Giorno 21. Il mio Signore

di
genere
dominazione

Vado a letto e mi sento inquieta. E’ strano che non mi abbia scritto nemmeno un messaggio. Domani ci incontriamo per la prima volta dopo migliaia di parole, dopo altrettanti sospiri e bramosie, certo non meno fantasie, e dopo innumerevoli orgasmi condivisi al telefono. So che è fuori con amici, e che avrebbe tutte le possibilità di scrivermi, anche solo per dirmi che sta contando le ore che ancora ci separano! Invece il silenzio.
L’indomani apro gli occhi, e sapendo che a quest’ora è già sul treno che lo porterà da me, controllo la posta elettronica, trovando una sua mail.
“Sono le 6.16, sono in macchina e il treno parte alle 6.25. Speriamo bene!”
So che doveva accompagnarlo un amico in stazione.
Sono le 7.15 e ancora nessun ulteriore messaggio. In un secondo ad emergere è la consapevolezza del montare della delusione. L’ennesima delusione. Possibile che la mia vita sia davvero questa? Che le persone che incontro, io riesca sempre a lasciarle indietro? Posso solo pensare a quanto sia stronzo, e a quanto io sia una stupida. Eppure col tempo sto diventando sfacciata, e quindi non me ne sto zitta ad aspettare. Gli mando un messaggio, non attendo nemmeno cinque minuti e non vedendo risposte lo chiamo.
“Pronto!”
Come, nessun “Amore mio”?
La tentazione di rispondere con la domanda “Dove cazzo sei?” è notevole, ma cerco di darmi un contegno, non senza fatica. Quindi sussurro un più pacato: “Dove sei?”
“Abbiamo fatto tardi perché abbiamo incontrato delle vecchine che facevano il tombolo, sai vero cos’è il tombolo?”
Siamo al limite del surreale. Non riesco a domare la mia rabbia, cerco solo di non farla esplodere improvvisamente.
E Lui continua, con un tono che innerva solo per la sua sbandierata tranquillità: “Si tratta di quel particolare tipo di ricamo ..”
“Adesso dimmi dove sei!”
“Non abbiamo resistito, non potevamo fare altro che stare a guardarle ..”
“Dove sei??”
Sto per mettermi a piangere, e forse lo ha intuito.
“Sono sul treno. Sto venendo da te. Ieri ti ho fatto una promessa, sì o no?”
Metto giù e ci scambiamo qualche messaggio. Ora mi tremano le gambe. Sono felice che mi abbia teso l’ennesima trappola, nella quale io sono nuovamente caduta, ma al tempo stesso ora torno ad agitarmi per il fatto che stiamo per incontrarci. Troppi sbalzi d’umore, alternarsi di diversi stati d’animo, speranze che montano e desideri che si rincorrono.

Esco di casa e lo chiamo. La conversazione mi aiuta a mantenere una parvenza di decoro entrando in ufficio. Sto tremando ma non devo darlo a vedere. Non è un incontro come tanti altri. Io so che la mia vita sta cambiando, e che questa giornata potrebbe anche avere la possibilità di segnare un confine, quello tra il lecito e l’illecito dichiaratamente e deliberatamente legalizzato, in ogni sua più cupa perversione. Sono consapevole che la persona che sto per incontrare ha la capacità di soggiogarmi, dal momento che ha capito come ragiona la mia mente, e quali siano le mie necessità. Ecco perché ho bisogno di Lui adesso, perché io sento di non farcela ad andargli incontro da sola. Esco dall’ufficio, salgo in auto e con sincerità quindi lo chiamo, e gli chiedo di stare al telefono con me sino all’istante in cui ci vedremo. Lui è tranquillo, il suo tono di voce lo è, eppure a poco a poco le sue parole iniziano a rivelare una certa impazienza. Mentre metto in moto gli dico che macchina guido, in modo tale che possa riconoscermi. Mi sta aspettando davanti al portone dell’hotel dove stiamo per incontrarci.

Lo vedo e mi si gela il sangue. Salutandolo con un sorriso metto giù il telefono, parcheggio e mi faccio forza. Quando scendo dalla macchina Lui è già dietro di me ed io ho solo tanta voglia di baciare la sua bocca, per cui quando le sue labbra si avvicinano alle mie sento il sogno diventare realtà. Il sorriso iniziale si è spento nei nostri sguardi. Quante volte me l’ero figurato questo momento! I suoi occhi li avevo immaginati pieni di vita, non più inanimati come mi erano stati donati da qualche selfie inviato con WhatsApp. E la vita adesso nasce dal calore delle sue labbra che sfiorano le mie, ed io sono avida, per cui faccio mia quella vita, attraverso un brivido che dalla mia bocca pervade mente e corpo, mentre io divoro il suo bacio. Non restituisco nulla, prendo soltanto. Lui non è il mio tipo ed io non sono il suo. Eppure l’eccitazione che sta montando dentro di me scorre nelle mie vene, e ansimo dalla voglia di essere sua. Il suo bacio è appassionato, e mi dice che mi vede bella. Ed io lo sono, tra le sue braccia non potrei non esserlo, la sua luce mi dona una veste straordinaria, e finalmente il fuori rispecchia ciò che ho dentro. Per un attimo perdo la mia lucidità e mi ritrovo al bancone della reception senza essermene nemmeno accorta. Deve avermi preso per mano e condotto nella hall dell’hotel, ma non so dire davvero come ci sono arrivata.

Subito dopo stiamo aspettando l’ascensore, ci guardiamo tentando di indovinare cosa stia passando nella testa dell’altro, ma in fondo lo sappiamo benissimo. Le porte si aprono, noi entriamo ed improvvisamente tutto cade a terra. La mia borsa, la sacca col cambio per la sera .. tutto ciò che ho tra le mani scivola via, perché Lui avanza verso di me e con un bacio mi fa capire che sta per farmi davvero sua. Mi sento una bambolina nelle sue mani, mi accorgo di quanto sia possente in confronto a me e di quanto io adori questo sentimento di inferiorità, di come io mi ci trovi a mio agio, di quanto abbia bisogno di “soccombere” in un confronto tra noi.
Quando si aprono le porte raccogliamo il tutto, giusto per lasciare cadere nuovamente gli stessi oggetti sul pavimento una volta varcata la soglia della camera, per poter diventare ancora, in una frazione di secondo, una sola cosa.
I suoi baci si fanno più volenti, spalle al muro mi perdo nella bramosia del momento e quando mi gira con la faccia contro la parete, tenendomi salda in una stretta tutt’altro che gentile per i capelli, appoggiando il suo corpo con forza contro il mio, capisco che non sta affatto scherzando.
“Adesso dimmi cosa sei”, pronuncia queste parole carico di eccitazione, ma fermo e deciso, quasi sottovoce, con una apparente calma che mi permette di capire in un secondo con chi ho a che fare. Non posso muovermi. Non posso agire. Posso soltanto ammettere di essere ciò che sono. “Io sono la tua troia.”

No, non è gentile in questo momento, e nemmeno le dita che stanno entrando dentro di me lo sono. Ha sollevato il mio vestito e afferrato il mio culo, e sembra intenzionato a farlo suo. Non mi sono mai trovata in una situazione del genere. Mi è capitato altre volte di condividere una stanza d’albergo con uno sconosciuto, ma la differenza sta nel fatto che ora mi sono cacciata esattamente nella situazione in cui volevo trovarmi. Quindi inizio ad avere paura. Paura del potere della mia perversione, di scoprire a cosa possa portare, timore di conoscere la verità su me stessa, sui piaceri lussuriosi di cui voglio nutrire la mia anima, e del fatto che la dipendenza starà nel volerne sempre di più. Paura del patto che si sta per stringere tra me ed il mio Signore. Non riesco più a percepire lo scorrere del tempo.
Non sono sicura che riconosca il mio disagio in questo momento. Ma fa esattamente ciò di cui ho bisogno regalandomi un attimo di tregua.
“Ti ho comprato qualcosa”
Mi volto e lo sorprendo a sorridermi, e questo mi fa tirare il fiato. Gli sorrido anche io e lo bacio ancora. Effettivamente sul tavolo in mezzo alla stanza ci sono tre regali per me. Sono un po’ imbarazzata da questa premura e sono ancora leggermente scossa dalla tensione di qualche attimo fa, e forse non riesco ad esprimere come vorrei lo stupore e la gratitudine di fronte a tale gesto.
Ci ritroviamo io vestita dei miei soli tacchi, e lui nudo davanti a me. Ci baciamo, e improvvisamente mi sento sollevata in aria e leggera come se fossi una piuma che si muove per un semplice soffio di vento.
Mi sono dall’inizio sentita piccola nei suoi confronti, ed ora ho la prova che paragonata alla sua fisicità io non sono nulla. Il mio corpo ha perso il suo peso, e si ritrova sotto di lui steso sul letto.
Questa sensazione di inferiorità fisica, scatena un piacevole gioco perverso, nel quale scoprire le varie assonanze con un altro mio tipo di inferiorità, questa volta mentale e spirituale. Sto per diventare dipendente da tutto questo, e nonostante tutto mi lascio inebriare dalla situazione che sto vivendo. Mi accorgo di perdere qualche sequenza, e della mia confusione mentale. Ho come la sensazione di non essere più in grado di gestire autonomamente ciò che sta accadendo. Il mio ruolo impone questo, ed il suo richiede invece prevaricazione ed usurpazione di uno spazio dentro di me nel quale sino ad ora ho vagato solitaria.
Non so se sia il mio sesso o la mia mente a desiderarlo maggiormente, ed in un connubio tra corpo e pensiero mi offro, e contemporaneamente prendo da lui. È il momento in cui ci le nostre bocche si cibano dei nostri sapori. Sentire la sua faccia tra le mie gambe mi fa tremare. Il suo alito sul mio sesso è un brivido che dal ventre si propaga in tutto il mio corpo. Chiudo gli occhi e mi lascio andare. L’immagine che si spegne nella mia mente è quella del bianco soffitto della camera. Ora il mio piacere la sta imbrattando di colori e da una serie di pennellate senza un disegno preciso, un arcobaleno prende forma. È un invito lento a godere, un richiamo che viene da dentro, eppure ciò che sta accadendo avviene per mano sua, la sua lingua scivola sul mio clitoride, sulle labbra del mio sesso, mi bagna con la sua saliva e mi rapisce. L’odore del mio sesso inebria la stanza e riempie anche le mie narici. Mentre mi bacia accompagna i suoi movimenti con le parole che ormai scorrono nella mia mente, impresse indelebilmente dopo tanti incontri di sesso al telefono. Eppure non sono le mie mani ora a strapparmi godimento mentre lo ascolto, questa volta è reale. Apro gli occhi e vedere il suo corpo impegnato a dare piacere al mio è un’immagine carica di lussuria ed erotismo.
L’istante in cui lo sento entrare dentro di me è un istante di liberazione. Ho desiderato talmente tanto a lungo questo momento, che ora la libertà di poterlo vivere mi pervade di beatitudine. Un attimo di dolcezza si sprigiona tra noi. Facciamo l’amore, e finalmente lo sento dirmi che mi ama. Lo fa tenendomi stretta, e guardandomi negli occhi senza fretta, soppesando le parole appena pronunciate e scrutando il mio volto in cerca del mio di amore, un sentimento prematuramente dichiarato dalla mia impetuosa impazienza. Ne ho tanto da offrirgli. Più di quanto avessi mai pensato di poter provare, più di quanto mai avessi voluto. Un sentimento nuovo, non una promessa semplicemente rinnovata. Dietro a queste parole sentiamo entrambi la potenzialità del nostro legame, la intuiamo, ed io mi sto chiedendo dove mi porterà, mentre consapevolmente so che potrei trovarmi chiusa in un angolo, a causa di questo, senza alcuna via di fuga. Non era previsto. Non lo avevo annoverato tra le varie possibilità che mi si presentavano. Pensavo mi sarei divertita, credevo avremmo giocato, mi vedevo una marionetta in grado di ben interpretare il mio ruolo, ben definito e senza possibilità di andare oltre il confine che mi era stato imposto. Eppure ora non sono più sicura di nulla. Tra le sue braccia mi sento protetta da ogni dubbio su ciò che accadrà in futuro. È una sensazione che dura poco.
Passati pochi istanti di tenerezza mi solleva e mi gira a pancia in giù. Si alza dal letto e afferrandomi per le gambe mi tira verso di sé. Prende una benda nera e me la lega attorno agli occhi, impedendomi di vedere oltre. I suoi modi smettono di essere garbati e questo mi ricorda per una frazione di secondo che Lui ora potrebbe semplicemente approfittare di me, usarmi violenza senza che io possa acconsentire. Ovviamente il mio Padrone ha già pensato a questa eventualità, ed ora, mentre io passo dall’eccitazione all’essere intimidita, e forse anche atterrita, mi sento stretta da nodi mentre vengo legata. Le mie gambe sono unite da un morbido nastro, io sono in ginocchio e lui mi piega in avanti, dopo avere legato le mie mani tra loro ed averle immobilizzate. So cosa vuole fare, vuole violare il mio culo, ed intende farlo senza troppi riguardi, desideroso di farsi strada dentro di me allo scopo di farmi male, per poter prendersi il piacere che la realizzazione di questa fantasia può essere in grado di procurargli.
Non vedo, non posso muovermi, non posso sottrarmi al suo volere, concentro la mia libertà su ciò che posso ancora manovrare, lasciandomi dunque trascinare da ciò che sento (le sue parole, il fruscio dei nastri che si annodano attorno al mio corpo, strumenti di un piacere soggiogato al suo volere) e da ciò che percepisce il mio olfatto (l’odore della sua eccitazione, quello dei miei umori, quello della mia pelle, che stringo tra i miei denti in un morso che tenta di essere liberatorio dalla tensione che sto provando, l’odore del profumo delle lenzuola su cui si trova la mia faccia).
Mi allarga con le dita il buco nel quale pochi istanti dopo entra col suo membro eretto ed eccitato senza alcuna cura della mia persona. Un dolore acuto si impossessa di me, scuote le mie viscere e mi fa desiderare che termini velocemente. So che tra qualche istante inizierò a godere, ma lui sta facendo in modo che quel momento rimanga il più lontano possibile dall’attimo presente, nel quale il suo piacere viene soddisfatto dal mio grido di dolore, piuttosto che dal godimento meramente fisico dell’atto che si sta consumando. Non si fa semplicemente strada dentro di me, non procede gradatamente. No, Lui entra con vigore e quando avverte il naturale ostacolo della mia carne che tenta di cedere docile al suo passaggio, invece di accompagnare il mio naturale rilassarsi dei tessuti, esce da me, per poter poi improvvisamente e con forza rinnovare quanto più possibile il dolore provato inizialmente. Trae godimento da questo sadismo finalmente soddisfatto. Ho le lacrime agli occhi, e ad un certo punto inizio a godere di questa brutalità. Proprio in questo momento, quello in cui il nostro atto dovrebbe trasformarsi nel mio piacere, Lui esce da me.
“Ora andiamo a lavarci. Ti ho messa male, dai vieni con me”. Accompagna queste parole con amorevoli gesti mentre mi slega e mi toglie la benda dagli occhi. Avrei preferito me la tenesse, perché in questo momento un fortissimo senso di vergogna, dato dall’umiliazione che sto provando, si impossessa di me. Fatico a sostenere il suo sguardo. Mi prende per mano e mi accompagna in bagno. Io non so perché quando mi dice che vuole lavarmi credo intenda farlo nella doccia, e quindi istintivamente mi slaccio il cinturino delle scarpe col tacco che ancora indosso.
“Chi ti ha detto di toglierle?” urla e mi stampa un forte schiaffo sulla guancia destra. In quel momento nei miei occhi può leggere solo terrore. Sono realmente spaventata. Vorrei correre via, lontano da Lui. Il suo sguardo mi atterrisce, ed io non riesco a leggerci nulla di buono, di compassionevole o tenero. Non ci leggo nemmeno soddisfazione per ciò che ha appena fatto, e questo mi terrorizza perché significa che potrebbe non bastargli. Per un attimo penso al fatto che potrebbe anche farmi del male seriamente, perché intuisco che la sua lucidità non gli ha ancora fatto perdere il controllo, e se questo avvenisse?
Ma fortunatamente non accade. Mi riallaccio le scarpe prima che possa succedere, poi la tensione rientra.
