La cameriera
di
LIBERAEVA
genere
poesie
Ti prego dammi ancora l’illusione d’essere sazia di carezze,
di baci nei miei incavi che si aprono al vapore.
Prendimi l’incuria che mi devasta quando manchi,
riempimi l’attesa che mi consuma pieghe secche
nella carne che calpesti come grano a mezzogiorno.
nella carne che calpesti.
Amore? Ma che dico!
E’ solo vapore che riempie la mia bocca
sputo che non esce, che dicono saliva
come fosse già domani o peggio nel mio ventre
pazzo nel bisogno di sentirmi cosa tua,
come polmoni, gambe e mani,
che graffiano i miei seni
e slabbrano la luna infeconda tra le gambe.
Fammi accettare la tua assenza
come l’inverno quando è freddo
o un dolore improvviso,
che s’insedia e sembra eterno.
Fammi accettare le tue dita
come fossero un regalo,
come nei mattini di freddo intenso
quando scaldi le mie gonne.
Amore ma che dico?
E’ solo vapore che rimane e m’accompagna
nelle notti silenziose quando sento scricchiolare
il tuo letto, il pavimento, proprio sopra la mia testa.
E sono colpi addosso al muro, sono lamenti di donna calda
che mai paga si rivolta, come un cencio alla fontana.
Io si che ti darei di meglio,
bacerei il tuo orgoglio anche quando mi rifiuta
leccherei le tue voglie anche dentro questa pancia
che ora bolle e ribolle d’aria e di mancanza.
Amore, ma che dico?
Che stronza parola mi scorre tra le vene,
mentre queste grida ti reclamano come maschio,
come sesso che divarichi le gambe
e la faccia più capienti quanto un’anima che implora
quando accoglie un Dio creduto perso
come un figlio in un aborto.
Mi sfioro, m’accarezzo e seguo i tempi
perché il mio piacere sia puntuale
come se quelle urla uscissero da queste labbra
come se davvero mi spartisse queste dita
che ora stringo chiuse a pugno
Amore, ma che dico?
Mentre mi riduco ad ascoltarti,
ad accompagnar con le mie dita
questo tonfo di spalliera che mi penetra le ossa.
Ti prego aprile la bocca e fammi addormentare
pensandoti che all’alba sarai qui tra le mie braccia.
Guardami nei suoi occhi e vedimi più bella,
perché mi piacerebbe che t’affanni e poi mi pensi,
che mi cerchi dentro carne che non m’appartiene
come se davvero tu fossi certo
che dentro quell’alcova sto godendo
che dentro, nel tuo letto, la guardi e m’assomiglia
e tra poco per incanto riposo e si riposa.
di baci nei miei incavi che si aprono al vapore.
Prendimi l’incuria che mi devasta quando manchi,
riempimi l’attesa che mi consuma pieghe secche
nella carne che calpesti come grano a mezzogiorno.
nella carne che calpesti.
Amore? Ma che dico!
E’ solo vapore che riempie la mia bocca
sputo che non esce, che dicono saliva
come fosse già domani o peggio nel mio ventre
pazzo nel bisogno di sentirmi cosa tua,
come polmoni, gambe e mani,
che graffiano i miei seni
e slabbrano la luna infeconda tra le gambe.
Fammi accettare la tua assenza
come l’inverno quando è freddo
o un dolore improvviso,
che s’insedia e sembra eterno.
Fammi accettare le tue dita
come fossero un regalo,
come nei mattini di freddo intenso
quando scaldi le mie gonne.
Amore ma che dico?
E’ solo vapore che rimane e m’accompagna
nelle notti silenziose quando sento scricchiolare
il tuo letto, il pavimento, proprio sopra la mia testa.
E sono colpi addosso al muro, sono lamenti di donna calda
che mai paga si rivolta, come un cencio alla fontana.
Io si che ti darei di meglio,
bacerei il tuo orgoglio anche quando mi rifiuta
leccherei le tue voglie anche dentro questa pancia
che ora bolle e ribolle d’aria e di mancanza.
Amore, ma che dico?
Che stronza parola mi scorre tra le vene,
mentre queste grida ti reclamano come maschio,
come sesso che divarichi le gambe
e la faccia più capienti quanto un’anima che implora
quando accoglie un Dio creduto perso
come un figlio in un aborto.
Mi sfioro, m’accarezzo e seguo i tempi
perché il mio piacere sia puntuale
come se quelle urla uscissero da queste labbra
come se davvero mi spartisse queste dita
che ora stringo chiuse a pugno
Amore, ma che dico?
Mentre mi riduco ad ascoltarti,
ad accompagnar con le mie dita
questo tonfo di spalliera che mi penetra le ossa.
Ti prego aprile la bocca e fammi addormentare
pensandoti che all’alba sarai qui tra le mie braccia.
Guardami nei suoi occhi e vedimi più bella,
perché mi piacerebbe che t’affanni e poi mi pensi,
che mi cerchi dentro carne che non m’appartiene
come se davvero tu fossi certo
che dentro quell’alcova sto godendo
che dentro, nel tuo letto, la guardi e m’assomiglia
e tra poco per incanto riposo e si riposa.
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