Mia Cognata

di
genere
etero

Quello che sto per raccontarvi vi potrà sconvolgere, ma è pura verità.
Quando mi fidanzai con mia moglie, essa viveva con la mamma e una sorella perché mio suocero non c’era più, morì qualche anno prima di cancro. Mia moglie e sua sorella erano due ragazze molto legate fra loro, anche se la loro differenza di età non superava i due anni, sembravano molte somiglianti caratterialmente.
Io all’epoca ero un procacciatore d’affari nel settore edile, giravo in lungo e in largo tutta l’Italia, e qualche volta anche all’estero.
Dopo tre anni di fidanzamento decidemmo di sposarci, per l’occasione comprai una casa in un piccolo paesino di provincia, ma pochi mesi prima dell’evento mia suocera morì d’infarto.
Facemmo una cerimonia solo di rito, senza nessun festeggiamento e mia cognata rimasta sola, per volere di mia moglie, venne a vivere con noi. Ero contento perché quando mancavo da casa, si facevano compagnia a vicenda.
Dopo pochi mesi di matrimonio, mia moglie mi confessò di essere incinta, contentissimo dell’annuncio feci una piccola festa fra noi a casa. Quella sera bevvi champagne come una spugna, e non ricordo cosa mi successe. Il fatto strano che la mattina dopo, quando mi svegliai con un forte dolore alla testa, ero a letto con mia moglie e mia cognata. Me ne andai a lavorare un po’ frastornato, volevo chiedere spiegazioni a mia moglie al mio ritorno a casa, ma poi questo evento non fu mai chiarito da me.
Eravamo arrivati al quarto mese di gravidanza e le cose sembravano andare bene, ma mia moglie non mi aveva mai avvertito di fitte che aveva ogni tanto sotto il ventre dall’inizio della gravidanza. Preoccupata perché questi dolori incominciavano a diventare sempre più insistenti, andò dal dottore che gli prescrisse un’eco addominale per vedere lo stato di gravidanza e per controllare se ci fossero altri problemi.
Una telefonata piangendo di mia cognata mi fece accorrere in ospedale. Quando arrivai, il dottore di guardia mi fece accomodare nel suo ufficio e mi disse: sua moglie deve essere operata d’urgenza perché ha un cancro all’ovaia sinistra già in metastasi con l’utero. Se interveniamo subito, salveremo la vita a sua moglie ma perderà il bambino e speriamo di riuscire a salvargli l’utero per una prossima gravidanza. Firmai subito per accettazione dell’intervento, e mia moglie fu operata. Attesi io e mia cognata fuori al complesso operatorio con ansia e trepidazione. Quando terminò l’intervento, il chirurgo, dispiaciuto e rammaricato mi disse: mi dispiace, sua moglie non potrà avere più figli, il quadro clinico era così compromesso che per il momento, gli abbiamo salvato la vita, e spero che la chemio distruggerà definitivamente i residui del suo male. Comunque in futuro dovrà controllarsi periodicamente. Questa notizia ci rimase sconvolti e senza parole, a me e mia cognata. Mia moglie fu dimessa presto, e su consiglio del dottore la portai da uno psicologo per due mesi dopo l’intervento, fu così che riuscimmo insieme, tutti e tre a superare quell’evento tragico che ci colpì.
Ogni tanto mia moglie parlava sempre di quel figlio mancato. Quando invece ne parlavo io, avevamo discusso anche per un’adozione. Insomma quel bambino era desiderato da mia moglie, da me, e da mia cognata, ma nessuno aveva il coraggio di affrontare il problema fino in fondo, così tutto finiva lì, nei nostri discorsi.
Passò quasi un anno, e sembrava che la vita trascorresse tranquilla, ma una sera successe un avvenimento che cambiò la nostra vita.
Erano due mesi che puntualmente il sabato e la domenica dopo le ventidue andavamo a ballare in un’ala di un castello antico dove era stata adibita a discoteca. Avevo fatto un abbonamento per tre mesi, per distrarci un po’ alla fine della settimana, e così avevo pagato l’ingresso, la metà. L’interno della discoteca era confortevole, aveva una cinquantina di tavoli, ma la cosa che lasciava un po’ a desiderare era la sala ballo, piccola per tutte le persone, e il bagno, ha detto di mia moglie che faceva un po’ schifo, esso era situato all’esterno in uno spazio angusto, dove per giunta anche poco illuminato. Io non c’ero mai stato anche perché non mi era mai capitato di averne bisogno, ma mia moglie e mia cognata nel bisogno, qualche volta si erano fatte compagnia a vicenda.