Mi fa sedere sul bidet, prende il sapone dalla mia mano e dolcemente mi lava, senza malizia alcuna, come fossi una bambina, che potrebbe anche essere sua figlia. Asciugandomi amorevolmente mi prende tra le sue braccia. Io ancora tremo.
Mi fissa negli occhi dicendomi “Se ti accorgi che è troppo, e vuoi fare un passo indietro, dimmi ESAGERA ed io mi fermo. Hai capito?”.
Annuisco.
A questo punto ci troviamo nuovamente sul letto. Non gli basta avermi appena umiliato, ora vuole continuare a smascherarmi, sa che dentro di me albergano desideri inconfessabili e vuole semplicemente che ora si palesino. Si sdraia nel letto e mi stringe a sé, sopra di sé. Il mio corpo sopra il suo. La mia schiena sul suo petto, le mie braccia, aperte, sulle sue. Le nostre mani si intrecciano. Le mie gambe sulle sue. Siamo due corpi uno sull’altro, speculari nella posa, complementari nel godimento, l’uno ad esistere semplicemente per il piacere dell’altro. Il suo alito caldo che si irradia nelle mie orecchie mi sussurra di lasciarmi andare, di raccontargli delle fantasie che latitano nella mia mente, di cui sa di essere il protagonista. “Parla, e non voltarti. I miei occhi non incroceranno i tuoi, e quindi puoi dirmi tutto”. Mi chiedo se anche Lui possa adesso sentire il mio cuore battermi nelle tempie. Ne avverto il suono, il ritmico pulsare nelle vene. La vertigine rimonta. Devo confessare al mio Signore che in realtà io mi masturbo e penso a come violarne la carne più intima. La vergogna che mi attanaglia mi permette di palesare solo una parte di ciò che da qualche tempo alberga nella mia mente. Capisce che c’è dell’altro, ma non riesco ad esprimerlo. Non è solo vergogna, è la consapevolezza di avere una mente malata, perversa, a rendermi schiava della paura di venire rifiutata, in questo caso proprio da Lui, che oltre ad essere il mio Uomo, è anche l’oggetto dei miei desideri. Voglio fargli provare cosa significhi essere sottomesso, posto in stato di inferiorità. Pronuncio quindi l’inizio della mia fantasia, che nella mia testa rimane un desiderio inappagato, limitandomi a dire “Vorrei poter andare a far spesa con te ..” lasciando intendere che ho bisogno di qualche strumento per poter concretizzare il mio pensiero. Quell’idea è ancora custodita dentro di me, non ancora violata, né condivisa e nemmeno giudicata. Rimane mia, almeno per ora.

Poi però gli chiedo: “Hai mai avuto una cagnolina?” Segue qualche attimo di silenzio. Spezzato solo dalla mia voce. “Io immagino di camminare a quattro zampe e venire verso di te scodinzolando.” Nell’ammettere apertamente una fantasia che so per certo appartenere ad entrambi, una vampata di calore si irradia sul mio sesso, e sulle mie guance. Il cuore accelera il suo battito.
A questo punto il filo di dolcezza che ci univa si spegne.
“Forza, giù, per terra. A quattro zampe. Questo è il tuo posto. Avanti, a cuccia.”
Nel dire questo mi indica il divanetto rosso ai piedi del letto. I suoi occhi sono cambiati, la sua espressione lo è, io lo sono.
Mi alzo dal letto e mi inginocchio per terra. Lui si avvicina senza dire nulla, raccoglie i nastri che prima gli erano serviti per legarmi, e col primo mi mette il collare. Stringe, e nel farlo sento tirare i capelli che si sono annodati insieme al nastro. Sento chiudersi il nodo ed il fruscio che ne percepisco mi invade il cervello. Alzo lo sguardo verso di Lui, quasi ad essere riconoscente per ciò che sta accadendo. Dentro di me vorrebbe accendersi un lume, ma Lui ci butta subito sopra acqua affinché non accada.
“Non guardarmi!” lo urla.
“Mettiti a cuccia! Non azzardarti a guardare e tieni lo sguardo basso!” continua ad urlare. Nel mentre mi mette il guinzaglio. Io mi metto seduta in un angolo del divano. Rannicchiata tenendomi le ginocchia al petto. Per un attimo alzo lo sguardo.
