Al servizio dei Paroni
di
peones54
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dominazione
Stavo dialogando da qualche tempo col Padrone, conosciuto come probabile pony, ma trasformatosi in cavaliere esigente, che si sentiva frenato dal fatto che abitasse lontano, e in un primo momento dal suo peso, novanta chilogrammi da portare in groppa in lunghe passeggiate.
Ero molto eccitato, e morivo dalla voglia di conoscerlo.
Chiacchierando, aveva messo in luce il doppio pensare dell’hobby “particolare”, per me “divertente”, come quello in cui sentiva il bisogno di essere cavalcato da Donne, ma anche di montare un essere umano come pony, su quattro zampe; rammaricato, nel primo caso, di avere avuto solo un’occasione, e per gioco, per soddisfare il suo capriccio!
Pensai di poter ricambiare la voglia del Padrone, farlo divertire servendogli da pony, sgroppando appoggiato a una sedia a rotelle, ero incuriosito dall'idea.
Avevo trainato calessi, cavalcato a quattro e due zampe, ma mai stato montato in quel modo, e dopo alcune remore logistiche, il Padrone ebbe un’idea.
Doveva rimodernare un’abitazione di campagna, ed io avrei svolto le mansioni di uomo tutto fare, mettendomi a sua totale disposizione, ricambiando il favore di cavalcarmi, sgobbando da mattina a sera.
Avrebbe svolto dei sopraluoghi, cavalcandomi durante l’ispezione, ma per essere certo del mio costante impegno, mise a controllarmi un’amica, esperta cavallerizza.
Possedeva un vero cavallo che cavalcava regolarmente nel parco della villa, e passò a descrivere l’attrezzatura di cui disponeva.
Oltre ai soliti equipaggiamenti di cui dispone un’appassionata d’equitazione, aveva fatto modificare una sella, adattandola per essere sistemata sulle spalle di un essere umano; provai un attimo di timore!
Era una Donna dal fisico sodo, magnifico, che sprizzava cattiveria, al contrario del Padrone, che aveva espresso qualche dubbio nell’uso di frustino, speroni, tanto Lui era rispettoso delle bestie da cavalcare; cosa che Lei cancellò immediatamente:
“Avere delle remore, pietà, con chi, con degli esseri inferiori? Naturalmente durante il soggiorno sarà solo un servo, con chiunque frequenterà questa casa! Lo userò in ogni modo, crollerà per la fatica, ma ti assicuro che alla fine concorderai con me di usarlo in casa tua, come schiavo!”
Anche il Padrone era titubante di fronte all’amica; da qualche tempo gli aveva espresso i suoi sogni segreti, il suo sadismo, ma non credeva di fronte a tanta decisione, e come affrontava quella che era la loro prima esperienza da Padroni.
Lui pensava di cavalcarmi, ma non preso in considerazione di sfruttarmi come un servo, al massimo pensava di farsi pulire gli stivali o altre piccole mansioni, ma non di maltrattare un essere umano, facendolo vivere come una bestia.
Il lavoro di ristrutturazione era, infatti, una copertura per giustificare la mia presenza alla moglie; lavoravo per ricambiare l’ospitalità, e l’amica era la mia compagna.
Sognava di venire a controllare i lavori, e una volta bardato come un cavallo, farsi una stupenda cavalcata nel bosco adiacente, seguiti dal suo cane.
Eravamo perplessi, ma Lei lo rassicurò e incoraggiò:
“C’è sempre una prima volta per tutto. Non preoccuparti, è un tipo forte, da come sembra, e portarci non dovrebbe essere un problema; inoltre disponiamo d’alcuni attrezzi per sollecitarlo, negli eventuali momenti di flessione. A servirci bene, gli insegnerò io, così un giorno lo potrai regalare a tua moglie, per svolgere l’attività domestica, e se non lo accetterà, potrai sempre farmene dono.”
Erano eccitati, e dopo essersi scambiati un bacio di saluto, il Padrone salì in auto per ritornare in città senza considerarmi, e capii che la mia schiavitù aveva inizio.
Rientrammo in casa e le prime parole che ascoltai dalla Padrona, accomodatasi su di una poltrona, furono:
“In ginocchio, schiavo!”
Mi posi di fronte a Lei che subito disse:
“So che sei un ottimista, ma lo vedremo dopo un po’ di tempo se non hai difficoltà. In ogni caso voglio essere svegliata alle dieci, e mi servirai la colazione a letto, ma dovranno essere almeno già tre le tue ore di lavoro di ristrutturazione. Il programma della giornata normale di ammodernamento, perché per le “mie” giornate festive questo dipenderà molto dalla presenza del tuo Padrone e dagli impegni famigliari, sarà sempre di lavoro per te, intervallato dai pranzi da preparare e servire, anche se dovrai essere pronto per ogni mia esigenza. Verso sera ci sarà il sopraluogo del Padrone, che vorrà di certo cavalcare. Se avrai tempo libero, non preoccuparti, li trovo i lavori da fare, eccome se li trovo. Per adesso abbiamo parlato dei lavori di routine, come pulire i pavimenti, spolverare e lucidare la cucina e i bagni dove alloggiamo Noi Padroni. Questo sempre, poi, a rotazione, nell’arco di tre giorni, dovrà essere pulito tutto quanto c’è nelle nostre scarpiere, eseguito il bucato, per poi stirare tutto quanto il giorno dopo. Ricordati che la nostra biancheria intima e devono essere lavate con la massima cura. Ho dimenticato qualcosa?”
“Non mi sembra Padrona.”
“Sì invece. Anch’io ti cavalcherò quando vorrò. Per altre incombenze, non c’è problema, saranno disposizioni che ti darò al momento.”
Da quel giorno mi vestii con un paio di vecchi jeans sbiaditi, stracciati, e una t-shirt che, giorno dopo giorno, si lacerava per i colpi di frusta di Padrona Antonella, che sorvegliava i lavori, immedesimata sempre più nel ruolo.
Il Padrone Iniziò a pretendere sempre di più: i lavori sulle strutture della casa eseguiti alla perfezione, utilizzando i migliori materiali a mie spese, e fermandosi a cena con Padrona Antonella, dopo avermi sfiancato cavalcandomi.
Questa era la situazione che si ripeté tutte le volte che il Padrone venne a controllare i lavori.
La Padrona, non appena era l’ora prevista per l’arrivo, mi richiamava verso la stalla, dove dormivo, indicava l’attrezzatura per iniziare a bardarmi.
Prendeva il morso con briglie e redini, e lo assicurava nella bocca, legandolo strettamente alla parte posteriore della testa.
Premeva nella parte posteriore della bocca, ed era così stretto che, oltre far male, non permetteva più di parlare, al massimo di emettere a malapena dei suoni.
Lady Antonella legava le redini a un anello al muro, e a quel punto mi rendevo conto che non avevo alternative; gridare era impossibile, e anche se avrei potuto, non c’era nessuno lì vicino.
Mi collocava la sella, assicurandola con le cinghie sopra le spalle, sulla cassa toracica, e per obbligarmi tenere il busto arcuato verso il terreno, vincolata a una cintura in vita.
Le cinghie strette attorno al corpo permettevano al cavaliere di sedersi parallelo al terreno, obbligandomi tenere le braccia penzoloni davanti alle staffe, e il collo piegato; quest’ultimo accorgimento era stato predisposto perché chi fungeva da cavallo, sentisse gli ordini trasmessi tramite le redini in maniera cruenta.
Il morso tenuto sempre in tiro dal Padrone, mi avrebbe obbligato alzare la testa per guardare avanti, e questo avrebbe lacerato gli angoli della bocca.
Le prime volte, mi domandai se era stata una buona idea, ma non avevo tempo per pensare: due alette di cuoio erano fissate ai lati della testa, coprendomi la visuale attorno.
Ormai vedevo soltanto davanti, e in quel momento un muro.
In un attimo il tempo passava e sentivo l’auto del Padrone, i saluti affettuosi fra loro, prima di accomodarsi su una poltroncina, e Lei che porgeva la coppia di speroni.
Era un uomo veramente stupendo, vestita da autentico cavallerizzo, con stivali di cuoio marrone, e un cappello da cowboy in testa.
Finito di fissare gli speroni agli stivali, il Padrone impugnava un frustino di cuoio e lo faceva sibilare un paio di volte nell’aria, vicino alle orecchie, come un segnale!
Impugnava le redini, che la Padrona, dopo aver sciolto, porgeva, e si metteva vicino a me, salendo su di uno sgabello: ora poteva salire facilmente in sella.
Messo un piede nella staffa, con un leggero salto era in sella, ponendo l’altro piede nella staffa che pendeva.
Si sistemava comodamente, provando le redini, incurante della fatica che facevo per supportarlo, e una volta accertato che le cinghie erano a posto, colpiva col frustino:
“Yeahhhh!!”
Iniziavo camminare a rilento e, non sentendo successivi ordini, pensavo che dopo di tutto fosse abbastanza facile; il Padrone era pesante, ma ugualmente pensavo di fare una passeggiata piacevole.
Le prime volte furono così, ma seguendo poi i consigli della Padrona, e valutate le possibilità del loro pony, mi abituarono piano, piano, senza farmi presagire che erano entrambi cavallerizzi tutto altro che gentili, anzi il contrario.
All’inizio il Padrone tirava dolcemente le redini, i colpi di frustino erano rari e senza tanta energia, gli speroni sembravano due oggetti coreografici.
Tutto questo fino quando percorrevo del terreno pianeggiante attorno a casa, ma dopo poco si iniziò ad allargare il raggio d’azione, e una volta raggiunsi una ripida salita, che mi preoccupò.
In una frazione di secondi, il Padrone mi tolse tutti i dubbi con due decisi colpi di tallone e chiaramente di sperone nei fianchi, in repentina sequenza, accompagnati da un selvaggio incitamento.
"Yiiieeehaaa!"
L’incitamento a proseguire, aumentando notevolmente l’andatura, era reso più convincente dai colpi di frustino che caddero sulla schiena a intervalli regolari.
Più la passeggiata proseguiva, e più Lui cavalcava in maniera decisa, e sempre più era il dolore.
La schiena era un unico bruciore, i fianchi lacerati dalle rotelle taglienti, e sembrò che da un momento all’altro potesse uccidermi.
In ogni caso, queste cose non interessavano: per Lui ero solo una bestia.
Nello stesso tempo, come tutti gli esseri inferiori, sapevo che la vita era al servizio dei Padroni, e feci sempre tutto il possibile per aumentare l’andatura e di conseguenza la sua gioia.
Come detto, il Padrone si fermava a cena, e iI pranzo doveva essere sempre più raffinati; volevano pranzare nel salone, ed io dovevo andare avanti e indietro dalla cucina con le portate.
Non potevo appoggiare le pietanze e dovevo rimanere in piedi alle loro spalle, pronto a servirli se ne desideravano ancora.
Li servivo come da miglior copione e con i piatti, che io preparavo sempre meglio, erano serviti degli ottimi vini, che aiutavano a renderli frizzanti, e i modi di fare a volte perfino imprevedibili, e durante la cena si scambiavano impressioni sulla giornata umiliandomi e deridendomi.
Di questo racconterò dopo.
Prendeva il caffè e subito, senza mostrare la minima gratitudine, sì alzava dirigendosi all’auto per tornare in città.
A quel punto potevo mangiare, ma di soldi non me ne restavano per acquistare cibo, dopo comprato ogni ben di Dio per loro, per cui non mi restava che mangiare gli eventuali avanzi, e di corsa, perché Lady Antonella faceva di tutto per limitarmi il tempo del “pranzo”, impegnandomi nei più assurdi modi.
Non muoveva più un dito e pretendeva la massima sollecitudine nell’esecuzione di suoi desideri o capricci, e lo faceva umiliandomi.
Oramai ero diventato indivisibile dagli attrezzi di lavoro per la casa, gli strofinacci, detersivi, ammoniaca, spazzole, spazzolini e spazzoloni.
Mi tenevano compagnia tutto il giorno, e giù di braccia e gomiti, senza respiro, da una stanza all’altra, a sgobbare, trovando pure il tempo di farla cavalcare; Lei lo chiamava allenamento per il Padrone.
Una sera Lady Antonella chiese al Padrone qual era il rapporto con me, vedendolo solo cavalcare, e facendomi dipendere da Lei come servizi.
Lei mi fece distendere ai piedi del divano, e usandomi come tappetino, parlarono continuando ad avere, verso di me, un atteggiamento di totale indifferenza, come non esistessi.
"Tu parli con lo schiavo?"
"Pochissimo. Mi sembra sconveniente per una Padrone parlare col sottomesso. Mi sembra di dargli troppa importanza."
"No, io credo che tu sbagli. Senza che loro abbiano a dimenticare la loro condizione d'inferiorità, è necessario parlare. Capire come vivono anche al di fuori delle quattro mura, quali sono i loro problemi, e anche se hanno dei desideri. Devono però essere coscienti del loro stato inferiore. Io quando mi serve, gli dedico un po' di tempo. Mi siedo sul divano, anziché sedere direttamente sopra di lui, mi distendo, lo faccio inginocchiare, e mentre lecca scarpe o piedi, mi faccio raccontare quello che ha provato nell’eseguire i lavori, non disdegnando mai di accarezzargli la testa.”
“Serve? Io preferisco cavalcarlo, fargli sentire la frusta. Non lasciarlo pensare!”
“Sai a cosa serve tutto questo? A non far perdere loro il contatto con la realtà. Altrimenti il rischio è che vada pazzo. Poi c’è né un altro, quando dimostri un po’ di dolcezza, loro ti son molto grati, e tu lo avverti con un rinnovato ardore nel servire.”
"Hai ragione, non avevo mai pensato in questo modo, dargli questa confidenza mi sembrava riduttivo del mio ruolo.”
"Tu sei, in quel momento, il Padrone della sua vita. Non devi dimostrare niente a nessuno. Il fatto che tu ora sei seduto qui, con i piedi su questo tappeto di carne, per te deve essere veramente naturale. Quanto sta facendo, non importa. Tu fai quello che vuoi e basta."
"Si è vero, capisco; credimi, hai una gran capacità di dominare, oltre che classe".
"Ti ringrazio, ma ti garantisco che anche tu non sei da meno,”
Fu così che la volta seguente, quando il Padrone stava arrivando, Lei non mi bardò, ma mi mise un collare da cane, tenendo in mano il guinzaglio.
La scena cui il Padrone assistette la lasciò per un attimo senza parole.
La Padrona mi condusse a fianco dell’auto e mi fece aprire la portiera, prima di farmi inginocchiare per leccargli gli stivali.
Dopo un poco il Padrone mi gelò.
“Allora, cosa fai in ginocchio? Aspetti cosa a stenderti a terra e a farmi da zerbino?”
Ubbidii immediatamente e mi stesi a terra a pancia su.
Lui tirò fuori le sue gambe e poggiò, contemporaneamente, i piedi sul petto, poi tenendosi all’auto si sollevò schiacciandomi.
Rimase in piedi su di me salutando l’amica.
Il Padrone aveva parcheggiato vicino ai quattro gradini che conducevano alla porta d’ingresso; ero steso proprio nello spazio tra l’auto e il primo gradino, permettendo a Lui di passare dall’auto sul corpo, poi alla scala senza poggiare i piedi sulla ghiaia.
“Antonella carissima come vedi son venuto prima.”
“Grazie. Ti ho fatto venire prima perché oggi lo schiavo ti ha fatto dono del calesse, e pensavo fosse bello inaugurarlo con una passeggiata fra i boschi!?”
Lady Antonella parlava, mentre il Padrone rimaneva in piedi sul petto, poi abbassò lo sguardo su di me e, allungato il piede, poggiò la suola della pantofola sulla bocca.
“Non rendi omaggio alla Padrona, schiavo? Avanti lecca la suola, fai vedere al Padrone quanto mi adori.”
Obbedii immediatamente.
Baciai la suola che mi porgeva, mentre Loro continuarono chiacchierare, con Lui sempre in piedi su di me, che si bilanciava spingendo ora su di un piede e ora sull’altro, assolutamente indifferente alla mia sofferenza.
Dopo un quarto d’ora, decisero di entrare in casa.
Vennero a prendermi nella stalla, dove ero stato portato, dopo avermi messo il morso, tenendomi per le briglie, mi condussero a quattro zampe a prendere il calesse; in ginocchio fra le stanghe mi fissai le polsiere e l’imbracatura alla vita, aspettando che salissero.
Un cigolio mi fece capire che erano saliti, e dopo un attimo il classico sibilo nell’aria della frusta, del colpo di prova, ne diede la conferma assieme ad uno strattone delle briglie.
“Alzati. Muoviti!”
Annunciata da un sibilo sinistro nell’aria la prima frustata s’infranse sul mio dorso.
La parte terminale dello scudiscio, composta di numerose, lunghe e sottili strisce di cuoio che terminavano con dei piccoli piombi appuntiti, si avvolse intorno alla scapola e schioccando colpì uno dei capezzoli.
Il colpo fu dato con maestria e il dolore di conseguenza lancinante.
La flessibile frusta che avevano scelto colpì nuovamente, questa volta il fianco della natica, e la zavorra in punta la portò ad arrotolarsi e colpire il corpo.
“Su, al trotto!”
Due colpi di frusta accompagnarono l’ordine.
Feci una serie di passi d'eguale misura e docilmente, presi l'andatura che mi era stata comandata.
Non era particolarmente veloce ma il mio passo molto ritmico.
“Vogliamo goderci il viaggio. Considerala come una seduta defaticante. Vogliamo vederti muovere con un’andatura regolare, senza strappi, ma in ogni caso con un buon ritmo. Le buche prendile dolcemente, non sono ostacoli e quindi vedi di superarle senza brusche tirate.”
Le mie ginocchia si levavano abbastanza alte, per rendere felpato il passo, e facevo grandi sforzi affinché le stanghe fissate ai polsi e l'imbracatura attorno alla vita, fossero tirati uniformemente; non era affatto un'impresa facile trainare il calesse senza sobbalzi, ma in modo efficiente.
Le frustate, dopo l’abbrivio, erano cessate e questo voleva dire che l’andatura soddisfaceva il Padrone.
Faticavo come un matto per tenere quel passo, ed evitare frustate, mentre Loro stavano pigramente adagiati sul sedile imbottito, godendosi il clima e lo scenario attorno a sé, chiacchierando.
Il loro cavallo trainava il calesse con ritmo costante, ma che se avesse rallentato l'andatura o avesse commesso qualche errore di marcia, lui non avrebbe esitato a prendere il frustino dal suo contenitore a tubo, per assestare qualche bella e severa staffilata.
Era la Padrona quella che cercava di coinvolgere il Padrone, innamorato del cavalcare noi “esseri umani”, come bestie.
“Cavalcandolo da sensazioni stupende. Usarlo come un animale, sentirlo faticare sotto di te, come una bestia ormai domata, pronta a esaudire ogni tuo sollecito mi da dei brividi, così come frustarlo mentre ti traina sul calessino, come ora. Vederlo piegato nello sforzo di trasportarci mentre noi chiacchieriamo amabilmente, comodamente seduti, questo è impagabile.”
“E’ veramente bello, come dici tu, vedere la muscolatura tesa al massimo nel suo impegno di muoversi con questo peso da trainare, in questo momento, bene o male, duecentocinquanta chili.”
“Guarda come le cinghie si affossano sulle scapole. Deve essere una tremenda sofferenza perché vedo la bestia che continua a drizzare la testa, allungando il collo, per alleviare la pena. E’ tutto tremendamente piacevole!”
“Lo fa per distendere i muscoli del collo. Pensa come saranno ridotti quando avrà percorso i due chilometri che mancano per portarci alla zona del nostro pic-nic.”
“Sarà divertente!”
“Per arrivarci c’è una salita abbastanza ripida, e lì sarà il massimo. Fai girare il tuo schiavo con uno strattone alle catenelle, vedrai com’è rosso in viso, e siamo solo all’inizio.”
“Hai sentito? Girati, ma continua a marciare, non interrompere il nostro piacere.”
Uno strattone alle pinzette sui capezzoli mi confermò l’ordine.
“Rosso! E’ addirittura violaceo! Avanti, allunga il passo che noi abbiamo fame.”
Seguirono diversi strattoni con le catenelle per sollecitarmi a dettare un ritmo più alto, e varie frustate con cattiveria.
Il Padrone parlava del sottomettermi, e chiedeva a Lady Antonella a proposito.
“Antonella, io non ho mai sottomesso nessuno. Ho visto te con degli schiavi, ma eri ad uno stato avanzato. Ho provato a divertirmi con qualche cagnetta, ma ridurre qualcuno come uno schiavo, una larva umana, mai. Lui, come sicuramente altri, è già una persona portata ad essere destinata ad essere ridotta in schiavitù, ma mi riesce difficile capire come può ridursi a fare ogni cosa noi vogliamo, non avere più la minima dignità. Soffrire, soffrire per poi magari ricevere frustate in cambio. Sono certo che ridurli all’ubbidienza assoluta deve essere assai divertente, ma anche faticoso. Ogni persona non può accettare tutto questo senza un rifiuto, ribellarsi almeno una volta.”
“Non è difficile, ma in ogni caso si tratta di agire gradualmente, per fargli accettare il tutto. Si deve analizzare il suo modo di pensare, capirne i limiti per superarli a uno a uno. Iniziare il sottoposto a capire i nostri gusti e idee, avvicinarlo alla nostra figura sovrastante come un'immagine costante, e in tempo reale farlo partecipe delle nostre sensazioni che lui non può naturalmente avere. Questo trattamento li costringe a tendere verso l'ideale di un essere superiore.”
“E’ sempre un essere pensante!”
“Il suo è uno stato ibrido, metà-umano e metà-animale, che deve essere sfruttato dalla nostra dominante intelligenza, trasformando o addirittura eliminando la porzione umana sostituendola a livello di parte oggettistica. I lavori che lui compie ogni giorno per noi, l'adorazione che ci dedica in silenzio, lo devono aiutare a vivere la sua inferiorità naturale e il suo destino servile, ma anche trasformarlo in un semplice elettrodomestico. Un oggetto che, Noi Padroni, possiamo buttare quando vogliamo. Bisogna insomma abituarlo a non dimenticare mai la sua profonda inutilità per la vita sociale, e farlo sprofondare nel baratro della schiavitù.”
“Lui ha già subito questa trasformazione? Chi lo ha addestrato, perché è veramente un bravo schiavo, deve essere stato veramente in gamba per ridurlo così ben ammaestrato!”
“Lui è un essere molto particolare. La persona l’aveva capito veramente e ha fatto un buon lavoro di base, che poi altri hanno completato plasmandolo. Grazie a loro abbiamo un ottimo schiavo, anche se lui ha reso tutto più facile.”
“In che senso più facile?”
“Lui è uno schiavo nato, e chiedeva di ridurlo un essere che viveva solo per servirci. Penso che anche tu abbia potuto apprezzarlo nel cavalcarlo e calpestarlo.”
“E’ vero.”
“Anch’Io preferisco soprattutto come animale da cavalcare, ma voglio anche che mi accudisca, quindi ricerco un animale d’addomesticare, come dico io -immobiliare-.”
“Spiega.”
“Obbligare il sottoposto in una casa, o in un appartamento, come un segregato. Farlo sentire una parte della residenza dei suoi Padroni, limitando i suoi orizzonti di vita a quelle pareti. Il suo compito principale deve essere la pulizia e la sistemazione di tutto ciò racchiuso tra le sue pareti. Deve identificarsi negli spazi immobiliari nel quale vive.”
“Tu hai fatto questo?”
“Sì e anche bene! Con tatto e sfruttando le loro richieste, ottenevo tutto e avevo a tutti gli effetti, uno schiavo ai miei piedi. Nello stesso tempo li umiliavo moltissimo, per divertirmi e vivere del momento. Li umiliavo trattandoli come animali domestici e anche come dei cavalli. Aveva iniziato anche la fase "mobiliare", ma limitandomi.”
“Penso di capire. Vuoi dire usarlo come zerbino, appoggiapiedi, come ho fatto io con le cagne.”
“Certo ed è quello che io ho messo in atto qui con lui. Dopo averlo abituato a vivere in quella casa come volevo io, dove la sua funzione principale era di rimodernare la struttura, ma anche pulire e servirci, a causa del modo in cui lo maltrattavamo o semplicemente lo ignoravamo, ha preso coscienza della sua totale inferiorità.”
“Ha compreso il suo compito.”
“Ha cominciato a capire che era utile solo per servirci e psicologicamente iniziava a sentirsi molto simile ai mobili di casa tua, più che a un essere umano come noi, esseri troppo superiori a lui. Ti ricordi come ti faceva d’appoggiapiedi o da sgabello? Entrava in competizione con i mobili.”
“Adesso che me lo dici è vero. Utilizzato come poggiapiedi ci metteva tutto l’impegno possibile per restare immobile e stabile come uno sgabello di legno. Era come se fosse offensivo preferirgli un volgare mobile!”
“Tu dovevi vederlo quando lo utilizzavo alla presenza di qualche amica o amico che è venuto trovarmi. Noi sul divano e lui immobile a fare l’attaccapanni, con le braccia tese a supportare tutto il possibile. Poco a poco non pensava più di essere uno schiavo ma un oggetto. Una cosa che "pensa", certamente, ma un oggetto lo stesso, e come dice la saggezza popolare -un posto per ogni cosa e ogni cosa al suo posto-. Io sono stata in grado di fargli capire quale era il suo posto, di fargli entrare in quello che funge da cervello ad uno schiavo, tutto quanto io volevo. Gli ho fatto comprendere che lui dovesse diventare un oggetto, un nostro oggetto, e che lo restasse per sempre. Stare al suo posto di cosa, per permetterci di vivere al nostro posto di PADRONI!”
“Ci sei riuscita bene. Mi credi se ti dico che non mi ricordo la sua voce?”
“Sicuro che ti credo. La usa solo per implorarmi, sottovoce, e quasi mai in tua presenza. Per il resto non serve risponderci, sapendo che doveva soltanto ubbidire a qualsiasi ordine.”
“Si sente proprio un oggetto. Qual è quello che gli riesce meglio?”
“Il massimo è quando lava la biancheria e pensa di essere una lavatrice. Lo stimolo nel suo feticismo con un piacere sadico, fino a fargli desiderare di essere uno dei miei abiti o la biancheria intima, proibendogli ogni contatto diretto con il mio corpo divino. Per questo ultimamente dorme nell’armadio a muro in camera mia, che ormai utilizzo solo per abiti impregnati dal mio odore e sudore, sporchi, nell’attesa di essere lavati. I piani superiori di quest'armadio sono riservati agli abiti o scarpe, il piano inferiore destinato a lui per i suoi periodi di riposo o quando lo voglio alla mia presenza nei momenti di sesso con altri, ma senza che lo vedano. Durante il lavaggio a mano di un reggiseno, di un paio di mutande, o in occasione della stiratura meticolosa di un abito, lui immaginava di essere quella biancheria a contatto con la mia pelle. La invidia perché aderendo al corpo s’impregna del mio profumo e del mio odore intimo, specie dopo un orgasmo, un piacere a lui vietato.”
“Specialmente dopo che è venuto trovarti un amante, credo? Sadica fino in fondo!”
“A proposito da una tirata ai morsetti dello schiavo e fai aumentare il passo, ma senza scrolloni!”
“Subito! Muoviti bestia, hai sentito la Padrona? Vuole più ritmo! Allunga il passo.”
Continuai per un paio di chilometri sul sentiero tutto in leggerissima salita, serpeggiando nel boschetto che fiancheggiava la boscosa collina, quando un improvviso comando con le briglie, il Padrone mi diresse in quella direzione.