Un sabato in discoteca, mentre mia cognata andava a prendere le consumazioni al bar, mia moglie mi disse: non inviti mai, mia sorella a ballare, fallo per me, sta sempre da sola. Mia cognata era sempre sola per sua scelta. Aveva avuto qualche ragazzo fino al suo diploma, ma poi non si era più voluta legare a nessun altro.
Dopo un po’ venne con le consumazioni, stavamo chiacchierando quando annunciarono il primo ballo, era un lento, così invitai mia cognata a ballare. La afferrai per mano, la accompagnai in sala e cominciammo a ballare. Mia moglie da dove era seduta riusciva nel vederci ballare, e noi vedevamo lei, poi la sala si riempì e così ci perdemmo di vista. Incominciai a ballare con mia cognata timida e timorosa tenendola un po’ distante, ma quando si riempì la sala, ci trovammo a corpo a corpo, uno schiacciato quasi contro l’altro. Aveva un profumo addosso che mi piaceva e m’inebriava e così la strinsi di più a me, anche per proteggerla dalle altre coppie che si dimenavano tutte. Mia cognata era un po’ più bassa di mia moglie, e così abbassando la testa sul mio petto, si strinse anche lei a me, poi incominciò nel ritmo del ballo a sfregare lentamente il suo ventre che si appoggiava proprio sui miei attributi maschili. Il suo corpo caldo, contro il mio e quel movimento leggero, impercettibile, sinuoso e costante, che seguiva il ritmo della canzone, lentamente, impercettibilmente, ma inesorabilmente senza ritorno, mi fecero abbandonare a quel piacere, e quel piacere mi fece dimenticare che la donna fra le mie braccia, era mia cognata. Mi accorsi quando lo sentii durissimo sfregare vicino a quel ventre, cercando una penetrazione che non poteva mai esserci. Mia cognata all’improvviso si staccò guardandomi un po’ accigliata, ed io tutto rosso gli dissi abbassandomi al suo orecchio: scusami, non riesco a capire cosa mi sia successo, speriamo che ritorni presto nelle sue normali dimensioni, altrimenti sai che figuraccia. Senza dirmi niente, rimise la testa sul mio petto allontanando quel ventre caldo dai miei pantaloni. Dopo un po’ riuscii a farlo ridimensionare un po’, e così per non fare accorgere mia moglie di quello che mi stava accadendo, mentre mia cognata tornava a posto, io mi recai al bar dicendo: di, a mia moglie che sono subito da lei, vado al bar a prendere un whisky e coca. Dopo cinque minuti tornai da loro. Mia moglie stava parlando con la sorella, ma quando arrivai al tavolo, smise di parlare. Questo non l’aveva mai fatto, e prima che potessi capire, mia moglie rivolgendosi a me, mi disse: caro quando mi sono seduta al tavolo, ho avvertito un dolore alla gamba, per cortesia accompagni mia sorella, deve recarsi alla toilette, e quel posto non mi piace tanto. Preoccupato per quello che mi disse, e un po’ incredulo per quello che dovevo fare, le risposi: Va bene, come vuoi. Poi rivolgendomi a mia cognata gli dissi: percorrimi la strada perché non so proprio dove sia, e così la presi sotto braccio e uscimmo dalla discoteca. Prima di uscire attraversammo un corridoio semibuio e per la paura di non cadere mia cognata si appoggiava a me sempre più salda. A contatto con lei quel profumo che aveva addosso mi prendeva sempre di più nelle mie narici, e sembrava che ad ogni passo mi entrasse nel corpo prepotentemente. Finito, il corridoio c’era uno scalino e mia cognata non vedendolo perse l’equilibrio e stava per cadere. Fortunatamente stava appoggiata a me, cosi io nel gesto di sorreggerla, fui, proiettato vicino al muro faccia a faccia, a corpo a corpo con lei. Restammo così per un attimo ma quel momento, mi sembrò durare un’eternità. In quel momento riuscii a trattenermi da fare qualche sciocchezza, poi ci ricomponemmo e continuammo a camminare verso la toilette. Quell’attimo appoggiato a mia cognata mi aveva fatto perdere la testa, ormai quel profumo mi aveva invaso tutto il corpo, e nella mente c’era il ricordo di quello che era successo poco prima. Mentre camminavo adesso, ero io che me la stringevo a me, e penso che lei si fosse accorta che il mio comportamento non era più quello