La dolce Marisa
di
Gulliver
genere
tradimenti
Marisa è una donna di 55 anni, ancora molto bella. Chiunque può intuire che deve essere stata una ragazza bellissima prima e una donna affascinante e sensuale poi. Oggi è una signora, colta e raffinata, elegante e gentile, curatissima.
L’ho conosciuta grazie a mia moglie, che ci ha fatto amicizia casualmente in vacanza. Come spesso accade alle donne mature che non hanno avuto figli loro, fu il nostro piccolo bimbo ad attrarla. Il suo compagno leggeva il giornale e pareva distaccato. Io, capita l’antifona, lo mollai al suo destino, concentrando tutte le attenzioni su di lei, insieme a mia moglie. Marisa era una conversatrice piacevolissima, e un’ascoltatrice altrettanto attenta. La sua gentile eleganza imponeva attenzione e cortesia. Giorno dopo giorno, Marisa lasciò anche aperto qualche spiraglio, nel quale dare una sbirciatina, sul suo passato. Era evidente che era una donna che aveva vissuto molto, e anche intensamente la sua vita. Oggi aveva questo compagno, non marito, con il quale condividere il tempo. Non pareva particolarmente contenta di questo, ma faceva buon viso alla cosa e portava pazienza, accontentandosi della sua non invadenza, almeno.
Avevo notato subito che, per quanto fosse con mia moglie che lei parlasse spesso, ovviamente, non disdegnava affatto di coinvolgermi nei loro discorsi di donne, a volte in maniera un po’ imbarazzante, chiedendomi giudizi su questa o quella questione, su questa o quella persona pubblica, e spesso la persona era una donna. Più di una volta, notai, a Marisa fiammeggiarono gli occhi, quando la mia descrizione andava a toccare le presunte doti erotiche di quella tal attrice, o showgirl, della quale magari io avevo intuito particolari che a lei e a mia moglie erano sfuggiti. A mia moglie sicuramente, ma non a Marisa, che mi lanciava sguardi di intesa, per farmi capire che la pensava come me, seppur non volendo ammetterlo. La mia visone diciamo “mercantile” di alcune donne di spettacolo e pubbliche, la trovava segretamente d’accordo. Questo mi piaceva molto, e mi regalava una percepibile sensazione erotica di Marisa, che non mancai di farle notare, facendole appena potevo dei velati complimenti. Lei si scherniva, ma si vedeva che le faceva piacere ricevere le attenzioni di un uomo come me. Più di una volta la vidi agitarsi un po’ troppo, quando le andavo vicino, soprattutto in costume da bagno. L’aveva notata un paio di volte a guardarmi il pacco, come assorta, mentre parlava. Io la guardavo fisso negli occhi e le sorridevo, facendola trasalire di falsa vergogna. Pensai che Marisa ne doveva averne visti e provati tanti di uccelli, nella sua vita, e ora li contemplava con malcelata malinconia.
Abitavamo in appartamenti vicini, lungo la stessa strada. Una sera, verso l’ora di cena, mia moglie ricevette una telefonata da sua madre. Suo padre non era stato bene e lei non si sentiva sicura, anche se adesso lui diceva di star meglio. Il legame tra mia moglie e i suoi era fortissimo. Dopo un po’ di titubanza mi chiese se poteva andare a passare la notte da loro, che stavano a qualche decina di chilometri da noi. Ovviamente risposi di sì. Dopo cena prese il bimbo e andò dai suoi. Andai sul balcone per salutarli, e vidi che anche Marisa era sul suo di balcone, godendosi l’ultimo sole prima della sera. Ci salutammo con un cenno. Mia moglie si fermò a salutarla, spiegandole (presumevo), ciò che era accaduto. Dopo circa una mezzora suonò il cellulare e vidi che era Marisa.
“Ho saputo di tuo suocero. Peccato però… stasera volevo chiedervi se potevo venire a trovarvi. Sono stufa di stare in casa con quel bradipo di Luigi, che guarda solo il calcio”
“E che problema c’è scusa? Vieni lo stesso. Ti fai problemi? Mi fa piacere, così mi tieni compagnia. Ti lascio vedere in TV ciò che vuoi. Unica richiesta: porta quel mirto che dici di avere sempre in fresco”
“Davvero posso? Forse non è il caso…”
“Ti aspetto. Vieni quando vuoi, se vuoi. Ciao” E attaccai.