“Allora vuoi essere punita!” Nell’udirlo, tenendo la testa sulle ginocchia, i miei occhi riescono comunque a vedere che sta afferrando la cintura dei pantaloni. Mi rendo conto di essere terrorizzata. Non avevo mai pensato di poter essere picchiata. Torna a turbarmi uno spettro del passato, ed esattamente come prima, in bagno, quando mi ha dato quello schiaffo tanto violento quanto inaspettato, mi appare mia madre. I suoi occhi erano come sono ora i miei. Ed ora comprendo per la prima volta, e nel farlo mi spavento ulteriormente. E a darmi maggiori problemi è dover fare i conti col fatto che potrei dire ESAGERA, e tutto cesserebbe. Eppure io non lo faccio.
“Allora vuoi essere punita?” Grida tutto quello che dice. Mi fa tremare.
“No.” Esce un filo di voce.
“Bene.” Ora il suo tono è freddo. Calmo.
“Ho sete. Vorrei scendere a comprare dell’acqua. Adesso tu stai qui buona buona e mi aspetti. E sai dove si legano le cagne quando le si lascia fuori dal negozio?”
Mi dà la risposta senza nemmeno aspettare che io possa parlare. E lo fa, mi lega al tavolo.
Poi si veste, con una tranquillità inquietante. Nel tempo necessario affinché succeda non dice nulla. Attimi interminabili nella mia mente. Sto tremando. Non so come io riesca a trovare il coraggio di dire: “Ho freddo.” Nel frattempo continuo a tenere lo sguardo basso. Va in bagno e sento che si svuota la vescica. Torna e viene da me. Si siede accanto a me. Ne sento il calore del corpo sulla mia pelle gelata. Mi porge la maglia che indossava quando ci siamo incontrati e mi aiuta a metterla.
Io sono sempre rannicchiata in un angolo del divano. A quel punto mi infila due dita nella figa. Sono ancora piena di umori dall’eccitazione precedente, ma non sto certo colando. “Allora fai finta!” mi dice quasi a volermi ulteriormente umiliare. Non dico nulla, ma io so cosa mi sta accadendo. La paura che mi impedisce di bagnarmi ora, è la stessa che mi sta facendo vacillare la mente. Ed io di orgasmi non ne sto avendo uno, ma mille. Non riesco a parlare ora, altrimenti tenterei di spiegare il potere della droga che mi sta vendendo a caro prezzo.
“Ho trovato una bottiglietta d’acqua. Non devo più andare al bar. Dai, vieni che ti porto a fare un giro.”
Scendo dal divano praticamente rimanendo a quattro zampe. Lo seguo per non farmi trascinare dal guinzaglio che sta impugnando. Apre la porta della camera. Arrivata sulla soglia, carponi e legata ad un guinzaglio, mi si gela il sangue. Alzo lo sguardo sfidando il mio Padrone, contravvenendo alle sue direttive. Lo sguardo che incrocia è esattamente quello di un cane che cerca di capire cosa deve fare per compiacere il suo padrone, in attesa del prossimo comando. Quando intuisco che la mia prossima mossa deve essere varcare la soglia, e farlo sul serio, mi siedo sulle zampe posteriori e tiro indietro, e più tiro indietro e più Lui tira esattamente dalla parte opposta. Qualche secondo, e poi capisco che devo arrendermi. Esattamente come farebbe un cane assecondando il volere del suo padrone, senza pensare a null’altro. Per cui mi rimetto a quattro zampe, varco la soglia, e muovo qualche timido passo standogli attaccata alle gambe, non perdendo il contatto fisico con Lui. Il mio viso è a terra. Il mio sguardo fisso sulle mie mani che avanzano sul pavimento. Non so se ci sia gente in corridoio, ovviamente per me a quel punto cambierebbe poco, la mia vergogna in quel momento è indipendente dal fatto che qualcuno mi stia realmente guardando.
Non so quante volte mi abbia già umiliata oggi, non so cos’altro sta per accadere, ma ogni volta avvampa dentro di me una fiamma che sta iniziando ad ardere, bruciando ciò che trova, lambendo e divorando quanto non sia Lui, sino a quando dentro di me rimane solo questa fiamma, ed il mio Signore accanto ad essa.