di un cognato, ma mi assecondava, e questo mi piaceva, facendo accrescere in me il desiderio. Attraversammo tutto il cortile e arrivammo vicino a un albero, dietro c’era una porta antica e sopra c’era scritto con della pittura, bagno. Dissi a mia cognata: aspetta entro un attimo, vedo un po’ l’interno com’è. Entrai, era una stanza di due metri per tre, divisa da una coperta leggera appesa a una corda fra le due pareti, giusto in mezzo aveva un buco, dove s’intravedeva il water. Una luce fioca illuminava la stanzetta, e tutto l’interno era angusto tetro e sporco d’urina, e non c’era un lucchetto che potesse chiudere la porta d’ingresso. Nel visionare l’interno, ero ancora preso dal desiderio e senza pensare al dopo, uscii e dissi: entra e stai attenta, lì è tutto sporco. Quando mia cognata entrò, io la seguii. Entrati, gli chiusi la porta con la mano, lei si girò, mi guardò, ma non disse niente. Io un po’ impacciato e tremolante non sapendo cosa fare gli dissi: vai, io tengo chiusa la porta, perché non c’è il lucchetto di chiusura, e così scomparve dietro la coperta. Essere da solo con mia cognata in bagno, come qualcosa di proibito, mi fece eccitare tutti i sensi, e fui tentato di guardare dietro la coperta. L’avevo pensato solo, ma ero già a sbirciare con la testa per vedere. Quello che vidi, fu una visione che mi prese come un raptus irrefrenabile, e mi sbottonai i pantaloni quasi senza accorgermi di quello che stavo facendo. Mia cognata era abbassata ad angolo retto, intenta a pulire con della carta igienica il water. Mi dava le spalle, aveva la mutandina abbassata, e con quelle labbra che le uscivano dalle gambe semiaperte, mi fecero perdere la testa e in un attimo ero dietro di lei, con le mani nei fianchi la tenevo ferma e lo affondai tutto dentro. Scivolò inesorabilmente fra quelle labbra umide di eccitazione poco prima al ballo. Appena entrato, ebbe un sussulto, e un lamento si levò dalla sua bocca, ma non si mosse. La paura di essere sorpreso, e l’eccitazione di quel momento di lussuria proibito, affondando un paio di volte, la inondai tutta. Quando mi distaccai, lei si mise in posizione eretta e girandosi mi disse: perché lo hai fatto? Ero tutto un fuoco, con il cuore che mi batteva a mille, e quasi balbettando, non avendo argomentazioni per discolparmi di quello che avevo fatto, le risposi: scusami, sono desolato, non ho capito più niente, forse sarà stato il tuo profumo. Mentre le parlavo, mi pulii e dopo subito uscii permettendola di fare le sue cose, aspettandola fuori. Dopo poco usci e prendendomi il braccio mi disse: adesso cerca di comportarti come se non fosse successo niente, e ci avviammo per rientrare in discoteca, lungo tutto il tragitto non ci parlammo più. Entrati mia moglie, ci aspettava, e appena ci fummo seduti rivolgendosi a sua sorella disse: è andato tutto bene, la sorella acconsentì con un cenno del capo. Rivolgendosi a me disse: per favore mi vai a prendere un whisky con coca, devo parlare con mia sorella, mi alzai e andai al bar. Ancora intontito, non riuscii a capire quelle parole, e pensavo che mia moglie si fosse accorta di qualcosa che non andava, e speravo che mia cognata non dicesse niente. Quella sera fui preso dal rimorso di quello che avevo fatto, perché mia moglie fu nei miei confronti più dolce del solito. Tornammo a casa che era quasi mattino, e andammo a dormire con il presupposto che appena svegli fossimo andati a mangiare al ristorante. Mi svegliai verso mezzogiorno, e non trovai mia moglie nel letto. Trovai un suo bigliettino sul comodino con scritto: esco per prendere i dolci e uno champagne, in occasione del compleanno di mia sorella, lo festeggeremo stasera, se mi va bene torno verso le quattordici, fatevi trovare pronti. Contento mi recai nella stanza di mia cognata per farle gli auguri, stava ancora dormendo, con il lenzuolo addosso che la copriva tutta. Mi avvicinai al letto, sentivo ancora quel profumo che mi prendeva, poi le spostai il lenzuolo dalla testa e la baciai sulle labbra dicendo: tanti auguri. Ancora con gli occhi chiusi mi