“Siamo arrivati alla salita, Antonella. Dici di usare anche la frusta per fare affrettare il passo e goderci il suo sforzo?”
“Usala per divertirti!”
Davanti si presentò la salita che già conoscevo per averla fatta con la Padrona, ed io cominciavo a dare segni di fatica.
Il Padrone colpì.
Swisch... swisch… swisch... swisch…
Le parti terminali della frusta con i piccoli piombi appuntiti guizzarono sopra la mia carne sudata delle spalle, lasciando sottili striature.
Mi lasciai sfuggire dei lamenti tipo guaito e quasi inciampai nell’atto di dare impulso al movimento.
Un’altra serie di frustate, con i piombi che si aprivano a raggiera, colpendo una maggiore superficie, mi fecero riprendere le forze e ricominciare a trottare con un ritmo abbastanza veloce.
Le striature aumentarono non di poco, con qualcuna che iniziava sanguinare in modo leggero; il Padrone, ottenuta la velocità desiderata, si lasciò cadere sul sedile con disinvoltura, gli interessavano solo i risultati, e ripresero chiacchierare.
La mia evidente fatica non li riguardava, così come le ferite; ero solo una bestia.
Finalmente superai i due piccoli tornanti di quell’interminabile salita e il sentiero si aprì sullo spazio aperto, dove altre volte la Padrona aveva fatto il pic-nic e mi fermai.
Swisch... swisch… swisch...
”Chi ti ha detto di fermarti fulmine? Portati dall'altra parte del campo.”
Appresi da quel momento di avere un nome…
Ripresi l’andatura attraverso la radura ma, ormai stanco morto, inciampai e caddi attraversando un tratto sabbioso, e mi presi altre due frustate.
”Rialzati animale! Avanti! Giù per quel sentiero sabbioso, poi di nuovo su! Lo faremo per una decina di volte. Vedrai come mi divertirò quando il calesse s’insabbierà!”
Ripresi a marciare ansimando fra le sbarre del calesse, incitato a più riprese dalla frusta; in discesa non c’erano problemi, ma in salita era drammatico.
Le ruote affondavano, la frusta colpiva impietosa, col Padrone che si accaniva a colpirmi, nonostante questo doveva essere un allenamento defaticante.
Alla fine della quinta risalita mi fermò.
“Va bene. ...... No, non va bene per niente, ma se non voglio vederti morire e tornare a casa a piedi, devo fermarmi. Scendi di nuovo, e vedi di dissetarti al torrente.”
Ero arrivato a uno spiazzo su di un’ansa di un torrente, e appena mi diede lo stop m’inginocchiai per farli scendere: volevo infilare la testa nell’acqua fresca.
Fui legato a un albero nelle vicinanze e le redini, allacciate con molta maestria, non permettevano di raggiungere la limpida acqua del torrente ma dovevo accontentarmi dell’acqua salmastra di una pozza limacciosa.
Era inoltre l’unica zona di ghiaietto in mezzo a zone sabbiose.
Seduti all’ombra, i Padroni avevano iniziato a consumare un ricco spuntino e si divertivano a buttare degli scarti ai bordi dello spiazzo, irraggiungibili da me ma che erano prede del cane.
Avevo, infatti, la compagnia di un cane che la Padrona aveva portato con sé dalla città e che ci accompagnava in tutte le uscite.
Sembrava addirittura addestrato per affamarmi perché, ogni qualvolta lo guardavo mangiare, lui contraccambiava lo sguardo ringhiando.
“Ti ricordo che sei un equino e l’erba, soltanto l’erba è per te. Strappa i ciuffi vicino a te e ingoiali con la radice. Puoi pulirla dalla terra lavandola nella pozza!”
Ero intento liberare una parte della pozza dal limo per bere e con la coda dell’occhio la vedevo bersi un calice di vino, preso dalla cesta da pic-nic dietro al sedile.
Dopo una mezz’ora abbiamo ripreso il viaggio di ritorno e al termine della discesa pensai come io avessi percorso soltanto 3 chilometri, che sommando i 2 per arrivare alla cascina e quel fatto a salire e scendere portavano il conto a 6, ma ne mancavano ancora per i 10 da programma.
Non pensai a lungo, perché uno strattone alle redini mi fece capire di svoltare nella direzione opposta, appena arrivati sul sentiero dei boschi.
“Fulmine, riprendi il trotto defaticante e riscaldante per 2 chilometri. Lady Antonella mi ha detto che troveremo una gran quercia dove il sentiero compie una specie di rotonda attorno. Da lì, alla casa, secondo delle misurazioni fatte da Lei, ci sono 4 chilometri a casa. Bene, da lì alla meta la farai al galoppo, e pretendo che tu tenga una velocità media di almeno 5 chilometri l’ora.”
La frusta adesso schioccava sulle natiche e sulle spalle dolcemente, per riscaldare anche loro, e per farmi trottare a una buona velocità, un vero e proprio allenamento.
Ero preoccupato per quello che mi attendeva.
Non avevo mai percorso più di 500 metri di seguito al galoppo, anche se a una velocità media vicino ai 10 chilometri l’ora, ma quella distanza m’impensieriva.
In ogni caso, non appena circumnavigata la pianta, la frusta prese a colpire selvaggiamente.
Iniziai a correre, o siccome io ero un cavallo. a galoppare, a una buona velocità.
“Brava bestia, galoppa e rendi felici, fieri i Padroni. Fai sentire il vento in faccia!”
Ansimavo e correvo, cercando di coordinare il respiro e rendere di più nello sforzo.
Non avevo cedimenti eccessivi, ma non appena accennavo a rallentare la frusta colpiva con più frequenza e intensità.
“Vai così fulmine. Rallenta e ti levo la pelle a scudisciate!”
Era una forma di prevenzione la sua, colpiva per evitare di percuotere quando era ormai tardi!
In trentanove minuti arrivammo alla cascina, e la media fu superiore a 5 orari, ma questo non mi valse nessun elogio, anzi.
“Ti do cinque minuti per riprenderti. Poi in casa a servirci schiavo!”
Quella sera cucinai la cena e gliela servii a fatica, mentre loro gettavano prelibati bocconi al cane.
A quel punto Lady Antonella propose al Padrone:
“Perché non porti qualche cagna a servirci; in queste occasioni servirebbe!”
“Certo cara, e te la farò montare, così passeggeremo assieme!”
“Perché non ti fermi una notte, quando porti la cagna, ho un nuovo paio di speroni che vorrei regalarti, da usare con il tuo cavallo. Sono a stella di cinque punte, solo appoggiarli fa male, poi sta a te affondarli e lasciarli nella carne per un sollecito continuo, se non strisciarli sulla pelle di questa bestia, tagliandogliela. Per le nostre passeggiate, io ne userò un altro paio, in ogni caso molto efficienti. L’importante è che i tagli provocati dalle fruste e dagli speroni siano curati immediatamente, con disinfettante e pomata cicatrizzante, anche se il rischio di segni permanenti non può essere completamente eliminato.”
“Lo medicheremo dopo, e gli speroni li proverò volentieri. Grazie, ma dimmi ancora del tuo programma...”
“Ti propongo di fargli provare tre o quattro giorni di una “vita equina”, usando la tua cagna per tutte le altre esigenze. Ti va bene?”
“Perfetto!”
“Immaginalo a pascolare da ore, magari sotto la pioggia, nudo, e tu lo guardi dalla finestra. Ti sei appena svegliato, alzato da un letto caldo, e non hai passato la notte in una stalla.
Lui sta strappando fili d’erba da mangiare, affamato, zuppo anche solo di rugiada, mentre tu stai aspettando che ti portino caffè, brioche fresche e altre leccornie. In una bella giornata, la colazione potrai fartela servire in terrazza, chiamando la bestia ad osservarti dal basso mentre mangi, facendolo sbavare.”
“Domani chiamerò la cagna di turno, e passerò la notte qui. Sei forte, Antonella!”
Mentre il Padrone si allontanava in macchina, fui condotto alla stalla, e per arrivarci dovetti scendere le scale e attraversare l’aia, con Lady Antonella in groppa, che continuava a tormentarmi a colpi di tallone.
Aperta la porta della stalla, mi fece entrare.
“Buonanotte schiavo. Domattina sgobberai, poi mi farò una passeggiata nel bosco, con te a quattro zampe, e io in groppa, ma forse questo era inutile dirtelo. In quella borsa sulla parete ci sono delle pomate, mettitele. Questa notte non ho voglia di perdere del tempo a medicarti!”
Girò sui tacchi e se ne andò, mentre presi a curarmi.
All’indomani il Padrone arrivò accompagnato dalla schiava, ed io, com’ero stato abituato ultimamente, corsi a fornire la mia prestazione da tappetino.
La schiava era scesa ad aprirgli la portiera, così che il Padrone scese sul mio petto, schiacciandomi sotto di lui.
Rimanendo in piedi, attese che Lady Antonella scendesse le scale, e fece stendere la schiava al mio fianco, dopo averle allacciato il guinzaglio al collare.
Lady Antonella salì sul suo corpo, e si scambiò un bacio di saluto col Padrone, allungando contemporaneamente il piede verso la bocca della cagna.
“Non rendi omaggio alla padrona, schiava? Avanti, bacia il piedino.”
La schiava obbedì immediatamente.
Baciava il piede che Lady Antonella le porgeva, mentre il Padrone sghignazzava, perché, nel frattempo, Lei aveva appoggiato l’altro tacco su una mammella.
A questo punto decisero di entrare in casa.
Il Padrone, non appena salito sui gradini, diede uno strattone al guinzaglio, e la schiava carponi lo seguì come una cagna, mentre la Padrona mi riportò in stalla.
Puntuali, alle dieci, dopo aver mangiato la colazione in terrazza, serviti dalla cagna, i Padroni si avvicinano allo spiazzo, dove ero stato portato dalla schiava a pascolare, fin dal mattino alle sei.
Ora lei li segue già bardata, e portava anche la sella e i finimenti per il sottoscritto.
Gli stivali dei Padroni sono muniti di speroni a stella, molto simili fra loro, e in mano hanno un corto frustino e una lunga frusta da calesse.
Prima di cavalcare vollero farci scaldare e quindi ci legarono una lunga corda, facendoci girare in tondo a varie andature.
Sudavo e soffrivo, soprattutto quando usava la frusta per spronarmi, ma dopo un po’ giri dava la possibilità di prendere uno zuccherino che gettava a terra; prendevo fra le labbra quello zuccherino, e succhiavo avidamente.
Dopo una mezz’ora, decisero che era ora di partire.
La Padrona, aiutata dalla serva, mi mette i finimenti; un morso con paraocchi e briglie che, tramite mollette, collegano e tengono in tensione i capezzoli, sulla schiena mi fissa la sella dalla quale pendono due staffe, e raggiante annuncia al Padrone che sono pronto.
Avevo molti lividi su tutto il corpo, anche se non dolorosi come al momento in cui erano stati provocati, ma i capezzoli mi facevano vedere le stelle al solo sfiorarli, figurarsi dopo la bardatura.
Le selle erano le medesime del trasporto a quattro zampe ma fissate in maniera differente; assicurate con delle cinghie sopra le spalle, sulla cassa toracica, e poi vincolate a una cintura in vita, obbligandoci a tenere il busto leggermente piegato.
Le corregge erano fissate attorno al corpo in modo che la sella, con l’aggiunta di gomma spugna dura a forma di cuneo, sistemata sotto, fosse parallela al terreno.
Quella posizione mi obbligava a tenere le braccia davanti alle staffe, penzolanti minacciose all’altezza della pancia, e il collo piegato in avanti.
L’ultimo accorgimento era predisposto perché noi bestie sentissimo, in maniera cruenta, gli ordini trasmessi tramite le redini: il morso tenuto sempre in tiro dal peso del Padrone ci avrebbe obbligato ad alzare la testa, per guardare avanti, e questo ci avrebbe lacerato gli angoli della bocca, indolenzendo il collo.
“Muoviamoci. Non vedo l’ora di martoriare la mia cavalcatura.”
Il Padrone era eccitato, e dopo avermi fatto inginocchiare per permettergli di salire più comodamente, mise il piede sinistro nella staffa e con leggero salto fu in sella.
Pose l’altro piede in staffa, e si sistemò comodamente, provando le redini, incurante della fatica che facevo per supportarlo.
Una volta accertato che le cinghie erano tutte a posto, colpì col frustino il sedere e ordinò d’alzarmi.
“In piedi animale! Si va, Antonella?”
Portò i piedi avanti, uno strattone doloroso alle briglie, per poi colpire violentemente la pancia, penetrandola con gli speroni.
"Giddyup!”
Avevo iniziato a camminare con un buon passo ma più la camminata proseguiva e più Lui cominciò a cavalcare, frustare e speronare in maniera decisa, come anche Lady Antonella d’altronde.
A un certo punto, a forza di aumentare il passo, mi sono messo a correre.
Lui tirava le redini per tenersi meglio, colpendo con ripetute speronate violente.
“Dio, che bello! Yeeehaa! Vai fulmine!"
“E’ vero… galoppa schiava!”
Fece eco Lady Antonella colpendo la cagna, che montava con maestria e la stessa cattiveria con cui cavalcava me gli altri giorni.
Il Padrone era sicuro in sella, con il pieno controllo dell’andatura, accompagnandola con dei piccoli saltelli, e gli speroni continuavano a ferirmi: sembrava che da un momento all’altro potesse realmente uccidermi.
In ogni caso, come tutti gli esseri inferiori, sapevo che la mia vita era in quel momento al servizio del Padrone, e facevo tutto il possibile per aumentare l’andatura e di conseguenza la sua gioia.
Giunti nel bosco i Padroni trovarono il modo di divertirsi ulteriormente.
Traverso al nostro percorso c’era un grosso tronco di mezzo metro di diametro; mi fermai di fronte a quell’ostacolo ma il Padrone mi “convinse” scavalcarlo, salendoci.
Una volta sopra fu deciso nel farmi saltare giù, e durante il salto si sollevò sulle staffe per poi ricadere pesantemente sulla sella quando toccai terra.
Durante salita e discesa, gli speroni erano conficcati nei fianchi.
Lo fecero ripetere quattro volte il giochetto: ci lanciavano al galoppo, in cerchio, fino al tronco per poi farcelo scavalcare e mentre uno lo oltrepassava, l’altro correva alla stessa altezza.
“Facciamo lo stesso gioco con ostacoli più bassi, piccoli tronchi di poco diametro? Con degli ostacoli più bassi possiamo farglieli saltare correndo, ti piace l’idea?”
Suggerì il Padrone.
“D’accordo!”
Trovato quello che cercavano iniziarono a farci correre e quando si arrivava, vicini al tronchetto, ero colpito dagli speroni.
“Hop. Salta bestia!“
I miei muscoli e le ossa erano doloranti, e avrei voluto gridare dal dolore, chiedere di avere pietà, invece mi spettava una cavalcata con un Padrone, che sotto la guida di Lady Antonella, diventava giorno dopo giorno sempre più crudele.
Si era fermato un attimo, e al momento di risalire, era venuto vicino sferzando l’aria con il suo midollo, fermandosi davanti ai miei occhi, rivolti a terra, per terrorizzarmi con i suoi speroni a stella.
Riprese il gioco, che non aveva avuto pausa per la perfida Padrona Antonella, che non s’impietosiva per la schiava alla sua prima esperienza.
Il Padrone mi frenava nella fase senza ostacoli, per poi stimolarmi al galoppo, e questo per diverse volte.
Io ero allo sfinimento, quindi Lui usò ancora di più gli speroni, godendosi l’effetto che aveva sul suo cavallo.
Mi obbligava incurvare il collo su, tirando violentemente le redini, in modo che la mia schiena l’aiutasse a sollevarsi dalla sella.
Io cercavo di alleviare il dolore di quella tensione, ma il Padrone, crudele affondava le punte degli speroni in profondità nella mia pancia!
Grugnivo dal dolore e provavo a ribellarmi, ma tirava ancora le redini.
"Schiena rigida, animale!"
Mi stimolava ancora con gli speroni nello stomaco.
"Più rigido, più duro, stupido cavallo! Adesso muoviti con la groppa come in un trotto! Fammi rimbalzare e divertie, lurida bestia!”
Ha cominciato a muovere le punte dello sperone vicino al mio ombelico ed ha continuato a guidarli sempre più in profondità nel mio intestino, facendo ruotare le rotelle taglienti, su e giù, sulla pelle; lo facevo sobbalzare, mentre i suoi speroni erano ormai stabilmente fissi nella pancia.
Lady Antonella sghignazzava:
“Dacci dentro, è solo una bestia!”
Mentre Lei cavalcava con meno cattiveria…
Il nuovo gioco durò una mezz’ora, per poi riprendere il percorso di ritorno al passo.
Soltanto un paio di volte i Padroni ci trattarono come bestie, in corrispondenza di due salitelle.
“Guarda che bel dislivello quello stradino che sale sulla collina. Sono trenta metri e sale per tre, ma possiamo ugualmente divertirci se li facciamo al galoppo?”
“Hai ragione. Pronta?”
“Pronta! Al mio giddyup partiamo!”
“D’accordo.”
”Giddyup!”
Gli speroni mi entrarono nelle cosce e nella pancia, la frusta colpiva ogni due secondi la mia natica destra, mentre sentivo le briglie lacerarmi gli angoli della bocca.
Si sentivano incitamenti vocali di vario tipo.
“Yeeeaaahh!”
“Hyahh, hyahh!”
“Vai!”
Qualsiasi cosa il Padrone fece per stimolarmi non servì, e mi colpì con dieci frustate sulle natiche, per punirmi.
“Qualche tempo fa ti avevo detto, su Face Book, che ero gentile, che non avrei usato speroni e frustino, in modo cruento… Beh, con te ci vuole ben altro che gentilezza, e non avrò più remore usarli su di te, animale. Bene, adesso te lo dimostro!”
Gli fece eco Lady Antonella:
“Guarda che lo hai massacrato fino adesso; hai perso perché sei più pesante! In ogni caso hai una bella puledrina, oltre che affettuosa cagnetta!”
“Sono così incazzato Antonella… Dai corriamo fin a casa!”
Gli speroni a stella colpirono in una maniera così continua che mi sembrava di averli fissi nelle cosce, e la frusta di midollo fece il resto.
Mi riportarono in stalla.
Avevo dolori dappertutto e non mi accorsi nemmeno che la schiava mi tolse la bardatura; tornò dopo poco, e mi versò a terra il mio pasto per poi allontanarsi.
Divorai tutto: non immaginavo quanto sarebbero stati buoni torsoli di mele e pere, misti a pane secco, dopo 30 ore di digiuno e tutta la fatica fatta.
Probabilmente Lady Antonella l’aveva risparmiata poiché doveva accudire i Padroni, perché il mio stato era pietoso.
I giorni trascorsero sempre uguali , io sgobbavo, Lady Antonella si faceva servire sempre di più, non so che limiti dovrò raggiungere, mi cavalcava a giorni alterni col Padrone, e mi sorvegliava…
Le visite del Padrone con la cagna divennero frequenti, e dopo i soliti convenevoli, le congratulazioni a Lady Antonella di come proseguivano i lavori nella casa, la cavalcata serale, i Padroni si accomodano sulla terrazza, distesi in comode sedie sdraio in vimini.
Noi ci mettiamo accucciati ai loro piedi, in mezzo agli sdrai, pronti a eseguire ogni tipo d’ordine.
Dopo una mezz’ora, solitamente, Lady Antonella, come padrona di casa, si rivolge alla cagna per ordinargli di cucinare la cena, e di chiamarli solo quando pronta.
“Non prima delle ore venti, e non più tardi delle venti e quindici.”
Un certo punto, annoiati, mi agganciarono il guinzaglio al collare e mi trascinarono fuori carponi, nello spazio sotto la balconata.
Mi legarono con delle corde, sospeso a degli anelli del portico.
Cominciarono quindi a girarmi attorno, accarezzandomi tenendo però in mano un frustino; facevano finta di colpire, ma il colpo non arrivava e così era deriso.
Il via fu dato da padrona Antonella, che colpì con violenza, pregando il Padrone di seguirne l’esempio, superare le ultime remore che lo bloccavano.
Cominciò così il mio calvario.
Ero colpito alternativamente ora dall’uno, ora dall’altra, mentre mi sfottevano, poi smettevano per qualche minuto e cominciarono la tortura dei capezzoli, iniziando a pizzicarli forte, per poi applicare delle mollette, e subito dopo colpire i pettorali con delle manate.
Il Padrone torturava i seni, mentre Lady Antonella usava il frustino.
Si stancarono e mi lasciarono lì appeso, mettendo sotto i piedi un pezzo di legno, perché potessi arrivare con la punta dei piedi a toccare; senza di quello non avrei potuto farcela per così lungo tempo a rimanere appeso nel vuoto.
Si volevano riposare e si accomodarono, facendosi portare da bere dalla cagna.
La bibita finì.
Legato agli anelli mi lamentai, dicendo qualcosa d’incomprensibile; i Padronei si guardarono negli occhi e si alzarono.
Misero da parte il frustino di cuoio e presero in mano dei rami di salice piangente.
Il trattamento riservatomi schiava fu molto duro.
I rami flessibili fanno molto male, e poi altre mollette sui capezzoli, e su questi aggiunsero degli oggetti pesanti e li legarono con dello spago.
Chiamata la schiava, Lady Antonella, tenendo in mano gli spaghi, le saltò in groppa e incitò ad allontanarsi.
Urla inumane uscirono dalla mia bocca quando le corde furono in trazione, e ancora di più quando le mollette si staccarono.
Il Padrone sghignazzava e colpiva il sedere della schiava col frustino.
Finalmente mi staccarono e mi sdraiai a terra.
Salirono su quel mio corpo distrutto, tutte e due.
Si sostenevano l’uno all’altra, tenuto conto dell’equilibrio precario, e i tacchi della Padrona penetravano nei capezzoli martoriati!
“Guardalo è proprio una lurida bestia!”
Mi fecero mettere a quattro zampe e cavalcarono assieme, facendomi andare almeno tre volte avanti e indietro sotto il portico, e il pavimento non era moquette.
Intanto la cagna aveva preparato la terrazza, arredandola con la tavola dove si svolgerà la cena.
Nel frattempo ero stato abbandonato a terra sotto il portico a riprendermi, e i Padroni andarono cambiarsi.
Sono davvero bellissimi.
Il Padrone indossa un completo in pelle di color nero, scarpe perfettamente lucidate, e con se ha naturalmente il frustino.
Lady Antonella ha un vestito color rosso vivo, molto scollato, che finisce molto sopra le ginocchia, calze velate, sandali e tacchi a spillo.
Sono davvero degni del ruolo che gli spetta, e si accingono a festeggiare, come il loro rango merita.
Io mi son dovuto trascinare sotto la tavola, per essere un appoggiapiedi, mentre la schiava è disposizione per servire la lauta cena, bagnata da due bottiglie d’ottimo Brunello di Montalcino, che rende ancora di più vivaci i Padroni.
Terminata la cena restiamo lì, nell’attesa per qualche istante finché, ad un certo punto sentiamo la voce molto gentile della Padrona.
“Caspita sono già le 21,30. Dovrete essere affamati ormai. Sono diverse ore che non mangiate. Se non sbaglio una ha mangiato una mela e l’altro, se ricordo bene, ha fatto “colazione” nel prato.”
A questa frase è seguita una sonora risata da parte del Padrone.
Siamo affamati e non ci dispiacerebbe mangiare qualcosa.
“Forza animali correte in giardino, sotto la terrazza. Vi vogliamo vedere a quattro zampe come cani affamati, che sperano di ricevere un tozzo di pane. Comportandovi da bestie dovrete impietosirci, come? Non siamo noi ad avere un cervello d’animali, ed essere famelici: arrangiatevi.”
Ci mettiamo a quattro zampe e scendiamo in giardino.
Cominciamo a guaire, poi la cagna si mette in ginocchio ed agita le braccia nell’aria, come un cane che vuole avvicinare i Padroni.
Io la imito, e aggiungo un verso simile all’abbaiare.
Poi giriamo su noi stessi rapidamente, simulando il cane contento.
Dimeniamo i nostri sederi, come se stessimo scodinzolando, e per finire ci buttiamo a terra con la pancia e gambe in aria.
I Padroni ci osservano appoggiati alla balaustra, e per un quarto d’ora assistono divertiti alla nostra totale umiliazione.
Ci siamo ridotti a due animali.
In ogni modo siamo veramente affamati e in cuor nostro siamo felici quando vediamo del cibo pioverci addosso.
Ci stanno lanciando dei bocconi di carne, verdura, pezzi di cibo ormai reso della poltiglia; sono i loro avanzi dei piatti, che la schiava ha levato dalla tavola, e come ordinato non riportati in cucina, ma posati su un tavolino in terrazza.
Ora riusciamo a capirne il motivo.
I piatti sono rovesciati in aria, sparpagliando il cibo lontano dalla terrazza.
Il cibo finisce a terra e nei viali, sporcandosi, diventando ancora meno appetibile.
Dobbiamo spostarci a quattro zampe alla ricerca del cibo, e quando non ne troviamo, alziamo la testa verso i Padroni, nell’attesa di un altro piatto.
Nel caso che loro non ne vedono dall’alto, c’è gettato dell’altro mangiare, altrimenti dobbiamo seguire le loro indicazioni.
“Bestia più a destra. Più a sinistra.”
“Annusate. Siete o non siete cani. Non sentite il profumo delle nostre prelibatezze?”
“La prossima volta gettiamo merda, allora sì che la trovate sentendo il profumo!”
“Cagna c’è una leccornia proprio sotto di te. Mangiala col culo più in alto possibile.”
“Cane valle vicino, e leccagli il culo. Ha trovato del cibo e merita un premio.”
Sui sentieri in ghiaietto le nostre mani e le ginocchia iniziano a sanguinare.
Questo è un duro colpo per noi, soprattutto per la cagna; la guardo e mi accorgo che ha il respiro che si spezza in gola.
Cerca di masticare quel cibo misto a ghiaia con la sua forza di volontà, ma vedo che lei sta singhiozzando, e che delle lacrime colano sul viso; il Padrone non l’aveva mai maltrattata in questo modo.
C’è vietato parlare essendo cani, per questo io cerco il suo sguardo e le sorrido.
Mi sorride a sua volta e mi guarda negli occhi per un lungo attimo.
In quegli occhi leggo la disperazione di una persona profondamente umiliata, nuda a quattro zampe, mangiando come una bestia affamata, degli avanzi di cibo gettati con indifferenza.
Mangiamo tutto quanto c’è lanciato senza lasciare nemmeno una briciola sul suolo.
“Il cibo è stato di vostro gradimento?”
“Arf. Arf. Arf.”
Mi affretto a “rispondere”.
Ci richiamano al piano superiore, dove Loro si sono accomodati sugli sdrai.
La schiava riassetta, mentre io sto preparando dei bourbon.
Sto servendo i bicchieri, sottovoce, e il Padrone critica.
“Schiavo. Ai miei piedi!”
M’inginocchio davanti alla Padrona di casa e bacio le sue scarpe.
“La lingua, maiale, tirala fuori e leccami la suola. Così impari a farmi sfigurare.”
Ride e guarda il Padrone.
Dopo alcuni minuti di quel servizio, mi manda a ripeterlo col Padrone.
“Spostati strisciando, come un verme!”
Era proprio incazzata.
Il Padrone mi umilia ulteriormente: si mette a muovere il piede qua e là, ed io con la lingua fuori, dovevo essere proprio penoso a vedersi nei goffi tentativi di seguirlo.
Dopo aver reso omaggio al Padrone, sono rimasto a testa china per un attimo.
“Ora basta.”
Esclama il Padrone, scalciandomi in viso, non proprio piano.
“Ora ci divertiamo veramente! Forza, entrambi qui, che vi facciamo vedere cosa ha acquistato per voi il Padrone!”
Così dicendo si fa portare il pacco e lo rovescia a terra: c’è di tutto.
Riconosco subito collari e guinzagli, una palla di gomma, un osso, che deve essere anch’esso di gomma, e alla fine è apparso un nuovo frustino.
Lo raccoglie, e sferza con un sibilo inquietante l’aria, sghignazzando.
“Ecco, adesso ne abbiamo uno a testa.”
E’ simile a quello che i Padroni già usano, e al momento non capisco a chi servirà, forse alla moglie, di cui è attesa una visita?!
“Allora, vediamo. Questo collare, il più grande, va per il cane. Vieni qua, a cuccia, che proviamo.”
Mi avvicino e abbasso la testa, per dargli modo di chiudere la fibbia.
E’ un collare di cuoio, nero, di quelli che si usano proprio per i cani di taglia grande.
“Ti stringe così?”
Mi chiede con uno sprazzo d’umanità.
“No.”
“No, cosa?”
Mi rimbrotta allungandomi un calcio.
“No, Padrone.”
Intanto la Padrona ha fatto avvicinare la schiava.
“Questo più piccolo è per te. Cagna.”
Sistemati i collari, era la volta dei guinzagli, che con soddisfazione ci sono applicati.
“Ora sì che siete dei cani, i nostri cani! Belli! Adesso vediamo come vi comportate al guinzaglio.”
Il Padrone mi strattona energicamente, si alza dallo sdraio ed inizia passeggiare, la Padrona ne segue l’esempio con la schiava, e noi a quattro zampe di fianco a Loro.
Il terrazzo è molto grande e un giro completo è molto lungo.
Ci fanno trotterellare intorno per una mezz’ora; le nostre ginocchia, le mani, già piagate dalla ricerca di cibo, s’indolenziscono non poco.
A un certo punto, strattonandomi con il guinzaglio, il Padrone mi attira verso i piedi.
“Forza, lecca le scarpe al Padrone.”
Rendo brillanti le scarpe che indossa.
Un’altra mezz’ora è trascorsa tra leccate di scarpe e lancio della palla, con riporto e premio: ancora leccate, o castigo se non eravamo bravi a prenderla, calci e schiaffi.
La palla è lanciata contro la balaustra, in maniera tale che può rimbalzare ovunque.
Al momento del lancio dobbiamo partire e prenderla in bocca, riportarla, depositarla ai piedi del Padrone che deve eseguire il prossimo lancio, e leccare le scarpe.
Il perdente si pone di fronte a chi deve punirlo, ed è il Padrone che la lanciata.
Alla fine ci manca di abbaiare, hanno in ogni caso fatto provare anche questo, e siamo dei cani quasi perfetti: pensiamo e ci muoviamo come loro.
La Padrona, diabolica come sempre, ha inventato anche un altro passatempo, con lo scopo di umiliarci ancor di più, se possibile.
I cani lottano fra loro, per la conquista del cibo, e Lei vuole che anche noi lottiamo, anche se non proprio in maniera cruenta, per avere un premio.
Immediatamente il Padrone indica le sue scarpe.
“Questo è il premio. Chi vince potrà leccarle per un tempo che poi vedrò.”
Non m’impegno; sono certamente il più forte ma, per un qualcosa che non so, non reagisco alle prime “zampate” della cagna ed in breve mi metto a pancia all’aria, in segno di resa.
Lei, passando fra le mie gambe aperte, mi appoggia le mani sul petto e, senza una spiegazione, mi da una tremenda ginocchiata ai testicoli.
In segno di vittoria sale con entrambe le ginocchia sul mio sesso e alzando la testa si mette ad ululare, fra gli applausi dei Padroni.
“Brava hai vinto, dai ancora due ginocchiate e poi vieni riscuotere il premio. Muoviti cagna!”
Due tremendi colpi che mi lasciarono per parecchio senza fiato a contorcermi.
“Adesso mettiti ai miei piedi e lecca!”
Il Padrone si sistema per bene, distendendosi sullo sdraio e la cagna si avvicina carponi ed inizia un dolcissimo lavoro di lingua.
“Lecca cagna, fammi vedere la tua felicità per la vittoria!”
Io sono disteso davanti alla Padrona che mi struscia sul viso un piede, per poi mettermi la scarpa in bocca, e non sentire i lamenti, mentre Lei frusta a sangue.
Poi, finalmente a notte tarda:
“Qui fuori comincia a fare freschino. Rientriamo, Antonella?”
La Padrona sibila nell’aria il terribile frustino.
“Schiavo a quattro zampe. Mi farai da cavallo per rientrare in salotto. Tu troietta, a disposizione del Padrone.”
Ci costringono a procedere a quattro zampe fino alle loro camere, e stasera il Padrone se ne infischia, forse per il vino, che mette a dura prova le fragili e sottili braccia della cagna.
“Stanotte vi fermerete nello sgabuzzino delle scarpe e le pulirete tutte. Comprese le suole, e sai come; intesi bastardo? Non m’interessa se la baldracca non potrà darti una mano, o è meglio dire una lingua!”
“Sì Padrona.”
La cagna sta faticando sotto il peso del Padrone e si prende una frustata.
“Smettila di fingere schiava, e galoppa. Stanotte dormirai a fianco del letto; al mio risveglio, subito dopo avermi reso omaggio, voglio essere ancora trasportato, prima di farti una sorpresa…”
Prima di andarmene nello sgabuzzino, la Padrona mi colpisce con dei calci nei fianchi, facendomi rotolare come un fantoccio.
Mi sento debole, stanco e frustrato, molto umiliato: non ci considerano davvero niente, più che schiavi, degli oggetti.
La realtà però mi aspetta; ho l’ordine di mettere in ordine e ripulire, prima ancora di pulire le scarpe, ed il tempo non è tanto.
I Padroni mi hanno concesso anche di mettere sotto i denti qualcosa commestibile, nella tranquillità della cucina, ma sono pur sempre scarti del cucinare della cagna.
Le scarpe dei Padroni, comprese quelle della moglie, non sono tante, una trentina di paia, ma quelli impegnativi sono gli scarponcini e taluni stivali.
Quelle suole artigliate sono ricche di fango secco e devo metterci tutto l’impegno per ammorbidirlo per poi asportarlo.
Le mie elucubrazioni mentali questa notte non sono così votate al pessimismo, anzi.
Ormai mi sono arreso, questa è la mia vita; so bene che vivrò momenti anche drammatici, ma saprò anche viverli per il piacere dei Padroni.
Trovo giusto soffrire per dare la felicità ai proprietari che mi dominano.
Riesco terminare i lavori e trovo anche il tempo di addormentarmi a terra.
Le prime luci dell’alba riescono ad attraversare le persiane della finestra, socchiudo gli occhi e mi rendo conto che non stavo sognando.
Alle 8,45 mi metto il grembiulino, corro nella camera della Padrona.
La porta è aperta e la stanza illuminata.
“Permesso, posso entrare padrona?”
“Entra merda. Sei in ritardo. Ti avevo detto di essere qui per le 10 precise… Inutile spiegare, parlerà la frusta!”
“Scusi…!”
“Zitto coglione! Vai in cucina e prepara la colazione per tre. Latte caldo, caffè, tè, cioccolata, marmellata e biscotti. Tutto deve essere pronto prima del nostro arrivo.”
Esco velocemente, mi reco in cucina, immaginando che arrivi la Moglie del Padrone.
In dieci minuti preparo tutto, appena in tempo per l’arrivo dei Padroni.
Per prima arriva Lady Antonella.
“Ecco la “schiavetta”! Ti dona il grembiulino… Hai preparato tutto?”
A seguire compare il Padrone con la cagna, e già penso che avrò un aiuto, ma con mia sorpresa si sistema anche lei intorno al tavolo.
Senza fiatare, con fare sorpreso, li servo a tavola e, dai discorsi, si capisce che i Padroni, durante la mattinata andranno in città, lasciandomi solo con Paola, che è poi il nome di quella che finora consideravo una mia pari.
Si alzano dal tavolo ed io rimetto in ordine, fino a che mi sento chiamare dalla Padrona, che raggiungo in camera.
Si sta vestendo.
“Noi usciamo e ti lasciamo con la cagnetta Paola. Vedi di comportarti a modo. Non devi fare altro che ubbidire ai suoi ordini, senza discutere. Vedo di comprarti un regalino per ricambiarti. Contento?”
“Grazie Padrona.”
I Padroni escono, mentre io sono al cospetto di Paola, seduta in salotto, e ascolto le disposizioni.
"Speravi che i Padroni ti portassero in città, pensando che fosse meglio affidare i lavori a me. Ti sbagliavi, e ora sono qui a farti sgobbare, e sarò molto esigente!"
“Penso di avere dimostrato che so cavarmela nei lavori domestici.”
Uno schiaffo e una pedata mi colpirono.
“Come sei presuntuoso. Non negherai che per certi lavori le donne abbiano più capacità, in modo particolare se sono delle schiave votate a servire.”
“Sì…”
“Sono, è vero, una cagna del Padrone, ma amo anche essere circondata da persone rispettose delle buone regole, consapevoli del loro ruolo d’inferiorità nei miei confronti. In particolare non amo essere contraddetta e desidero vedere in te una persona assolutamente servizievole, ubbidiente e remissiva.”
“Capisco signora.”
"Bene. Dovrai sempre rivolgerti a me dandomi del lei, come ti hanno insegnato riducendoti in schiavitù. Tra l’altro devi sapere che hanno deciso di divertirsi nel lasciarti nelle mie mani; è strano vero?! Seguimi!"
Si alza ed io le vado dietro goffamente.
Entriamo in cucina.
"Questa sarà la tua principale stanza di lavoro. Dovrai svolgere qui i tuoi lavoretti. Non amo i rumori in casa e non voglio vederti in giro per la casa senza un compito, quindi quando hai terminato con le pulizie, te ne tornerai in cucina nell’attesa di un mio ordine."
Un momento di silenzio.
"Hai compreso tutto? Non ho piacere di ripetermi e non accetto ribellioni. Ricorro a punizioni severe per chi non segue le regole, quindi vedi di adeguarti velocemente."
“Sì, Signora, credo di aver capito."
"No “credo”. Devi aver capito e basta.”
“Sì Signora.”
“Comincerai a pulire i bagni e poi le altre stanze. Mi raccomando esigo una pulizia accurata. Non ti sporcare assolutamente il grembiulino. In cantina c'è un grembiule di gomma per lavori più gravosi. Preferisco che usi quello, piuttosto che vedere anche una piccola macchia sul grembiulino."
Torno dalla cantina e ripiego il grembiulino.
La plastica pesante mi da fastidio.
"Fila a pulire i cessi. Devono essere splendenti prima del ritorno dei Padroni."
Prendo gli stracci e il secchio, lo riempio d'acqua e con i detersivi.
La Signora Paola mi segue.
Mi accorgo che manca qualcosa e sto per tornare indietro quando sono fermato.
"Problemi?"
"Ho dimenticato lo spazzolone. Signora."
"Non serve, puoi fare benissimo in ginocchio, le mani a terra, avrai risultati migliori."
"Così è più faticoso, e ci metto più tempo. Signora."
Mi prende per una mano e torcendomi il braccio mi fa inarcare in avanti.
Con uno strattone mi fa tornare di fronte a lei e mi afferra il mento con la mano.
"Posso andare anche oltre. Non hai che da insistere e potrai provare! Ora, in ginocchio e strofina!"
E' una donna in forze e mi spaventa l'idea di contraddirla nuovamente.
Prendo uno straccio dal secchio e seguendo il dito di Paola mi dirigo verso il water.
Mi metto in ginocchio per strofinare in tutti i punti, anche i più nascosti.
Sciacquo lo straccio per eliminare il detersivo residuo e s’incomincia a intravedere lo splendore.
Nel frattempo Paola segue il lavoro alle mie spalle e solo quando sto per finire di pulire l’interno del water, mi accorgo che si è slacciata la gonna e si toglie gli slip.
Mi scosta e si accovaccia sul water, urinando.
“Non muoverti e guarda la cascata che del mio piscio!”
Resto in ginocchio di fronte al vaso; il getto fuoriesce e schizzando disastrosamente finisce sui bordi, sul pavimento e non solo.
Molti zampilli mi arrivano addosso, sul viso.
"Prendi quella salvietta. Servo."
Riferendosi a una di quelle appese accanto al bidet.
"Cerca di pulirmi per bene, non voglio risollevare le mutandine ancora umida."
Timidamente la tampono e asciugo.
"Scommetto che stai pensando che sarebbe bello poterla pulire di lingua. Vero?"
Si stacca e continua.
"Non ora. C'è il bagno ancora sporco, puliscilo e fai di corsa."
Contemporaneamente mi prende la salvietta dalle mani e dopo averla passata sui bordi del water, mi mostra che è sporca.
"Ti ho schizzato prima, mentre pisciavo?"
Non aspetta la risposta e con un gesto deciso mi strofina sul viso la salvietta sporca del suo piscio; la getta per terra e se n’esce fischiettando.
Riprendo il mio lavoro e ripulisco il nuovo sporco e proseguo con gli altri servizi.
Dopo un quarto d'ora esco dal bagno.
Paola è in sala a leggere il giornale, e mi reco nel bagno del Padrone.
E' arredato con più gusto, ma più disordinato.
Procedo nelle pulizie come di consueto.
Con Paola alle spalle accusavo una sensazione di soggezione che m’impediva di lavorare tranquillamente.
Metto in ordine e finisco le pulizie dei bagni.
Vado in cucina per prendere spolverino, panni e scopa per la pulizia delle camere.
Paola m’intercetta.
"Hai fatto tutto per bene?"
"Sì Signora, ho pulito e riordinato i due bagni come mi aveva chiesto."
"Andiamo a vedere se tu affermi la verità. Seguimi, schiavo!”
Giunti nel bagno padronale lei osserva il grado di pulizia a fianco del water.
“Bene, mi sembra sufficientemente pulito per quello che devo fare.”
Non ci vuole molto per capire quello che intende fare.
La vedo togliersi nuovamente le mutandine, sedersi sulla tazza, per poi cagarci.
Terminato si rialza, senza tirare lo sciacquone.
“Pulisci merda!”
E’ disgustoso ma eseguo come ordinato.
Sono tornato in cucina e dopo poco sento sbattere la porta.
I Padroni sono rientrati, e Paola mi manda a scaricare dalla macchina diversi pacchi con la spesa, bottiglie di champagne e anche due pacchi pieni di cose speciali.
I Padroni spiegano i loro acquisti a Paola e il menù per la cena.
Capisco che dovrò servire anche lei, anche se si accovaccia ai piedi del Padrone, che le accarezza la testa come a una fedele cagnolina.
Completo le mie mansioni e le pulizie restanti, quando la Padrona mi manda a chiamare da Paola.
Paola mi fece togliere la maglietta e mise due mollette per il bucato ai miei capezzoli, per poi farmi mettere a quattro zampe.
Questo comportamento destò i miei sospetti.
Giunti in salotto ricevo un ordine dal Padrone che non posso certo rifiutare.
“Non vedi che abbiamo i piedi stanchi? Tutto il giorno a camminare...“
Senza aspettare altri ordini e senza proferir parola mi appresto, con la massima cura, a togliere gli stivali del Padrone, il quale, nonostante sia già al lavoro sull’altro, mi sferra subito un calcio sotto il mento, indicandomi con il dito della mano destra proteso in maniera nervosa, i piedi dei Lady Antonella.
Mi scuso prontamente e, con garbo, rilascio il suo piede.
Lo accompagnano con delicatezza sino alla moquette, e mi sposto repentinamente verso la Padrona, afferrando delicatamente il tacco del suo stivale destro.
Premendo appena sul tacco le sfilo lo stivale.
Il suo piede, velato da finissime calze e liberato dalla costringente calzatura, ritorna alla luce, provocando in me una sensazione d’immediata eccitazione.
Ripeto la stessa identica operazione con l’altro stivale e mi appresto ad appoggiare le sue estremità accaldate sulla moquette dinanzi a me.
Una reazione del Padrone spaventa anche Lady Antonella, cogliendola impreparata.
“Stronzo cosa fai?! Non vedi che i suoi piedi sono arrossati e molto sudati? Vorresti che li tenesse lì, in quelle condizioni?”
Con la mano destra mi sferra un colpo dietro la nuca, stavolta con una certa energia.
La Padrona beve di getto il cognac servito da Paola, ritornata cagna.
Il gioco si fa serio e l’alcool, di solito, toglie rapidamente ogni inibizione.
Mi ricompongo all’istante, afferro i piedi appoggiandoli delicatamente sul mio viso.
Mi accorgo subito che la costrittiva calzatura ha ottenuto il suo ovvio effetto.
Un odore acre e pungente, inizia a salire fino alle mie narici, mentre Lei invece, non mostra la benché minima reazione.
Rimango seduto innanzi a lei con i piedi sulle guance, in paziente attesa di un cenno della Padrona.
Il Padrone invece fa alzare Paola e fa versare dell’altro cognac.
Totalmente indifferente inizia a parlare con la Padrona di un argomento che è di loro comune interesse.
La chiacchierata prosegue per diversi minuti, nel corso dei quali, la cagna finisce di pulire con la lingua i piedi del Padrone, ed io per dimenticare la presenza di quei piedi profumati.
Fino a che il Padrone, con un gesto della mano, ridesta di colpo la mia attenzione verso di loro; obbedendo al perentorio gesto, porto immediatamente uno dei piedi all’altezza della bocca, aggancio con le labbra, la sottile calza alla punta del piede e con l’aiuto delle mani poste sul tallone, gliela sfilo delicatamente.
Riservo lo stesso trattamento all’altro piede, per poi adagiarli sulla moquette.
Questa volta il Padrone assume un atteggiamento d’approvazione.
Ammiccando verso di Lei, prende il frustino più lungo e lo usa per indicarmi le dita dei piedi di Lady Antonella.
Comprendo subito la richiesta, e utilizzando entrambi i pollici, allargo uno a uno le dita dei piedi passando la lingua nel mezzo, al fine di pulire a fondo e con cura.
Il pessimo stato dei suoi piedi, dovuto al prolungato utilizzo degli stivali, in altre circostanze mi avrebbe creato non poco imbarazzo.
La situazione intrigante, anziché imbarazzo, mi fece eseguire con tanta passione la toeletta ai piedi.
Non appena terminata l’operazione, con la coda dell’occhio, vedo Paola che dedica un trattamento più accurato, di quello che ho appena svolto, ai piedi del Padrone.
La cosa m’infastidisce un po’.
Lady Antonella si sente rilassata e ricaricata nel medesimo tempo.
Il Padrone è ancora molto serioso e dopo aver lasciato terminare a Paola la pulizia, la invita bruscamente a sdraiarsi sul pavimento del salotto.
Lady Antonella lo guarda e sorride.
La sta invitando a praticare una delle loro pratiche preferite e anch’io mi sdraio, accanto a Paola.
Siamo sdraiati sul pavimento, abbiamo la pelle d’oca e lo sguardo fisso al soffitto.
Lady Antonella rimane seduta, mentre il Padrone comincia girarci intorno. Lentamente e con piccoli passi e, mentre cammina, ci guarda dall’alto della sua superiorità, tenendo il collo leggermente piegato.
Il suo volto è disteso, il sorriso è candito e sereno, ma i suoi occhi di fredda pietra, tradiscono torbidi pensieri, e improvvisamente, cala un velo d’inquietudine sui nostri volti; è impaziente di iniziare, e sale sul mio torace.
Mi guarda e mi sorride felice, ma io sono e lo divento maggiormente, quando vedo la Padrona seduta, e intenta a rimettere i sandali.
Il Padrone comincia a strofinarmi il piede sulla bocca, abbassandomi il labbro inferiore: non afferro al volo le sue intenzioni e quindi mi chiede, con una certa rudezza, di cacciare fuori la lingua interamente.
Lo faccio e Lui inizia a passarci sopra la pianta del piede, avanti e indietro.
Gli piace sentire la mia lingua aperta e ruvida strofinare sotto la pianta, e ripete la cosa anche con l’altro piede.
Nel frattempo la Padrona, che si è alzata, inizia a punzecchiarle Paola sul ventre con i tacchi lunghi e affilati, per poi salire con entrambi i piedi sul suo seno.
Un tacco le stava letteralmente forando un capezzolo, strappandole urla disumane.
“Zitta cagna!”
Deve essere veramente doloroso quello che sta sopportando Paola.
Per sua fortuna il supplizio non dura a lungo perché sviene.
Nel frattempo il Padrone, che si gode uno spettacolo nuovo anche per Lui, appoggia sulla mia bocca il piede destro con le dita aperte e vuole sentire scivolarci la lingua.
All’improvviso ho un sussulto che lo fa girare: Lady Antonella, dopo aver fatto riprendere conoscenza al suo “tappeto” e provando un briciolo di pietà, la lasciata a terra a contorcersi, ed è salita sul mio ventre.
Ride, è divertita anche per l’espressione, un po’ preoccupata, del Padrone.
Lei è abile, e si tiene in equilibrio spostando il peso maggiormente sulle piante, al fine di evitare, che i tacchi, finissimi, penetrino troppo a fondo.
Il Padrone si gira verso di Lei, porgendomi il tallone, che inizio subito a leccare avidamente.
I Padroni si prendono per entrambe le mani, mantenendosi in equilibrio.
Grazie all’aiuto della Padrona, Lui alza leggermente il piede e lo infila diritto in bocca e preme, costringendomi a ingollarlo.
Comincio a gemere, anche perché la Padrona ha iniziato un lento balletto sul ventre.
“Vuoi che ti tolga le mollette ai capezzoli con un colpo secco o lentamente, dolcemente?”
Rimarcò il dolcemente.
Capii che la risposta sarebbe dovuta essere la seconda, perché più dolorosa per me ma, da vera sadica, voleva sentire da me la richiesta della tortura più dolorosa.
“La prego faccia come desidera. Io sono solo una cosa nelle sue mani, sono qui per il vostro sollazzo e divertimento, e devo solo ubbidire. La ringrazio se vorrà togliermi le mollette molto lentamente, anzi la prego, la supplico!”
“Bravo cane! Hai risposto giusto, perché se mi dicevi di togliere in un colpo secco, non solo non l’avrei fatto, ma ti saresti beccato anche quattro ceffoni in faccia. Vedi com’è buona la Padrona?”
Ci mise un bel po’ a togliere le mollette, girando, tirando, fingendo che scivolassero dalle dita, e scostandole di poco dalla sede creatasi nei capezzoli ormai violacei, godendo tutte le mie smorfie di dolore e i miei guaiti.
Dato che mi agitavo, nonostante avessi il Padrone seduto sulla pancia, Paola mi pose i suoi piedi sulle spalle per tenermi fermo, e mi ficcò in bocca le calze del Padrone umide e odorose.
“Così i guaiti ti vengono meglio, non ci dai fastidio e puoi lavarmi le calze.”
Al termine della tortura mi furono tolte le mollette, ma la Padrona continuava a straziarmi i capezzoli, sensibilizzati, con le dita, torcendoli e facendomi sussultare come un pesce all’amo.
Fu a quel punto che vollero ancora divertirsi.
Il Padrone, si mette cavalcioni sulla mia schiena e ho l’arduo compito di portarlo su e giù per le scale, mentre Lady Antonella si assenta.
Paola vede la situazione e le viene da sorridere, per la fatica tremenda che devo fare.
Allo stesso tempo teme per il Padrone.
“Padrone è sicuro che lo stronzo non la faccia cadere?”
A quattro zampe, molto lentamente, riesco a portarlo fino al piano di sopra, mentre Paola tira un sospiro quasi come se fosse stata lei a fare tutto il lavoro.
“Tu sapresti fare di meglio?”
“Non lo so.”
“Non lo so e basta?”
“Non lo so, Padrone.”
“Altra dimenticanza. Ricordatela dopo, quando torna Lady Antonella.”
Si rivolge quindi a me.
“Tu credi di essere stato all’altezza del tuo ruolo di schiavo-cavallo?”
“Non ne sono stato degno. Mi perdoni Padrone.”
“Stupido! Ti ho mai perdonato? Io gli errori degli schiavi li punisco, non lì perdono!”
Mi manda verso un mobile della stanza che ben conosco, da dove prendo un sacchetto abbastanza grosso, di cui sono informato su cosa contenga.
Verso il contenuto sui perimetri della stanza, tracciando un percorso circolare.
“Bene, bestia. Tu sai bene cosa devi fare per abituarti a essere un ottimo cavallo degno del tuo Signore, e tu cagnetta impara. Tra poco potrebbe toccare a te.”
“Non so di cosa si tratta, ma la supplico Padrone, Divina Creatura.”
“Ti spiego subito cosa deve fare. L’animale dovrà girare per la stanza seguendo il percorso che ha tracciato. Ovviamente dovrà farlo sopra le pietruzze e non intorno. Hai presente cosa l’attende?”
“Sì, Divina Creatura.”
A testa bassa e con passo lento, mi avvicino al “circuito”.
Sono già abituato a subire simili punizioni, ma questa volta mi sembra eccessiva.
Non so se riuscirò a sopportarla, eppure devo farlo, non ho possibilità.
“Beh, che cosa aspetti ancora, così prolunghi soltanto il tormento. Forza, al trotto!”
Passo dopo passo inizio a percorrere il circuito, lamentandomi continuamente.
“Andiamo, su, più veloce!”
Il Padrone mi sprona, ma io non ce la faccio ad accelerare il ritmo.
Un frustino da cavallerizzo, che Paola ha porto, appare nelle sue mani e lo usa.
Io urlo, imploro pietà, ma Lui non fa che frustarmi con maggior vigore.
Paola trema per il timore di dover subire una tortura del genere.
Il suo corpo è percorso da brividi ma anche di piacere: assistere a quella scena da spettatrice, col Padrone che mi fa soffrire all’inverosimile, la eccita.
“Ah, cavallo, più veloce.”
La voce del Padrone si alza, fino a quando io non aumento il ritmo.
Quasi corro sui sassolini che penetrano nella mia carne.
Guardandomi trottare a quel modo, mentre mi lamento e piango, smette di colpirmi.
“Aspetta un minuto. Ho sentito dei rumori. Deve essere tornata Lady Antonella, e se è così, mi divertirò ancora. Ti voglio punire per le tue dimenticanze.”
Appare la Padrona.
“Ciao Antonella, cosa ne dici di una corsetta sui nostri cavallini?”
“Non aspettavo altro!”
Puntualizzati i ruoli, ci hanno fatto bardare con le briglie, che collegano con delle mollette da bucato ai nostri capezzoli.
Hanno afferrato le briglie in modo da farci mettere in posizione, e saliti in groppa.
Il Padrone su di me, che seppure sfinito, potevo reggere benissimo il suo peso, e Lady Antonella su Paola, che seppure esile abbiamo visto abbastanza robusta da portarla senza problemi.
La cavalcata, con uso assiduo delle briglie, crudelmente ancorate sui capezzoli, serve a sfiancarci, alla fine ci arrestano affiancati.
Chiacchierano, restando comodamente seduti sulle nostre schiene, all’altezza delle reni, e la Padrona mette a dura prova la sua cavalcatura.
La costretta a chinare la testa e si agita colpendo con i tacchi sulle cosce.
Non può resistere a lungo, purtroppo e, infatti, crolla.
La sua cavallerizza non è colta impreparata, ma dovrà affrontarne la conseguenza dell’incapacità.