Non so dire perché questo avviene, ma ho sempre avuto un certo istinto, che mi permette di capire al volo se una donna è attratta da me. Marisa era un po’ agèe per me, ma c’era qualcosa nel suo modo di fare che mi attraeva. E poi, c’era quel gusto che provavo sempre quando trovavo riscontro a fatto che una donna era disposta a fare sesso con me. Così, per non saper ne leggere ne scrivere, mi misi un paio di attillati boxer, che sapevo per certo che a lei non sarebbe dispiaciuto vedermi indossare.
Arrivò subito appena fece buoi, notai, apprezzando la sua discrezione. Portò il delizioso mirto, che scolammo praticamente tutto, chiacchierando di tutto. Aveva portato un album di sue foto, per farmi vedere quando lei, giovane donna, dominava il mondo.
“Eri proprio un gran bel pezzo di figa Marisa”. Glielo dissi così, brutalmente, intenzionalmente, per comunicarle che adesso, quello che aveva vicino ero il vero io, e anche per vedere la sua reazione. Non accadde niente, nessun commento. Avevo detto semplicemente una cosa che lei sapeva. In più, credo mi stesse comunicando che aveva capito benissimo chi fossi, e cosa fossi.
“Chissà quanti uomini hai fatto impazzire… Guarda qui che gnocca” Indicai una foto dove lei era in uno scollatissimo vestito da sera.
“Beh, lo confesso… Non mi sono mai mancate le occasioni. Ho fatto anche la modella…”
“Non mi stupisce affatto saperlo. Hai un modo da modella anche ora”
“Grazie, sei sempre gentile…” Mi guardò di sfuggita. Facevo in modo di farle sempre vedere il pacco del mio uccello e delle palle.
“Una donna come te impone gentilezza e cortesia. Ma non capire male: maschio sono e maschio resto sempre”. Eravamo seduti sul divano, vicini. Marisa, continuando a sfogliare il suo bell’album di ricordi disse:
“Lo so…”. Poi alzò lo sguardo verso di me, languida, e ripeté: “Lo so, L’ho capito come ti ho visto…”.
“Sicura di averlo capito? Veramente?”. Mi appoggiai all’indietro. Presi i boxer da un lato e li scostai, mettendo in mostra il mio uccello, scappellato e già un po’ gonfio. “Sicura, Marisa?”. Lei guardò il cazzo come se avesse visto un bel bimbo in una culla. Si portò le mani alla bocca e spalancò gli occhi. Io presi il cazzo alla base e glielo sventolai davanti. Mi passai l’indice lungo il canale spermatico e feci uscire un bel gocciolone di liquido seminale dal taglio della cappella.
“Guarda che bello Marisa… Ti piace?”. Il suo sguardo divenne languido e lussurioso.
“Ti prego… Non farmi questo. Ti prego”
“Prendilo in bocca”.
Lentamente Marisa si abbassò, verso il mio cazzo che si era fatto un po’ più grande.
“Oddio… Ma cosa mi fai fare…”
Non dissi più niente. La spinsi solo giù prendendola per la nuca. Marisa diede un paio di bacetti al mio uccello e poi, sbuffando rumorosamente dal naso, a occhi chiusi, mi affondò sul cazzo con la bocca e con la gola. Prese a imboccarlo con un ritmo da esperta, lento e profondo, uscendo e riprendendolo tutto. Il cazzo mi divenne durissimo in un attimo, raggiungendo le mie buoni dimensioni. Marisa non parve affatto in difficoltà dalla cosa: usciva e lo imboccava tutto, fino ai coglioni. Tremava tutta, sbuffando rumorosamente. La fermai.
“Aspetta… fai con calma”. Si fermò, ansimante. Teneva gli occhi chiusi, e mi aveva preso in mano l’uccello, menandolo lentamente.
“Ti piace il cazzo, vero Marisa?”. Fece di sì con la testa, senza parlare. La vidi oscillare, come se il cuore la scuotesse, tanto le batteva nel petto.