Rientrando in stanza io inizio a rilassarmi, perché credo sia finita. Eppure non vengo liberata dal guinzaglio, non mi viene tolto il collare. Vengo invece trascinata in bagno.
“Adesso lecchi la mia piscia sul pavimento. Prima ne ho fatta cadere qualche goccia, la vedi lì tra le tue zampe?”.
Abbasso il mio viso a terra, quel tanto che basta alla mia lingua per sfiorare il pavimento. Mi trovo davanti alla sua piscia e chiudendo gli occhi una frazione di secondo, per poi riaprirli con una nuova luce, la lecco. La raccolgo accuratamente con la lingua e cerco di percepirne il sapore. La mattonella di ceramica è fredda, ed è in netto contrasto col calore della mia bocca. Si china su di me e improvvisamente mi colpisce sul culo. Lo fa a mani nude, ma con una violenza che provoca un intenso dolore. Chiudo gli occhi istintivamente.
“Tu non sei nulla! Sei solo una cagna di merda, un fodero per il mio cazzo!”
È lo stesso tono di voce che mi ha fatto tremare qualche attimo fa.
Poi si abbassa e mi allunga una mano. “Ora guardati allo specchio”
Io mi alzo in piedi.
“Guarda la faccia che hai, e non dimenticartela più”
Io mi guardo. Ho i capelli sciolti, il trucco sbavato sugli occhi, le guance infuocate, gli occhi lucidi e pieni di vita. Sulle labbra affiora un ghigno diabolico, e un sorriso appena accennato fa capolino tra gli angoli della mia bocca. In quel momento gli occhi stessi paiono mutare espressione, testimoni di questo malefico gioco perverso.
E poi un caldo abbraccio. Il guinzaglio, che non più stretto tra le sue mani cade lungo i miei fianchi, smette di essere uno strumento di tortura.

Mi accompagna sul divano, mi prende un cuscino dal letto e mi fa sdraiare. Lui si siede accanto a me e mi accarezza.
“Adesso parlami un po’ di questa tua infanzia difficoltosa ..”
Ma come è possibile? Come fa a sapere che io ho dei problemi col mio passato? Che ci sono passaggi della mia adolescenza di cui non riesco a parlare con nessuno? Come fa ad essere sempre dentro alla mia mente? Ancora una volta in questa stanza un brivido di paura mi attraversa il corpo.
Ed io inizio a parlare. Senza un piano, senza un’organizzazione i miei pensieri fluttuano nella mia mente, e nella sua. Sono sicura che Lui comprenda le mie parole. Non dico tutto. Ci sono brevi immagini nascoste nella mia memoria che non riesco a rispolverare nemmeno quando sono sola, e di cui non riuscirei a parlare con nessuno.
Poi facciamo l’amore. Ci diamo piacere a vicenda e lo facciamo con la consapevolezza di unirci. Lo amo, semplicemente e follemente. Mi prende sul divanetto, io mi giro e in ginocchio allungo la schiena e le braccia lungo il letto ai cui piedi è posto il sofà su cui mi trovo. Vengo. Mi perdo nei suoi occhi quando afferrandomi le gambe è sopra di me. Mi diletto a prenderglielo in bocca, a giocare con le labbra, a scivolare sul suo sesso con la mia lingua, a bagnarlo con la mia saliva. Mi eccito e voglio sentirlo ancora dentro di me, si sdraia sul letto ed io inizio a muovermi su di Lui. Appoggio le mani sul suo petto e tenendolo dentro di me mi struscio sul suo corpo. Sto improvvisando le note di una melodia seguendo il ritmo del mio piacere. Mi prendo tutto il godimento che questo contatto riesce a darmi. Poi lo guardo negli occhi, lo bacio e sguscio da Lui, mi metto carponi e succhio il mio umore dal suo cazzo. Lo faccio sino a quando sento il suo orgasmo riempirmi la bocca, e scendere in gola. Mi faccio leccare le labbra da Lui, perché senta il suo sapore insieme a quello del mio bacio.
Ci guardiamo e ci lasciamo andare confessando cosa ci sta accadendo. Non lo comprendiamo appieno. E i miei occhi, come i suoi, nascondono altro, lasciando presagire che tra noi ci saranno altre situazioni ed altri luoghi in cui mostrare noi stessi.
Le nostre mani non stanno ferme e continuiamo a stuzzicarci. “Voglio vederti mentre ti dai piacere e voglio sentirti godere da sola”. È sempre stato convinto che nel momento in cui accade, io sprigiono il massimo grado di estasi a cui si possa auspicare, che io ne diventi l’essenza stessa, perdendo in essa la mia mente ed il mio corpo. Ed io ho sempre pensato che avesse ragione. Gli orgasmi che raggiungo da sola sono fisicamente i più intensi. Donargli questo momento mi riempie di orgoglio, e di voglie. Vorrei qualcosa con cui penetrarmi, e Lui torna dal bagno con la sua bomboletta di schiuma per la barba in mano. Si sdraia sul letto e mi guarda invitandomi a dare inizio all’ennesimo gioco di complicità tra di noi. Io mi alzo in ginocchio, allargo le gambe, e mentre Lui mi parla sento la mia mano scivolare tra le labbra del mio sesso. Le dita cercano il clitoride, io mi penetro velocemente e poi mettendo la mano vicino alla sua bocca gli chiedo di inumidirla con la sua saliva. Poi lascio che la mia, colando sul medio e l’anulare si mischi alla sua. Questo semplice scambio di gesti mi fa pulsare la carne, e mi porta su un percorso che conosco molto bene. Per un attimo afferriamo entrambi la bomboletta, quel cilindro grande abbastanza per essere considerato un fallo di più che medie dimensioni, poi guardandolo negli occhi me ne approprio, lo accarezzo tra le dita e lo faccio mio. Lo sistemo in posizione eretta sul letto, e lo sento scivolare dentro di me con estrema facilità. Gli chiedo di aiutarmi a tenerlo fermo sul letto, per permettermi di danzare su quel cazzo inanimato. Non mi interessa se per farlo deve rinunciare a farsi una sega, se vuol vivere del mio piacere, è su di me che deve concentrarsi. Ho immaginato mille volte di masturbarmi davanti a Lui, ed ora che la scena sta prendendo una sua reale consistenza, scoprirmi forse rilassata come sin d’ora non sono stata, implica che toccarmi per me è un gesto che riconosco come più che naturale. Quanta avidità nei suoi occhi, quanta bramosia di me. Con voracità si nutre del mio piacere crescente, del sudore che mi imperla la fronte e del calore che avvampa sulle mie gote. Appoggio una mano al muro e mi lascio cadere, ritmicamente, sul mio fallo. Le dita si muovono al centro del mio piacere e non posso più interrompere i miei movimenti. Intanto Lui mi parla svelando altre fantasie.
La sua mente non si ferma. Continua a far germogliare le sue idee davanti a me, e poi me le porta in dono arretrando di quei famosi tre passi che ha messo tra noi.
Poi mi lascia nuovamente, per poi tornare più voglioso di prima da me.
Lo amo, lo amo di un amore malsano, perverso, torbido e interessato. Lo amo di un amore bisognoso e reietto, di un amore che trova la sua purezza nella semplicità lampante che si nasconde nella necessità, e nella soddisfazione della stessa.
Il mio orgasmo arriva come un dono per Lui. Il mio volto, la mia espressione fiera del mio godimento, e della potenzialità che da esso si sprigiona, si sta imprimendo nella sua memoria, ed ora potrà disporne come meglio crede.
Mi stendo sul letto e mi faccio coccolare, voglio bearmi, ancora, dell’impagabile sensazione di sentirmi piccola piccola accanto alla sua massiccia figura, e alla sua mente senza confini.
Ci facciamo una doccia prendendoci cura l’uno dell’altra.
È ora di cena, ci prepariamo per uscire, per poi rientrare nuovamente. Mi aiuta ad indossare un paio di braccialetti.
“Mi piacciono i gioielli, e adoro regalarli.”
In quell’istante vedo illuminarsi il mio viso attraverso lo specchio sopra i lavabo.
Mi sono appena immaginata a scartare il mio prossimo regalo, il gioiello adatto ad una cagnolina come me: una collana di pelle nera, regolabile, con le borchie in metallo, il mio primo collare.
scritto il
2016-07-02
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