Fatta alzare dalla Padrona, che la tira per le briglie, il suo culo è immediatamente frustato, con lei che, per attenuare il dolore, si allontana, ricevendo delle strattonate ai capezzoli di rimando.
Io sono tirato con le briglie, con l’aggiunta d’alcuni calci dal Padrone che mi porta verso la stalla, dove finalmente dormirò.
Il Padrone si gode la mia sofferenza, con il disprezzo più totale disegnato sul volto.
Dovrei vivere da schiavo in quella casa ancora per una settimana, poi terminati i lavori di ristrutturazione non ci sarebbero motivi per restarci, soprattutto non ci sarebbero giustificazioni per la Signora Adriana, la moglie del Padrone.
Era venuta a vedere i lavori col marito poche volte, e neppure immagina quello che subivo, del mio trattamento, e Lady Antonella le era stata presentata come una moglie particolare, dispotica in modo di giustificare il mio servire durante la sua presenza.
Uno di questi ultimi giorni della mia presenza venne da sola a fare visita, all’insaputa del Padrone, e come Lei raccontò in seguito, non riusciva più togliersi dalla mente quella strana situazione; c’era qualcosa che l’aveva eccitata eccessivamente, anche se non capiva molto bene il perché.
Era accaduto in pomeriggio, sapeva che il Padrone veniva lì, e aveva deciso di fargli una sorpresa.
Entra alla villa dalla parte posteriore.
L'inclinazione della collinetta, su cui era costruita, aveva permesso agli architetti di comporla in maniera che la casa avrebbe contato su 2 entrate, su altezze differenti, quella principale sul piano terra che da accesso a un vasto salone, e una seconda che entra direttamente al piano superiore sul retro.
Dal corridoio d’accesso del 2° piano, attraverso la struttura in vetro mosaicato e ferro, si vede il piano sottostante, ma nel medesimo tempo ne salvaguarda la privacy, visivamente e sonoramente, così che, quando Adriana è entrata, tutti noi non abbiamo notato la presenza.
Si è diretta verso le scale che portano al piano inferiore, ed è allora che ha iniziato a sentire qualche cosa di strano.
Un misto di rumori, come se qualcuno stesse combattendo con un altro, e si sentono gemiti, colpi e voci arroganti che diventano sempre più forti.
Decide quindi di avvicinarsi silenziosamente, fino a scoprire quello che accade.
Non crede a quanto vede, o meglio, non capisce per affermare la verità.
Io, irriconoscibile, sono a quattro zampe e Lady Antonella è sistemata sulla mia schiena, come a un cavallo.
Adriana è rimasta paralizzata, senza capire che cosa fare.
La Padrona, veste in pantaloni e stivali da cavallerizza, e la sua cavalcatura, una coperta sulle spalle e delle redini in bocca, che si muove carponi seguendo gli ordini della cavallerizza, che da delle frustate perché tenga il passo.
Suo marito, ci guarda comodamente steso sul divano del salone, incitando l’amica a colpire più forte, se il procedere diventa affannoso.
Adriana non sa cosa fare, e intanto segue la scena pietrificata.
Il Padrone, all’improvviso, dice che ora tocca a Lui.
Lady Antonella immediatamente obbedisce, e smonta dal pony.
Ad Adriana sembra incredibile, rimango impassibile a quattro zampe in attesa che suo marito salga sopra di me.
Respiro forte, con le spalle arcuate all’indietro, un movimento violento del corpo.
Il Padrone si è alzato dal divano e si è avvicinato a quello che, senza dubbio, considera più come un suo animale che un lavoratore.
È rimasto a guardarmi e in maniera inattesa usa la frusta sulla schiena, sollecitando curvarla ancora di più, cosa che faccio immediatamente.
“Voglio che l’incavo della tua schiena sia un’ottima sella!”
Prima di montarmi, però ordina di alzarmi sulle ginocchia, spostandosi dietro di me e tirando a se le redini.
Adriana vede con stupore che io ho dei morsetti agganciati ai capezzoli, uniti tra loro da una corda, che Lady Antonella tira su indicazioni del Padrone.
Urlo, ma tutto è smorzato dal morso delle redini che tengo in bocca, mentre loro ridono della mia sofferenza.
Suo marito mi ordina quindi di rimettermi a quattro zampe e, montato, alza i piedi, portandoli all’indietro, in modo che tutto il peso gravi sulla povera “bestia".
Prende con calma le redini, si sistema comodamente, ordinando di muovere.
Adriana non capisce come lo possa sostenere, mentre monta senza pietà e, per aumentare il ritmo, mi massacra con colpi di tallone e frusta.
Improvvisamente arresta bruscamente il suo cavallo, tirando le redini fortemente, chiedendo a Lady Antonella di avvicinarsi.
Lei, come da precedente accordo, si è messa a sua volta a cavalcioni, sedendosi tra la nuca e il collo, restando su quello che è il loro schiavo che, nonostante il peso notevole, ha ricominciato a muoversi.
La mia andatura è vacillante e tremante, ma nonostante questo la passeggiata dura più di mezz'ora, con l'esaurimento dell’animale.
Adriana non può resistere: scappa via senza farsi vedere, con la strana eccitazione che con gran difficoltà reprime.
Presa l'auto, inizia a guidare senza meta, per mettere della distanza tra lei e quello che ha visto, ma è impossibile dimenticare.
Ci sono voluti parecchi minuti per riprendere il controllo, ma immediatamente ha cominciato ha ripensare a quello che aveva visto.
Suo marito è sempre stato normale, il suo comportamento sempre nelle regole, come pure quello degli amici e amiche.
Improvvisamente si ricorda una scena; il giorno in cui lui, le aveva chiesto di cavalcarlo, e lei aveva accettato, facendolo sgroppare.
Non aveva dato importanza, pensando solo a un gioco, non immaginando che fosse il preludio a quanto si è materializzato ai suoi occhi, nel salone della propria villa.
Decise di rientrare a casa con normalità assoluta, come se non fosse accaduto nulla, anche se era molto nervosa, e aspettare il marito.
Al suo arrivo, comportandosi con normalità ha salutato, ma non ha potuto fare a meno di osservare il suo modo di vestire, un semplice pantalone da cavallerizzo e una t-shirt, come se stesse tornando da fare dello sport.
Non era la prima volta ma ora che sapeva, le sembrava tutto strano.
Sono passati i giorni.
Adriana, con il marito, ha vissuto normalmente, ma non può smettere di pensarlo a cavalcioni di un essere umano, ma soprattutto perché aveva raggiunto l’eccitazione.
Esclusi vari punti, su cui fantasticava in molte occasioni, è quindi il gioco della dominazione che ha colpito nella sua mente.
Ora nelle sue fantasie c’è il rapporto con uno schiavo, e tutto termina con la monta dell’animale, come ha visto fare al marito.
Non dirà mai come sapesse, ma di certo la moglie del Padrone era certa che Lady Antonella fosse assente quando ha suonato alla porta, e che era lì per cavalcarmi.
Ho verificato chi fosse, attraverso lo spioncino, e aperto la porta ignaro di tutto.
Sono rimasto immobile, nell’attesa della sua approvazione per cosa fare; la Signora Adriana ha tenuto i nervi calmi e fatto cenno di richiudere la porta alle mie spalle, mentre diceva niente, fino a che non si è accomodata sul divano, ordinando di togliere tutti i vestiti, non senza dimostrare imbarazzo nel chiederlo.
Schiavo mentalmente del Padrone e di chiunque Lui vicino, ho obbedito, e capito il suo imbarazzo, decido d’aiutarla, prostrandomi in posizione di venerazione assoluta, classica degli schiavi.
In ginocchio con le braccia distese a terra e la fronte appoggiata al pavimento.
Adriana è al settimo cielo, e decide di mandarmi a prendere ogni cosa possa servire per cavalcarmi.
Senza una parola, striscio nello scantinato, e le porto una frusta, gli speroni, le redini, insieme con un morso da cavallo, la sella e delle ginocchiere, che fanno sorridere la maliziosa la Signora Adriana.
Disposto tutto in terra davanti a Lei, timidamente alzo gli occhi verso lei.
“Ho portato tutto quanto il suo schiavo pensa che Le serva, ma può usare ciò desidera! Lei è la Padrona, e se preferisce può montarmi senza ginocchiere, assicuro molta resistenza!”
“No, preferisco che le metti subito, così terrai un ritmo ancora più veloce!”
Soddisfatta, mi ordina di darle la frusta che è a terra, che immediatamente cerco di porgere, facendo uno sforzo terribile nel mettere le ginocchiere, poiché dalla Padrona avevo ricevuto contemporaneamente due ordini in sequenza.
“E’ fantastico!”
Dopo avergliela porta, istintivamente mi sono posto a quattro zampe.
Adriana, in preda dell'eccitazione, mi ha dato due forti frustate sul sedere, in modo che curvassi di più la parte posteriore, comportandosi come il Padrone.
“Vediamo, se come sembra, sei una buona monta per una amazzone!”
Senza rimandare ulteriormente, Adriana si accomoda violentemente, e mentre tengo perfettamente la postura, lei dedica del tempo per collocarsi, ripensando a come aveva fatto suo marito.
Si è soffermata a toccare la cassa toracica e la schiena, decidendo di usare i capelli come fossero redini, e ha tirato in maniera forte.
“Avanti idiota, stupida bestia, desidero fare una bella cavalcata!”
La Signora Adriana non si riconosce più; non smette di insultarmi come animale, picchiare con la frusta, che lascia segni ovunque.
Ho appena terminato un giro nel salone quando esplode in un urlo grandioso, accompagnato da un violento strattone ai capelli, in modo che inarcassi ancora di più la parte superiore della schiena.
Recuperatasi mentalmente e ancora su di me, indica di andare verso il posto in cui ci sono gli oggetti, perché ora desidera montare con le redini, gli speroni, le staffe e tutte le altre attrezzature.
Più calma e distesa, pensa al divertimento che si prospetta.
La Signora mi ordina di mettere il morso e le redini, e sta sollevando i piedi per farsi mettere gli speroni quando, alzato lo sguardo verso le scale, vede suo marito.
Decide così di scendere dalla cavalcatura, e mi allontana nel corridoio, a quattro zampe e con le attrezzature ancora sistemate.
Aspettato che mi sia allontanato, ha chiesto al Padrone di parlare.
“Quanto tempo è che guardi?”
“Poco.”
“Non dovevi essere a casa della tua amica?”
“Si, ma ho dimenticato in villa una cosa, e sono tornato per prenderla.”
“Che cosa?”
Dopo un tempo, abbastanza lungo, di silenzio, il marito spiega che Lady Antonella gli ha chiesto di comprarle un regalo, che aveva dimenticato di portare.
Sapendo di non recuperarlo senza farsi vedere, vista la situazione in cui aveva scoperto la moglie, rivelò che è un frustino d’equitazione da usare con una schiava.
C’è la necessità di altre spiegazioni?
Sembra proprio di no, quindi la Signora Adriana spiega che è perfettamente a conoscenza su cosa fa con la sua amica.
Non servono altre parole, perché la Signora Adriana è decisa a intervenire su quei giochi, con l'obiettivo di non farli smettere, anzi, ma qualcosa in lei chiede una specie di vendetta, una compensazione.
Ordina al marito di ripetere uno dei pomeriggi, che non desidera altro che trovarli nel pieno di una sessione.
Il tutto avviene come programmato.
Adriana arriva all’improvviso, sorprendendo il marito, Lady Antonella e me, mentre con sorpresa, vede anche la cagna del Padrone a terra, a quattro zampe, con le ginocchiere e le redini.
Adriana scende le scale con decisione e tutti si alzano dalla posizione in cui si trovano, tranne me e la cagna, rimasti a quattro zampe.
Adriana si dirige verso di noi, e prende per una spalla il Padrone.
“Bene, bene, ci sono due pony. Ora voglio che qualcuno mi metta degli speroni, e sarai tu caro a farlo, poi gli si avvicina a un centimetro dalla sua faccia.
“Fai esattamente quello che dico!”
In tre minuti era pronta per montare.
La Signora Adriana è vestita con pantaloni adatti all’occasione, una t-shirt e stivali da bovara; lo spettacolo che offre è stupendo.
Adriana è salita su di me mentre ordina al marito di metterle gli speroni.
Lui lo fa incantato, e tutti sembrano eccitati dalla situazione, col Padrone addirittura estasiato, nel vedere la moglie cavalcarmi, e sollecitarmi nell’andatura.
Giudicata sufficiente la sua cavalcata, ha detto alla cagna di prepararsi, perché toccava a lei, e mentre lo diceva, mi accarezza il collo.
Paola si è messa rapidamente a quattro zampe.
Adriana monta sulla cavalla, con tutto il suo peso, e comincia a cavalcarla, non provando pietà, nemmeno quando sta finendo le forze, spingendola sempre più al galoppo a colpi di sperone.
Dopo questa sessione, Adriana è sempre invitata a partecipare alle loro riunioni, e la mia permanenza in villa è stata prolungata.
La Signora Adriana ci cavalca alternativamente, come desidera, ma qualche volta il Padrone, ricordandosi il passato, chiede di poter essere lui la cavalcatura, fino a che un giorno lei mette delle condizioni.
“Si, ho voglia montarti! Bene, andiamo questo fine settimana alla villa...”
“Andiamo oggi.”
“No!! Andremo sabato. Hai quattro giorni per metterti in forma. Non credo che tu sia in questo momento alla mia altezza come cavallo. Io sono più esigente di te coi due schiavi, e desidero che tu sia il migliore che ho montato. Me lo devi, dopotutto sei tu che ci hai messi in questa situazione.”
“Stai sicura, io sarò quello che resiste di più, il più comodo e il più obbediente.”
La settimana trascorre lentamente, ed entrambi desiderano arrivi il sabato.
E’ chiaro che il Padrone vuole essere montato dalla moglie dal giorno che la vista cavalcarmi nel salone, e lei desidera lo stesso, anche se gli non sembra giusto dominare il marito, metterlo in una situazione così umiliante, così impropria, nonostante, per ragioni chiare a tutti, non desidera altro che essere un pony.
Al fine sabato arriva.
Entrambi sono nervosi ed eccitati, e durante il viaggio la madre scherza con il figlio, ma parla anche seriamente.
“Desidero che tu sappia che, anche se sei mio marito, sarò pretenziosa.”
Lui la rassicura che non spera altro, e vuole dimostrarle di essere il migliore, avendo preso la sfida come una prova personale.
Arrivati alla villa, li servo come Padroni, consumano una leggera cena, per poi andare sul terrazzo.
Guardano il panorama assorbiti nei loro pensieri quando, quasi all’unisono, esclamano che desiderano che il giorno dopo arrivi in fretta.
Passano la sera vedendo la televisione, ricordando le frequenti riunioni “ippiche” a cui partecipano e organizzano.
La moglie usa sempre la schiava mentre io sono esaurito delle forze dal Padrone.
Lady Antonella è diventata amicissima della Signora Adriana, e gli è permesso di cavalcarci entrambi, quando i Padroni non ci sono o riposano.
Il giorno dopo si dirigono nuovamente al terrazzo, il clima è fenomenale, con una leggera e calda brezza; servo loro la colazione.
La Signora Adriana è vestita con un paio di pantaloncini di lycra, le scarpe sportive e un top che mette in risalto la sua pelle bronzata.
Il Padrone è nudo.
Scendendo le scale, si sono guardati con desiderio, senza una sola parola e attraversano il piazzale antistante al bosco, quando Adriana ferma il marito.
“Voglio iniziare a montarti da qui, desidero che mi prenda sulle spalle.”
Lui senza dire una parola, per facilitare la moglie nel salire sulle spalle, si accuccia, e una volta salita si rimette ritto.
La Signora Adriana si è messa sulla cavalcatura, ha disposto i piedi dietro la schiena, e ha preso a sollecitarlo a procedere.
Lui si muove in modo che la moglie non possa cadere, godendosi la passeggiata.
Arrivati sulla soglia della pozza, la Signora Adriana arresta il pony, rimanendo per un buon periodo a contemplare l’acqua, completamente indifferente allo sforzo fatto dal marito nel portarla, e adesso per rimanere fermo e non sprofondare nella sabbia.
Non si sarebbe perdonato anche un singolo sbaglio con la moglie.
Dopo parecchi minuti, la moglie con agilità si lascia cadere dalle spalle, indicando alla cavalcatura di mettersi a quattro zampe, e si china avvicinandosi all’orecchio:
“Comincia il gioco duro! Ti pentirai di volere diventare la cavalcatura di tua moglie!”
Il Padrone con le mani e le ginocchia affondate nella sabbia bagnata, curvato la schiena, offre alla Signora Adriana un comodo appoggio.
Lei prende con forza i suoi capelli e comincia a dare con forza colpi di tallone nei fianchi dell’animale.
Il faticoso procedere inizia, con la moglie comodamente seduta nella parte centrale del pony, e un silenzio rotto solo dall’ansimare del marito.
Dopo parecchio tempo, Lei arresta la cavalcatura, per toccare con il piede il sesso del marito, e verificare chi dei due è più eccitato.
Accertatasi che lui era a un punto di quasi non ritorno, colpisce con i talloni e con inaudita violenza il pene, incitandolo a proseguire nella marcia velocemente.
Al Padrone dolgono tutti gli arti, ma la moglie è comoda, e questo è quello che importa; lontana dall’idea di terminare il gioco forza il pony a dirigersi verso l’acqua.
“Andiamo a fare un bagno!”
Indica a colpi di tallone la strada da intraprendere, senza provare pietà dello stato di sfinimento del marito, che procede fino a quando l’acqua non gli arriva alla bocca, e la moglie comanda di fermarsi, accorgendosi che tenta disperatamente di respirare.
Si gode, comodamente seduta, l’attimo e tutta quella magia che impregnava l’aria.
Ritenuto il momento di cambiare posizione, forza la cavalcatura nell’addentrarsi ancora di più nell'acqua, fino a che questa non lo copre completamente, e si fa la passeggiata con il pony completamente sommerso.
Al momento che permette alla bestia di tornare a riva, e il Padrone rimuove la testa dall’acqua, lo arresta e spetta il recupero, con grandi sospiri, colpi violenti di tosse.
Ha appena ripreso una parvenza di normale respirazione, che l’amazzone lo sollecita a riprendere la passeggiata fino all’esaurimento, per indirizzarlo verso la villa.
Con gran difficoltà il cavallo si è diretto verso la meta, con la moglie che lo guida con colpi di tallone e sferzate, colpendo con una bacchetta che ha raccolto nel bosco, e non mancano incitamenti verbali umilianti.
“Muoviti, sei solo una bestia, che vive per servire come mezzo di trasporto per degli esseri superiori come me! Cammina incapace!"
La Signora Adriana non smonta fino a che non sono arrivati al divano, mentre io Le avevo aperto la porta.
L'entusiasmo del Padrone di non deludere la moglie era superiore al suo sfinimento.
Ragione per cui, trasporta, con uno sforzo sovrumano, lentamente sulle scale, la sua dea sempre indifferente della sua fatica.
Arrivati il pony si arresta, ma siccome è fatto senza un ordine preciso, la cavallerizza gli fa compiere un giro del salone.
Una volta che Lei si è accomodata, il pony si accascia esaurito a terra; passato qualche minuto, chiede alla moglie:
“Mi sono comportato bene? Hai gradito montarmi, e continuerai a farlo?”
La risposta fu una violenta precisazione.
“Bestia, brutto animale, non sai che a una PADRONA ci si rivolge sempre con reverenza e mai con domande! Se non lo hai capito, da oggi ti cavalcherò quando lo desidero! Adesso sono stanca, e siediti sul divano, riprendi il ruolo che ti spetta!”
Immediatamente si rivolse a me:
“Adesso ti occupi dei miei piedi sudati, lercio leccapiedi. La tua lingua non merita altro che lavare delle piante di piedi sporchi. Avanti, schiavo di merda, obbedisci!”
La presenza della moglie era una specie di panacea per Lui.
Gli dava un senso d’onnipotenza che voleva dimostrare ad ogni costo.
Si accomodò al suo fianco e iniziai baciargli le scarpe per poi con i denti sfilargliele.
Dovetti quindi leccare le piante dei piedi, con linguate lente dal tallone fino alla punta dei piedi, in seguito imboccare l’estremità del piede per succhiare dita e calza.
Le calze, quando furono fradice di saliva, ricevetti l’ordine di sfilarle, sempre con la bocca, per scoprire un paio di piedi odorosi e molto sudati.
Ebbi l’ordine di odorare per bene quei piedi esprimendo, nel frattempo, la mia gioia per eseguire quell’atto umiliante.
“Padrone l’odore dei suoi piedi è buonissimo, la ringrazio per il permesso di gustare il sudore delle sue divine estremità.”
A ogni mia affermazione la coppia di Padroni mi rideva sguaiatamente in faccia, ed era veramente divertita dalla mia umiliazione, del limite verso il quale mi poteva portare con la mia consenziente sottomissione.
Stanco di deridermi, il Padrone mi ordinò di ripulirgli il piede a leccate, riprendendo a passare la lingua dal tallone fino alle dita, come prima, ma ora sulla nuda pelle fino alla completa pulizia.
Poi passai a leccare e succhiare uno a uno le dita del piede, ed infine introdurre la lingua negli spazi interdigitali infinite volte fino a nettare completamente ogni recondito angolo del piede, ripulendo il sudore ed altro dalle estremità del Padrone.
“Forza schiavo di merda. Sei qui per pulire. Vedi di darti da fare con sollecitudine e impegno. Sei qui per eseguire questi lerci lavori. La cosa ti farà sicuramente piacere servilista come sei!”
Al termine della leccatura, soddisfatto della mia opera, m’infilò tutte le dita del piede nella bocca e mentre succhiavo il piede, ormai lindo disse che lo stesso trattamento l’avrei riservato ai piedi della moglie, che ghignando pregustava l’umiliazione.
“Dovrai usare la stessa sensualità e degradazione, che hai dimostrato con i piedi del tuo Padrone, altrimenti la pagherai cara! Dimmi quanto desiderio c’è in te di lavare i miei piedi zozzi e puzzolenti. Pregami di consentirti di appoggiarci le labbra. Lo sappiamo che vorresti farti una sega mentre mi annusi e baci i piedi, perché sei un porco che gode e si eccita con queste schifezze. Ringraziami per l’occasione che ti è data, leccapiedi!”
“Padrona la ringrazio infinitamente per la fortuna di poter gustare l’odore dei suoi magnifici piedi, la imploro di lasciarmi pulire con la bocca le bellissime estremità. La supplico, adorare i piedi sporchi è la cosa che desidero e sogno continuamente.”
“Bene, dopo quest’atto d’amore la Padrona s’aspetta che ti comporti con l’ardore di un cane in calore. Al lavoro bastardo!”
Fu un po’ più difficile servire i piedi della nuova Padrona, dopo aver leccato a lungo quelli molto sporchi del Padrone.
Oltre a questo dovevo sforzarmi di essere appassionato a leccare con passione quelle estremità, mentre si faceva sentire un po’ di stanchezza nella mia lingua che leccava senza posa da mezz’ora.
A questo scopo, il Padrone si era posto dietro di me e incitava eseguire nel migliore dei modi il mio compito.
Sculacciate a piene mani sul mio sedere proteso, essendo a quattro zampe davanti ai piedi della moglie e calci sulle mollette penzolanti dai capezzoli, sensibilissimi e già doloranti dallo strozzamento delle impietose ganasce fissate da Lady Antonella.
Per soddisfare il Padrone, sembrava quasi che andassi a cercare dove puzzava di più il piede, per sprofondare sempre di più nella vergogna; una cosa che le persone normali sono schifate di sentire appena lontanamente.
Io da vero leccapiedi la bramavo e la desideravo sempre di più!
Eseguivo il mio compito di schiavo leccapiedi ed ero costretto ogni tanto a dichiarare la mia gioia per l’atto che stavo eseguendo e richiedere maggiori porcate per le prossime volte.
“Allora schiavo, contento? Per la prossima volta cosa desideri? I tuoi Padroni saranno felici di poterti accontentare!
“Vi ringrazio per l’onore concessomi di lavarvi i piedi con la mia lurida lingua. Sono felicissimo e vorrei che la prossima volta fossero più sporchi e più puzzolenti, da fare in modo che la mia lingua s’impregni del sapore del vostro sudore!”
“Va bene. Dato che lo vuoi e c’implori, vedremo di accontentarti, lurido leccapiedi, ti porteremo ancora più in basso nelle sozzure più schifose. E’ bello poter disporre così di un essere umano depravato e abbietto come te!”
Al termine della leccatura, quando la Padrona ritenne il lavaggio soddisfacente e non trovava per degradarmi ulteriormente, mi fu concesso un quarto d’ora di sosta.
Fui costretto a restare sdraiato per terra ai loro piedi, mentre la Signora Adriana appoggiava un piede sulla mia faccia e con l’altro, torturava i capezzoli muovendo le mollette ancora pinzate a loro, facendomi guaire come un cane.
Era un suo espresso desiderio, non voleva sentire urla ma guaiti da cane; in pratica non fu proprio un momento di relax per me.
“Sai caro, lavorare, per una donna, è veramente pesante. Tutto il giorno fuori e poi al rientro a casa ti restano tutte le faccende domestiche da fare. Per fortuna che ho scoperto questi tuoi schiavi, capito il tuo vizietto, e quindi dovrei aver risolto questo problema. Vero? D’ora in poi, caro, se ne occuperà lui. E’ chiaro?... Credo proprio di sì; a ogni modo la cagna sarà il tuo giocattolino, mentre lui sarà il nostro schiavo.”
“E’ a tua disposizione.”
“Non sarò molto tenera con lui, per essere precisi, per niente.”
La Padrona dimostrava che era schietta e decisa.
“Non mi conoscete molto bene, e non sapete che ho sempre desiderato un essere di sesso maschile come inferiore, animale sbavante!”
“Tu? Lo faresti davvero? Una donna che pensavo così gentile... Ti faccio un’ultima domanda: e per cavalcare?”
“Lui sarà la nostra bestia, quando faremo delle passeggiate assieme, io Prenderò la cagna come cavalcatura… se poi ti riferisci a noi, beh, mi divertirò, stanne certo!”
“Ok, bene!”
Poi la Padrona rivolta a me, mise in chiaro la situazione.
“Adesso puliscimi gli stivali con cui tornerò a casa! Con la tua merdosa lingua, ovviamente, e fallo bene, cane.”
Dopo parecchi minuti, passati a leccare, erano talmente lucidi che ci si poteva specchiare.
L’umiliazione cui mi aveva sottoposto però non la soddisfaceva.
“Sì, sembra tu abbia fatto un discreto lavoro. Mi pare però abbia dimenticato un piccolo particolare. Chi dovrebbe pulire la loro suola? Non vorrai usare degli stracci? Ti sembra una cosa giusta sporcare dei pezzi di tela quando c’è già la tua lingua zozza?… No! Vero? Allora diamo una bella rinfrescata anche alla suola. Speriamo abbia pestato solo fango e non ci sia altro la sotto. Mah, Intanto lecca, poi vedremo. Dai, veloce, così quando avrai finito, potrai prenderne quelle del Padrone, magari meno sporche, e ricominciare da capo. Ti affido il delicato compito di lustrare a dovere tutte le nostre scarpe, almeno una volta la settimana, pulendo dallo sporco quelle che useremo, e togliendo la polvere alle altre. Mi raccomando. Fallo bene e sempre con la lingua. Trovando anche un solo paio, leggermente sporco o opache, mi obbligherai a farti leccare anche il pavimento su cui camminiamo!”
Era sadica, molto più del Padrone, quindi iniziai lucidare il paio di stivali che voleva indossare, e che avevo in precedenza ammirato. Sembrava non avessero mai avuto una pulita.
Dal quel giorno servii come schiavo una nuova coppia di PADRONI.
Ero molto eccitato, e morivo dalla voglia di conoscerlo.
Chiacchierando, aveva messo in luce il doppio pensare dell’hobby “particolare”, per me “divertente”, come quello in cui sentiva il bisogno di essere cavalcato da Donne, ma anche di montare un essere umano come pony, su quattro zampe; rammaricato, nel primo caso, di avere avuto solo un’occasione, e per gioco, per soddisfare il suo capriccio!
Pensai di poter ricambiare la voglia del Padrone, farlo divertire servendogli da pony, sgroppando appoggiato a una sedia a rotelle, ero incuriosito dall'idea.
Avevo trainato calessi, cavalcato a quattro e due zampe, ma mai stato montato in quel modo, e dopo alcune remore logistiche, il Padrone ebbe un’idea.
Doveva rimodernare un’abitazione di campagna, ed io avrei svolto le mansioni di uomo tutto fare, mettendomi a sua totale disposizione, ricambiando il favore di cavalcarmi, sgobbando da mattina a sera.
Avrebbe svolto dei sopraluoghi, cavalcandomi durante l’ispezione, ma per essere certo del mio costante impegno, mise a controllarmi un’amica, esperta cavallerizza.
Possedeva un vero cavallo che cavalcava regolarmente nel parco della villa, e passò a descrivere l’attrezzatura di cui disponeva.
Oltre ai soliti equipaggiamenti di cui dispone un’appassionata d’equitazione, aveva fatto modificare una sella, adattandola per essere sistemata sulle spalle di un essere umano; provai un attimo di timore!
Era una Donna dal fisico sodo, magnifico, che sprizzava cattiveria, al contrario del Padrone, che aveva espresso qualche dubbio nell’uso di frustino, speroni, tanto Lui era rispettoso delle bestie da cavalcare; cosa che Lei cancellò immediatamente:
“Avere delle remore, pietà, con chi, con degli esseri inferiori? Naturalmente durante il soggiorno sarà solo un servo, con chiunque frequenterà questa casa! Lo userò in ogni modo, crollerà per la fatica, ma ti assicuro che alla fine concorderai con me di usarlo in casa tua, come schiavo!”
Anche il Padrone era titubante di fronte all’amica; da qualche tempo gli aveva espresso i suoi sogni segreti, il suo sadismo, ma non credeva di fronte a tanta decisione, e come affrontava quella che era la loro prima esperienza da Padroni.
Lui pensava di cavalcarmi, ma non preso in considerazione di sfruttarmi come un servo, al massimo pensava di farsi pulire gli stivali o altre piccole mansioni, ma non di maltrattare un essere umano, facendolo vivere come una bestia.
Il lavoro di ristrutturazione era, infatti, una copertura per giustificare la mia presenza alla moglie; lavoravo per ricambiare l’ospitalità, e l’amica era la mia compagna.
Sognava di venire a controllare i lavori, e una volta bardato come un cavallo, farsi una stupenda cavalcata nel bosco adiacente, seguiti dal suo cane.
Eravamo perplessi, ma Lei lo rassicurò e incoraggiò:
“C’è sempre una prima volta per tutto. Non preoccuparti, è un tipo forte, da come sembra, e portarci non dovrebbe essere un problema; inoltre disponiamo d’alcuni attrezzi per sollecitarlo, negli eventuali momenti di flessione. A servirci bene, gli insegnerò io, così un giorno lo potrai regalare a tua moglie, per svolgere l’attività domestica, e se non lo accetterà, potrai sempre farmene dono.”
Erano eccitati, e dopo essersi scambiati un bacio di saluto, il Padrone salì in auto per ritornare in città senza considerarmi, e capii che la mia schiavitù aveva inizio.
Rientrammo in casa e le prime parole che ascoltai dalla Padrona, accomodatasi su di una poltrona, furono:
“In ginocchio, schiavo!”
Mi posi di fronte a Lei che subito disse:
“So che sei un ottimista, ma lo vedremo dopo un po’ di tempo se non hai difficoltà. In ogni caso voglio essere svegliata alle dieci, e mi servirai la colazione a letto, ma dovranno essere almeno già tre le tue ore di lavoro di ristrutturazione. Il programma della giornata normale di ammodernamento, perché per le “mie” giornate festive questo dipenderà molto dalla presenza del tuo Padrone e dagli impegni famigliari, sarà sempre di lavoro per te, intervallato dai pranzi da preparare e servire, anche se dovrai essere pronto per ogni mia esigenza. Verso sera ci sarà il sopraluogo del Padrone, che vorrà di certo cavalcare. Se avrai tempo libero, non preoccuparti, li trovo i lavori da fare, eccome se li trovo. Per adesso abbiamo parlato dei lavori di routine, come pulire i pavimenti, spolverare e lucidare la cucina e i bagni dove alloggiamo Noi Padroni. Questo sempre, poi, a rotazione, nell’arco di tre giorni, dovrà essere pulito tutto quanto c’è nelle nostre scarpiere, eseguito il bucato, per poi stirare tutto quanto il giorno dopo. Ricordati che la nostra biancheria intima e devono essere lavate con la massima cura. Ho dimenticato qualcosa?”
“Non mi sembra Padrona.”
“Sì invece. Anch’io ti cavalcherò quando vorrò. Per altre incombenze, non c’è problema, saranno disposizioni che ti darò al momento.”
Da quel giorno mi vestii con un paio di vecchi jeans sbiaditi, stracciati, e una t-shirt che, giorno dopo giorno, si lacerava per i colpi di frusta di Padrona Antonella, che sorvegliava i lavori, immedesimata sempre più nel ruolo.
Il Padrone Iniziò a pretendere sempre di più: i lavori sulle strutture della casa eseguiti alla perfezione, utilizzando i migliori materiali a mie spese, e fermandosi a cena con Padrona Antonella, dopo avermi sfiancato cavalcandomi.
Questa era la situazione che si ripeté tutte le volte che il Padrone venne a controllare i lavori.
La Padrona, non appena era l’ora prevista per l’arrivo, mi richiamava verso la stalla, dove dormivo, indicava l’attrezzatura per iniziare a bardarmi.
Prendeva il morso con briglie e redini, e lo assicurava nella bocca, legandolo strettamente alla parte posteriore della testa.
Premeva nella parte posteriore della bocca, ed era così stretto che, oltre far male, non permetteva più di parlare, al massimo di emettere a malapena dei suoni.
Lady Antonella legava le redini a un anello al muro, e a quel punto mi rendevo conto che non avevo alternative; gridare era impossibile, e anche se avrei potuto, non c’era nessuno lì vicino.
Mi collocava la sella, assicurandola con le cinghie sopra le spalle, sulla cassa toracica, e per obbligarmi tenere il busto arcuato verso il terreno, vincolata a una cintura in vita.
Le cinghie strette attorno al corpo permettevano al cavaliere di sedersi parallelo al terreno, obbligandomi tenere le braccia penzoloni davanti alle staffe, e il collo piegato; quest’ultimo accorgimento era stato predisposto perché chi fungeva da cavallo, sentisse gli ordini trasmessi tramite le redini in maniera cruenta.
Il morso tenuto sempre in tiro dal Padrone, mi avrebbe obbligato alzare la testa per guardare avanti, e questo avrebbe lacerato gli angoli della bocca.
Le prime volte, mi domandai se era stata una buona idea, ma non avevo tempo per pensare: due alette di cuoio erano fissate ai lati della testa, coprendomi la visuale attorno.
Ormai vedevo soltanto davanti, e in quel momento un muro.
In un attimo il tempo passava e sentivo l’auto del Padrone, i saluti affettuosi fra loro, prima di accomodarsi su una poltroncina, e Lei che porgeva la coppia di speroni.
Era un uomo veramente stupendo, vestita da autentico cavallerizzo, con stivali di cuoio marrone, e un cappello da cowboy in testa.
Finito di fissare gli speroni agli stivali, il Padrone impugnava un frustino di cuoio e lo faceva sibilare un paio di volte nell’aria, vicino alle orecchie, come un segnale!
Impugnava le redini, che la Padrona, dopo aver sciolto, porgeva, e si metteva vicino a me, salendo su di uno sgabello: ora poteva salire facilmente in sella.
Messo un piede nella staffa, con un leggero salto era in sella, ponendo l’altro piede nella staffa che pendeva.
Si sistemava comodamente, provando le redini, incurante della fatica che facevo per supportarlo, e una volta accertato che le cinghie erano a posto, colpiva col frustino:
“Yeahhhh!!”
Iniziavo camminare a rilento e, non sentendo successivi ordini, pensavo che dopo di tutto fosse abbastanza facile; il Padrone era pesante, ma ugualmente pensavo di fare una passeggiata piacevole.
Le prime volte furono così, ma seguendo poi i consigli della Padrona, e valutate le possibilità del loro pony, mi abituarono piano, piano, senza farmi presagire che erano entrambi cavallerizzi tutto altro che gentili, anzi il contrario.
All’inizio il Padrone tirava dolcemente le redini, i colpi di frustino erano rari e senza tanta energia, gli speroni sembravano due oggetti coreografici.
Tutto questo fino quando percorrevo del terreno pianeggiante attorno a casa, ma dopo poco si iniziò ad allargare il raggio d’azione, e una volta raggiunsi una ripida salita, che mi preoccupò.
In una frazione di secondi, il Padrone mi tolse tutti i dubbi con due decisi colpi di tallone e chiaramente di sperone nei fianchi, in repentina sequenza, accompagnati da un selvaggio incitamento.
"Yiiieeehaaa!"
L’incitamento a proseguire, aumentando notevolmente l’andatura, era reso più convincente dai colpi di frustino che caddero sulla schiena a intervalli regolari.
Più la passeggiata proseguiva, e più Lui cavalcava in maniera decisa, e sempre più era il dolore.
La schiena era un unico bruciore, i fianchi lacerati dalle rotelle taglienti, e sembrò che da un momento all’altro potesse uccidermi.
In ogni caso, queste cose non interessavano: per Lui ero solo una bestia.
Nello stesso tempo, come tutti gli esseri inferiori, sapevo che la vita era al servizio dei Padroni, e feci sempre tutto il possibile per aumentare l’andatura e di conseguenza la sua gioia.
Come detto, il Padrone si fermava a cena, e iI pranzo doveva essere sempre più raffinati; volevano pranzare nel salone, ed io dovevo andare avanti e indietro dalla cucina con le portate.
Non potevo appoggiare le pietanze e dovevo rimanere in piedi alle loro spalle, pronto a servirli se ne desideravano ancora.
Li servivo come da miglior copione e con i piatti, che io preparavo sempre meglio, erano serviti degli ottimi vini, che aiutavano a renderli frizzanti, e i modi di fare a volte perfino imprevedibili, e durante la cena si scambiavano impressioni sulla giornata umiliandomi e deridendomi.
Di questo racconterò dopo.
Prendeva il caffè e subito, senza mostrare la minima gratitudine, sì alzava dirigendosi all’auto per tornare in città.
A quel punto potevo mangiare, ma di soldi non me ne restavano per acquistare cibo, dopo comprato ogni ben di Dio per loro, per cui non mi restava che mangiare gli eventuali avanzi, e di corsa, perché Lady Antonella faceva di tutto per limitarmi il tempo del “pranzo”, impegnandomi nei più assurdi modi.
Non muoveva più un dito e pretendeva la massima sollecitudine nell’esecuzione di suoi desideri o capricci, e lo faceva umiliandomi.
Oramai ero diventato indivisibile dagli attrezzi di lavoro per la casa, gli strofinacci, detersivi, ammoniaca, spazzole, spazzolini e spazzoloni.
Mi tenevano compagnia tutto il giorno, e giù di braccia e gomiti, senza respiro, da una stanza all’altra, a sgobbare, trovando pure il tempo di farla cavalcare; Lei lo chiamava allenamento per il Padrone.
Una sera Lady Antonella chiese al Padrone qual era il rapporto con me, vedendolo solo cavalcare, e facendomi dipendere da Lei come servizi.
Lei mi fece distendere ai piedi del divano, e usandomi come tappetino, parlarono continuando ad avere, verso di me, un atteggiamento di totale indifferenza, come non esistessi.
"Tu parli con lo schiavo?"
"Pochissimo. Mi sembra sconveniente per una Padrone parlare col sottomesso. Mi sembra di dargli troppa importanza."
"No, io credo che tu sbagli. Senza che loro abbiano a dimenticare la loro condizione d'inferiorità, è necessario parlare. Capire come vivono anche al di fuori delle quattro mura, quali sono i loro problemi, e anche se hanno dei desideri. Devono però essere coscienti del loro stato inferiore. Io quando mi serve, gli dedico un po' di tempo. Mi siedo sul divano, anziché sedere direttamente sopra di lui, mi distendo, lo faccio inginocchiare, e mentre lecca scarpe o piedi, mi faccio raccontare quello che ha provato nell’eseguire i lavori, non disdegnando mai di accarezzargli la testa.”
“Serve? Io preferisco cavalcarlo, fargli sentire la frusta. Non lasciarlo pensare!”
“Sai a cosa serve tutto questo? A non far perdere loro il contatto con la realtà. Altrimenti il rischio è che vada pazzo. Poi c’è né un altro, quando dimostri un po’ di dolcezza, loro ti son molto grati, e tu lo avverti con un rinnovato ardore nel servire.”
"Hai ragione, non avevo mai pensato in questo modo, dargli questa confidenza mi sembrava riduttivo del mio ruolo.”
"Tu sei, in quel momento, il Padrone della sua vita. Non devi dimostrare niente a nessuno. Il fatto che tu ora sei seduto qui, con i piedi su questo tappeto di carne, per te deve essere veramente naturale. Quanto sta facendo, non importa. Tu fai quello che vuoi e basta."
"Si è vero, capisco; credimi, hai una gran capacità di dominare, oltre che classe".
"Ti ringrazio, ma ti garantisco che anche tu non sei da meno,”
Fu così che la volta seguente, quando il Padrone stava arrivando, Lei non mi bardò, ma mi mise un collare da cane, tenendo in mano il guinzaglio.
La scena cui il Padrone assistette la lasciò per un attimo senza parole.
La Padrona mi condusse a fianco dell’auto e mi fece aprire la portiera, prima di farmi inginocchiare per leccargli gli stivali.
Dopo un poco il Padrone mi gelò.
“Allora, cosa fai in ginocchio? Aspetti cosa a stenderti a terra e a farmi da zerbino?”
Ubbidii immediatamente e mi stesi a terra a pancia su.
Lui tirò fuori le sue gambe e poggiò, contemporaneamente, i piedi sul petto, poi tenendosi all’auto si sollevò schiacciandomi.
Rimase in piedi su di me salutando l’amica.
Il Padrone aveva parcheggiato vicino ai quattro gradini che conducevano alla porta d’ingresso; ero steso proprio nello spazio tra l’auto e il primo gradino, permettendo a Lui di passare dall’auto sul corpo, poi alla scala senza poggiare i piedi sulla ghiaia.
“Antonella carissima come vedi son venuto prima.”
“Grazie. Ti ho fatto venire prima perché oggi lo schiavo ti ha fatto dono del calesse, e pensavo fosse bello inaugurarlo con una passeggiata fra i boschi!?”
Lady Antonella parlava, mentre il Padrone rimaneva in piedi sul petto, poi abbassò lo sguardo su di me e, allungato il piede, poggiò la suola della pantofola sulla bocca.
“Non rendi omaggio alla Padrona, schiavo? Avanti lecca la suola, fai vedere al Padrone quanto mi adori.”
Obbedii immediatamente.
Baciai la suola che mi porgeva, mentre Loro continuarono chiacchierare, con Lui sempre in piedi su di me, che si bilanciava spingendo ora su di un piede e ora sull’altro, assolutamente indifferente alla mia sofferenza.
Dopo un quarto d’ora, decisero di entrare in casa.
Vennero a prendermi nella stalla, dove ero stato portato, dopo avermi messo il morso, tenendomi per le briglie, mi condussero a quattro zampe a prendere il calesse; in ginocchio fra le stanghe mi fissai le polsiere e l’imbracatura alla vita, aspettando che salissero.
Un cigolio mi fece capire che erano saliti, e dopo un attimo il classico sibilo nell’aria della frusta, del colpo di prova, ne diede la conferma assieme ad uno strattone delle briglie.
“Alzati. Muoviti!”
Annunciata da un sibilo sinistro nell’aria la prima frustata s’infranse sul mio dorso.
La parte terminale dello scudiscio, composta di numerose, lunghe e sottili strisce di cuoio che terminavano con dei piccoli piombi appuntiti, si avvolse intorno alla scapola e schioccando colpì uno dei capezzoli.
Il colpo fu dato con maestria e il dolore di conseguenza lancinante.
La flessibile frusta che avevano scelto colpì nuovamente, questa volta il fianco della natica, e la zavorra in punta la portò ad arrotolarsi e colpire il corpo.
“Su, al trotto!”
Due colpi di frusta accompagnarono l’ordine.
Feci una serie di passi d'eguale misura e docilmente, presi l'andatura che mi era stata comandata.
Non era particolarmente veloce ma il mio passo molto ritmico.
“Vogliamo goderci il viaggio. Considerala come una seduta defaticante. Vogliamo vederti muovere con un’andatura regolare, senza strappi, ma in ogni caso con un buon ritmo. Le buche prendile dolcemente, non sono ostacoli e quindi vedi di superarle senza brusche tirate.”
Le mie ginocchia si levavano abbastanza alte, per rendere felpato il passo, e facevo grandi sforzi affinché le stanghe fissate ai polsi e l'imbracatura attorno alla vita, fossero tirati uniformemente; non era affatto un'impresa facile trainare il calesse senza sobbalzi, ma in modo efficiente.
Le frustate, dopo l’abbrivio, erano cessate e questo voleva dire che l’andatura soddisfaceva il Padrone.
Faticavo come un matto per tenere quel passo, ed evitare frustate, mentre Loro stavano pigramente adagiati sul sedile imbottito, godendosi il clima e lo scenario attorno a sé, chiacchierando.
Il loro cavallo trainava il calesse con ritmo costante, ma che se avesse rallentato l'andatura o avesse commesso qualche errore di marcia, lui non avrebbe esitato a prendere il frustino dal suo contenitore a tubo, per assestare qualche bella e severa staffilata.
Era la Padrona quella che cercava di coinvolgere il Padrone, innamorato del cavalcare noi “esseri umani”, come bestie.
“Cavalcandolo da sensazioni stupende. Usarlo come un animale, sentirlo faticare sotto di te, come una bestia ormai domata, pronta a esaudire ogni tuo sollecito mi da dei brividi, così come frustarlo mentre ti traina sul calessino, come ora. Vederlo piegato nello sforzo di trasportarci mentre noi chiacchieriamo amabilmente, comodamente seduti, questo è impagabile.”
“E’ veramente bello, come dici tu, vedere la muscolatura tesa al massimo nel suo impegno di muoversi con questo peso da trainare, in questo momento, bene o male, duecentocinquanta chili.”
“Guarda come le cinghie si affossano sulle scapole. Deve essere una tremenda sofferenza perché vedo la bestia che continua a drizzare la testa, allungando il collo, per alleviare la pena. E’ tutto tremendamente piacevole!”
“Lo fa per distendere i muscoli del collo. Pensa come saranno ridotti quando avrà percorso i due chilometri che mancano per portarci alla zona del nostro pic-nic.”
“Sarà divertente!”
“Per arrivarci c’è una salita abbastanza ripida, e lì sarà il massimo. Fai girare il tuo schiavo con uno strattone alle catenelle, vedrai com’è rosso in viso, e siamo solo all’inizio.”
“Hai sentito? Girati, ma continua a marciare, non interrompere il nostro piacere.”
Uno strattone alle pinzette sui capezzoli mi confermò l’ordine.
“Rosso! E’ addirittura violaceo! Avanti, allunga il passo che noi abbiamo fame.”
Seguirono diversi strattoni con le catenelle per sollecitarmi a dettare un ritmo più alto, e varie frustate con cattiveria.
Il Padrone parlava del sottomettermi, e chiedeva a Lady Antonella a proposito.
“Antonella, io non ho mai sottomesso nessuno. Ho visto te con degli schiavi, ma eri ad uno stato avanzato. Ho provato a divertirmi con qualche cagnetta, ma ridurre qualcuno come uno schiavo, una larva umana, mai. Lui, come sicuramente altri, è già una persona portata ad essere destinata ad essere ridotta in schiavitù, ma mi riesce difficile capire come può ridursi a fare ogni cosa noi vogliamo, non avere più la minima dignità. Soffrire, soffrire per poi magari ricevere frustate in cambio. Sono certo che ridurli all’ubbidienza assoluta deve essere assai divertente, ma anche faticoso. Ogni persona non può accettare tutto questo senza un rifiuto, ribellarsi almeno una volta.”
“Non è difficile, ma in ogni caso si tratta di agire gradualmente, per fargli accettare il tutto. Si deve analizzare il suo modo di pensare, capirne i limiti per superarli a uno a uno. Iniziare il sottoposto a capire i nostri gusti e idee, avvicinarlo alla nostra figura sovrastante come un'immagine costante, e in tempo reale farlo partecipe delle nostre sensazioni che lui non può naturalmente avere. Questo trattamento li costringe a tendere verso l'ideale di un essere superiore.”
“E’ sempre un essere pensante!”
“Il suo è uno stato ibrido, metà-umano e metà-animale, che deve essere sfruttato dalla nostra dominante intelligenza, trasformando o addirittura eliminando la porzione umana sostituendola a livello di parte oggettistica. I lavori che lui compie ogni giorno per noi, l'adorazione che ci dedica in silenzio, lo devono aiutare a vivere la sua inferiorità naturale e il suo destino servile, ma anche trasformarlo in un semplice elettrodomestico. Un oggetto che, Noi Padroni, possiamo buttare quando vogliamo. Bisogna insomma abituarlo a non dimenticare mai la sua profonda inutilità per la vita sociale, e farlo sprofondare nel baratro della schiavitù.”
“Lui ha già subito questa trasformazione? Chi lo ha addestrato, perché è veramente un bravo schiavo, deve essere stato veramente in gamba per ridurlo così ben ammaestrato!”
“Lui è un essere molto particolare. La persona l’aveva capito veramente e ha fatto un buon lavoro di base, che poi altri hanno completato plasmandolo. Grazie a loro abbiamo un ottimo schiavo, anche se lui ha reso tutto più facile.”
“In che senso più facile?”
“Lui è uno schiavo nato, e chiedeva di ridurlo un essere che viveva solo per servirci. Penso che anche tu abbia potuto apprezzarlo nel cavalcarlo e calpestarlo.”
“E’ vero.”
“Anch’Io preferisco soprattutto come animale da cavalcare, ma voglio anche che mi accudisca, quindi ricerco un animale d’addomesticare, come dico io -immobiliare-.”
“Spiega.”
“Obbligare il sottoposto in una casa, o in un appartamento, come un segregato. Farlo sentire una parte della residenza dei suoi Padroni, limitando i suoi orizzonti di vita a quelle pareti. Il suo compito principale deve essere la pulizia e la sistemazione di tutto ciò racchiuso tra le sue pareti. Deve identificarsi negli spazi immobiliari nel quale vive.”
“Tu hai fatto questo?”
“Sì e anche bene! Con tatto e sfruttando le loro richieste, ottenevo tutto e avevo a tutti gli effetti, uno schiavo ai miei piedi. Nello stesso tempo li umiliavo moltissimo, per divertirmi e vivere del momento. Li umiliavo trattandoli come animali domestici e anche come dei cavalli. Aveva iniziato anche la fase "mobiliare", ma limitandomi.”
“Penso di capire. Vuoi dire usarlo come zerbino, appoggiapiedi, come ho fatto io con le cagne.”
“Certo ed è quello che io ho messo in atto qui con lui. Dopo averlo abituato a vivere in quella casa come volevo io, dove la sua funzione principale era di rimodernare la struttura, ma anche pulire e servirci, a causa del modo in cui lo maltrattavamo o semplicemente lo ignoravamo, ha preso coscienza della sua totale inferiorità.”
“Ha compreso il suo compito.”
“Ha cominciato a capire che era utile solo per servirci e psicologicamente iniziava a sentirsi molto simile ai mobili di casa tua, più che a un essere umano come noi, esseri troppo superiori a lui. Ti ricordi come ti faceva d’appoggiapiedi o da sgabello? Entrava in competizione con i mobili.”
“Adesso che me lo dici è vero. Utilizzato come poggiapiedi ci metteva tutto l’impegno possibile per restare immobile e stabile come uno sgabello di legno. Era come se fosse offensivo preferirgli un volgare mobile!”
“Tu dovevi vederlo quando lo utilizzavo alla presenza di qualche amica o amico che è venuto trovarmi. Noi sul divano e lui immobile a fare l’attaccapanni, con le braccia tese a supportare tutto il possibile. Poco a poco non pensava più di essere uno schiavo ma un oggetto. Una cosa che "pensa", certamente, ma un oggetto lo stesso, e come dice la saggezza popolare -un posto per ogni cosa e ogni cosa al suo posto-. Io sono stata in grado di fargli capire quale era il suo posto, di fargli entrare in quello che funge da cervello ad uno schiavo, tutto quanto io volevo. Gli ho fatto comprendere che lui dovesse diventare un oggetto, un nostro oggetto, e che lo restasse per sempre. Stare al suo posto di cosa, per permetterci di vivere al nostro posto di PADRONI!”
“Ci sei riuscita bene. Mi credi se ti dico che non mi ricordo la sua voce?”
“Sicuro che ti credo. La usa solo per implorarmi, sottovoce, e quasi mai in tua presenza. Per il resto non serve risponderci, sapendo che doveva soltanto ubbidire a qualsiasi ordine.”
“Si sente proprio un oggetto. Qual è quello che gli riesce meglio?”
“Il massimo è quando lava la biancheria e pensa di essere una lavatrice. Lo stimolo nel suo feticismo con un piacere sadico, fino a fargli desiderare di essere uno dei miei abiti o la biancheria intima, proibendogli ogni contatto diretto con il mio corpo divino. Per questo ultimamente dorme nell’armadio a muro in camera mia, che ormai utilizzo solo per abiti impregnati dal mio odore e sudore, sporchi, nell’attesa di essere lavati. I piani superiori di quest'armadio sono riservati agli abiti o scarpe, il piano inferiore destinato a lui per i suoi periodi di riposo o quando lo voglio alla mia presenza nei momenti di sesso con altri, ma senza che lo vedano. Durante il lavaggio a mano di un reggiseno, di un paio di mutande, o in occasione della stiratura meticolosa di un abito, lui immaginava di essere quella biancheria a contatto con la mia pelle. La invidia perché aderendo al corpo s’impregna del mio profumo e del mio odore intimo, specie dopo un orgasmo, un piacere a lui vietato.”
“Specialmente dopo che è venuto trovarti un amante, credo? Sadica fino in fondo!”
“A proposito da una tirata ai morsetti dello schiavo e fai aumentare il passo, ma senza scrolloni!”
“Subito! Muoviti bestia, hai sentito la Padrona? Vuole più ritmo! Allunga il passo.”
Continuai per un paio di chilometri sul sentiero tutto in leggerissima salita, serpeggiando nel boschetto che fiancheggiava la boscosa collina, quando un improvviso comando con le briglie, il Padrone mi diresse in quella direzione.
“Siamo arrivati alla salita, Antonella. Dici di usare anche la frusta per fare affrettare il passo e goderci il suo sforzo?”
“Usala per divertirti!”
Davanti si presentò la salita che già conoscevo per averla fatta con la Padrona, ed io cominciavo a dare segni di fatica.
Il Padrone colpì.
Swisch... swisch… swisch... swisch…
Le parti terminali della frusta con i piccoli piombi appuntiti guizzarono sopra la mia carne sudata delle spalle, lasciando sottili striature.
Mi lasciai sfuggire dei lamenti tipo guaito e quasi inciampai nell’atto di dare impulso al movimento.
Un’altra serie di frustate, con i piombi che si aprivano a raggiera, colpendo una maggiore superficie, mi fecero riprendere le forze e ricominciare a trottare con un ritmo abbastanza veloce.
Le striature aumentarono non di poco, con qualcuna che iniziava sanguinare in modo leggero; il Padrone, ottenuta la velocità desiderata, si lasciò cadere sul sedile con disinvoltura, gli interessavano solo i risultati, e ripresero chiacchierare.
La mia evidente fatica non li riguardava, così come le ferite; ero solo una bestia.
Finalmente superai i due piccoli tornanti di quell’interminabile salita e il sentiero si aprì sullo spazio aperto, dove altre volte la Padrona aveva fatto il pic-nic e mi fermai.
Swisch... swisch… swisch...
”Chi ti ha detto di fermarti fulmine? Portati dall'altra parte del campo.”
Appresi da quel momento di avere un nome…
Ripresi l’andatura attraverso la radura ma, ormai stanco morto, inciampai e caddi attraversando un tratto sabbioso, e mi presi altre due frustate.
”Rialzati animale! Avanti! Giù per quel sentiero sabbioso, poi di nuovo su! Lo faremo per una decina di volte. Vedrai come mi divertirò quando il calesse s’insabbierà!”
Ripresi a marciare ansimando fra le sbarre del calesse, incitato a più riprese dalla frusta; in discesa non c’erano problemi, ma in salita era drammatico.
Le ruote affondavano, la frusta colpiva impietosa, col Padrone che si accaniva a colpirmi, nonostante questo doveva essere un allenamento defaticante.
Alla fine della quinta risalita mi fermò.
“Va bene. ...... No, non va bene per niente, ma se non voglio vederti morire e tornare a casa a piedi, devo fermarmi. Scendi di nuovo, e vedi di dissetarti al torrente.”
Ero arrivato a uno spiazzo su di un’ansa di un torrente, e appena mi diede lo stop m’inginocchiai per farli scendere: volevo infilare la testa nell’acqua fresca.
Fui legato a un albero nelle vicinanze e le redini, allacciate con molta maestria, non permettevano di raggiungere la limpida acqua del torrente ma dovevo accontentarmi dell’acqua salmastra di una pozza limacciosa.
Era inoltre l’unica zona di ghiaietto in mezzo a zone sabbiose.
Seduti all’ombra, i Padroni avevano iniziato a consumare un ricco spuntino e si divertivano a buttare degli scarti ai bordi dello spiazzo, irraggiungibili da me ma che erano prede del cane.
Avevo, infatti, la compagnia di un cane che la Padrona aveva portato con sé dalla città e che ci accompagnava in tutte le uscite.
Sembrava addirittura addestrato per affamarmi perché, ogni qualvolta lo guardavo mangiare, lui contraccambiava lo sguardo ringhiando.
“Ti ricordo che sei un equino e l’erba, soltanto l’erba è per te. Strappa i ciuffi vicino a te e ingoiali con la radice. Puoi pulirla dalla terra lavandola nella pozza!”
Ero intento liberare una parte della pozza dal limo per bere e con la coda dell’occhio la vedevo bersi un calice di vino, preso dalla cesta da pic-nic dietro al sedile.
Dopo una mezz’ora abbiamo ripreso il viaggio di ritorno e al termine della discesa pensai come io avessi percorso soltanto 3 chilometri, che sommando i 2 per arrivare alla cascina e quel fatto a salire e scendere portavano il conto a 6, ma ne mancavano ancora per i 10 da programma.
Non pensai a lungo, perché uno strattone alle redini mi fece capire di svoltare nella direzione opposta, appena arrivati sul sentiero dei boschi.
“Fulmine, riprendi il trotto defaticante e riscaldante per 2 chilometri. Lady Antonella mi ha detto che troveremo una gran quercia dove il sentiero compie una specie di rotonda attorno. Da lì, alla casa, secondo delle misurazioni fatte da Lei, ci sono 4 chilometri a casa. Bene, da lì alla meta la farai al galoppo, e pretendo che tu tenga una velocità media di almeno 5 chilometri l’ora.”
La frusta adesso schioccava sulle natiche e sulle spalle dolcemente, per riscaldare anche loro, e per farmi trottare a una buona velocità, un vero e proprio allenamento.
Ero preoccupato per quello che mi attendeva.
Non avevo mai percorso più di 500 metri di seguito al galoppo, anche se a una velocità media vicino ai 10 chilometri l’ora, ma quella distanza m’impensieriva.
In ogni caso, non appena circumnavigata la pianta, la frusta prese a colpire selvaggiamente.
Iniziai a correre, o siccome io ero un cavallo. a galoppare, a una buona velocità.
“Brava bestia, galoppa e rendi felici, fieri i Padroni. Fai sentire il vento in faccia!”
Ansimavo e correvo, cercando di coordinare il respiro e rendere di più nello sforzo.
Non avevo cedimenti eccessivi, ma non appena accennavo a rallentare la frusta colpiva con più frequenza e intensità.
“Vai così fulmine. Rallenta e ti levo la pelle a scudisciate!”
Era una forma di prevenzione la sua, colpiva per evitare di percuotere quando era ormai tardi!
In trentanove minuti arrivammo alla cascina, e la media fu superiore a 5 orari, ma questo non mi valse nessun elogio, anzi.
“Ti do cinque minuti per riprenderti. Poi in casa a servirci schiavo!”
Quella sera cucinai la cena e gliela servii a fatica, mentre loro gettavano prelibati bocconi al cane.
A quel punto Lady Antonella propose al Padrone:
“Perché non porti qualche cagna a servirci; in queste occasioni servirebbe!”
“Certo cara, e te la farò montare, così passeggeremo assieme!”
“Perché non ti fermi una notte, quando porti la cagna, ho un nuovo paio di speroni che vorrei regalarti, da usare con il tuo cavallo. Sono a stella di cinque punte, solo appoggiarli fa male, poi sta a te affondarli e lasciarli nella carne per un sollecito continuo, se non strisciarli sulla pelle di questa bestia, tagliandogliela. Per le nostre passeggiate, io ne userò un altro paio, in ogni caso molto efficienti. L’importante è che i tagli provocati dalle fruste e dagli speroni siano curati immediatamente, con disinfettante e pomata cicatrizzante, anche se il rischio di segni permanenti non può essere completamente eliminato.”
“Lo medicheremo dopo, e gli speroni li proverò volentieri. Grazie, ma dimmi ancora del tuo programma...”
“Ti propongo di fargli provare tre o quattro giorni di una “vita equina”, usando la tua cagna per tutte le altre esigenze. Ti va bene?”
“Perfetto!”
“Immaginalo a pascolare da ore, magari sotto la pioggia, nudo, e tu lo guardi dalla finestra. Ti sei appena svegliato, alzato da un letto caldo, e non hai passato la notte in una stalla.
Lui sta strappando fili d’erba da mangiare, affamato, zuppo anche solo di rugiada, mentre tu stai aspettando che ti portino caffè, brioche fresche e altre leccornie. In una bella giornata, la colazione potrai fartela servire in terrazza, chiamando la bestia ad osservarti dal basso mentre mangi, facendolo sbavare.”
“Domani chiamerò la cagna di turno, e passerò la notte qui. Sei forte, Antonella!”
Mentre il Padrone si allontanava in macchina, fui condotto alla stalla, e per arrivarci dovetti scendere le scale e attraversare l’aia, con Lady Antonella in groppa, che continuava a tormentarmi a colpi di tallone.
Aperta la porta della stalla, mi fece entrare.
“Buonanotte schiavo. Domattina sgobberai, poi mi farò una passeggiata nel bosco, con te a quattro zampe, e io in groppa, ma forse questo era inutile dirtelo. In quella borsa sulla parete ci sono delle pomate, mettitele. Questa notte non ho voglia di perdere del tempo a medicarti!”
Girò sui tacchi e se ne andò, mentre presi a curarmi.
All’indomani il Padrone arrivò accompagnato dalla schiava, ed io, com’ero stato abituato ultimamente, corsi a fornire la mia prestazione da tappetino.
La schiava era scesa ad aprirgli la portiera, così che il Padrone scese sul mio petto, schiacciandomi sotto di lui.
Rimanendo in piedi, attese che Lady Antonella scendesse le scale, e fece stendere la schiava al mio fianco, dopo averle allacciato il guinzaglio al collare.
Lady Antonella salì sul suo corpo, e si scambiò un bacio di saluto col Padrone, allungando contemporaneamente il piede verso la bocca della cagna.
“Non rendi omaggio alla padrona, schiava? Avanti, bacia il piedino.”
La schiava obbedì immediatamente.
Baciava il piede che Lady Antonella le porgeva, mentre il Padrone sghignazzava, perché, nel frattempo, Lei aveva appoggiato l’altro tacco su una mammella.
A questo punto decisero di entrare in casa.
Il Padrone, non appena salito sui gradini, diede uno strattone al guinzaglio, e la schiava carponi lo seguì come una cagna, mentre la Padrona mi riportò in stalla.
Puntuali, alle dieci, dopo aver mangiato la colazione in terrazza, serviti dalla cagna, i Padroni si avvicinano allo spiazzo, dove ero stato portato dalla schiava a pascolare, fin dal mattino alle sei.
Ora lei li segue già bardata, e portava anche la sella e i finimenti per il sottoscritto.
Gli stivali dei Padroni sono muniti di speroni a stella, molto simili fra loro, e in mano hanno un corto frustino e una lunga frusta da calesse.
Prima di cavalcare vollero farci scaldare e quindi ci legarono una lunga corda, facendoci girare in tondo a varie andature.
Sudavo e soffrivo, soprattutto quando usava la frusta per spronarmi, ma dopo un po’ giri dava la possibilità di prendere uno zuccherino che gettava a terra; prendevo fra le labbra quello zuccherino, e succhiavo avidamente.
Dopo una mezz’ora, decisero che era ora di partire.
La Padrona, aiutata dalla serva, mi mette i finimenti; un morso con paraocchi e briglie che, tramite mollette, collegano e tengono in tensione i capezzoli, sulla schiena mi fissa la sella dalla quale pendono due staffe, e raggiante annuncia al Padrone che sono pronto.
Avevo molti lividi su tutto il corpo, anche se non dolorosi come al momento in cui erano stati provocati, ma i capezzoli mi facevano vedere le stelle al solo sfiorarli, figurarsi dopo la bardatura.
Le selle erano le medesime del trasporto a quattro zampe ma fissate in maniera differente; assicurate con delle cinghie sopra le spalle, sulla cassa toracica, e poi vincolate a una cintura in vita, obbligandoci a tenere il busto leggermente piegato.
Le corregge erano fissate attorno al corpo in modo che la sella, con l’aggiunta di gomma spugna dura a forma di cuneo, sistemata sotto, fosse parallela al terreno.
Quella posizione mi obbligava a tenere le braccia davanti alle staffe, penzolanti minacciose all’altezza della pancia, e il collo piegato in avanti.
L’ultimo accorgimento era predisposto perché noi bestie sentissimo, in maniera cruenta, gli ordini trasmessi tramite le redini: il morso tenuto sempre in tiro dal peso del Padrone ci avrebbe obbligato ad alzare la testa, per guardare avanti, e questo ci avrebbe lacerato gli angoli della bocca, indolenzendo il collo.
“Muoviamoci. Non vedo l’ora di martoriare la mia cavalcatura.”
Il Padrone era eccitato, e dopo avermi fatto inginocchiare per permettergli di salire più comodamente, mise il piede sinistro nella staffa e con leggero salto fu in sella.
Pose l’altro piede in staffa, e si sistemò comodamente, provando le redini, incurante della fatica che facevo per supportarlo.
Una volta accertato che le cinghie erano tutte a posto, colpì col frustino il sedere e ordinò d’alzarmi.
“In piedi animale! Si va, Antonella?”
Portò i piedi avanti, uno strattone doloroso alle briglie, per poi colpire violentemente la pancia, penetrandola con gli speroni.
"Giddyup!”
Avevo iniziato a camminare con un buon passo ma più la camminata proseguiva e più Lui cominciò a cavalcare, frustare e speronare in maniera decisa, come anche Lady Antonella d’altronde.
A un certo punto, a forza di aumentare il passo, mi sono messo a correre.
Lui tirava le redini per tenersi meglio, colpendo con ripetute speronate violente.
“Dio, che bello! Yeeehaa! Vai fulmine!"
“E’ vero… galoppa schiava!”
Fece eco Lady Antonella colpendo la cagna, che montava con maestria e la stessa cattiveria con cui cavalcava me gli altri giorni.
Il Padrone era sicuro in sella, con il pieno controllo dell’andatura, accompagnandola con dei piccoli saltelli, e gli speroni continuavano a ferirmi: sembrava che da un momento all’altro potesse realmente uccidermi.
In ogni caso, come tutti gli esseri inferiori, sapevo che la mia vita era in quel momento al servizio del Padrone, e facevo tutto il possibile per aumentare l’andatura e di conseguenza la sua gioia.
Giunti nel bosco i Padroni trovarono il modo di divertirsi ulteriormente.
Traverso al nostro percorso c’era un grosso tronco di mezzo metro di diametro; mi fermai di fronte a quell’ostacolo ma il Padrone mi “convinse” scavalcarlo, salendoci.
Una volta sopra fu deciso nel farmi saltare giù, e durante il salto si sollevò sulle staffe per poi ricadere pesantemente sulla sella quando toccai terra.
Durante salita e discesa, gli speroni erano conficcati nei fianchi.
Lo fecero ripetere quattro volte il giochetto: ci lanciavano al galoppo, in cerchio, fino al tronco per poi farcelo scavalcare e mentre uno lo oltrepassava, l’altro correva alla stessa altezza.
“Facciamo lo stesso gioco con ostacoli più bassi, piccoli tronchi di poco diametro? Con degli ostacoli più bassi possiamo farglieli saltare correndo, ti piace l’idea?”
Suggerì il Padrone.
“D’accordo!”
Trovato quello che cercavano iniziarono a farci correre e quando si arrivava, vicini al tronchetto, ero colpito dagli speroni.
“Hop. Salta bestia!“
I miei muscoli e le ossa erano doloranti, e avrei voluto gridare dal dolore, chiedere di avere pietà, invece mi spettava una cavalcata con un Padrone, che sotto la guida di Lady Antonella, diventava giorno dopo giorno sempre più crudele.
Si era fermato un attimo, e al momento di risalire, era venuto vicino sferzando l’aria con il suo midollo, fermandosi davanti ai miei occhi, rivolti a terra, per terrorizzarmi con i suoi speroni a stella.
Riprese il gioco, che non aveva avuto pausa per la perfida Padrona Antonella, che non s’impietosiva per la schiava alla sua prima esperienza.
Il Padrone mi frenava nella fase senza ostacoli, per poi stimolarmi al galoppo, e questo per diverse volte.
Io ero allo sfinimento, quindi Lui usò ancora di più gli speroni, godendosi l’effetto che aveva sul suo cavallo.
Mi obbligava incurvare il collo su, tirando violentemente le redini, in modo che la mia schiena l’aiutasse a sollevarsi dalla sella.
Io cercavo di alleviare il dolore di quella tensione, ma il Padrone, crudele affondava le punte degli speroni in profondità nella mia pancia!
Grugnivo dal dolore e provavo a ribellarmi, ma tirava ancora le redini.
"Schiena rigida, animale!"
Mi stimolava ancora con gli speroni nello stomaco.
"Più rigido, più duro, stupido cavallo! Adesso muoviti con la groppa come in un trotto! Fammi rimbalzare e divertie, lurida bestia!”
Ha cominciato a muovere le punte dello sperone vicino al mio ombelico ed ha continuato a guidarli sempre più in profondità nel mio intestino, facendo ruotare le rotelle taglienti, su e giù, sulla pelle; lo facevo sobbalzare, mentre i suoi speroni erano ormai stabilmente fissi nella pancia.
Lady Antonella sghignazzava:
“Dacci dentro, è solo una bestia!”
Mentre Lei cavalcava con meno cattiveria…
Il nuovo gioco durò una mezz’ora, per poi riprendere il percorso di ritorno al passo.
Soltanto un paio di volte i Padroni ci trattarono come bestie, in corrispondenza di due salitelle.
“Guarda che bel dislivello quello stradino che sale sulla collina. Sono trenta metri e sale per tre, ma possiamo ugualmente divertirci se li facciamo al galoppo?”
“Hai ragione. Pronta?”
“Pronta! Al mio giddyup partiamo!”
“D’accordo.”
”Giddyup!”
Gli speroni mi entrarono nelle cosce e nella pancia, la frusta colpiva ogni due secondi la mia natica destra, mentre sentivo le briglie lacerarmi gli angoli della bocca.
Si sentivano incitamenti vocali di vario tipo.
“Yeeeaaahh!”
“Hyahh, hyahh!”
“Vai!”
Qualsiasi cosa il Padrone fece per stimolarmi non servì, e mi colpì con dieci frustate sulle natiche, per punirmi.
“Qualche tempo fa ti avevo detto, su Face Book, che ero gentile, che non avrei usato speroni e frustino, in modo cruento… Beh, con te ci vuole ben altro che gentilezza, e non avrò più remore usarli su di te, animale. Bene, adesso te lo dimostro!”
Gli fece eco Lady Antonella:
“Guarda che lo hai massacrato fino adesso; hai perso perché sei più pesante! In ogni caso hai una bella puledrina, oltre che affettuosa cagnetta!”
“Sono così incazzato Antonella… Dai corriamo fin a casa!”
Gli speroni a stella colpirono in una maniera così continua che mi sembrava di averli fissi nelle cosce, e la frusta di midollo fece il resto.
Mi riportarono in stalla.
Avevo dolori dappertutto e non mi accorsi nemmeno che la schiava mi tolse la bardatura; tornò dopo poco, e mi versò a terra il mio pasto per poi allontanarsi.
Divorai tutto: non immaginavo quanto sarebbero stati buoni torsoli di mele e pere, misti a pane secco, dopo 30 ore di digiuno e tutta la fatica fatta.
Probabilmente Lady Antonella l’aveva risparmiata poiché doveva accudire i Padroni, perché il mio stato era pietoso.
I giorni trascorsero sempre uguali , io sgobbavo, Lady Antonella si faceva servire sempre di più, non so che limiti dovrò raggiungere, mi cavalcava a giorni alterni col Padrone, e mi sorvegliava…
Le visite del Padrone con la cagna divennero frequenti, e dopo i soliti convenevoli, le congratulazioni a Lady Antonella di come proseguivano i lavori nella casa, la cavalcata serale, i Padroni si accomodano sulla terrazza, distesi in comode sedie sdraio in vimini.
Noi ci mettiamo accucciati ai loro piedi, in mezzo agli sdrai, pronti a eseguire ogni tipo d’ordine.
Dopo una mezz’ora, solitamente, Lady Antonella, come padrona di casa, si rivolge alla cagna per ordinargli di cucinare la cena, e di chiamarli solo quando pronta.
“Non prima delle ore venti, e non più tardi delle venti e quindici.”
Un certo punto, annoiati, mi agganciarono il guinzaglio al collare e mi trascinarono fuori carponi, nello spazio sotto la balconata.
Mi legarono con delle corde, sospeso a degli anelli del portico.
Cominciarono quindi a girarmi attorno, accarezzandomi tenendo però in mano un frustino; facevano finta di colpire, ma il colpo non arrivava e così era deriso.
Il via fu dato da padrona Antonella, che colpì con violenza, pregando il Padrone di seguirne l’esempio, superare le ultime remore che lo bloccavano.
Cominciò così il mio calvario.
Ero colpito alternativamente ora dall’uno, ora dall’altra, mentre mi sfottevano, poi smettevano per qualche minuto e cominciarono la tortura dei capezzoli, iniziando a pizzicarli forte, per poi applicare delle mollette, e subito dopo colpire i pettorali con delle manate.
Il Padrone torturava i seni, mentre Lady Antonella usava il frustino.
Si stancarono e mi lasciarono lì appeso, mettendo sotto i piedi un pezzo di legno, perché potessi arrivare con la punta dei piedi a toccare; senza di quello non avrei potuto farcela per così lungo tempo a rimanere appeso nel vuoto.
Si volevano riposare e si accomodarono, facendosi portare da bere dalla cagna.
La bibita finì.
Legato agli anelli mi lamentai, dicendo qualcosa d’incomprensibile; i Padronei si guardarono negli occhi e si alzarono.
Misero da parte il frustino di cuoio e presero in mano dei rami di salice piangente.
Il trattamento riservatomi schiava fu molto duro.
I rami flessibili fanno molto male, e poi altre mollette sui capezzoli, e su questi aggiunsero degli oggetti pesanti e li legarono con dello spago.
Chiamata la schiava, Lady Antonella, tenendo in mano gli spaghi, le saltò in groppa e incitò ad allontanarsi.
Urla inumane uscirono dalla mia bocca quando le corde furono in trazione, e ancora di più quando le mollette si staccarono.
Il Padrone sghignazzava e colpiva il sedere della schiava col frustino.
Finalmente mi staccarono e mi sdraiai a terra.
Salirono su quel mio corpo distrutto, tutte e due.
Si sostenevano l’uno all’altra, tenuto conto dell’equilibrio precario, e i tacchi della Padrona penetravano nei capezzoli martoriati!
“Guardalo è proprio una lurida bestia!”
Mi fecero mettere a quattro zampe e cavalcarono assieme, facendomi andare almeno tre volte avanti e indietro sotto il portico, e il pavimento non era moquette.
Intanto la cagna aveva preparato la terrazza, arredandola con la tavola dove si svolgerà la cena.
Nel frattempo ero stato abbandonato a terra sotto il portico a riprendermi, e i Padroni andarono cambiarsi.
Sono davvero bellissimi.
Il Padrone indossa un completo in pelle di color nero, scarpe perfettamente lucidate, e con se ha naturalmente il frustino.
Lady Antonella ha un vestito color rosso vivo, molto scollato, che finisce molto sopra le ginocchia, calze velate, sandali e tacchi a spillo.
Sono davvero degni del ruolo che gli spetta, e si accingono a festeggiare, come il loro rango merita.
Io mi son dovuto trascinare sotto la tavola, per essere un appoggiapiedi, mentre la schiava è disposizione per servire la lauta cena, bagnata da due bottiglie d’ottimo Brunello di Montalcino, che rende ancora di più vivaci i Padroni.
Terminata la cena restiamo lì, nell’attesa per qualche istante finché, ad un certo punto sentiamo la voce molto gentile della Padrona.
“Caspita sono già le 21,30. Dovrete essere affamati ormai. Sono diverse ore che non mangiate. Se non sbaglio una ha mangiato una mela e l’altro, se ricordo bene, ha fatto “colazione” nel prato.”
A questa frase è seguita una sonora risata da parte del Padrone.
Siamo affamati e non ci dispiacerebbe mangiare qualcosa.
“Forza animali correte in giardino, sotto la terrazza. Vi vogliamo vedere a quattro zampe come cani affamati, che sperano di ricevere un tozzo di pane. Comportandovi da bestie dovrete impietosirci, come? Non siamo noi ad avere un cervello d’animali, ed essere famelici: arrangiatevi.”
Ci mettiamo a quattro zampe e scendiamo in giardino.
Cominciamo a guaire, poi la cagna si mette in ginocchio ed agita le braccia nell’aria, come un cane che vuole avvicinare i Padroni.
Io la imito, e aggiungo un verso simile all’abbaiare.
Poi giriamo su noi stessi rapidamente, simulando il cane contento.
Dimeniamo i nostri sederi, come se stessimo scodinzolando, e per finire ci buttiamo a terra con la pancia e gambe in aria.
I Padroni ci osservano appoggiati alla balaustra, e per un quarto d’ora assistono divertiti alla nostra totale umiliazione.
Ci siamo ridotti a due animali.
In ogni modo siamo veramente affamati e in cuor nostro siamo felici quando vediamo del cibo pioverci addosso.
Ci stanno lanciando dei bocconi di carne, verdura, pezzi di cibo ormai reso della poltiglia; sono i loro avanzi dei piatti, che la schiava ha levato dalla tavola, e come ordinato non riportati in cucina, ma posati su un tavolino in terrazza.
Ora riusciamo a capirne il motivo.
I piatti sono rovesciati in aria, sparpagliando il cibo lontano dalla terrazza.
Il cibo finisce a terra e nei viali, sporcandosi, diventando ancora meno appetibile.
Dobbiamo spostarci a quattro zampe alla ricerca del cibo, e quando non ne troviamo, alziamo la testa verso i Padroni, nell’attesa di un altro piatto.
Nel caso che loro non ne vedono dall’alto, c’è gettato dell’altro mangiare, altrimenti dobbiamo seguire le loro indicazioni.
“Bestia più a destra. Più a sinistra.”
“Annusate. Siete o non siete cani. Non sentite il profumo delle nostre prelibatezze?”
“La prossima volta gettiamo merda, allora sì che la trovate sentendo il profumo!”
“Cagna c’è una leccornia proprio sotto di te. Mangiala col culo più in alto possibile.”
“Cane valle vicino, e leccagli il culo. Ha trovato del cibo e merita un premio.”
Sui sentieri in ghiaietto le nostre mani e le ginocchia iniziano a sanguinare.
Questo è un duro colpo per noi, soprattutto per la cagna; la guardo e mi accorgo che ha il respiro che si spezza in gola.
Cerca di masticare quel cibo misto a ghiaia con la sua forza di volontà, ma vedo che lei sta singhiozzando, e che delle lacrime colano sul viso; il Padrone non l’aveva mai maltrattata in questo modo.
C’è vietato parlare essendo cani, per questo io cerco il suo sguardo e le sorrido.
Mi sorride a sua volta e mi guarda negli occhi per un lungo attimo.
In quegli occhi leggo la disperazione di una persona profondamente umiliata, nuda a quattro zampe, mangiando come una bestia affamata, degli avanzi di cibo gettati con indifferenza.
Mangiamo tutto quanto c’è lanciato senza lasciare nemmeno una briciola sul suolo.
“Il cibo è stato di vostro gradimento?”
“Arf. Arf. Arf.”
Mi affretto a “rispondere”.
Ci richiamano al piano superiore, dove Loro si sono accomodati sugli sdrai.
La schiava riassetta, mentre io sto preparando dei bourbon.
Sto servendo i bicchieri, sottovoce, e il Padrone critica.
“Schiavo. Ai miei piedi!”
M’inginocchio davanti alla Padrona di casa e bacio le sue scarpe.
“La lingua, maiale, tirala fuori e leccami la suola. Così impari a farmi sfigurare.”
Ride e guarda il Padrone.
Dopo alcuni minuti di quel servizio, mi manda a ripeterlo col Padrone.
“Spostati strisciando, come un verme!”
Era proprio incazzata.
Il Padrone mi umilia ulteriormente: si mette a muovere il piede qua e là, ed io con la lingua fuori, dovevo essere proprio penoso a vedersi nei goffi tentativi di seguirlo.
Dopo aver reso omaggio al Padrone, sono rimasto a testa china per un attimo.
“Ora basta.”
Esclama il Padrone, scalciandomi in viso, non proprio piano.
“Ora ci divertiamo veramente! Forza, entrambi qui, che vi facciamo vedere cosa ha acquistato per voi il Padrone!”
Così dicendo si fa portare il pacco e lo rovescia a terra: c’è di tutto.
Riconosco subito collari e guinzagli, una palla di gomma, un osso, che deve essere anch’esso di gomma, e alla fine è apparso un nuovo frustino.
Lo raccoglie, e sferza con un sibilo inquietante l’aria, sghignazzando.
“Ecco, adesso ne abbiamo uno a testa.”
E’ simile a quello che i Padroni già usano, e al momento non capisco a chi servirà, forse alla moglie, di cui è attesa una visita?!
“Allora, vediamo. Questo collare, il più grande, va per il cane. Vieni qua, a cuccia, che proviamo.”
Mi avvicino e abbasso la testa, per dargli modo di chiudere la fibbia.
E’ un collare di cuoio, nero, di quelli che si usano proprio per i cani di taglia grande.
“Ti stringe così?”
Mi chiede con uno sprazzo d’umanità.
“No.”
“No, cosa?”
Mi rimbrotta allungandomi un calcio.
“No, Padrone.”
Intanto la Padrona ha fatto avvicinare la schiava.
“Questo più piccolo è per te. Cagna.”
Sistemati i collari, era la volta dei guinzagli, che con soddisfazione ci sono applicati.
“Ora sì che siete dei cani, i nostri cani! Belli! Adesso vediamo come vi comportate al guinzaglio.”
Il Padrone mi strattona energicamente, si alza dallo sdraio ed inizia passeggiare, la Padrona ne segue l’esempio con la schiava, e noi a quattro zampe di fianco a Loro.
Il terrazzo è molto grande e un giro completo è molto lungo.
Ci fanno trotterellare intorno per una mezz’ora; le nostre ginocchia, le mani, già piagate dalla ricerca di cibo, s’indolenziscono non poco.
A un certo punto, strattonandomi con il guinzaglio, il Padrone mi attira verso i piedi.
“Forza, lecca le scarpe al Padrone.”
Rendo brillanti le scarpe che indossa.
Un’altra mezz’ora è trascorsa tra leccate di scarpe e lancio della palla, con riporto e premio: ancora leccate, o castigo se non eravamo bravi a prenderla, calci e schiaffi.
La palla è lanciata contro la balaustra, in maniera tale che può rimbalzare ovunque.
Al momento del lancio dobbiamo partire e prenderla in bocca, riportarla, depositarla ai piedi del Padrone che deve eseguire il prossimo lancio, e leccare le scarpe.
Il perdente si pone di fronte a chi deve punirlo, ed è il Padrone che la lanciata.
Alla fine ci manca di abbaiare, hanno in ogni caso fatto provare anche questo, e siamo dei cani quasi perfetti: pensiamo e ci muoviamo come loro.
La Padrona, diabolica come sempre, ha inventato anche un altro passatempo, con lo scopo di umiliarci ancor di più, se possibile.
I cani lottano fra loro, per la conquista del cibo, e Lei vuole che anche noi lottiamo, anche se non proprio in maniera cruenta, per avere un premio.
Immediatamente il Padrone indica le sue scarpe.
“Questo è il premio. Chi vince potrà leccarle per un tempo che poi vedrò.”
Non m’impegno; sono certamente il più forte ma, per un qualcosa che non so, non reagisco alle prime “zampate” della cagna ed in breve mi metto a pancia all’aria, in segno di resa.
Lei, passando fra le mie gambe aperte, mi appoggia le mani sul petto e, senza una spiegazione, mi da una tremenda ginocchiata ai testicoli.
In segno di vittoria sale con entrambe le ginocchia sul mio sesso e alzando la testa si mette ad ululare, fra gli applausi dei Padroni.
“Brava hai vinto, dai ancora due ginocchiate e poi vieni riscuotere il premio. Muoviti cagna!”
Due tremendi colpi che mi lasciarono per parecchio senza fiato a contorcermi.
“Adesso mettiti ai miei piedi e lecca!”
Il Padrone si sistema per bene, distendendosi sullo sdraio e la cagna si avvicina carponi ed inizia un dolcissimo lavoro di lingua.
“Lecca cagna, fammi vedere la tua felicità per la vittoria!”
Io sono disteso davanti alla Padrona che mi struscia sul viso un piede, per poi mettermi la scarpa in bocca, e non sentire i lamenti, mentre Lei frusta a sangue.
Poi, finalmente a notte tarda:
“Qui fuori comincia a fare freschino. Rientriamo, Antonella?”
La Padrona sibila nell’aria il terribile frustino.
“Schiavo a quattro zampe. Mi farai da cavallo per rientrare in salotto. Tu troietta, a disposizione del Padrone.”
Ci costringono a procedere a quattro zampe fino alle loro camere, e stasera il Padrone se ne infischia, forse per il vino, che mette a dura prova le fragili e sottili braccia della cagna.
“Stanotte vi fermerete nello sgabuzzino delle scarpe e le pulirete tutte. Comprese le suole, e sai come; intesi bastardo? Non m’interessa se la baldracca non potrà darti una mano, o è meglio dire una lingua!”
“Sì Padrona.”
La cagna sta faticando sotto il peso del Padrone e si prende una frustata.
“Smettila di fingere schiava, e galoppa. Stanotte dormirai a fianco del letto; al mio risveglio, subito dopo avermi reso omaggio, voglio essere ancora trasportato, prima di farti una sorpresa…”
Prima di andarmene nello sgabuzzino, la Padrona mi colpisce con dei calci nei fianchi, facendomi rotolare come un fantoccio.
Mi sento debole, stanco e frustrato, molto umiliato: non ci considerano davvero niente, più che schiavi, degli oggetti.
La realtà però mi aspetta; ho l’ordine di mettere in ordine e ripulire, prima ancora di pulire le scarpe, ed il tempo non è tanto.
I Padroni mi hanno concesso anche di mettere sotto i denti qualcosa commestibile, nella tranquillità della cucina, ma sono pur sempre scarti del cucinare della cagna.
Le scarpe dei Padroni, comprese quelle della moglie, non sono tante, una trentina di paia, ma quelli impegnativi sono gli scarponcini e taluni stivali.
Quelle suole artigliate sono ricche di fango secco e devo metterci tutto l’impegno per ammorbidirlo per poi asportarlo.
Le mie elucubrazioni mentali questa notte non sono così votate al pessimismo, anzi.
Ormai mi sono arreso, questa è la mia vita; so bene che vivrò momenti anche drammatici, ma saprò anche viverli per il piacere dei Padroni.
Trovo giusto soffrire per dare la felicità ai proprietari che mi dominano.
Riesco terminare i lavori e trovo anche il tempo di addormentarmi a terra.
Le prime luci dell’alba riescono ad attraversare le persiane della finestra, socchiudo gli occhi e mi rendo conto che non stavo sognando.
Alle 8,45 mi metto il grembiulino, corro nella camera della Padrona.
La porta è aperta e la stanza illuminata.
“Permesso, posso entrare padrona?”
“Entra merda. Sei in ritardo. Ti avevo detto di essere qui per le 10 precise… Inutile spiegare, parlerà la frusta!”
“Scusi…!”
“Zitto coglione! Vai in cucina e prepara la colazione per tre. Latte caldo, caffè, tè, cioccolata, marmellata e biscotti. Tutto deve essere pronto prima del nostro arrivo.”
Esco velocemente, mi reco in cucina, immaginando che arrivi la Moglie del Padrone.
In dieci minuti preparo tutto, appena in tempo per l’arrivo dei Padroni.
Per prima arriva Lady Antonella.
“Ecco la “schiavetta”! Ti dona il grembiulino… Hai preparato tutto?”
A seguire compare il Padrone con la cagna, e già penso che avrò un aiuto, ma con mia sorpresa si sistema anche lei intorno al tavolo.
Senza fiatare, con fare sorpreso, li servo a tavola e, dai discorsi, si capisce che i Padroni, durante la mattinata andranno in città, lasciandomi solo con Paola, che è poi il nome di quella che finora consideravo una mia pari.
Si alzano dal tavolo ed io rimetto in ordine, fino a che mi sento chiamare dalla Padrona, che raggiungo in camera.
Si sta vestendo.
“Noi usciamo e ti lasciamo con la cagnetta Paola. Vedi di comportarti a modo. Non devi fare altro che ubbidire ai suoi ordini, senza discutere. Vedo di comprarti un regalino per ricambiarti. Contento?”
“Grazie Padrona.”
I Padroni escono, mentre io sono al cospetto di Paola, seduta in salotto, e ascolto le disposizioni.
"Speravi che i Padroni ti portassero in città, pensando che fosse meglio affidare i lavori a me. Ti sbagliavi, e ora sono qui a farti sgobbare, e sarò molto esigente!"
“Penso di avere dimostrato che so cavarmela nei lavori domestici.”
Uno schiaffo e una pedata mi colpirono.
“Come sei presuntuoso. Non negherai che per certi lavori le donne abbiano più capacità, in modo particolare se sono delle schiave votate a servire.”
“Sì…”
“Sono, è vero, una cagna del Padrone, ma amo anche essere circondata da persone rispettose delle buone regole, consapevoli del loro ruolo d’inferiorità nei miei confronti. In particolare non amo essere contraddetta e desidero vedere in te una persona assolutamente servizievole, ubbidiente e remissiva.”
“Capisco signora.”
"Bene. Dovrai sempre rivolgerti a me dandomi del lei, come ti hanno insegnato riducendoti in schiavitù. Tra l’altro devi sapere che hanno deciso di divertirsi nel lasciarti nelle mie mani; è strano vero?! Seguimi!"
Si alza ed io le vado dietro goffamente.
Entriamo in cucina.
"Questa sarà la tua principale stanza di lavoro. Dovrai svolgere qui i tuoi lavoretti. Non amo i rumori in casa e non voglio vederti in giro per la casa senza un compito, quindi quando hai terminato con le pulizie, te ne tornerai in cucina nell’attesa di un mio ordine."
Un momento di silenzio.
"Hai compreso tutto? Non ho piacere di ripetermi e non accetto ribellioni. Ricorro a punizioni severe per chi non segue le regole, quindi vedi di adeguarti velocemente."
“Sì, Signora, credo di aver capito."
"No “credo”. Devi aver capito e basta.”
“Sì Signora.”
“Comincerai a pulire i bagni e poi le altre stanze. Mi raccomando esigo una pulizia accurata. Non ti sporcare assolutamente il grembiulino. In cantina c'è un grembiule di gomma per lavori più gravosi. Preferisco che usi quello, piuttosto che vedere anche una piccola macchia sul grembiulino."
Torno dalla cantina e ripiego il grembiulino.
La plastica pesante mi da fastidio.
"Fila a pulire i cessi. Devono essere splendenti prima del ritorno dei Padroni."
Prendo gli stracci e il secchio, lo riempio d'acqua e con i detersivi.
La Signora Paola mi segue.
Mi accorgo che manca qualcosa e sto per tornare indietro quando sono fermato.
"Problemi?"
"Ho dimenticato lo spazzolone. Signora."
"Non serve, puoi fare benissimo in ginocchio, le mani a terra, avrai risultati migliori."
"Così è più faticoso, e ci metto più tempo. Signora."
Mi prende per una mano e torcendomi il braccio mi fa inarcare in avanti.
Con uno strattone mi fa tornare di fronte a lei e mi afferra il mento con la mano.
"Posso andare anche oltre. Non hai che da insistere e potrai provare! Ora, in ginocchio e strofina!"
E' una donna in forze e mi spaventa l'idea di contraddirla nuovamente.
Prendo uno straccio dal secchio e seguendo il dito di Paola mi dirigo verso il water.
Mi metto in ginocchio per strofinare in tutti i punti, anche i più nascosti.
Sciacquo lo straccio per eliminare il detersivo residuo e s’incomincia a intravedere lo splendore.
Nel frattempo Paola segue il lavoro alle mie spalle e solo quando sto per finire di pulire l’interno del water, mi accorgo che si è slacciata la gonna e si toglie gli slip.
Mi scosta e si accovaccia sul water, urinando.
“Non muoverti e guarda la cascata che del mio piscio!”
Resto in ginocchio di fronte al vaso; il getto fuoriesce e schizzando disastrosamente finisce sui bordi, sul pavimento e non solo.
Molti zampilli mi arrivano addosso, sul viso.
"Prendi quella salvietta. Servo."
Riferendosi a una di quelle appese accanto al bidet.
"Cerca di pulirmi per bene, non voglio risollevare le mutandine ancora umida."
Timidamente la tampono e asciugo.
"Scommetto che stai pensando che sarebbe bello poterla pulire di lingua. Vero?"
Si stacca e continua.
"Non ora. C'è il bagno ancora sporco, puliscilo e fai di corsa."
Contemporaneamente mi prende la salvietta dalle mani e dopo averla passata sui bordi del water, mi mostra che è sporca.
"Ti ho schizzato prima, mentre pisciavo?"
Non aspetta la risposta e con un gesto deciso mi strofina sul viso la salvietta sporca del suo piscio; la getta per terra e se n’esce fischiettando.
Riprendo il mio lavoro e ripulisco il nuovo sporco e proseguo con gli altri servizi.
Dopo un quarto d'ora esco dal bagno.
Paola è in sala a leggere il giornale, e mi reco nel bagno del Padrone.
E' arredato con più gusto, ma più disordinato.
Procedo nelle pulizie come di consueto.
Con Paola alle spalle accusavo una sensazione di soggezione che m’impediva di lavorare tranquillamente.
Metto in ordine e finisco le pulizie dei bagni.
Vado in cucina per prendere spolverino, panni e scopa per la pulizia delle camere.
Paola m’intercetta.
"Hai fatto tutto per bene?"
"Sì Signora, ho pulito e riordinato i due bagni come mi aveva chiesto."
"Andiamo a vedere se tu affermi la verità. Seguimi, schiavo!”
Giunti nel bagno padronale lei osserva il grado di pulizia a fianco del water.
“Bene, mi sembra sufficientemente pulito per quello che devo fare.”
Non ci vuole molto per capire quello che intende fare.
La vedo togliersi nuovamente le mutandine, sedersi sulla tazza, per poi cagarci.
Terminato si rialza, senza tirare lo sciacquone.
“Pulisci merda!”
E’ disgustoso ma eseguo come ordinato.
Sono tornato in cucina e dopo poco sento sbattere la porta.
I Padroni sono rientrati, e Paola mi manda a scaricare dalla macchina diversi pacchi con la spesa, bottiglie di champagne e anche due pacchi pieni di cose speciali.
I Padroni spiegano i loro acquisti a Paola e il menù per la cena.
Capisco che dovrò servire anche lei, anche se si accovaccia ai piedi del Padrone, che le accarezza la testa come a una fedele cagnolina.
Completo le mie mansioni e le pulizie restanti, quando la Padrona mi manda a chiamare da Paola.
Paola mi fece togliere la maglietta e mise due mollette per il bucato ai miei capezzoli, per poi farmi mettere a quattro zampe.
Questo comportamento destò i miei sospetti.
Giunti in salotto ricevo un ordine dal Padrone che non posso certo rifiutare.
“Non vedi che abbiamo i piedi stanchi? Tutto il giorno a camminare...“
Senza aspettare altri ordini e senza proferir parola mi appresto, con la massima cura, a togliere gli stivali del Padrone, il quale, nonostante sia già al lavoro sull’altro, mi sferra subito un calcio sotto il mento, indicandomi con il dito della mano destra proteso in maniera nervosa, i piedi dei Lady Antonella.
Mi scuso prontamente e, con garbo, rilascio il suo piede.
Lo accompagnano con delicatezza sino alla moquette, e mi sposto repentinamente verso la Padrona, afferrando delicatamente il tacco del suo stivale destro.
Premendo appena sul tacco le sfilo lo stivale.
Il suo piede, velato da finissime calze e liberato dalla costringente calzatura, ritorna alla luce, provocando in me una sensazione d’immediata eccitazione.
Ripeto la stessa identica operazione con l’altro stivale e mi appresto ad appoggiare le sue estremità accaldate sulla moquette dinanzi a me.
Una reazione del Padrone spaventa anche Lady Antonella, cogliendola impreparata.
“Stronzo cosa fai?! Non vedi che i suoi piedi sono arrossati e molto sudati? Vorresti che li tenesse lì, in quelle condizioni?”
Con la mano destra mi sferra un colpo dietro la nuca, stavolta con una certa energia.
La Padrona beve di getto il cognac servito da Paola, ritornata cagna.
Il gioco si fa serio e l’alcool, di solito, toglie rapidamente ogni inibizione.
Mi ricompongo all’istante, afferro i piedi appoggiandoli delicatamente sul mio viso.
Mi accorgo subito che la costrittiva calzatura ha ottenuto il suo ovvio effetto.
Un odore acre e pungente, inizia a salire fino alle mie narici, mentre Lei invece, non mostra la benché minima reazione.
Rimango seduto innanzi a lei con i piedi sulle guance, in paziente attesa di un cenno della Padrona.
Il Padrone invece fa alzare Paola e fa versare dell’altro cognac.
Totalmente indifferente inizia a parlare con la Padrona di un argomento che è di loro comune interesse.
La chiacchierata prosegue per diversi minuti, nel corso dei quali, la cagna finisce di pulire con la lingua i piedi del Padrone, ed io per dimenticare la presenza di quei piedi profumati.
Fino a che il Padrone, con un gesto della mano, ridesta di colpo la mia attenzione verso di loro; obbedendo al perentorio gesto, porto immediatamente uno dei piedi all’altezza della bocca, aggancio con le labbra, la sottile calza alla punta del piede e con l’aiuto delle mani poste sul tallone, gliela sfilo delicatamente.
Riservo lo stesso trattamento all’altro piede, per poi adagiarli sulla moquette.
Questa volta il Padrone assume un atteggiamento d’approvazione.
Ammiccando verso di Lei, prende il frustino più lungo e lo usa per indicarmi le dita dei piedi di Lady Antonella.
Comprendo subito la richiesta, e utilizzando entrambi i pollici, allargo uno a uno le dita dei piedi passando la lingua nel mezzo, al fine di pulire a fondo e con cura.
Il pessimo stato dei suoi piedi, dovuto al prolungato utilizzo degli stivali, in altre circostanze mi avrebbe creato non poco imbarazzo.
La situazione intrigante, anziché imbarazzo, mi fece eseguire con tanta passione la toeletta ai piedi.
Non appena terminata l’operazione, con la coda dell’occhio, vedo Paola che dedica un trattamento più accurato, di quello che ho appena svolto, ai piedi del Padrone.
La cosa m’infastidisce un po’.
Lady Antonella si sente rilassata e ricaricata nel medesimo tempo.
Il Padrone è ancora molto serioso e dopo aver lasciato terminare a Paola la pulizia, la invita bruscamente a sdraiarsi sul pavimento del salotto.
Lady Antonella lo guarda e sorride.
La sta invitando a praticare una delle loro pratiche preferite e anch’io mi sdraio, accanto a Paola.
Siamo sdraiati sul pavimento, abbiamo la pelle d’oca e lo sguardo fisso al soffitto.
Lady Antonella rimane seduta, mentre il Padrone comincia girarci intorno. Lentamente e con piccoli passi e, mentre cammina, ci guarda dall’alto della sua superiorità, tenendo il collo leggermente piegato.
Il suo volto è disteso, il sorriso è candito e sereno, ma i suoi occhi di fredda pietra, tradiscono torbidi pensieri, e improvvisamente, cala un velo d’inquietudine sui nostri volti; è impaziente di iniziare, e sale sul mio torace.
Mi guarda e mi sorride felice, ma io sono e lo divento maggiormente, quando vedo la Padrona seduta, e intenta a rimettere i sandali.
Il Padrone comincia a strofinarmi il piede sulla bocca, abbassandomi il labbro inferiore: non afferro al volo le sue intenzioni e quindi mi chiede, con una certa rudezza, di cacciare fuori la lingua interamente.
Lo faccio e Lui inizia a passarci sopra la pianta del piede, avanti e indietro.
Gli piace sentire la mia lingua aperta e ruvida strofinare sotto la pianta, e ripete la cosa anche con l’altro piede.
Nel frattempo la Padrona, che si è alzata, inizia a punzecchiarle Paola sul ventre con i tacchi lunghi e affilati, per poi salire con entrambi i piedi sul suo seno.
Un tacco le stava letteralmente forando un capezzolo, strappandole urla disumane.
“Zitta cagna!”
Deve essere veramente doloroso quello che sta sopportando Paola.
Per sua fortuna il supplizio non dura a lungo perché sviene.
Nel frattempo il Padrone, che si gode uno spettacolo nuovo anche per Lui, appoggia sulla mia bocca il piede destro con le dita aperte e vuole sentire scivolarci la lingua.
All’improvviso ho un sussulto che lo fa girare: Lady Antonella, dopo aver fatto riprendere conoscenza al suo “tappeto” e provando un briciolo di pietà, la lasciata a terra a contorcersi, ed è salita sul mio ventre.
Ride, è divertita anche per l’espressione, un po’ preoccupata, del Padrone.
Lei è abile, e si tiene in equilibrio spostando il peso maggiormente sulle piante, al fine di evitare, che i tacchi, finissimi, penetrino troppo a fondo.
Il Padrone si gira verso di Lei, porgendomi il tallone, che inizio subito a leccare avidamente.
I Padroni si prendono per entrambe le mani, mantenendosi in equilibrio.
Grazie all’aiuto della Padrona, Lui alza leggermente il piede e lo infila diritto in bocca e preme, costringendomi a ingollarlo.
Comincio a gemere, anche perché la Padrona ha iniziato un lento balletto sul ventre.
“Vuoi che ti tolga le mollette ai capezzoli con un colpo secco o lentamente, dolcemente?”
Rimarcò il dolcemente.
Capii che la risposta sarebbe dovuta essere la seconda, perché più dolorosa per me ma, da vera sadica, voleva sentire da me la richiesta della tortura più dolorosa.
“La prego faccia come desidera. Io sono solo una cosa nelle sue mani, sono qui per il vostro sollazzo e divertimento, e devo solo ubbidire. La ringrazio se vorrà togliermi le mollette molto lentamente, anzi la prego, la supplico!”
“Bravo cane! Hai risposto giusto, perché se mi dicevi di togliere in un colpo secco, non solo non l’avrei fatto, ma ti saresti beccato anche quattro ceffoni in faccia. Vedi com’è buona la Padrona?”
Ci mise un bel po’ a togliere le mollette, girando, tirando, fingendo che scivolassero dalle dita, e scostandole di poco dalla sede creatasi nei capezzoli ormai violacei, godendo tutte le mie smorfie di dolore e i miei guaiti.
Dato che mi agitavo, nonostante avessi il Padrone seduto sulla pancia, Paola mi pose i suoi piedi sulle spalle per tenermi fermo, e mi ficcò in bocca le calze del Padrone umide e odorose.
“Così i guaiti ti vengono meglio, non ci dai fastidio e puoi lavarmi le calze.”
Al termine della tortura mi furono tolte le mollette, ma la Padrona continuava a straziarmi i capezzoli, sensibilizzati, con le dita, torcendoli e facendomi sussultare come un pesce all’amo.
Fu a quel punto che vollero ancora divertirsi.
Il Padrone, si mette cavalcioni sulla mia schiena e ho l’arduo compito di portarlo su e giù per le scale, mentre Lady Antonella si assenta.
Paola vede la situazione e le viene da sorridere, per la fatica tremenda che devo fare.
Allo stesso tempo teme per il Padrone.
“Padrone è sicuro che lo stronzo non la faccia cadere?”
A quattro zampe, molto lentamente, riesco a portarlo fino al piano di sopra, mentre Paola tira un sospiro quasi come se fosse stata lei a fare tutto il lavoro.
“Tu sapresti fare di meglio?”
“Non lo so.”
“Non lo so e basta?”
“Non lo so, Padrone.”
“Altra dimenticanza. Ricordatela dopo, quando torna Lady Antonella.”
Si rivolge quindi a me.
“Tu credi di essere stato all’altezza del tuo ruolo di schiavo-cavallo?”
“Non ne sono stato degno. Mi perdoni Padrone.”
“Stupido! Ti ho mai perdonato? Io gli errori degli schiavi li punisco, non lì perdono!”
Mi manda verso un mobile della stanza che ben conosco, da dove prendo un sacchetto abbastanza grosso, di cui sono informato su cosa contenga.
Verso il contenuto sui perimetri della stanza, tracciando un percorso circolare.
“Bene, bestia. Tu sai bene cosa devi fare per abituarti a essere un ottimo cavallo degno del tuo Signore, e tu cagnetta impara. Tra poco potrebbe toccare a te.”
“Non so di cosa si tratta, ma la supplico Padrone, Divina Creatura.”
“Ti spiego subito cosa deve fare. L’animale dovrà girare per la stanza seguendo il percorso che ha tracciato. Ovviamente dovrà farlo sopra le pietruzze e non intorno. Hai presente cosa l’attende?”
“Sì, Divina Creatura.”
A testa bassa e con passo lento, mi avvicino al “circuito”.
Sono già abituato a subire simili punizioni, ma questa volta mi sembra eccessiva.
Non so se riuscirò a sopportarla, eppure devo farlo, non ho possibilità.
“Beh, che cosa aspetti ancora, così prolunghi soltanto il tormento. Forza, al trotto!”
Passo dopo passo inizio a percorrere il circuito, lamentandomi continuamente.
“Andiamo, su, più veloce!”
Il Padrone mi sprona, ma io non ce la faccio ad accelerare il ritmo.
Un frustino da cavallerizzo, che Paola ha porto, appare nelle sue mani e lo usa.
Io urlo, imploro pietà, ma Lui non fa che frustarmi con maggior vigore.
Paola trema per il timore di dover subire una tortura del genere.
Il suo corpo è percorso da brividi ma anche di piacere: assistere a quella scena da spettatrice, col Padrone che mi fa soffrire all’inverosimile, la eccita.
“Ah, cavallo, più veloce.”
La voce del Padrone si alza, fino a quando io non aumento il ritmo.
Quasi corro sui sassolini che penetrano nella mia carne.
Guardandomi trottare a quel modo, mentre mi lamento e piango, smette di colpirmi.
“Aspetta un minuto. Ho sentito dei rumori. Deve essere tornata Lady Antonella, e se è così, mi divertirò ancora. Ti voglio punire per le tue dimenticanze.”
Appare la Padrona.
“Ciao Antonella, cosa ne dici di una corsetta sui nostri cavallini?”
“Non aspettavo altro!”
Puntualizzati i ruoli, ci hanno fatto bardare con le briglie, che collegano con delle mollette da bucato ai nostri capezzoli.
Hanno afferrato le briglie in modo da farci mettere in posizione, e saliti in groppa.
Il Padrone su di me, che seppure sfinito, potevo reggere benissimo il suo peso, e Lady Antonella su Paola, che seppure esile abbiamo visto abbastanza robusta da portarla senza problemi.
La cavalcata, con uso assiduo delle briglie, crudelmente ancorate sui capezzoli, serve a sfiancarci, alla fine ci arrestano affiancati.
Chiacchierano, restando comodamente seduti sulle nostre schiene, all’altezza delle reni, e la Padrona mette a dura prova la sua cavalcatura.
La costretta a chinare la testa e si agita colpendo con i tacchi sulle cosce.
Non può resistere a lungo, purtroppo e, infatti, crolla.
La sua cavallerizza non è colta impreparata, ma dovrà affrontarne la conseguenza dell’incapacità.
Fatta alzare dalla Padrona, che la tira per le briglie, il suo culo è immediatamente frustato, con lei che, per attenuare il dolore, si allontana, ricevendo delle strattonate ai capezzoli di rimando.