“Calmati… Chissà quanti ne hai visti di cazzi come il mio…”. La volevo offendere, intenzionalmente. Volevo stabilire le nostre posizioni. Le stavo dicendo che, seppur rispettandola e ammirando la sua indubbia classe ed eleganza, io sapevo chi era, lei, in realtà: una matura troia adesso, e una bella troia prima. Lo avevo capito subito, e lei lo sapeva. Come aveva capito subito che ero io: uno dei suoi tanti amanti, maschi, che aveva avuto tra un compagno serio e l’altro, e magari anche durante.
“Sei cattivo… Non è affatto come credi”. Mi diede uno schiaffo sulla gamba, girandosi di spalle, offesa, mettendosi una mano sul mento. La guardai con gentile ironia, e le toccai la schiena. Lei si scosse come a dirmi di non toccarla.
“Non volevo offenderti… Ti stavo solo facendo una domanda. Retorica”. Lei si girò a guardarmi.
“Mi hai dato della poco di buono, altro ché”. Era vero, lo pensavo, e lei lo sapeva.
“Ma no, assolutamente… Ti chiedo scusa se sono stato poco gentile”.
Presi a menarmi l’uccello. Lei, dopo qualche secondo, si voltò a guardarlo, mentre la mia mano faceva lentissimamente su e giù. Restava offesa, ma non staccava gli occhi da mio cazzo durissimo. Ondeggiando leggermente allungò una mano e me lo prese in mano lei, come se ci volesse giocare. Glielo lasciai. Sempre offesa, con una mano sul mento, a gambe accavallate, prese a segarmelo con crescente forza e velocità.
“Marisa, non fa niente… se ti ho offesa e vuoi che smettiamo lo capisco”. Fu come se avessi premuto un interruttore, che probabilmente stava nella sua figa fradicia. Si precipitò sul mio uccello con la bocca, e riprese il lavoro che aveva sospeso. Sorrisi, compiaciuto di averle trovato quel tasto tra le gambe ancora bello attivo.
“Leccalo, da cima a fondo”. Si era un po’ calmata, e adesso eseguiva le miei richiesta all’istante.
“Prendi in bocca i coglioni… piano”. Marisa, una per volta, imboccò le mie palle, gonfie, grosse. Poi, per vendicarsi, mentre mi stava facendo una sega con in bocca uno dei miei coglioni, succhiò con forza. Il dolore che provai mi fece sussultare, e rimbalzai sul divano.
“Piano! Cazzo me lo vuoi strappare via?”
“Così impari, a dire cattiverie”. Mi guardò, mentre con la lingua mi leccava il cazzo, dietro, dove il piacere è più intenso. Era bravissima. La guardai, e la proiettai indietro nel tempo. Fortunato, molto davvero, doveva essere chi si era trovato la giovane Marisa nel letto… Bella e porca al punto giusto. Sicuramente, doveva aver avuto un (o più di uno, o una…) buon maestro, che l’aveva plasmata e piegata, con reciproco piacere, al suo piacere, assoluto, totale. Era bella ancora oggi, sensuale… La immaginai giovane, fresca, a gambe larghe, a pecorina… un dono degli dei. Pensai al suo compagno, di adesso, seduto davanti alla TV. Che spreco… Marisa poteva essere la compagna ideale, il buen ritiro, il meritato riposo del vecchio guerriero. Avvolse la mia cappella con la lingua e poi, accortasi che mi stava facendo fare parecchio pre sperma, lo leccò e lo succhiò, come se stesse ciucciando un bel cono gelato.
“Sei una bravissima bocchinara… Lo lecci con gusto e voglia. Gliene fai al tuo compagno?”. Con il mio cazzo in bocca fece di no con la testa.
“E tanto che non bevi lo sperma di un uomo, Marisa?”. Titubò un attimo, e poi feci di sì, allo stesso modo. Pensai che forse non era così vero. Era una donna a cui il cazzo piaceva ancora, e molto. Me la immaginai mentre spompinava un operaio della manutenzione, un giardiniere, un postino, in un giorno in cui la sua voglia era troppa. Decisi che era arrivato il momento di saziarla. La invitai a incrementare il ritmo e la profondità del suo pompino, e lei ansimando eseguì.
La sborrata le arrivò in gola, densa e copiosa. Non pensai neanche per un attimo di metterla in difficoltà con i miei fiotti. Troppo esperta, e golosa, la dolce Marisa. La vidi sbattere solo un po’ le palpebre, mentre ingurgitava il mio seme, al sapor di mirto, sperai per lei. Dopo un paio di “gurp” per deglutire la mia sborrata, si tirò su e proruppe in un “Aaaahhhh” soddisfatto, leccandosi le labbra come una gatta che aveva appena mangiato un bel pesce. Me lo lasciò pulito, intonso. Fu in quel momento che sentii l’odore della sua voglia. Era dolciastro, intenso, pungente. Tirandosi su aveva allargato le gambe, avvolte in un bel paio di jeans di marca, attillati. La chiazza di liquido che le bagnava la zona della cerniera fino alle cosce era evidentissima. La guardai e la indicai, stando in silenzio.
“Oddio!”. Si mise una mano alla bocca e scappò via. La bloccai sulla porta.
“Dove vai? O non fare che mi lasci a metà…”
“Devo cambiarmi! O Madonna… Non mi sono neanche accorta”
“Sei venuta?”
“Sì…”
“E hai sbrodolato”
“Sì… scusami”
“E di cosa? Anzi, mi sarebbe piaciuto vedere…”
“Davvero?”
“Ma scherzi? Dai, vatti a cambiare… Poi torna”
“Va bene… senti, posso portare una cosa?”
“Cosa?”
“Niente… poi vedi”
“Va bene”. Scappò via. Dopo una ventina di minuti tornò. Indossava una comoda tuta adesso. Non ci furono molti preamboli.
“Luigino?”
“Dorme, della grossa”. Mi prese per mano e andammo in bagno. Mi fece sedere sul water. Lei si appoggiò al lavandino, si calò i pantaloni della tuta. Prese dalla sua borsa un grosso cazzo di gomma nera. Si aggrappò con le mani al lavabo.
“Usalo. Sbattimelo dentro”. Chiuse gli occhi e abbassò la testa. Presi il grosso cazzo di silicone e glielo passai tra le grandi labbra. Poi spinsi. L’uccello di plastica, un bel 30x8, le entrò dentro tutto, subito. Ruotai la ghiera che stava in fondo, e iniziò a vibrare, tanto da sentirlo lungo il mio braccio. Marisa alzò la testa di scatto e proruppe in un tremolante urletto, ad occhi chiusi. Presi a bastonarla con forza, scovolandola con violenti colpi. Marisa si attaccò al lavandino con forza, spalancò la bocca in un urlo muto. Tese le gambe, tanto che le vidi i polpacci, forti, sodi, da chiavatrice (o da ballerina, o da chiavatrice e ballerina). Si mise sulle punte. La pompai con forza e velocemente. Tirò fuori la lingua, che le cadde giù. Sembrava una vacca, montata dal suo toro. Iniziai anche a girarle dentro il grosso cazzo artificiale. Fu a quel punto che vidi sgocciolarle la figa. Tolsi il cazzo finto.
Lo spruzzo di umore di figa fu così violento da rimbalzare sul pavimento e bagnarmi il viso. Un odore di figa, di pesce, di materia organica, di mare marcio, invase il bagno. Marisa emise un grido acutissimo e lungo, da donna ferita, da partoriente. Il getto si esaurì, e lei cominciò a tremare, e le cedettero le gambe. Non feci in tempo a prenderla e crollò per terra, sbattendo la testa e rimbalzando sul lavandino. Svenne.
Ero al di là dello spavento, della paura. La tirai su e la schiaffeggiai, chiamandola. Si riprese, toccandosi la fronte.
“Che botta… Cazzo, perché non mi hai perso?”
“Perché pensavo stessi venendo, non svenendo…”. Sì bagnò la fronte con l’acqua fredda.
“Domani ci sarà la botta… Pazienza. Un po’ di cipria…”.
“Hai squirtato… stupendo”. Lei mi stupì, ancora una volta.
“Sì… è così che raggiungo l’orgasmo. Una volta me ne vergognavo… Poi ho conosciuto un uomo che adorava lo spruzzassi, e da lì tutto è cambiato. Mi ha liberato”
“Meno male che siamo venuti in bagno… Pensa se fossimo stati sul divano”. Ridemmo.
“Vai di là… Pulisco tutto io”. La ringraziai e andai a bermi un sorso di mirto. “Che donna…” pensai.
L’ho conosciuta grazie a mia moglie, che ci ha fatto amicizia casualmente in vacanza. Come spesso accade alle donne mature che non hanno avuto figli loro, fu il nostro piccolo bimbo ad attrarla. Il suo compagno leggeva il giornale e pareva distaccato. Io, capita l’antifona, lo mollai al suo destino, concentrando tutte le attenzioni su di lei, insieme a mia moglie. Marisa era una conversatrice piacevolissima, e un’ascoltatrice altrettanto attenta. La sua gentile eleganza imponeva attenzione e cortesia. Giorno dopo giorno, Marisa lasciò anche aperto qualche spiraglio, nel quale dare una sbirciatina, sul suo passato. Era evidente che era una donna che aveva vissuto molto, e anche intensamente la sua vita. Oggi aveva questo compagno, non marito, con il quale condividere il tempo. Non pareva particolarmente contenta di questo, ma faceva buon viso alla cosa e portava pazienza, accontentandosi della sua non invadenza, almeno.
Avevo notato subito che, per quanto fosse con mia moglie che lei parlasse spesso, ovviamente, non disdegnava affatto di coinvolgermi nei loro discorsi di donne, a volte in maniera un po’ imbarazzante, chiedendomi giudizi su questa o quella questione, su questa o quella persona pubblica, e spesso la persona era una donna. Più di una volta, notai, a Marisa fiammeggiarono gli occhi, quando la mia descrizione andava a toccare le presunte doti erotiche di quella tal attrice, o showgirl, della quale magari io avevo intuito particolari che a lei e a mia moglie erano sfuggiti. A mia moglie sicuramente, ma non a Marisa, che mi lanciava sguardi di intesa, per farmi capire che la pensava come me, seppur non volendo ammetterlo. La mia visone diciamo “mercantile” di alcune donne di spettacolo e pubbliche, la trovava segretamente d’accordo. Questo mi piaceva molto, e mi regalava una percepibile sensazione erotica di Marisa, che non mancai di farle notare, facendole appena potevo dei velati complimenti. Lei si scherniva, ma si vedeva che le faceva piacere ricevere le attenzioni di un uomo come me. Più di una volta la vidi agitarsi un po’ troppo, quando le andavo vicino, soprattutto in costume da bagno. L’aveva notata un paio di volte a guardarmi il pacco, come assorta, mentre parlava. Io la guardavo fisso negli occhi e le sorridevo, facendola trasalire di falsa vergogna. Pensai che Marisa ne doveva averne visti e provati tanti di uccelli, nella sua vita, e ora li contemplava con malcelata malinconia.
Abitavamo in appartamenti vicini, lungo la stessa strada. Una sera, verso l’ora di cena, mia moglie ricevette una telefonata da sua madre. Suo padre non era stato bene e lei non si sentiva sicura, anche se adesso lui diceva di star meglio. Il legame tra mia moglie e i suoi era fortissimo. Dopo un po’ di titubanza mi chiese se poteva andare a passare la notte da loro, che stavano a qualche decina di chilometri da noi. Ovviamente risposi di sì. Dopo cena prese il bimbo e andò dai suoi. Andai sul balcone per salutarli, e vidi che anche Marisa era sul suo di balcone, godendosi l’ultimo sole prima della sera. Ci salutammo con un cenno. Mia moglie si fermò a salutarla, spiegandole (presumevo), ciò che era accaduto. Dopo circa una mezzora suonò il cellulare e vidi che era Marisa.
“Ho saputo di tuo suocero. Peccato però… stasera volevo chiedervi se potevo venire a trovarvi. Sono stufa di stare in casa con quel bradipo di Luigi, che guarda solo il calcio”
“E che problema c’è scusa? Vieni lo stesso. Ti fai problemi? Mi fa piacere, così mi tieni compagnia. Ti lascio vedere in TV ciò che vuoi. Unica richiesta: porta quel mirto che dici di avere sempre in fresco”
“Davvero posso? Forse non è il caso…”
“Ti aspetto. Vieni quando vuoi, se vuoi. Ciao” E attaccai.
Non so dire perché questo avviene, ma ho sempre avuto un certo istinto, che mi permette di capire al volo se una donna è attratta da me. Marisa era un po’ agèe per me, ma c’era qualcosa nel suo modo di fare che mi attraeva. E poi, c’era quel gusto che provavo sempre quando trovavo riscontro a fatto che una donna era disposta a fare sesso con me. Così, per non saper ne leggere ne scrivere, mi misi un paio di attillati boxer, che sapevo per certo che a lei non sarebbe dispiaciuto vedermi indossare.
Arrivò subito appena fece buoi, notai, apprezzando la sua discrezione. Portò il delizioso mirto, che scolammo praticamente tutto, chiacchierando di tutto. Aveva portato un album di sue foto, per farmi vedere quando lei, giovane donna, dominava il mondo.
“Eri proprio un gran bel pezzo di figa Marisa”. Glielo dissi così, brutalmente, intenzionalmente, per comunicarle che adesso, quello che aveva vicino ero il vero io, e anche per vedere la sua reazione. Non accadde niente, nessun commento. Avevo detto semplicemente una cosa che lei sapeva. In più, credo mi stesse comunicando che aveva capito benissimo chi fossi, e cosa fossi.
“Chissà quanti uomini hai fatto impazzire… Guarda qui che gnocca” Indicai una foto dove lei era in uno scollatissimo vestito da sera.
“Beh, lo confesso… Non mi sono mai mancate le occasioni. Ho fatto anche la modella…”
“Non mi stupisce affatto saperlo. Hai un modo da modella anche ora”
“Grazie, sei sempre gentile…” Mi guardò di sfuggita. Facevo in modo di farle sempre vedere il pacco del mio uccello e delle palle.
“Una donna come te impone gentilezza e cortesia. Ma non capire male: maschio sono e maschio resto sempre”. Eravamo seduti sul divano, vicini. Marisa, continuando a sfogliare il suo bell’album di ricordi disse:
“Lo so…”. Poi alzò lo sguardo verso di me, languida, e ripeté: “Lo so, L’ho capito come ti ho visto…”.
“Sicura di averlo capito? Veramente?”. Mi appoggiai all’indietro. Presi i boxer da un lato e li scostai, mettendo in mostra il mio uccello, scappellato e già un po’ gonfio. “Sicura, Marisa?”. Lei guardò il cazzo come se avesse visto un bel bimbo in una culla. Si portò le mani alla bocca e spalancò gli occhi. Io presi il cazzo alla base e glielo sventolai davanti. Mi passai l’indice lungo il canale spermatico e feci uscire un bel gocciolone di liquido seminale dal taglio della cappella.
“Guarda che bello Marisa… Ti piace?”. Il suo sguardo divenne languido e lussurioso.
“Ti prego… Non farmi questo. Ti prego”
“Prendilo in bocca”.
Lentamente Marisa si abbassò, verso il mio cazzo che si era fatto un po’ più grande.
“Oddio… Ma cosa mi fai fare…”
Non dissi più niente. La spinsi solo giù prendendola per la nuca. Marisa diede un paio di bacetti al mio uccello e poi, sbuffando rumorosamente dal naso, a occhi chiusi, mi affondò sul cazzo con la bocca e con la gola. Prese a imboccarlo con un ritmo da esperta, lento e profondo, uscendo e riprendendolo tutto. Il cazzo mi divenne durissimo in un attimo, raggiungendo le mie buoni dimensioni. Marisa non parve affatto in difficoltà dalla cosa: usciva e lo imboccava tutto, fino ai coglioni. Tremava tutta, sbuffando rumorosamente. La fermai.
“Aspetta… fai con calma”. Si fermò, ansimante. Teneva gli occhi chiusi, e mi aveva preso in mano l’uccello, menandolo lentamente.
“Ti piace il cazzo, vero Marisa?”. Fece di sì con la testa, senza parlare. La vidi oscillare, come se il cuore la scuotesse, tanto le batteva nel petto.
“Calmati… Chissà quanti ne hai visti di cazzi come il mio…”. La volevo offendere, intenzionalmente. Volevo stabilire le nostre posizioni. Le stavo dicendo che, seppur rispettandola e ammirando la sua indubbia classe ed eleganza, io sapevo chi era, lei, in realtà: una matura troia adesso, e una bella troia prima. Lo avevo capito subito, e lei lo sapeva. Come aveva capito subito che ero io: uno dei suoi tanti amanti, maschi, che aveva avuto tra un compagno serio e l’altro, e magari anche durante.
“Sei cattivo… Non è affatto come credi”. Mi diede uno schiaffo sulla gamba, girandosi di spalle, offesa, mettendosi una mano sul mento. La guardai con gentile ironia, e le toccai la schiena. Lei si scosse come a dirmi di non toccarla.
“Non volevo offenderti… Ti stavo solo facendo una domanda. Retorica”. Lei si girò a guardarmi.
“Mi hai dato della poco di buono, altro ché”. Era vero, lo pensavo, e lei lo sapeva.
“Ma no, assolutamente… Ti chiedo scusa se sono stato poco gentile”.
Presi a menarmi l’uccello. Lei, dopo qualche secondo, si voltò a guardarlo, mentre la mia mano faceva lentissimamente su e giù. Restava offesa, ma non staccava gli occhi da mio cazzo durissimo. Ondeggiando leggermente allungò una mano e me lo prese in mano lei, come se ci volesse giocare. Glielo lasciai. Sempre offesa, con una mano sul mento, a gambe accavallate, prese a segarmelo con crescente forza e velocità.
“Marisa, non fa niente… se ti ho offesa e vuoi che smettiamo lo capisco”. Fu come se avessi premuto un interruttore, che probabilmente stava nella sua figa fradicia. Si precipitò sul mio uccello con la bocca, e riprese il lavoro che aveva sospeso. Sorrisi, compiaciuto di averle trovato quel tasto tra le gambe ancora bello attivo.
“Leccalo, da cima a fondo”. Si era un po’ calmata, e adesso eseguiva le miei richiesta all’istante.
“Prendi in bocca i coglioni… piano”. Marisa, una per volta, imboccò le mie palle, gonfie, grosse. Poi, per vendicarsi, mentre mi stava facendo una sega con in bocca uno dei miei coglioni, succhiò con forza. Il dolore che provai mi fece sussultare, e rimbalzai sul divano.
“Piano! Cazzo me lo vuoi strappare via?”
“Così impari, a dire cattiverie”. Mi guardò, mentre con la lingua mi leccava il cazzo, dietro, dove il piacere è più intenso. Era bravissima. La guardai, e la proiettai indietro nel tempo. Fortunato, molto davvero, doveva essere chi si era trovato la giovane Marisa nel letto… Bella e porca al punto giusto. Sicuramente, doveva aver avuto un (o più di uno, o una…) buon maestro, che l’aveva plasmata e piegata, con reciproco piacere, al suo piacere, assoluto, totale. Era bella ancora oggi, sensuale… La immaginai giovane, fresca, a gambe larghe, a pecorina… un dono degli dei. Pensai al suo compagno, di adesso, seduto davanti alla TV. Che spreco… Marisa poteva essere la compagna ideale, il buen ritiro, il meritato riposo del vecchio guerriero. Avvolse la mia cappella con la lingua e poi, accortasi che mi stava facendo fare parecchio pre sperma, lo leccò e lo succhiò, come se stesse ciucciando un bel cono gelato.
“Sei una bravissima bocchinara… Lo lecci con gusto e voglia. Gliene fai al tuo compagno?”. Con il mio cazzo in bocca fece di no con la testa.
“E tanto che non bevi lo sperma di un uomo, Marisa?”. Titubò un attimo, e poi feci di sì, allo stesso modo. Pensai che forse non era così vero. Era una donna a cui il cazzo piaceva ancora, e molto. Me la immaginai mentre spompinava un operaio della manutenzione, un giardiniere, un postino, in un giorno in cui la sua voglia era troppa. Decisi che era arrivato il momento di saziarla. La invitai a incrementare il ritmo e la profondità del suo pompino, e lei ansimando eseguì.
La sborrata le arrivò in gola, densa e copiosa. Non pensai neanche per un attimo di metterla in difficoltà con i miei fiotti. Troppo esperta, e golosa, la dolce Marisa. La vidi sbattere solo un po’ le palpebre, mentre ingurgitava il mio seme, al sapor di mirto, sperai per lei. Dopo un paio di “gurp” per deglutire la mia sborrata, si tirò su e proruppe in un “Aaaahhhh” soddisfatto, leccandosi le labbra come una gatta che aveva appena mangiato un bel pesce. Me lo lasciò pulito, intonso. Fu in quel momento che sentii l’odore della sua voglia. Era dolciastro, intenso, pungente. Tirandosi su aveva allargato le gambe, avvolte in un bel paio di jeans di marca, attillati. La chiazza di liquido che le bagnava la zona della cerniera fino alle cosce era evidentissima. La guardai e la indicai, stando in silenzio.
“Oddio!”. Si mise una mano alla bocca e scappò via. La bloccai sulla porta.
“Dove vai? O non fare che mi lasci a metà…”
“Devo cambiarmi! O Madonna… Non mi sono neanche accorta”
“Sei venuta?”
“Sì…”
“E hai sbrodolato”
“Sì… scusami”
“E di cosa? Anzi, mi sarebbe piaciuto vedere…”
“Davvero?”
“Ma scherzi? Dai, vatti a cambiare… Poi torna”
“Va bene… senti, posso portare una cosa?”
“Cosa?”
“Niente… poi vedi”
“Va bene”. Scappò via. Dopo una ventina di minuti tornò. Indossava una comoda tuta adesso. Non ci furono molti preamboli.
“Luigino?”
“Dorme, della grossa”. Mi prese per mano e andammo in bagno. Mi fece sedere sul water. Lei si appoggiò al lavandino, si calò i pantaloni della tuta. Prese dalla sua borsa un grosso cazzo di gomma nera. Si aggrappò con le mani al lavabo.
“Usalo. Sbattimelo dentro”. Chiuse gli occhi e abbassò la testa. Presi il grosso cazzo di silicone e glielo passai tra le grandi labbra. Poi spinsi. L’uccello di plastica, un bel 30x8, le entrò dentro tutto, subito. Ruotai la ghiera che stava in fondo, e iniziò a vibrare, tanto da sentirlo lungo il mio braccio. Marisa alzò la testa di scatto e proruppe in un tremolante urletto, ad occhi chiusi. Presi a bastonarla con forza, scovolandola con violenti colpi. Marisa si attaccò al lavandino con forza, spalancò la bocca in un urlo muto. Tese le gambe, tanto che le vidi i polpacci, forti, sodi, da chiavatrice (o da ballerina, o da chiavatrice e ballerina). Si mise sulle punte. La pompai con forza e velocemente. Tirò fuori la lingua, che le cadde giù. Sembrava una vacca, montata dal suo toro. Iniziai anche a girarle dentro il grosso cazzo artificiale. Fu a quel punto che vidi sgocciolarle la figa. Tolsi il cazzo finto.
Lo spruzzo di umore di figa fu così violento da rimbalzare sul pavimento e bagnarmi il viso. Un odore di figa, di pesce, di materia organica, di mare marcio, invase il bagno. Marisa emise un grido acutissimo e lungo, da donna ferita, da partoriente. Il getto si esaurì, e lei cominciò a tremare, e le cedettero le gambe. Non feci in tempo a prenderla e crollò per terra, sbattendo la testa e rimbalzando sul lavandino. Svenne.
Ero al di là dello spavento, della paura. La tirai su e la schiaffeggiai, chiamandola. Si riprese, toccandosi la fronte.
“Che botta… Cazzo, perché non mi hai perso?”
“Perché pensavo stessi venendo, non svenendo…”. Sì bagnò la fronte con l’acqua fredda.
“Domani ci sarà la botta… Pazienza. Un po’ di cipria…”.
“Hai squirtato… stupendo”. Lei mi stupì, ancora una volta.
“Sì… è così che raggiungo l’orgasmo. Una volta me ne vergognavo… Poi ho conosciuto un uomo che adorava lo spruzzassi, e da lì tutto è cambiato. Mi ha liberato”
“Meno male che siamo venuti in bagno… Pensa se fossimo stati sul divano”. Ridemmo.
“Vai di là… Pulisco tutto io”. La ringraziai e andai a bermi un sorso di mirto. “Che donna…” pensai.
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