La magia del crescere
di
Luke Lucas Dog
genere
sentimentali
Per ogni insegnante è sempre una bella emozione rivedere i propri alunni dopo molto tempo.
Insegnando matematica in una scuola media mi trovo a veder arrivare dei piccoli ammassi di carne a forma di essere umano che in tre anni si preparano a diventare uomini e donne che riempiranno di nuovi colori il mondo intero.
Scoprii il fascino per questo aspetto della vita 5 anni dopo il mio pensionamento passeggiando per i giardini davanti alla scuola dove insegnavo.
Mi fermai davanti al cancello guardando per un pò l'edificio con nostalgia.
Era l'una e mezza e nell'ampio piazzale davanti all'ingresso i genitori aspettavano il suono della campanella che avrebbe fatto uscire i loro figli.
Guardai l'orologio mancavano trenta secondi che scandii tra me e me in silenzio. Era sempre stato un motivo di orgoglio essere sempre preciso nel determinare il momento in cui avrebbe suonato.
Mentre lo facevo alzai un istante lo sguardo e vidi una giovane donna sulla quarantina che mi fissava; controllai le lancette e subito ritornai alla donna che la vidi sussurare qualcosa a un uomo a lei vicina che mi fissò a sua volta.
A meno 10 secondi mi allontanai verso le panchine dei giardini.
Non mi piacevano i loro sguardi sembravano quasi accusarmi di pedofilia.
Voltate le spalle sentii l'intonato suono della campanella seguito da un dissonante suono di voci infantili.
Non avevo ancora finito di attraversare il piccolo tratto di strada tra la scuola e i giardini che mi sentii chiamare.
Mi voltai e riconobbi l'uomo che mi aveva guardato.
“Desidera” dissi al giovane uomo che mi si era fermato davanti.
“Lei è il professor. Amato?”
“Ex... professore. Lei è?”
“Allora avevamo visto bene. Probabilemente non si ricorda di me sono passati tanti anni, sono stato un suo alunno. Luca Marchelli”
Mi ricordai subito di lui.
Dopo gli esami di terza media lo rividi solo due volte -esclusa questa- in un intervallo di tre e dieci anni e mi sorpresi di vedere come una persona possa cambiare così radicalmente. Prima lo vidi con la faccia ricoperta di acne e la voce ancora non ben accordata su tonalità adulte e dopo un giovane impostato e solare. Ed ora eccolo qua per la terza volta da uomo fatto e finito che faticavo a riconoscere come tale.
“Hai detto avevamo visto bene?”
“Si io e mia moglie”
“Allora è lei professor Amato”
Ci raggiunse la donna che le era vicina accompagnando una graziosa bambina per mano che trascinava sulle spalle un pesante zaino colmo di libri.
“Mi deve perdonare ma la mia memoria non carbura più come un tempo. Lei è?”
“Sono Elisa Migliacci sono stata anch'io sua alunna”
Ora mi ricordai anche di lei. Ebbi il piacere di insegnarle nella stessa classe di Luca.
Vedere un bambino che dopo trent'anni diventa un uomo non è sconvolgente come vedere una bambina diventare donna. Ti ricordi di un esserino che di femminile aveva solo i capelli lunghi e i vestitini di varie tonalità di rosa e poi la vedi dopo tanto tempo esplosa come un campo di fiori in primavera.
Passò qualche settimane e venni a sapere di un tragico evento che colpì quella piccola ma splendida famigliola.
Più che sconvolgermi la notizia fu il modo in cui ne venni a conoscenza.
Era passata l'estate e l'autunno stava scaricando le sue prime pioggie.
Io mi trovavo a ritornare di sera in macchina da una festa organizzata da vecchi amici, a cui partecipai solo per colmare il vuoto della dipartita di due settimane prima di mia moglie.
La festa non servì a riparare al senso di vuoto che aveva lasciato
Lungo il tragitto passai in una via frequentata da drogati e puttane.
Guardando quella interminabile fila di culi e tette mi dissi: “Perchè no?”
Avrei disonorato la memoria di mia moglie ma in quel momento non me ne importava nulla; la solitudine e cosa ben peggiore.
Iniziai a cercare chi di loro potesse soddisfarmi.
Trans, Trans, Mora, Mora, Trans, Bionda, Bion...no Trans, Mora, Rossa.
Solo guardando con attenzione ognuna di loro potei notare una figura seduta su un sasso nell'ombra con la testa tra le mani, che oltre che stimolarmi sessualmente aveva un vago aspetto familiare; ma che lo fosse o meno avevo scelto.
Mi fermai, abbassai il finestrino e gli cacciai un fischio.
Dall'ombra in cui si trovava venne da me, stavo per chiedergli quanto volesse e fortunatamente riuscii a trattenermi quando la vidi bene in volto.
Elisa madre di famiglia, nonché mia ex alunna non credo serva altro per rendere meglio l'idea dell'imbarazzo che potevo provare..
Senza pensarci un attimo la feci salire e gli diedi la mia giacca e alzai il riscaldamento della macchina per riscaldarla. Non sapevo cosa avrei fatto, ma sicuramente non l'avrei lasciata sotto la pioggia in quel misero luogo.
Lungo il tragitto le chiessi del perchè si trovasse li venendo così a sapere della tragica morte di sua figla e suo marito dopo una grave malattia.
Non provai nessun tipo di tristezza ma la mia mente si affollò di tanti Perchè senza risposta.
La portai a casa mia dove le preparai un pasto caldo e cercai di distrarla in qualche modo con battutte e vino che tra una risata e un altra risuscì a farci dimenticare i nostri dolori per un po'.
Quando l'euforia finì le offrii di dormire da me. Non aveva la macchina e io ubriaco, non me la sentivo di prendere la macchina.
Mi chiese di potersi fare una doccia.
Le mostrai il bagno e le diedi un vecchio pigama di mia moglie in attesa che quelli che aveva addosso si asciugassero.
Prendedomi il pigiama dalle mani mi chiese di mia moglie così che le raccontai brevemente anche la mia, anche se non altrettano, triste storia; per poi lasciarla alle sue cure.
Parlare di mia moglie risvegliò il senso di vuoto e la voglia di sesso si ripresentò più forte di prima.
Quando uscii chiuse la porta a chiave e arrapato com'ero cercai di sbirciare dalla serratura.
Cercando di posizionarmi feci un po' di rumore urtando il mobiletto vicino alla porta.
Senza ombra di dubbio se ne accorse e si girò un istante verso la porta. Non si scandalizzò, anzi vidi che sorrideva divertita.
Rimasi li a guardarla sbottonarsi i bottoni della gonna con lentezza.
Ebbi un flash, il primo di molti che si ripetevano mentre continuavo a sbirciarla. Me la immaginai bambina che si intrufolava nell'armadio della mamma per provarsi i suoi vestiti per sentirsi grande. Magari provando lo stesso tipo di gonna che a quell'età per tenerla su doveva fare tre giri di cintura e tanto gli sarebbe stata ancora larga. Ora invece ne ha una sua e che i suoi fianchi riempono con orgoglio.
Dopo l'ultimo bottone lasciò cadere la gonna per terra e la raccolse mettendola sopra il lavandino.
Chinandosi giro il suo bel culo verso la serratura, dagli slip intravidi anche il piccolo rigonfiamento della vagina.
La rividi bambina e pensai al suo cassetto della biancheria intima. