai diventando un pervertito?" Ricordo una volta, mentre stavamo facendo l’amore sdraiati sul fianco, io dietro di lei, le dita ancora in bocca, mimando un pompino le chiesi:
"Rebecca, se questo cazzone che stai succhiando ti vuole scopare, tu che fai?"
La sua risposta mi fece venire un orgasmo all’istante: si girò, mi fissò negli occhi e, con tono secco, mi disse:
"Mi faccio sbattere come una vacca."
Finita la frase, venni, sborrando tra le lenzuola. Lei si girò e mi diede la buonanotte in modo freddo.
In un rapporto è fondamentale il dialogo, ma in quel periodo, con Rebecca, ogni confronto era un nodo difficile da sciogliere: il suo carattere forte e irascibile rendeva complicata ogni discussione. Così mi chiusi sempre più in me stesso. La mia ossessione divenne tale che iniziai a fotografarla di nascosto, mentre faceva le faccende domestiche, sotto la doccia, mentre si cambiava e persino mentre dormiva, soprattutto d’estate, quando indossava quei perizomi strozzanti che la facevano sembrare ancora più erotica. Mi segavo spesso sulle foto, immaginandola impegnata con un cazzo bello grosso. Passarono nove anni di quella convivenza, apparentemente felice, ma senza un vero sesso. In quegli anni cominciai a chattare con altri mariti, che frustrati come me, si sfogavano scambiandosi immagini e fantasie. L’episodio decisivo accadde una sera, mentre scambiavo foto con uno dei soliti con cui chattavo, ma quello che evitavo di più per le sue richieste insistenti e domande fin troppo personali: si faceva chiamare Alessandro, di Como. Un uomo che, a dispetto delle sue richieste troppo personali e delle fantasie spinte da dominatore, vantava un cazzo spropositato, enorme, con una cappella pronunciata, un corpo robusto e venoso, incurvato lievemente verso l’alto e, soprattutto, molto largo. Quella sera, Alessandro mi scrisse:
"Caro cornutello mio, tua moglie ho capito benissimo chi è, e sappi che se non farai in modo di farmela scopare le racconterò tutto mostrandole le chat avute con te." Inizialmente non ci credetti, ma per avvalorare la sua tesi mi mandò una foto di mia moglie scattata di nascosto nel negozio dove lavorava, dicendomi che lui, che fa il fattorino, aveva scommesso fosse lei dalle cose che gli avevo raccontato e dalle foto che gli mandavo.
In quel momento mi maledissi: ero furioso e, se l’avessi avuto di fronte, avrei fatto una cavolata. Quella notte restai sveglio a rimuginare su quanto fossi stato stupido nel dare informazioni dettagliate e sulle possibili conseguenze. La vita è davvero beffarda: pensa alla coincidenza di questo Alessandro, che regolarmente consegna nel negozio dove lavora lei! Nei giorni seguenti, ero praticamente assente, cercando di capire come uscire da quella situazione scomoda. Una sera, tornato a casa tardi, dopo aver mangiato, rassettato la cucina e fatto addormentare la piccola, mentre eravamo sul divano, Rebecca mi disse:
"Amore, ma tu conosci un certo Alessandro xxxx?"
"Non mi dice nulla questo nome, perché?" risposi, già in pre-allarme, sperando non si trattasse proprio di lui. "No perché mi ha contattato su Instagram. All’inizio non l’ho dato peso, tanti mi inviano richieste di amicizia, ma questo mi sembra simpatico. Guarda le foto, non ti dice nulla?" Guardai il suo telefono: se potevi vedere il profilo che è privato, la richiesta era già stata accettata, pensai.
"Non l’ho mai visto. Ma hai accettato la richiesta? Cosa vi siete scritti?"
"Amore, all’inizio non volevo accettarla, te l’ho detto, ma poi abbiamo chattato qui su Instagram ed è stato molto carino. Penso sia innocuo. Guarda, fa molta palestra, come si vede dalle foto, e viene da Como, lavora per una ditta di trasporti sempre in zona del negozio!"
Pensai: "Ma guarda che fortuna."
"Che fai, gli guardi il fisico?"
"Ma no, amore, non fare il geloso; scorrendo le foto sono passata anche sulle sue foto in palestra." Il disagio cresceva dentro di me, ma stranamente non era solo il disagio a crescere. Mentre guardavamo la televisione, notai che spesso Rebecca prendeva il telefono, scriveva qualcosa e poi ritornava con lo sguardo fisso sullo schermo. Le immagini passavano, ma la mia mente era altrove. Quella sera andammo a letto e forse, in un certo senso, era destino, facemmo una grande, bella scopata, piena di quella soddisfazione che non provavo da anni. Appena andati a letto, Rebecca si voltò verso di me e mi baciò; la sua passione era tornata, era calda, più di quanto non lo fosse stata negli ultimi anni. Sentivo la sua lingua che si intrecciava con la mia, mentre si posizionava sopra di me e muoveva il bacino con una voglia travolgente. Ogni pressione contro il mio cazzo la faceva ansimare, a testimonianza di quel desiderio latente. Si sollevò e mi liberò dalle mutande, in quell’attimo pensai a quanto fosse comodo dormire solo con gli slip, soprattutto in quel caldo di giugno. Iniziò un favoloso lavoro di bocca: era passato troppo tempo dall’ultimo pompino. Indemoniata, succhiava e lappava dalla base fino alla cappella, fermandosi sempre subito sotto di essa con le labbra serrate e con il movimento energico della testa mi portava sempre più vicino all’orgasmo, resistetti solo per via delle tante masturbazioni fatte con altri mariti in chat. Dopo alcuni minuti di intensa stimolazione, la spinsi via, la presi di peso e la posizionai supina sul letto; la spogliai con vigore e mi tuffai sulla sua fighetta. Iniziai a leccarla con desiderio, partendo dal foro d’ingresso e constatai quanto fosse fradicia ed eccitata. Succhiavo le sue labbra, il clitoride, soffermandomi su ogni sua porzione, mentre contemporaneamente le infilavo due dita, muovendole dentro di lei con decisione.
Lei era indemoniata: mi prese per i capelli e mi spinse con forza contro la sua vulva, tenendomi stretto. Feci fatica a contenere il suo vigore, leccando e succhiando con tutta l’energia possibile, tanto che, con la mia faccia pressata contro la sua figa, faticavo persino a respirare.
Ansimava a bocca aperta, e io amavo guardarla mentre godeva: è una cosa che manda in estasi ogni marito.
Di colpo, sempre stringendomi per i capelli, mi spinse verso di lei, e, dopo un bacio passionale, posizionai il mio cazzo contro il suo clitoride, iniziando a strusciarlo con insistenza. Lei impazziva, stringendomi il viso contro il seno e sussurrandomi:
"Scopami, scopami, fammelo sentire, allargami… ahhhhhh…" lo appoggiai all’entrata, e quasi risucchiato entrò fino in fondo iniziando a stantuffarla con vigore.
Dopo alcuni minuti, raggiunse un orgasmo impressionante, le gambe tremanti, mentre io, appena in tempo, le riversai una notevole quantità di liquido sulla pancia e sul seno.
Rimanemmo qualche minuto, accoccolati, a riprenderci dall’orgasmo, sudati e con ancora il fiatone. Poi andammo in bagno a sistemarci e, infine, tornammo a letto scambiandoci un dolce bacio. Ma quella notte, mentre Rebecca si addormentava quasi immediatamente, io non riuscivo a prendere sonno. La mia mente era un turbinio di pensieri: mi domandavo da quando in poi mi incitava a scoparla, ad allargarla… Non aveva mai parlato apertamente di certe cose durante il sesso; anzi, di solito lei respingeva tali allusioni e quel bacio dopo averla leccata “sporco” degli umori di lei, non ha mai voluto che la baciassi dopo quel trattamento. E poi, che pompino, che voglia di succhiare aveva…
Ma all’improvviso, una notifica sul suo telefono, chiaramente di Instagram mi fece intuire che qualcosa non quadrava. Senza fare troppo rumore, presi il suo telefono, che giaceva sul comodino dalla sua parte, so bene che non era la cosa più onorevole da fare, ma dovevo sapere. Aprii la sezione dei messaggi e vidi il profilo dello stronzo che mi stava ricattando. C’erano numerosi scambi di messaggi, accompagnati, ahimè, da sue foto. All’inizio, i messaggi erano innocui: lui scriveva di averla notata nel negozio, dicendo che tra tutte le commesse lei era la più simpatica; davvero, mia moglie aveva un carattere unico: buona, generosa, sempre allegra e con un sorriso contagioso.
Ma poi i messaggi presero una piega diversa, passando all’attacco.
A-Alessandro, R-Mia moglie Rebecca
A: Beh, te lo dico chiaro: in quel negozio, tu sei la più figa. Non c’è dubbio, sei un incanto e tu lo sai bene.
R: Grazie, ma non dimenticare che sono sposata. E poi, c’è Marisa che non smette di fissarti.
A: Marisa, sì lo so...la conosco molto bene”. R: In che senso? Lei è fidanzata!
A: Si certo che lo so! Sono uscito da solo con lei e stiamo organizzando una sera a casa loro”. R: Da domani ti chiameremo “provolone” e raccontafrottole!”
A: Ah, non ci credi? R: Certo che non ci credo! A: Foto del suo cazzo, come me lo ricordavo io quando mi faceva i tributi su mia moglie, bello grosso, appena più lungo del mio quindi penso 20-21 cm, con una cappella pronunciata a fungo. Nella foto si capisce che sono in macchina, “impugnato” a mala pena da una manina, con il pollice e indice che arrivano appena dopo di metà diametro, fa abbastanza impressione a vederlo. R: Certo, su internet si trova di tutto…
A: Altra foto: con Marisa che lecca la cappellona con impegno, tenendo saldamente il cazzo.
R: Ma non ci posso credere... Che diavolo sta facendo Marisa?
A: Non si vede? sta ciucciando il mio cazzo. Alla vista del mio arnese si è rifiutata di scopare. La prossima volta sarà mia.
R: Ma dai, è fidanzata, conosco anche Andrea, il suo ragazzo, vivono insieme da anni!
A: Andrea.. è stato lui a spingerla tra le mie gambe. La prossima volta, la scoperò di fronte a lui.
R: Ma che perversione è questa?
A: Si chiama cuckold, un marito che si eccita a vedere la sua donna dominata da altri. Non dirmi che tuo marito non ha mai avuto quella fantasia. R: cu che?? Ma che cavolo stai dicendo???
A: Guarda che è una fantasia molto comune nelle coppie, e molte di queste lo fanno regolarmente. Ci sono siti specializzati per queste cose dove le coppie cercano i bull, molte delle volte lo scelgono per il cazzo in questo caso il mio, per far montare la donna. Non dirmi che tuo marito non ha di queste fantasie???
Il bastardo sapeva dove fare breccia grazie al fatto che ci scriviamo da tempo e sa che le parlo mentre facciamo sesso.
M: Effettivamente me ne parla spesso mentre lo facciamo, ma io non sono come quelle.
A: Dicono tutte così. Poi quando lo provano, non prendono più il cazzo del marito e vogliono solo il mio. Cosa pensi, una volta che Marisa lo prova, cosa succederà? Che mi chiamerà tutti i giorni per chiavarla con o senza il marito. Pensa che il fidanzato di Marisa, Andrea, vuole che le apra il culo.. M: Ma stai scherzando… Ma che pervertito… noo nel sedere nooo! Io non lo darei neanche per 1 milone di Euro!!
A: Quindi c’è speranza di farti scopare da un altro ma non nel culo?? Che tra l’altro il tuo sembra urlare di possederlo..
M: Ma smettila…Comunque grazie, lo prendo come complimento...
La stronza non ha neanche negato il fatto che potrebbe scoparselo... ero imbestialito, ma col cazzo durissimo. Nonostante la precedente scopata dovetti correre in bagno a masturbarmi. Presi sonno solo poco prima che la sveglia suonasse.
Il giorno dopo in ufficio gli scrissi:
IO: Ciao Alessandro, ma che cazzo fai? Messaggiare con mia moglie? Ma come cazzo ti permetti?
A: Ciao Cornutello, dovresti ringraziarmi: non le ho detto nulla, ma se non fai attenzione, presto tutti sapranno quanto tua moglie adora il cazzo. A proposito, piaciuta la scopata di ieri sera?
IO: Ma che cazzo stai dicendo? E come fai a sapere di ieri?
A: Stiamo messaggiando, e indovina… lei mi ha chiesto del mio cazzo. Ahahah! Presto porterai corna che nemmeno sotto il Ponte di Brooklin potrai passare. Ti farò fare seghe fino a fartelo consumare. IO: Che cazzo stai facendo? Che iintenzioni hai?
A: Non preoccuparti, voglio sedurre e scopare tua moglie, poi sei ho visto bene, non ci limiteremo solo a quello.
IO: Non fare cazzate, altrimenti le dico tutto.
A: E cosa le diresti? Che scrivevi con sconosciuti, che ti masturbavi con loro sulle sue foto fatte di nascosto? Sai perfettamente che hai fatto una cazzata.
Aveva ragione, ho fatto una cazzata, una cazzata bella grossa…
IO: Almeno tienimi aggiornato.
A: Non preoccuparti, Cornutello… Sabrinai sempre aggiornato su ogni mia mossa.
I giorni passavano, e Rebecca era sempre più radiosa e felice. Lei e Alessandro continuavano a sentirsi su WhatsApp, e io venivo costantemente aggiornato da lui. Passavo dallo stato di rabbia a quello di iper-eccitazione. Oramai si scrivevano tutti i giorni e molte volte al giorno, ma la cosa che mi faceva più incazzare era che lei non mi diceva nulla. Quando le chiesi se Alessandro le avesse ancora scritto, lei, infastidita, mi rispose di no. Intanto, io mi segavo più volte al giorno grazie ai resoconti di Alessandro. Il sesso era peggiorato, per colpa mia: ogni volta che lei si concedeva, ora molto vogliosa, avevo in testa l’immagine di lei alle prese con il cazzone di Alessandro, e venivo appena inserivo il cazzo nella sua fighetta che ultimamente trovavo davvero fradicia. Stavo impazzendo. Da Alessandro appresi che avevano iniziato a scambiarsi foto e a masturbarsi in chat: mi inviava screenshot delle conversazioni e foto di mia moglie mentre, in pose da troia navigata e in completini che faticavo a ricordare, si masturbava. Questo non fece altro che ingelosirmi a dismisura, ma anche a tenermi sempre eccitato e sempre sul filo dell’orgasmo. La prova la ebbi quando, una volta, Alessandro mi mandò degli screenshot, evidentemente fatti qualche minuto prima (lo confermava l’ora sul suo telefono riportato sullo screenshot). Corsi nel bagno dell’azienda e mi collegai, il più velocemente possibile, all’app delle videocamere che abbiamo in casa. Ne abbiamo due in salotto, che riprendono l'ingresso e la porta finestra che dà sul giardino, da angolazioni differenti. L’audio non è ottimo, ma le immagini erano chiare. Lì la vidi: lei era nuda, sdraiata supina sul divano, con le gambe spalancate. Con una mano sgrillettava furiosamente il clitoride, mentre con l'altra si scattava una foto, evidentemente mentre messaggiava con Alessandro. In quel momento mi tirai fuori il cazzo, durissimo, dai pantaloni. La scena era così intensa che sborrai subito schizzando con una forza tale da imbrattare il muro e la tavoletta del water. Nel video lei continuava a sgrillettarsi ansimando, stavolta fissando il telefono, probabilmente leggendo o guardando qualcosa. Allora scrissi ad Alessandro chiedendogli se poteva mandarmi altre foto o le conversazioni con lei, era online, ma non rispondeva; sicuramente si stava masturbando anche lui con mia moglie. Lei allontanò il telefono e iniziò, penso, a fare un video o una videochiamata, tenendo il braccio teso per riprendere tutta la sua figura, mentre continuava il lavoro di mano sulla sua fighetta, che immaginavo allagata. Ad un certo punto portò la mano alla bocca ed iniziò a ciucciarsi le dita, mimando un pompino. Ricominciai a segarmi furiosamente, mentre lo schermo del mio smartphone trasmetteva quelle immagini peccaminose, ma estremamente eccitanti. Lei posizionò il telefono, chiaramente in videochiamata verso la testata del divano, e si mise in posizione a pecora: la visione che ebbi era subliminale, era una dea del sesso, emanava voglia da tutti i suoi pori. Ma non si limitò a sgrillettarsi: ora si inserì due dita e iniziò a farle entrare ed uscire energicamente. Era indemoniata, si contorceva dal godimento; vedevo la sua testa scuotersi a destra e a sinistra e la sua bocca aprirsi per cercare aria, evidente segno che era vicina all’orgasmo. Dopo pochi secondi iniziò a tremare, stringendo le gambe e continuando ad accarezzarsi il clitoride. Nonostante il pessimo audio, la sentivo gemere, cosa che mi fece sborrare un’altra volta. L’ultima cosa che riuscii a percepire, dall’audio e dai movimenti labiali, prima di chiudere la sessione, fu: “Ti voglio.”
Ero sconvolto e ferito per quell’ultima affermazione, ma il cazzo era ancora duro. Pulii il bagno il meglio che potei e tornai in ufficio in uno stato pietoso, talmente evidente che un collega mi chiese se andasse tutto bene. Facendo un riesame della situazione, direi: tutto bene, un corno. Non riesco a scopare mia moglie per più di due minuti, poi sborro come un ragazzino alla prima volta, tanto sono eccitato al solo pensiero di vederla con il cazzone di Alessandro, messaggia con lui, manda foto e fa pure videochiamate per masturbarsi. Direi che sono vicino ad avere le corna! E, in tutto questo, non riesco a reagire: sarà la voglia di vedere realizzate le mie fantasie erotiche o la paura che Alessandro rovesci tutta la verità su quello che facevo a sua insaputa. Resta il fatto che mi comporto da cornuto senza carattere. La svolta arrivò un giorno, mentre ero al lavoro, verso le 14 del pomeriggio: mi giunse un messaggio da Alessandro contenente una foto. Il mio cuore saltò un paio di battiti nel vedere il suo cazzo, ormai ben noto a me con mia moglie che glielo lecca. Non so descrivere lo smarrimento che provai, miscelato a una paura intensa, mal di stomaco e vertigini. Corsi nel bagno del mio ufficio per rispondergli:
IO: “Che cos’è questa foto? Cos’è successo?”
IO: “Alessandro, rispondi per favore.”
IO: “Sto male. Dimmi cosa hai fatto!!”
A: “Ciao, cornuto! Non si vede? È abbastanza palese cosa sia successo questa mattina!”
Mentre leggevo le sue parole, il cuore mi batteva all’impazzata, sentivo conati di vomito e la testa mi girava.
IO: “Mi puoi dire perché ti trovavi a casa mia? E cosa cazzo hai fatto?!”
A: “Tua moglie è una bomba. Ha una voglia di scopare, è una porca assurda.”
IO: “Dimmi che cazzo hai fatto!”
Alessandro si era dimostrato un abile stratega e seduttore. Con il tempo l’aveva corteggiata, lusingata con complimenti, ma non erano state le parole a far cedere mia moglie. Era stato il suo lato dominante, il suo controllo totale su di lei. Nelle loro videochiamate lui la guidava, la possedeva con le parole, la faceva sentire la sua schiava. E io, in quel periodo, non ero in grado di soddisfarla. Lei aveva solo trovato una soluzione naturale al problema: ripiegare su di lui.
Racconto ciò che successe quella mattina grazie al racconto di Alessandro e i video che mi ha mandato: Si erano accordati per un caffè, giovedì mattina alle 9:00. A casa nostra. Quando Alessandro arrivò, lei lo accolse con un paio di leggings neri aderenti e una maglietta bianca larga, senza reggiseno, come era solita stare in casa. Un trucco leggero ma curato, come se inconsciamente volesse apparire perfetta per lui. Si erano presentati di persona per la prima volta con una stretta di mano e due baci sulle guance. Poi lo fece accomodare sul divano mentre preparava i caffè. Lui rimase a guardarla, ipnotizzato dal suo sedere perfetto, stretto in quel tessuto aderente. Con una mano si sistemò il cazzo nei pantaloni, che già iniziava a indurirsi, pregustando ciò che sarebbe successo. Si alzò dal divano e le si avvicinò alle spalle, mentre lei era ancora voltata. Poi l’abbracciò da dietro.
Mia moglie ebbe un sussulto di sorpresa.
R: "Che cavolo stai facendo?"
Era più una finta che altro. Non voleva sembrare troppo facile, anche se probabilmente era più un tentativo di autoinganno, un modo per preservare l’immagine di moglie e madre.
A: "Sappiamo entrambi perché sono qui e cosa succederà oggi..."
R: "Mmmh... lo sento già duro."
A: "Sei una donna pazzesca... questo tuo culo è una calamita per gli uomini. Vedrai, come ti ho già detto in una delle nostre videochiamate... anche lì entrerà. E Sabrinai tu a chiedermelo." La mano di Alessandro le scivolò sul corpo come un esploratore su una mappa proibita, tracciando linee di fuoco dalla pancia piatta ai fianchi morbidi, poi su, sotto la maglietta, per afferrare i seni con possesso. Le dita di lui strinsero i capezzoli già duri, facendoli ruotare tra indice e medio in un movimento esperto. Rebecca trattenne un gemito, ma il respiro le si fece più rapido, il petto che si sollevava mentre il desiderio le serrava la gola. Lui lasciò un seno, la mano che discendeva con lentezza calcolata, oltre l’ombelico, entrando nei leggings fino a sfiorarle il pube liscio e sprofondare nelle mutande. La trovò bollente, pulsante, il clitoride già gonfio sotto le sue dita. Un tocco circolare, deliberatamente lento, e lei inarcò le anche all’indietro, premendo il sedere contro quel che non poteva ignorare: la massa dura che premeva contro di lei, promettente e minacciosa insieme. “Dio, quanto è grosso…” disse, mentre la sua mano scivolava dietro, tastando il volume attraverso il tessuto. Alessandro la girò di scatto, afferrandole la nuca, e la baciò con una fame che le tolse il fiato. La sua lingua invadeva, reclamava, mentre le braccia la sollevavano con uno scatto da predatore. La schiena di Rebecca affondò nel divano, i corpi ora avvinghiati, le mani frettolose a svestirla. Rimase solo il perizoma di lei, gli slip di lui. Poi, anche quelli sparirono. E lui emerse, imponente. Rebecca lo osservò per un attimo, quasi intimidita, prima di allungare una mano. Il peso era diverso da quello che immaginava: caldo, vivo, una vena che pulsava sotto la sua pelle mentre lei lo soppesava, insieme ai testicoli pieni. Si chinò, le labbra che sfioravano la punta in un bacio, poi la lingua che partiva dalla base, una strisciata lenta, salendo fino a cingere il glande. Non ci starà mai tutto, ma Alessandro le afferrò i capelli, raccogliendoli in una coda stretta. “Aprimi bene quella bocca” sussurrò, spingendole la testa in giù. Lei riuscì a prendere solo pochi centimetri, la saliva che le colava lungo la base, mentre lui con l’altra mano prendeva il telefono. Lo schermo si accese, catturando ogni suo sforzo, ogni suono umido, l’immagine di lei, moglie e madre, con le labbra stirate attorno al cazzo di lui. Alessandro tiene la telecamera puntata su di lei, il suo sorriso è un coltello. «Ti piace succhiarmelo?» domanda, voce raschiata dal piacere. Lei non risponde, ma il suo corpo lo fa per lei: le labbra gonfie, lo sguardo annebbiato tra vergogna e bisogno. «Sei una perfetta troia che ha voglia di cazzo» le sibila lui, afferrandole i capelli. La spinge giù, imponendo un ritmo che non ammette pause. Lei ansima, cerca di tirarsi indietro, conati, sputi, un fiume di saliva che le cola dal mento, ma Alessandro non concede tregua. «Che cazzo fai? Ti ho detto che puoi fermarti?» Uno schiaffo le schiocca sulla guancia, lasciandole la pelle in fiamme. E lei, lei che con me alzava la voce anche solo se parlo durante l’amplesso, ora obbedisce. Si piega, riprendendo a succhiare con una dedizione che non le ho mai visto. Le mani di Alessandro le guidano la testa, affondandola più in profondità ogni volta. «Il lo facciamo vedere al cornuto di tuo marito?» «No, ti prego» La sua protesta è un gemito, soffocato dalla carne che le riempie la bocca. «Allora continua. E dimostrami che sai fare la brava.» E lei lo fa. Come se fosse nata per questo. Labbra strette attorno al suo cazzo, lingua che scivola dalle palle alla punta, mani che lavorano con frenesia. Sembra posseduta, come se quel cazzo l’avesse risvegliata da un torpento di anni. «Dimmi cosa sei» le ordina lui, mentre la riprende. «Una… una troia» ansima, tra un colpo di tosse e un respiro affannoso. E Alessandro ride, soddisfatto. «Esatto. La mia troia.»
Mentre guardavo il video, le mani mi tremavano. Il telefono era bagnato di sudore. Ogni gemito di Rebecca mi trafiggeva come un coltello... eppure il mio cazzo era durissimo, pulsante nella stretta della mia mano. Odiavo me stesso per quanto mi eccitava. Odiavo Alessandro. Odiavo lei. Ma soprattutto odiavo quel maledetto istinto che mi costringeva a guardare, a rigiocare ogni frame nella mente come se fossi stato io a metterla in quella posizione. Alessandro la rovesciò sul divano come un trofeo, i polsi premuti contro il tessuto. Le cosce di Rebecca si aprirono in un silenzio sacrale, quel frutto proibito che per anni avevo creduto mio, ora esposto alla luce cruda del soggiorno. Con un ghigno, afferrò il suo cazzo, un mostro venato che facevo fatica a guardare, e lo fece scivolare lungo la sua figa già bagnata. Uno, due, tre colpetti del glande sul clitoride, come un metronomo crudele. Rebecca sobbalzava a ogni contatto, le unghie che graffiavano il divano. "Aspetti il tuo momento, eh troietta?" le sussurrò, premendo la punta contro l'ingresso stretto. La punta affondò di qualche centimetro, le labbra di Rebecca si stirarono come mai con me, bianche per la tensione. Un gemito strozzato. Alessandro non voleva accontentarsi solo di penetrarla. Voleva possederla fino alle viscere. Con un movimento lento e calcolato, spinse in avanti, il cazzo che dilagava dentro di lei, centimetro dopo centimetro, superando ogni resistenza. Rebecca ansimò, le dita che si aggrappavano alle sue braccia, le unghie che affondavano nella carne. "Piano... Cristo, sei troppo grosso". Ma Alessandro non si fermò. Un’ultima spinta. E poi Lo sentì. La punta del suo cazzo sbatté contro il fondo, premendo direttamente contro la cervice, l’ingresso stesso del suo utero. Rebecca urlò, un suono strozzato, metà dolore e metà stupore. "Cazzo... mi hai... mi hai aperta tutta!" Alessandro sorrise, sadicamente compiaciuto. "Sì, troia. Ti sento il fondo." Appena si mosse, anche solo di un millimetro, Rebecca ebbe un sussulto. Un brivido improvviso le attraversò il corpo, come una scossa, partendo dalla figa e diffondendosi fino alle punte dei piedi. Dapprima fu fastidio, una pressione quasi insostenibile, come se lui le stesse rimodellando le viscere. Ma poi Il piacere. Un piacere mai provato prima, primordiale, che le fece contrarre i muscoli delle gambe. "Oh Dio... oh Dio, cos’è" Alessandro la guardò, gli occhi pieni di fuoco. "È quello che succede quando un uomo ti prende davvero." E ricominciò a muoversi. Ogni colpo era una rivendicazione. Ogni spinta la faceva tremare. Non era più solo sesso era una ridefinizione di ciò che il suo corpo poteva sentire. Le labbra di Rebecca si aprirono in un gemito muto, le lacrime che le rigavano il viso non più di dolore, ma di scoperta. "Non... non credevo... potesse esistere... una sensazione del genere..." Alessandro rise, afferrandola per i fianchi e scavando ancora più a fondo. "E invece sì, troia. E ora è tutto tuo." Ora la scopava ruotando il bacino, avvitandosi dentro, svasandola mentre lei singhiozzava. "Respira... ecco così". La figa pulsava, costretta a ingoiarlo centimetro dopo centimetro. Alessandro le carezzò i fianchi: "Vedi? l'hai preso tutto, la tua figa è nata per me"
Dallo schermo, contai i sette secondi di silenzio prima che ricominciasse a muoversi. Sette secondi in cui capii che lui le aveva insegnato cos'era davvero essere pieni. Alessandro la tiene inchiodata sul divano, il suo cazzo lubrificato dai suoi stessi succhi le apre la figa con una lentezza sadica. Rebecca digrigna i denti, le unghie gli affondano nelle spalle. R: "Ti prego... fai piano... ce l'hai enorme—" A: "Tranquilla, troietta. Tra poco mi chiederai di scoparti come si deve." Era vero. La stava sventrando. E a me, a me veniva da vomitare, ma il mio cazzo continuava a sgocciolare pre sperma. Alessandro inizia a muoversi, lento, calcolato, mentre le massaggia il clitoride con il pollice. Rebecca ansima: R: "Cazzo... lo sento tutto... mi sta spaccando ma.." A: "Ma ti piace. Lo sapevo. Le troie come te vivono per questo." E lei annuisce, gli occhi vitrei. Alessandro accelera, affondando fino all'osso ogni volta. Ora le gambe di Rebecca sono sulle sue spalle, il culo schiaffeggia contro di lui a ogni colpo. R: "Dai, scopami come mi hai promesso! Consumami, cazzo! Fammi camminare storta domani!" La voce di mia moglie, quella stessa voce che usava per sgridarmi, ora gemeva come una pornostar. E Alessandro ride, godendo del suo potere: A: "Guarda come ti sbatto. Sei nata per essere riempita. Dimmelo." R: "Sì! Sono una... una troia! La tua troia!" E io, dietro lo schermo, scoppio di gelosia... mentre mi sego come un ragazzino. La scopata era diventata una cosa primitiva, un corpo contro corpo dove il sudore e i gemiti si mescolavano al rumore umido delle cosce che si schiaffeggiavano. Rebecca ormai si muoveva contro di lui, la figa stretta ma ormai plasmata a quel cazzo, avida. «Sì, mi piace… continua… fammi godere…» ansimava, le unghie affondate nelle sue braccia. Alessandro rispondeva a ogni invito con un colpo più violento, il bacino che schioccava contro di lei in un ritmo ipnotico. La figa era un lago, e il suono quel shlick-shlick volgare e irresistibile riempiva la stanza insieme ai suoi urli. Poi, all’improvviso, si fermò. Si tirò fuori e inquadrò col telefono il disastro che aveva fatto: la figa di Rebecca era una voragine aperta, le labbra gonfie, lucide, che pulsavano ancora.
Io, dallo schermo, sentii il cuore fermarsi. Mia moglie. La madre di mia figlia. Eppure, era come guardare una sconosciuta. Un pensiero stupido mi attraversò la mente: "Resterà così per sempre? Il mio cazzo non lo sentirà mai più come prima." Nausea. Eppure, il mio corpo traditore era ancora eccitato. Alessandro non le diede tregua. La riafferrò, la ribaltò a novanta gradi con un cuscino del divano sotto il ventre, e prima che potesse protestare, le aprì le natiche con le dita e le passò la lingua su quel buco stretto, poi sputò sulla figa ancora aperta e glielo rimise dentro con un colpo secco. Rebecca urlò, un suono strozzato tra il dolore e il piacere. Alessandro era indemoniato, il cazzo che la sfondava con una furia nuova, ogni colpo più profondo del precedente. «Sei pazzesca» le ringhiò nell’orecchio, afferrandola per i capelli. «Mai nessuna mi aveva retto così alla prima volta.» Lei non rispose con parole, ma con il corpo arcuandosi, spingendosi contro di lui, come se volesse ancora di più. Una troia. La sua troia. Il mio tormento mentre Guardavo:
E nonostante il disgusto, non riuscivo a staccare gli occhi dallo schermo. Mia moglie. Quella bocca che succhiava con un’avidità che non mi aveva mai mostrato. Quelle dita che si intrecciavano alle sue, non per respingerlo, ma per trattenerlo mentre lui la sfondava. Il mio stomaco si contorse, ma il cazzo no. Il cazzo era duro come pietra, pulsante di un bisogno malato. Era questo che volevi, Rebecca? Tutte quelle volte che ti lamentavi e ora eccoti lì, a urlare come un’animale per un uomo che ti tratta come una puttana. Alessandro la scopava con una violenza che mi faceva serrare i pugni. Dovevo spegnere il video. Dovevo. Invece mi mordevo il labbro fino a sentire il sapore del sangue, immaginando che fosse il mio cazzo a riempirla così, il mio sudore a mischiarsi al suo. Ma no. Io non l’avevo mai sentita tremare così. "Sono tua…" gemeva lei, mentre lui le sbatteva contro il ventre con un rumore di carne umida. E io, dall’altro lato dello schermo, non respiravo. Dovevo odiarla. Dovevo spegnere tutto. Invece io continuavo il movimento masturbatorio sul mio cazzo duro come poche volte. Era sbagliato. Era disgustoso. Ma era la prima volta che la vedevo così viva, perduta in qualcosa di primitivo che io non le avevo mai dato. Perché io l’amavo. Per me è preziosa, da accarezzare al buio, da proteggere.
Lui no. Lui la usava, ed era proprio questo che la faceva urlare. Alessandro le afferrò la mascella, costringendola a spalancare la bocca. «Mima un pompino» le ordinò, voce roca. «La prossima volta ci sarà un altro cazzo da riempirti.» Rebecca ansimò, le labbra umide che si contrassero in una smorfia oscena. «Mmmmmmm… mi sfondate in due…» Lui rise, un suono animalesco, mentre il cazzo continuava a martellarle la figa, ormai slabbrata, le pareti stirate che cercavano ancora di stringerlo. «Altro che. Sabrinai la mia troia personale» ringhiò, afferrandole i glutei e divaricandoli con forza. «Scoperai solo chi io voglio. E tuo marito? Niente più figa per lui. Solo seghe… perché questa» Un colpo secco, profondo, che la fece contorcere. «è mia.» Rebecca gemette, una miscela di piacere e resa. «Sei un maiale…» Ma Alessandro non rallentò. I suoi colpi si fecero più brutali, come se volesse scolpirle l’utero a forza di cazzo. La piegò in avanti, esponendole il buco stretto e vergine che luccicava di sudore. «Mmmmmmm… la prossima volta questo culo sarà mio» sussurrò, sfiorandolo con la punta delle dita. «Pazzo…» lei singhiozzò, le dita che affondavano nel divano. «Vuoi spaccarmi davvero in due??» Lui non rispose. Era troppo vicino. Si limitò a incastrarla sotto di sé, i muscoli tesi come corde, e sfondarla con una furia che non conosceva tregua. Ogni colpo sembrava volerle strappare qualcosa l’orgoglio, il matrimonio, l’ultimo barlume di resistenza. E Rebecca, la moglie, la madre, l’angelo di un altro uomo, urlò. Non di dolore. Ma di godimento. Alessandro si irrigidì all'apice dell'orgasmo, il cazzo pulsante sepolto fino all'utero di Rebecca. "Cazzo, ti sento dentro fino allo stomaco!" urlò lei, le unghie che scavavano il divano. "Ti sento bollenteeee!" Un fiume di sperma le inondò l'utero in lunghe pulsazioni, così abbondante che quando finalmente si ritirò, la sborra colò lungo le cosce tremanti di Rebecca in rivoli biancastri. Lei si contorse in un ultimo orgasmo, il corpo sfinito ma appagato, la figa ancora contratta ma aperta a ricordare la violenza del possesso. Io eiaculai ancora senza toccarmi, le gambe che cedevano mentre mi appoggiavo al muro del bagno. Rabbia, vergogna e un'eccitazione viscerale mi laceravano. Lei si era fatta riempire come una troia da strada.
Niente preservativo. Niente precauzioni. Aveva rischiato tutto, il nostro matrimonio, una gravidanza, per quel cazzo.
Rebecca si toccò tra le gambe, improvvisamente contrariata: R:"Ti avevo detto di non venirmi dentro! Manca solo che mi hai ingravidata!" Alessandro sorrise, soddisfatto. A: "Dai, non fare la preziosa. Hai goduto come la peggio delle cagne." R: "Che ho goduto è vero..." ammise lei, abbassando lo sguardo. "Da ora in poi," disse Alessandro raggiungendo i suoi indumenti, "tutte le notti andrai a dormire con questo." Esternò un plug anale d'acciaio che luccicava minaccioso. Rebecca ebbe un sussulto. R: "Ma quindi... davvero la prossima volta ci sarà un terzo?" Alessandro le accarezzò la guancia: "Non dirmi che non ti eccita l'idea..." R: "Sì, mi eccita... ma ho paura." A:"Fidati," sussurrò lui mentre sputava sul plug, lubrificandolo con saliva prima di passare alla sua vergine rosetta anale. "Godrai come non immagini." Il metallo freddo penetrò lentamente, allargando quel buco stretto mentre Rebecca stringeva un cuscino, i denti serrati nel dolore misto a piacere. Tre sborrate nel bagno dell'ufficio mi avevano prosciugato fisicamente. Ma era il vuoto nell'anima a terrorizzarmi. Il plug luccicante nella sua foto finale mi perseguitava. Non era più solo un tradimento: era Alessandro che marca il suo territorio era l'inizio di una metamorfosi. E io, spettatore impotente, non sapevo più chi fosse mia moglie. Avevo la bocca secca, le mani che tremavano ancora. Come affrontare Rebecca ora?