allungò le braccia dietro al collo e mi tirò verso di sé, volevo distaccarmi da quella presa, pensando che stesse sognando, e la lasciai fare. Quella stretta diventò sempre più forte schiacciando le sue labbra contro le mie, poi aprì gli occhi, si distaccò e disse: ieri ti ho lasciato fare perché non hai capito più niente, adesso lasciami fare, e contemporaneamente con una mano si tolse il lenzuolo che la copriva. Era tutta nuda, quella visione eccito subito i sensi, e anche stavolta feci tutto io. Le salii sopra, lei allargò le gambe, e in un attimo ero tutto dentro il suo corpo. Avevo paura che mia moglie potesse rientrare prima, e quel suo dimenarsi e gemere non mi aiutarono, così dopo pochi minuti avevo già lasciato tutto il mio seme dentro di lei. Quando mi distaccai, gli dissi: scusami, avrei voluto, ma non c’è l’ho fatta, avevo troppa paura di essere sorpreso, poi mi alzai e andai in bagno, mi sentivo un uomo meschino, avevo agito per due volte come un maniaco in astinenza. Quando mia moglie rientrò, uscimmo e andammo al ristorante come se non fosse successo niente. La sera festeggiammo tutti e tre il compleanno di mia cognata, e di nuovo mi ubriacai. La mattina seguente mi ritrovai a dormire nel letto con mia moglie, e mia cognata, era già successo una volta, e così non ci feci caso. Passò una settimana senza che succedesse niente, poi mi presi tre giorni di riposo perché mia moglie doveva ricoverarsi per i soliti accertamenti che faceva ogni sei mesi. Il primo giorno l’accompagnammo in ospedale e dopo averle fatto compagnia mezza giornata ritornammo a casa io e mia cognata, promettendola che saremmo ritornati il giorno dopo. Prima di andarcene ci disse: mi raccomando fate i bravi. Lungo tutto il tragitto per tornare a casa, fu scena muta fra me, e mia cognata. Appena entrati in casa mia cognata, mi disse: vado a farmi la doccia, ti va di farla insieme con me. Sorpreso da tanta sicurezza, gli dissi: ti raggiungo fra poco. Tutto questo mi eccitava da morire e così entrai nella doccia già armato fra le gambe. Mia cognata appena lo vide, lo prese con una mano e poi aggiunse: stai calmo tu, perché non è venuto il momento, vedremo quando saprai aspettare, e incominciò a insaponarmi tutto, ed io la lasciavo fare. Lo strofinio delle sue mani sul mio corpo non facevano altro che accrescere il desiderio di penetrarla di nuovo, e tutto questo mi piaceva da morire. Poi non riuscii a resistere e così pochi minuti dopo, gli tolsi la spugna di mano e incominciai a insaponarla io. Aveva un bel fisico, due tette e un sedere che mi sballavano dentro la testa. A un certo punto mi tolse la spugna di mano e incominciò a strofinarsi contro il mio corpo, poi si voltò e mi diede la schiena, intanto strofinava quel sedere contro i miei attributi induriti fino allo spasimo. Non c’è la facevo più, così la afferrai ai fianchi e volevo penetrarla, ma lei accortosi di questo movimento con una mano girò una chiavetta e un getto di acqua fredda c’invase entrambi lavandoci e mettendo fine a quell’eccitazione dei sensi. Uscimmo dalla doccia e senza asciugarci mi afferrò per mano e mi portò nella sua stanza da letto. Quel profumo aleggiava in quella stanza come l’etere. Ero soggiogato da quelle esalazioni di particelle che m’inondavano tutto il corpo, e prima di arrivare sul letto la fermai vicino al comò, aprii il secondo cassetto, gli feci appoggiare un piede sopra allargandogli le gambe, e la presi in piedi violentemente. Adesso non ero solo io che mi dimenavo e godevo senza capire niente, ma mia cognata mi superò notevolmente, graffiandomi, mordendomi, leccandomi e gridando come una forsennata che gli piaceva, e tutto questo in un amplesso che si consumò subito. Da quell’amplesso consumato intensamente e in poco tempo, altre tre volte lo seguirono per tutta la notte. Ci svegliammo alla mattina, esausti e deboli, non avevamo nemmeno mangiato un boccone dal ritorno dall’ospedale. Ci vestimmo e andammo da mia moglie, facemmo colazione insieme con lei al bar dell’ospedale. Poi le lasciai lì e me ne andai a lavorare.