Io sono tirato con le briglie, con l’aggiunta d’alcuni calci dal Padrone che mi porta verso la stalla, dove finalmente dormirò.
Il Padrone si gode la mia sofferenza, con il disprezzo più totale disegnato sul volto.
Dovrei vivere da schiavo in quella casa ancora per una settimana, poi terminati i lavori di ristrutturazione non ci sarebbero motivi per restarci, soprattutto non ci sarebbero giustificazioni per la Signora Adriana, la moglie del Padrone.
Era venuta a vedere i lavori col marito poche volte, e neppure immagina quello che subivo, del mio trattamento, e Lady Antonella le era stata presentata come una moglie particolare, dispotica in modo di giustificare il mio servire durante la sua presenza.
Uno di questi ultimi giorni della mia presenza venne da sola a fare visita, all’insaputa del Padrone, e come Lei raccontò in seguito, non riusciva più togliersi dalla mente quella strana situazione; c’era qualcosa che l’aveva eccitata eccessivamente, anche se non capiva molto bene il perché.
Era accaduto in pomeriggio, sapeva che il Padrone veniva lì, e aveva deciso di fargli una sorpresa.
Entra alla villa dalla parte posteriore.
L'inclinazione della collinetta, su cui era costruita, aveva permesso agli architetti di comporla in maniera che la casa avrebbe contato su 2 entrate, su altezze differenti, quella principale sul piano terra che da accesso a un vasto salone, e una seconda che entra direttamente al piano superiore sul retro.
Dal corridoio d’accesso del 2° piano, attraverso la struttura in vetro mosaicato e ferro, si vede il piano sottostante, ma nel medesimo tempo ne salvaguarda la privacy, visivamente e sonoramente, così che, quando Adriana è entrata, tutti noi non abbiamo notato la presenza.
Si è diretta verso le scale che portano al piano inferiore, ed è allora che ha iniziato a sentire qualche cosa di strano.
Un misto di rumori, come se qualcuno stesse combattendo con un altro, e si sentono gemiti, colpi e voci arroganti che diventano sempre più forti.
Decide quindi di avvicinarsi silenziosamente, fino a scoprire quello che accade.
Non crede a quanto vede, o meglio, non capisce per affermare la verità.
Io, irriconoscibile, sono a quattro zampe e Lady Antonella è sistemata sulla mia schiena, come a un cavallo.
Adriana è rimasta paralizzata, senza capire che cosa fare.
La Padrona, veste in pantaloni e stivali da cavallerizza, e la sua cavalcatura, una coperta sulle spalle e delle redini in bocca, che si muove carponi seguendo gli ordini della cavallerizza, che da delle frustate perché tenga il passo.
Suo marito, ci guarda comodamente steso sul divano del salone, incitando l’amica a colpire più forte, se il procedere diventa affannoso.
Adriana non sa cosa fare, e intanto segue la scena pietrificata.
Il Padrone, all’improvviso, dice che ora tocca a Lui.
Lady Antonella immediatamente obbedisce, e smonta dal pony.
Ad Adriana sembra incredibile, rimango impassibile a quattro zampe in attesa che suo marito salga sopra di me.
Respiro forte, con le spalle arcuate all’indietro, un movimento violento del corpo.
Il Padrone si è alzato dal divano e si è avvicinato a quello che, senza dubbio, considera più come un suo animale che un lavoratore.
È rimasto a guardarmi e in maniera inattesa usa la frusta sulla schiena, sollecitando curvarla ancora di più, cosa che faccio immediatamente.
“Voglio che l’incavo della tua schiena sia un’ottima sella!”
Prima di montarmi, però ordina di alzarmi sulle ginocchia, spostandosi dietro di me e tirando a se le redini.
Adriana vede con stupore che io ho dei morsetti agganciati ai capezzoli, uniti tra loro da una corda, che Lady Antonella tira su indicazioni del Padrone.
Urlo, ma tutto è smorzato dal morso delle redini che tengo in bocca, mentre loro ridono della mia sofferenza.
Suo marito mi ordina quindi di rimettermi a quattro zampe e, montato, alza i piedi, portandoli all’indietro, in modo che tutto il peso gravi sulla povera “bestia".
Prende con calma le redini, si sistema comodamente, ordinando di muovere.
Adriana non capisce come lo possa sostenere, mentre monta senza pietà e, per aumentare il ritmo, mi massacra con colpi di tallone e frusta.
Improvvisamente arresta bruscamente il suo cavallo, tirando le redini fortemente, chiedendo a Lady Antonella di avvicinarsi.
Lei, come da precedente accordo, si è messa a sua volta a cavalcioni, sedendosi tra la nuca e il collo, restando su quello che è il loro schiavo che, nonostante il peso notevole, ha ricominciato a muoversi.
La mia andatura è vacillante e tremante, ma nonostante questo la passeggiata dura più di mezz'ora, con l'esaurimento dell’animale.
Adriana non può resistere: scappa via senza farsi vedere, con la strana eccitazione che con gran difficoltà reprime.
Presa l'auto, inizia a guidare senza meta, per mettere della distanza tra lei e quello che ha visto, ma è impossibile dimenticare.
Ci sono voluti parecchi minuti per riprendere il controllo, ma immediatamente ha cominciato ha ripensare a quello che aveva visto.
Suo marito è sempre stato normale, il suo comportamento sempre nelle regole, come pure quello degli amici e amiche.
Improvvisamente si ricorda una scena; il giorno in cui lui, le aveva chiesto di cavalcarlo, e lei aveva accettato, facendolo sgroppare.
Non aveva dato importanza, pensando solo a un gioco, non immaginando che fosse il preludio a quanto si è materializzato ai suoi occhi, nel salone della propria villa.
Decise di rientrare a casa con normalità assoluta, come se non fosse accaduto nulla, anche se era molto nervosa, e aspettare il marito.
Al suo arrivo, comportandosi con normalità ha salutato, ma non ha potuto fare a meno di osservare il suo modo di vestire, un semplice pantalone da cavallerizzo e una t-shirt, come se stesse tornando da fare dello sport.
Non era la prima volta ma ora che sapeva, le sembrava tutto strano.
Sono passati i giorni.
Adriana, con il marito, ha vissuto normalmente, ma non può smettere di pensarlo a cavalcioni di un essere umano, ma soprattutto perché aveva raggiunto l’eccitazione.
Esclusi vari punti, su cui fantasticava in molte occasioni, è quindi il gioco della dominazione che ha colpito nella sua mente.
Ora nelle sue fantasie c’è il rapporto con uno schiavo, e tutto termina con la monta dell’animale, come ha visto fare al marito.
Non dirà mai come sapesse, ma di certo la moglie del Padrone era certa che Lady Antonella fosse assente quando ha suonato alla porta, e che era lì per cavalcarmi.
Ho verificato chi fosse, attraverso lo spioncino, e aperto la porta ignaro di tutto.
Sono rimasto immobile, nell’attesa della sua approvazione per cosa fare; la Signora Adriana ha tenuto i nervi calmi e fatto cenno di richiudere la porta alle mie spalle, mentre diceva niente, fino a che non si è accomodata sul divano, ordinando di togliere tutti i vestiti, non senza dimostrare imbarazzo nel chiederlo.
Schiavo mentalmente del Padrone e di chiunque Lui vicino, ho obbedito, e capito il suo imbarazzo, decido d’aiutarla, prostrandomi in posizione di venerazione assoluta, classica degli schiavi.
In ginocchio con le braccia distese a terra e la fronte appoggiata al pavimento.
Adriana è al settimo cielo, e decide di mandarmi a prendere ogni cosa possa servire per cavalcarmi.
Senza una parola, striscio nello scantinato, e le porto una frusta, gli speroni, le redini, insieme con un morso da cavallo, la sella e delle ginocchiere, che fanno sorridere la maliziosa la Signora Adriana.
Disposto tutto in terra davanti a Lei, timidamente alzo gli occhi verso lei.
“Ho portato tutto quanto il suo schiavo pensa che Le serva, ma può usare ciò desidera! Lei è la Padrona, e se preferisce può montarmi senza ginocchiere, assicuro molta resistenza!”
“No, preferisco che le metti subito, così terrai un ritmo ancora più veloce!”
Soddisfatta, mi ordina di darle la frusta che è a terra, che immediatamente cerco di porgere, facendo uno sforzo terribile nel mettere le ginocchiere, poiché dalla Padrona avevo ricevuto contemporaneamente due ordini in sequenza.
“E’ fantastico!”
Dopo avergliela porta, istintivamente mi sono posto a quattro zampe.
Adriana, in preda dell'eccitazione, mi ha dato due forti frustate sul sedere, in modo che curvassi di più la parte posteriore, comportandosi come il Padrone.
“Vediamo, se come sembra, sei una buona monta per una amazzone!”
Senza rimandare ulteriormente, Adriana si accomoda violentemente, e mentre tengo perfettamente la postura, lei dedica del tempo per collocarsi, ripensando a come aveva fatto suo marito.
Si è soffermata a toccare la cassa toracica e la schiena, decidendo di usare i capelli come fossero redini, e ha tirato in maniera forte.
“Avanti idiota, stupida bestia, desidero fare una bella cavalcata!”
La Signora Adriana non si riconosce più; non smette di insultarmi come animale, picchiare con la frusta, che lascia segni ovunque.
Ho appena terminato un giro nel salone quando esplode in un urlo grandioso, accompagnato da un violento strattone ai capelli, in modo che inarcassi ancora di più la parte superiore della schiena.
Recuperatasi mentalmente e ancora su di me, indica di andare verso il posto in cui ci sono gli oggetti, perché ora desidera montare con le redini, gli speroni, le staffe e tutte le altre attrezzature.
Più calma e distesa, pensa al divertimento che si prospetta.
La Signora mi ordina di mettere il morso e le redini, e sta sollevando i piedi per farsi mettere gli speroni quando, alzato lo sguardo verso le scale, vede suo marito.
Decide così di scendere dalla cavalcatura, e mi allontana nel corridoio, a quattro zampe e con le attrezzature ancora sistemate.
Aspettato che mi sia allontanato, ha chiesto al Padrone di parlare.
“Quanto tempo è che guardi?”
“Poco.”
“Non dovevi essere a casa della tua amica?”
“Si, ma ho dimenticato in villa una cosa, e sono tornato per prenderla.”
“Che cosa?”
Dopo un tempo, abbastanza lungo, di silenzio, il marito spiega che Lady Antonella gli ha chiesto di comprarle un regalo, che aveva dimenticato di portare.
Sapendo di non recuperarlo senza farsi vedere, vista la situazione in cui aveva scoperto la moglie, rivelò che è un frustino d’equitazione da usare con una schiava.
C’è la necessità di altre spiegazioni?
Sembra proprio di no, quindi la Signora Adriana spiega che è perfettamente a conoscenza su cosa fa con la sua amica.
Non servono altre parole, perché la Signora Adriana è decisa a intervenire su quei giochi, con l'obiettivo di non farli smettere, anzi, ma qualcosa in lei chiede una specie di vendetta, una compensazione.
Ordina al marito di ripetere uno dei pomeriggi, che non desidera altro che trovarli nel pieno di una sessione.
Il tutto avviene come programmato.
Adriana arriva all’improvviso, sorprendendo il marito, Lady Antonella e me, mentre con sorpresa, vede anche la cagna del Padrone a terra, a quattro zampe, con le ginocchiere e le redini.
Adriana scende le scale con decisione e tutti si alzano dalla posizione in cui si trovano, tranne me e la cagna, rimasti a quattro zampe.
Adriana si dirige verso di noi, e prende per una spalla il Padrone.
“Bene, bene, ci sono due pony. Ora voglio che qualcuno mi metta degli speroni, e sarai tu caro a farlo, poi gli si avvicina a un centimetro dalla sua faccia.
“Fai esattamente quello che dico!”
In tre minuti era pronta per montare.
La Signora Adriana è vestita con pantaloni adatti all’occasione, una t-shirt e stivali da bovara; lo spettacolo che offre è stupendo.
Adriana è salita su di me mentre ordina al marito di metterle gli speroni.
Lui lo fa incantato, e tutti sembrano eccitati dalla situazione, col Padrone addirittura estasiato, nel vedere la moglie cavalcarmi, e sollecitarmi nell’andatura.
Giudicata sufficiente la sua cavalcata, ha detto alla cagna di prepararsi, perché toccava a lei, e mentre lo diceva, mi accarezza il collo.
Paola si è messa rapidamente a quattro zampe.
Adriana monta sulla cavalla, con tutto il suo peso, e comincia a cavalcarla, non provando pietà, nemmeno quando sta finendo le forze, spingendola sempre più al galoppo a colpi di sperone.
Dopo questa sessione, Adriana è sempre invitata a partecipare alle loro riunioni, e la mia permanenza in villa è stata prolungata.
La Signora Adriana ci cavalca alternativamente, come desidera, ma qualche volta il Padrone, ricordandosi il passato, chiede di poter essere lui la cavalcatura, fino a che un giorno lei mette delle condizioni.
“Si, ho voglia montarti! Bene, andiamo questo fine settimana alla villa...”
“Andiamo oggi.”
“No!! Andremo sabato. Hai quattro giorni per metterti in forma. Non credo che tu sia in questo momento alla mia altezza come cavallo. Io sono più esigente di te coi due schiavi, e desidero che tu sia il migliore che ho montato. Me lo devi, dopotutto sei tu che ci hai messi in questa situazione.”
“Stai sicura, io sarò quello che resiste di più, il più comodo e il più obbediente.”
La settimana trascorre lentamente, ed entrambi desiderano arrivi il sabato.
E’ chiaro che il Padrone vuole essere montato dalla moglie dal giorno che la vista cavalcarmi nel salone, e lei desidera lo stesso, anche se gli non sembra giusto dominare il marito, metterlo in una situazione così umiliante, così impropria, nonostante, per ragioni chiare a tutti, non desidera altro che essere un pony.
Al fine sabato arriva.
Entrambi sono nervosi ed eccitati, e durante il viaggio la madre scherza con il figlio, ma parla anche seriamente.
“Desidero che tu sappia che, anche se sei mio marito, sarò pretenziosa.”
Lui la rassicura che non spera altro, e vuole dimostrarle di essere il migliore, avendo preso la sfida come una prova personale.
Arrivati alla villa, li servo come Padroni, consumano una leggera cena, per poi andare sul terrazzo.
Guardano il panorama assorbiti nei loro pensieri quando, quasi all’unisono, esclamano che desiderano che il giorno dopo arrivi in fretta.
Passano la sera vedendo la televisione, ricordando le frequenti riunioni “ippiche” a cui partecipano e organizzano.
La moglie usa sempre la schiava mentre io sono esaurito delle forze dal Padrone.
Lady Antonella è diventata amicissima della Signora Adriana, e gli è permesso di cavalcarci entrambi, quando i Padroni non ci sono o riposano.
Il giorno dopo si dirigono nuovamente al terrazzo, il clima è fenomenale, con una leggera e calda brezza; servo loro la colazione.
La Signora Adriana è vestita con un paio di pantaloncini di lycra, le scarpe sportive e un top che mette in risalto la sua pelle bronzata.
Il Padrone è nudo.
Scendendo le scale, si sono guardati con desiderio, senza una sola parola e attraversano il piazzale antistante al bosco, quando Adriana ferma il marito.
“Voglio iniziare a montarti da qui, desidero che mi prenda sulle spalle.”
Lui senza dire una parola, per facilitare la moglie nel salire sulle spalle, si accuccia, e una volta salita si rimette ritto.
La Signora Adriana si è messa sulla cavalcatura, ha disposto i piedi dietro la schiena, e ha preso a sollecitarlo a procedere.
Lui si muove in modo che la moglie non possa cadere, godendosi la passeggiata.
Arrivati sulla soglia della pozza, la Signora Adriana arresta il pony, rimanendo per un buon periodo a contemplare l’acqua, completamente indifferente allo sforzo fatto dal marito nel portarla, e adesso per rimanere fermo e non sprofondare nella sabbia.
Non si sarebbe perdonato anche un singolo sbaglio con la moglie.
Dopo parecchi minuti, la moglie con agilità si lascia cadere dalle spalle, indicando alla cavalcatura di mettersi a quattro zampe, e si china avvicinandosi all’orecchio:
“Comincia il gioco duro! Ti pentirai di volere diventare la cavalcatura di tua moglie!”
Il Padrone con le mani e le ginocchia affondate nella sabbia bagnata, curvato la schiena, offre alla Signora Adriana un comodo appoggio.
Lei prende con forza i suoi capelli e comincia a dare con forza colpi di tallone nei fianchi dell’animale.
Il faticoso procedere inizia, con la moglie comodamente seduta nella parte centrale del pony, e un silenzio rotto solo dall’ansimare del marito.
Dopo parecchio tempo, Lei arresta la cavalcatura, per toccare con il piede il sesso del marito, e verificare chi dei due è più eccitato.
Accertatasi che lui era a un punto di quasi non ritorno, colpisce con i talloni e con inaudita violenza il pene, incitandolo a proseguire nella marcia velocemente.
Al Padrone dolgono tutti gli arti, ma la moglie è comoda, e questo è quello che importa; lontana dall’idea di terminare il gioco forza il pony a dirigersi verso l’acqua.
“Andiamo a fare un bagno!”
Indica a colpi di tallone la strada da intraprendere, senza provare pietà dello stato di sfinimento del marito, che procede fino a quando l’acqua non gli arriva alla bocca, e la moglie comanda di fermarsi, accorgendosi che tenta disperatamente di respirare.
Si gode, comodamente seduta, l’attimo e tutta quella magia che impregnava l’aria.
Ritenuto il momento di cambiare posizione, forza la cavalcatura nell’addentrarsi ancora di più nell'acqua, fino a che questa non lo copre completamente, e si fa la passeggiata con il pony completamente sommerso.
Al momento che permette alla bestia di tornare a riva, e il Padrone rimuove la testa dall’acqua, lo arresta e spetta il recupero, con grandi sospiri, colpi violenti di tosse.
Ha appena ripreso una parvenza di normale respirazione, che l’amazzone lo sollecita a riprendere la passeggiata fino all’esaurimento, per indirizzarlo verso la villa.
Con gran difficoltà il cavallo si è diretto verso la meta, con la moglie che lo guida con colpi di tallone e sferzate, colpendo con una bacchetta che ha raccolto nel bosco, e non mancano incitamenti verbali umilianti.
“Muoviti, sei solo una bestia, che vive per servire come mezzo di trasporto per degli esseri superiori come me! Cammina incapace!"
La Signora Adriana non smonta fino a che non sono arrivati al divano, mentre io Le avevo aperto la porta.
L'entusiasmo del Padrone di non deludere la moglie era superiore al suo sfinimento.
Ragione per cui, trasporta, con uno sforzo sovrumano, lentamente sulle scale, la sua dea sempre indifferente della sua fatica.
Arrivati il pony si arresta, ma siccome è fatto senza un ordine preciso, la cavallerizza gli fa compiere un giro del salone.
Una volta che Lei si è accomodata, il pony si accascia esaurito a terra; passato qualche minuto, chiede alla moglie:
“Mi sono comportato bene? Hai gradito montarmi, e continuerai a farlo?”
La risposta fu una violenta precisazione.
“Bestia, brutto animale, non sai che a una PADRONA ci si rivolge sempre con reverenza e mai con domande! Se non lo hai capito, da oggi ti cavalcherò quando lo desidero! Adesso sono stanca, e siediti sul divano, riprendi il ruolo che ti spetta!”
Immediatamente si rivolse a me:
“Adesso ti occupi dei miei piedi sudati, lercio leccapiedi. La tua lingua non merita altro che lavare delle piante di piedi sporchi. Avanti, schiavo di merda, obbedisci!”
La presenza della moglie era una specie di panacea per Lui.
Gli dava un senso d’onnipotenza che voleva dimostrare ad ogni costo.
Si accomodò al suo fianco e iniziai baciargli le scarpe per poi con i denti sfilargliele.
Dovetti quindi leccare le piante dei piedi, con linguate lente dal tallone fino alla punta dei piedi, in seguito imboccare l’estremità del piede per succhiare dita e calza.
Le calze, quando furono fradice di saliva, ricevetti l’ordine di sfilarle, sempre con la bocca, per scoprire un paio di piedi odorosi e molto sudati.
Ebbi l’ordine di odorare per bene quei piedi esprimendo, nel frattempo, la mia gioia per eseguire quell’atto umiliante.
“Padrone l’odore dei suoi piedi è buonissimo, la ringrazio per il permesso di gustare il sudore delle sue divine estremità.”
A ogni mia affermazione la coppia di Padroni mi rideva sguaiatamente in faccia, ed era veramente divertita dalla mia umiliazione, del limite verso il quale mi poteva portare con la mia consenziente sottomissione.
Stanco di deridermi, il Padrone mi ordinò di ripulirgli il piede a leccate, riprendendo a passare la lingua dal tallone fino alle dita, come prima, ma ora sulla nuda pelle fino alla completa pulizia.
Poi passai a leccare e succhiare uno a uno le dita del piede, ed infine introdurre la lingua negli spazi interdigitali infinite volte fino a nettare completamente ogni recondito angolo del piede, ripulendo il sudore ed altro dalle estremità del Padrone.
“Forza schiavo di merda. Sei qui per pulire. Vedi di darti da fare con sollecitudine e impegno. Sei qui per eseguire questi lerci lavori. La cosa ti farà sicuramente piacere servilista come sei!”
Al termine della leccatura, soddisfatto della mia opera, m’infilò tutte le dita del piede nella bocca e mentre succhiavo il piede, ormai lindo disse che lo stesso trattamento l’avrei riservato ai piedi della moglie, che ghignando pregustava l’umiliazione.
“Dovrai usare la stessa sensualità e degradazione, che hai dimostrato con i piedi del tuo Padrone, altrimenti la pagherai cara! Dimmi quanto desiderio c’è in te di lavare i miei piedi zozzi e puzzolenti. Pregami di consentirti di appoggiarci le labbra. Lo sappiamo che vorresti farti una sega mentre mi annusi e baci i piedi, perché sei un porco che gode e si eccita con queste schifezze. Ringraziami per l’occasione che ti è data, leccapiedi!”
“Padrona la ringrazio infinitamente per la fortuna di poter gustare l’odore dei suoi magnifici piedi, la imploro di lasciarmi pulire con la bocca le bellissime estremità. La supplico, adorare i piedi sporchi è la cosa che desidero e sogno continuamente.”
“Bene, dopo quest’atto d’amore la Padrona s’aspetta che ti comporti con l’ardore di un cane in calore. Al lavoro bastardo!”
Fu un po’ più difficile servire i piedi della nuova Padrona, dopo aver leccato a lungo quelli molto sporchi del Padrone.
Oltre a questo dovevo sforzarmi di essere appassionato a leccare con passione quelle estremità, mentre si faceva sentire un po’ di stanchezza nella mia lingua che leccava senza posa da mezz’ora.
A questo scopo, il Padrone si era posto dietro di me e incitava eseguire nel migliore dei modi il mio compito.
Sculacciate a piene mani sul mio sedere proteso, essendo a quattro zampe davanti ai piedi della moglie e calci sulle mollette penzolanti dai capezzoli, sensibilissimi e già doloranti dallo strozzamento delle impietose ganasce fissate da Lady Antonella.
Per soddisfare il Padrone, sembrava quasi che andassi a cercare dove puzzava di più il piede, per sprofondare sempre di più nella vergogna; una cosa che le persone normali sono schifate di sentire appena lontanamente.
Io da vero leccapiedi la bramavo e la desideravo sempre di più!
Eseguivo il mio compito di schiavo leccapiedi ed ero costretto ogni tanto a dichiarare la mia gioia per l’atto che stavo eseguendo e richiedere maggiori porcate per le prossime volte.
“Allora schiavo, contento? Per la prossima volta cosa desideri? I tuoi Padroni saranno felici di poterti accontentare!
“Vi ringrazio per l’onore concessomi di lavarvi i piedi con la mia lurida lingua. Sono felicissimo e vorrei che la prossima volta fossero più sporchi e più puzzolenti, da fare in modo che la mia lingua s’impregni del sapore del vostro sudore!”
“Va bene. Dato che lo vuoi e c’implori, vedremo di accontentarti, lurido leccapiedi, ti porteremo ancora più in basso nelle sozzure più schifose. E’ bello poter disporre così di un essere umano depravato e abbietto come te!”
Al termine della leccatura, quando la Padrona ritenne il lavaggio soddisfacente e non trovava per degradarmi ulteriormente, mi fu concesso un quarto d’ora di sosta.
Fui costretto a restare sdraiato per terra ai loro piedi, mentre la Signora Adriana appoggiava un piede sulla mia faccia e con l’altro, torturava i capezzoli muovendo le mollette ancora pinzate a loro, facendomi guaire come un cane.
Era un suo espresso desiderio, non voleva sentire urla ma guaiti da cane; in pratica non fu proprio un momento di relax per me.
“Sai caro, lavorare, per una donna, è veramente pesante. Tutto il giorno fuori e poi al rientro a casa ti restano tutte le faccende domestiche da fare. Per fortuna che ho scoperto questi tuoi schiavi, capito il tuo vizietto, e quindi dovrei aver risolto questo problema. Vero? D’ora in poi, caro, se ne occuperà lui. E’ chiaro?... Credo proprio di sì; a ogni modo la cagna sarà il tuo giocattolino, mentre lui sarà il nostro schiavo.”
“E’ a tua disposizione.”
“Non sarò molto tenera con lui, per essere precisi, per niente.”
La Padrona dimostrava che era schietta e decisa.
“Non mi conoscete molto bene, e non sapete che ho sempre desiderato un essere di sesso maschile come inferiore, animale sbavante!”
“Tu? Lo faresti davvero? Una donna che pensavo così gentile... Ti faccio un’ultima domanda: e per cavalcare?”
“Lui sarà la nostra bestia, quando faremo delle passeggiate assieme, io Prenderò la cagna come cavalcatura… se poi ti riferisci a noi, beh, mi divertirò, stanne certo!”
“Ok, bene!”
Poi la Padrona rivolta a me, mise in chiaro la situazione.
“Adesso puliscimi gli stivali con cui tornerò a casa! Con la tua merdosa lingua, ovviamente, e fallo bene, cane.”
Dopo parecchi minuti, passati a leccare, erano talmente lucidi che ci si poteva specchiare.
L’umiliazione cui mi aveva sottoposto però non la soddisfaceva.
“Sì, sembra tu abbia fatto un discreto lavoro. Mi pare però abbia dimenticato un piccolo particolare. Chi dovrebbe pulire la loro suola? Non vorrai usare degli stracci? Ti sembra una cosa giusta sporcare dei pezzi di tela quando c’è già la tua lingua zozza?… No! Vero? Allora diamo una bella rinfrescata anche alla suola. Speriamo abbia pestato solo fango e non ci sia altro la sotto. Mah, Intanto lecca, poi vedremo. Dai, veloce, così quando avrai finito, potrai prenderne quelle del Padrone, magari meno sporche, e ricominciare da capo. Ti affido il delicato compito di lustrare a dovere tutte le nostre scarpe, almeno una volta la settimana, pulendo dallo sporco quelle che useremo, e togliendo la polvere alle altre. Mi raccomando. Fallo bene e sempre con la lingua. Trovando anche un solo paio, leggermente sporco o opache, mi obbligherai a farti leccare anche il pavimento su cui camminiamo!”
Era sadica, molto più del Padrone, quindi iniziai lucidare il paio di stivali che voleva indossare, e che avevo in precedenza ammirato. Sembrava non avessero mai avuto una pulita.
Dal quel giorno servii come schiavo una nuova coppia di PADRONI.
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