Dovevo confrontarmi con lei, umiliarmi, chiederle perdono? Dovevo fingere che nulla fosse successo? "Ciao amore, com’è andata la giornata?" come se non avessi visto tutto. O sbatterle in faccia la verità? "So tutto. So che hai ancora il suo plug nel culo." Ma poi cosa avrei ottenuto? Urla? Lacrime? O peggio... l’incomprensibile per me era il suo carattere. Lei, la donna dal carattere di pietra, che non si piegava a nessuno, si era fatta smussare, letteralmente, da un ragazzotto qualunque. Sì, Alessandro era carino, ma io ero un uomo, alto un metro e novanta, moro con gli occhi azzurri e un fisico da ex atleta. Io la trattavo come una principessa. Eppure… Eppure, forse era proprio quello il problema. Lei non voleva essere una principessa. Forse, sotto quella maschera di sicurezza, Rebecca era solo una donna insicura, che cercava qualcuno che la dominasse. E Alessandro l’aveva capito. L’aveva annusata, come un predatore fiuta la preda. E ora? Quella minaccia di un terzo mi faceva ribollire il sangue. Come cazzo aveva fatto ad accettare? "Sì mi eccita…" Quelle parole mi rimbombavano in testa. Dovevo fermarli? Dovevo proporglielo io per primo? Ma anche solo pensarci mi faceva sentire uno schifo. Condividerla? Mai. O forse… sì? Non ci capivo più un cazzo. La riunione subito dopo era stata un incubo. Avevo annuito, sorriso, risposto a monosillabi, mentre nella mia testa scorrevano i video di Alessandro che la sfondava, le sue mani che le afferravano i fianchi, la voce che le ordinava di "aprirsi tutta". E ora ero qui, sotto casa, le scale che sembravano salire da sole. La mia mano sul pomolo trema. Aprii la porta. "Ciao, amore…" La mia voce suonava falsa, troppo normale, dentro di me, un uragano. Aprendo la porta, mi trovai di fronte a Rebecca radiosa, gli occhi luminosi, il sorriso dolce. Come se niente fosse successo. "Ciao, amore!". Evitai il suo bacio. Non potevo. Non mentre sapevo che quella stessa bocca aveva succhiato il cazzo di un altro, gemendo come non aveva mai fatto con me. Mia figlia mi corse incontro. La baciai. A Tavola, Rebecca era perfetta. Sorrideva, scherzava con nostra figlia, mi riempiva il piatto come sempre. Era la moglie affettuosa, la madre premurosa. Ma io sapevo. Mentre mangiavo, gli occhi mi scappavano verso il divano. Cercavo macchie, segni, qualcosa che tradisse cosa era successo lì poche ore prima. Niente. Poi guardai lei. I suoi leggings aderenti, il modo in cui si sedeva, normale, comoda. "Dov’è il plug, Rebecca?" avrei voluto urlare. "Lo hai ancora dentro mentre sorridi a nostra figlia?" Ma dissi solo: "La riunione è andata male. Sono preoccupato per l’azienda." Menzogna. L’unica cosa di cui ero preoccupato era se si fosse lavata via la sborra di Alessandro prima che fossi tornato a casa. La notte fu un inferno. Avevo il cazzo duro da ore, eccitato e disgustato per me allo stesso tempo. Volevo prenderla, riprendere ciò che è mio, riappropriarmi di mia moglie... Volevo sentire con le mie mani se fosse ancora aperta, se il plug era davvero lì dentro. Volevo scoparla con la stessa violenza con cui l’aveva fatto Alessandro, per vedere se avrebbe goduto anche con me. Ma quando le toccai il fianco, lei sospirò: "Sono stanca, amore." La zoccola. Avrebbe dovuto dirmelo. Avrebbe dovuto ammetterlo: "Scusa, ho la figa distrutta, piena di sborra, e il mio amante mi ha ordinato di tenere il plug tutta la notte e per di più ora è solo sua." Invece fingeva. Si addormentò serena, come se oggi fosse stato un giorno qualunque. Io no. Non riuscivo a dormire. Ogni volta che chiudevo gli occhi vedevo Lei che succhiava quel cazzone, la fede nuziale che luccicava mentre la mano scivolava su un’asta che non era la mia; La sua figa dilatata, ancora pulsante dopo essere stata riempita come non l’avevo mai riempita io. Il plug. Dov’era ora? Dentro di lei? Nel comodino? E la domanda più grande: Fin dove si spingerà? Accetterà davvero di scopare con l’amico di Alessandro? Diventerà la puttana personale di quell’uomo? O… Dovevo intervenire? Ma come? Avere un Confronto con Rebecca? E se poi chiedeva il divorzio? Parlando con Alessandro? Ma cosa dirgli? "Smettila"? "Condividila con me"? Diventare più dominante? Ma sarei capace? O voglio davvero che sia una troia? Mi girai nel letto, fissando la sua sagoma nel buio. Chi sei davvero, Rebecca? E, soprattutto… Chi sono io? Mi sveglio che sembro un cadavere rianimato male. La testa mi pesa come un macigno, lo stomaco è un subbuglio di dubbi. Per fortuna, la mattina è sempre un delirio: sveglia la piccola, prepara la colazione, corri in bagno, butti giù un caffè che sa di veleno, raccogli le briciole dal tavolo, butti la spazzatura, salti in macchina. Tutto pur di non guardare Rebecca negli occhi. Arrivo in ufficio, mi chiudo nel mio ufficio, bella la carriera, eh? Direttore di stabilimento, uomo rispettato, quello che ha sopraffatto tutti per arrivare in cima. Ironia della sorte: fuori comando un esercito di operai, e a casa non riesco neanche a comandare mia moglie. Prendo il telefono. Scrivo ad Alessandro. IO: "Alessandro, possiamo parlare?" A: "Ciao cornutello, di cosa vuoi parlare?" Già così, mi sale il sangue alla testa. Cornutello. Come se fossi un ragazzino spaventato invece di un uomo che potrebbe farlo sparire con una telefonata. IO: "Non chiamarmi così." A: "E come non dovrei? Hai permesso tutto questo. Sei solo tu la causa di quello che è successo ieri. Potevi fermarmi in qualsiasi momento. La verità è che ti piace questa situazione, ti piace essere cornuto. E non mi sorprenderei se volessi essere