Dopo circa dieci minuti squillò il telefonino, era il numero di mia moglie, risposi con trepidazione, ma sentivo solo delle voci, e nessuno che rispondeva al mio, pronto, amore? Cercando di riuscire a capire, il perché di quella telefonata senza risposta fermai la macchina e misi il cellulare a viva voce. Sentivo le voci di mia moglie e di mia cognata che dialogavano fra loro. Inavvertitamente, una delle due aveva premuto il tasto di chiamata. Ascoltando il dialogo fra le due sorelle, appresi maledettamente la verità di quello che mi era successo con mia cognata. Le due sorelle si erano messe d’accordo fin dalla prima volta in discoteca su quello che doveva succedere, e così capii il perché da dieci giorni prima, non facevo l’amore con mia moglie. Restando in astinenza c’era più probabilità che potesse succedere, quello che poi successe, prima ballando con mia cognata con lo sfregamento del ventre, e poi al bagno. Avevano architettato tutto, un piano diabolico solo per soddisfare la voglia e il desiderio di avere un figlio, allora perché usarmi senza dirmi niente? Ero distrutto, volevo reagire tornando subito in ospedale, poi pensai di escogitare un piano per fargliela pagare, e quel giorno, tanti altri pensieri occuparono la mente, ma tutti questi sfociarono alla fine in un solo risultato, di stare al loro gioco. La sera al ritorno dal lavoro passai in ospedale a trovare mia moglie, e per prendere mia cognata, mi sforzavo in quella parte, ma ci riuscii egregiamente. Dopo una mezz’ora insieme, dissi che ero stanco, mi volevo fare una doccia e andare a dormire, così salutammo mia moglie e andai a casa con mia cognata. Avevo comprato una bottiglia di champagne, ma stavolta avevo deciso di fare ubriacare mia cognata e di spassarmela a modo mio. Arrivati a casa, entrando in cucina gli dissi: metti questa bottiglia in frigo, stasera voglio festeggiare, alla sua domanda a cosa, gli risposi, te lo dico dopo. Adesso vado a farmi una doccia, preparami qualcosa di buono, ho tanta fame. E avvicinandomi al suo corpo le diedi un bacio sul collo e le toccai il sedere, sentii un fremito, così mi fermai e girandola, la baciai e succhiandole la lingua la portai nella mia, poi le alzai la gonna, gli misi la mano dentro la mutandina, era già tutta bagnata. Fu un attimo la girai e la abbassai sul tavolo. Mentre lei freneticamente si calava le mutandine e protendeva il culetto all’insù lasciando intravedere le labbra tutte bagnate. Mi abbassai i pantaloni, c’è l’avevo così duro che mi faceva male, avevo voglia di farle male per scaricargli dentro tutto il rancore che avevo accumulato. Afferrai energicamente i glutei e li allargai, in quell’attimo lei allargò le gambe e mise le sue mani un po’ più basso delle mie allargando le sue labbra e impudicamente si offriva aspettando e gemendo in quella posizione. Fu, un attimo lo infilai violentemente tutto dentro, e riversandogli dei colpi cosi forti, spostai il tavolo dove stava aggrappata. Si dimenava e gemeva come una cagna in calore. Eccitatissimo e senza riuscire a capire più niente, convinto che con quello che stavo facendo, mi stavo vendicando, affondavo dei colpi sempre più forti. Intanto lei dalla mia penetrazione aveva tolto le sue mani dalle labbra e aveva occupato il posto delle mie allargando i suoi glutei, protendendo alla mia vista il suo varco di accesso al misterioso mondo del piacere anale. Quella visione all’improvviso mi balenò nella testa la perversione di osare in quel buco a me ignoto. Appoggiai il dito su quel roseo buco, che si chiudeva se si allargava fra quell’eccitazione continua seguendo il mio ritmo di entrata e uscita dalle sue labbra. Premetti solo un po’, quel dito, ritrovandomelo tutto dentro stretto in una morsa di muscoli. Questo movimento fece crescere il suo ansimare e gridare, e in quell’attimo, lo tirai fuori dalle sue labbra, e togliendo il dito da quel buco stretto, feci posto al mio fallo ancora bello duro, ma intanto il suo piacere si era chiuso e non riuscivo a farlo entrare. Premevo forte come un forsennato, ma, mi si piegava e sentivo dolore non riuscendo a entrare. Di colpo la sua voce mi fermò, mi stai facendo male, calmati un attimo, e appoggialo solo, che ti aiuto io, e così mi feci guidare da lei. Lo appoggiai e premendo piano, sentivo che si apriva, e mentre premevo, si allargava e si chiudeva man mano che entrava stringendo i suoi muscoli sopra il mio, imprigionandolo inesorabilmente. Non l’avevo mai fatto, nemmeno con mia moglie. Quel buco stretto che si accavallava lentamente con i suoi muscoli e premevano il mio in una stretta morsa mi procuravano piaceri mai vissuti. Non volevo far finire mai quei momenti, ma ben presto dopo pochi minuti che entravo e uscivo, quelle grida, quell’eccitazione che mi prendeva nelle meningi del cervello e con il cuore a mille battiti, mi dovetti arrendere al suo grido di gioia e godimento, lo cacciai fuori e la inondai tutto il sedere. Andammo insieme a fare la doccia, poi lei mentre preparava da mangiare, io andai in giardino a innaffiare le piante. Ero così soddisfatto che quella sera mangiammo, bevemmo la bottiglia di champagne e andammo a letto. Quella notte fu tutto sesso, ma in maniera dolce e tranquilla. L’indomani andammo insieme a prendere mia moglie in ospedale, gli esami uscirono benissimo, e così festeggiammo insieme andando a cena. Non ricordo più quante, ma da quel giorno ci furono tante altre volte che feci l’amore con mia cognata ma sempre in assenza di mia moglie.
Una mattina mentre andavo a lavorare, mia moglie mi disse: Caro al ritorno passa per il laboratorio, devi prendere una risposta di analisi. La sera tornai più presto a casa, per non fare tardi a ritirare le analisi al laboratorio. Quando ritirai le analisi, la signora porgendomi il foglietto chiuso in una lettera mi disse: tanti auguri. Quando uscii dal laboratorio, incuriosito aprì quella busta, c’era scritto, “ Esame Positivo”, mia cognata era incinta. Ritornando a casa mille pensieri confusamente si bloccavano in testa, e nessuno aveva uno sbocco, e fra tutti quei pensieri bussai al cancello di casa. Quando entrai, mi stavano aspettando, e vennero ad aprirmi la porta insieme. Sapevano già tutto, avevano telefonato al laboratorio. Vedendo la mia faccia, e credendo che stessi male mi portarono in cucina, mi fecero sedere, mentre mia cognata preparava il caffè, mia moglie porgendomi dell’acqua mi disse: caro adesso e ora di dirti tutto, ascoltami in silenzio, e poi accetteremo tutto quello che ci dirai. Mi raccontò com’era nata l’idea, e di come si erano messe d’accordo, lei e la sorella, nell’architettare tutto per giungere ad avere un figlio. Alla fine di tutto il discorso mi disse: Io desidero un figlio, tu, desideri un figlio, mia sorella non ha un partner, ma mi ha confessato la voglia di diventare mamma, quindi prima che la nostra famiglia si sfasci cercando altrove e non conoscendo che persone possiamo trovare, abbiamo deciso che resti tutto in famiglia, così saremo più uniti con la nascita di un bambino tutto nostro. Ascoltai attentamente tutto, e quando mia moglie finì di parlare, replicai con queste uniche parole. Perché tutto questo senza avvertirmi?
Mia cognata mi rispose: non so se potrai perdonarci, ma egoisticamente l’abbiamo fatto in modo che tu a fatto compiuto, avessi accettato il nostro desiderio, che poi pensiamo che sia anche il tuo. Se l’avessimo espresso prima, avresti potuto rifiutare, o non accettare, poi se tu, per quello che abbiamo fatto, o per come ci siamo comportate, deciderai di fami abortire, e qui si fermò. Restammo per un attimo tutti zitti, poi replicai: cosa diremo alla gente?
A questa domanda mia moglie mi rispose: diremo che mia sorella ha avuto una relazione di una sera ed è rimasta incinta, sarà una ragazza madre e insieme cresceremo nostro figlio.
Quella sera mi trattarono da re, e la sera dormì nel nostro letto anche mia cognata. Da quella sera sono passati sette anni, e in casa siamo in sette, abbiamo dovuto cambiare tre città, prima che la gente incominciasse a capire, e a fare pettegolezzi sulla nostra famiglia. Adesso viviamo fuori città, ho comprato una villa con diecimila acri di terreno, e non abbiamo nessun tipo di problema, ma il nostro unico pensiero è, cosa raccontare ai nostri quattro figli quando saranno grandi?
scritto il
2010-07-29
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