presente alla doppia monta di tua moglie. Della mia cagna." Sto per ribattere, ma poi mi fermo. Perché ha ragione. Avrei potuto intervenire. Avrei potuto dirgli di andare a fanculo, bloccare tutto, riprendermi mia moglie. Invece no. Ho guardato. Ho goduto. Mi sono segato come un deficiente. IO: "Non sono intervenuto per paura che dicessi tutto a Rebecca. Lei come l’avrebbe presa?" A: "Amico mio, ragiona. A me non frega un cazzo di voi. Ne ho quante ne voglio di cagnette con la figa bagnata che si farebbero sventrare da me. A me piace umiliare i mariti, prendere le brave mogliettine e trasformarle in puttane vogliose di cazzo. Se fossi intervenuto, mi sarei levato dal cazzo. Ma ora è troppo tardi." Ecco la verità. Non gliene importa nulla di lei. È solo un trofeo, un oggetto, io un altro marito da umiliare, lei un’altra moglie da plagiare. E io? Forse inconsciamente ho lasciato che accadesse tutto questo? Sono forse un cornuto, un cuckold?" A: "Ora vedrai come la trasformerò in zoccola vogliosa. La monta doppia è solo il primo passo. Ce ne Sabrinanno altri, e più andremo avanti, più il livello si alzerà. Deve essere un apprendimento. Il problema è che io non obbligo nessuno. Tua moglie l’ha voluto. Anche lei poteva e potrebbe rifiutarsi in qualunque momento. Ma non lo fa." E qui, Rebecca non è una vittima. Ha scelto. Sta scegliendo. E io? IO: "Ok, Alessandro. Ma vorrò essere presente, se possibile, a tutti i livelli. E, se possibile, lei non deve saperlo." A: "Bene, cornuto. Allora iniziamo per davvero. Mi farò sentire." I giorni seguenti si trascinarono via tra scartoffie, riunioni infinite e problemi aziendali che, per una volta, mi fecero quasi ringraziare il cielo perché almeno la mia mente non aveva il tempo di rimuginare su quel casino in cui mi ero cacciato. Eppure, ogni tanto, nei ritagli di silenzio tra una telefonata e l’altra, i pensieri tornavano a galla. Alessandro, Quel figlio di puttana mi aveva messo sotto torchio con le sue parole, con quei video, con quel modo di possedere Rebecca come se fosse una cosa sua. E io? Io ero lì, a chiedermi se dentro di me ci fosse davvero un cuckold, un cornuto che gode nel vedere la propria donna sfondata da un altro. Ma era davvero quello che volevo? O forse, ancora peggio, era Alessandro che stava plagiando anche me, trascinandomi in un gioco perverso in cui lui era il padrone e io lo spettatore inutile? Non lo sapevo. E non sapevo nemmeno con chi parlarne per sfogarmi, per alleggerire quel peso che sembrava schiacciarmi. Poi, un’illuminazione. Luca. Quell’amico che per molto tempo si è divertito con me mostrandoci le foto delle nostre mogli, a raccontarci di come le volessimo condivise con altri e di come le volevamo scopate. Ci eravamo persi di vista, ma ora più che mai avevo bisogno di sfogarmi con qualcuno che capisse. Una sera, mentre Rebecca andava a letto presto (stanchissima, chissà perché), lo contattai. "Devo parlarti. È urgente." Gli raccontai tutto. Tutto. Le foto, i video, il plug, le prime minacce di Alessandro, la metamorfosi di Rebecca da moglie perbene a troia sottomessa. Luca ascoltò senza interrompere. Poi, con una calma che quasi mi innervosì, mi chiese: "Mi mandi qualche foto?" E io, come un idiota, gliele inviai. Perché no? Tanto ormai pensai… Lui, in cambio, mi inondò di scatti di sua moglie. "Mi sono fatto una sega pazzesca con quelle di Rebecca" mi confessò, mentre io fissavo lo schermo, ammirando la moglie di Luca, quel fisico statuario, quel culo sodo che sembrava scolpito nel marmo. E poi, le domande. "Dove hai conosciuto Alessandro? Che tipo è?" A quel punto, un brivido mi corse lungo la schiena. Cazzo. Stavo facendo la stessa cosa con Luca. Ero diventato così disperato da cercare complicità in un altro uomo che, forse, stava solo approfittando della situazione per infilarsi anche lui nel gioco di Alessandro? Ma ormai era tardi per tornare indietro. Un'altra volta.
Ero sicuro che Rebecca e Alessandro continuassero a sentirsi. Non avevo prove, ma lo sentivo, nell’aria, nei suoi gesti, in quel modo di sorridere come se avesse un segreto che la rendeva viva in un modo che io non riuscivo più a provocarle. Lo capivo da come si muoveva in casa, troppo leggera, come se il suo corpo non le appartenesse più. Lo capivo dai suoi vestiti quegli slip di pizzo, quei perizomi che prima amava, ora talvolta percepivo che non li portava. A volte, quando si spogliava, sotto non c’era nulla. Anche se faceva molta attenzione a non farsi vedere, a spogliarsi quando io non ero lì. Lo capivo dal trucco, sempre perfetto, anche per andare a fare la spesa. Per chi, Rebecca? Non certo per me, che ormai ricevevo solo sguardi distratti e carenze affettive. Eppure, con me, era una moglie perfetta mi preparava la colazione, mi stirava le camicie, mi chiamava per chiedermi come stavo. Perfetta. Eppure, il sesso tra noi era morto. Ogni tanto, quando la tensione diventava insopportabile, mi concedeva una sega. Solo le sue mani che lavoravano meccanicamente, mentre il suo sguardo guardava il mio cazzo, faceva un confronto? E io? Io mi masturbavo come un ossesso. Immaginavo gruppi di uomini che la usavano. Immaginavo Alessandro che la riempiva di nuovo, più forte, più violento. Immaginavo lei che implorava, che gemeva, che si abbandonava a un piacere che io non le avevo mai dato. Ero malato. Ma più il tempo passava, più, in qualche modo, mi sentivo meglio. Più leggero. Quasi felice. Fino a quel messaggio di Alessandro.
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Commenti dei lettori al racconto erotico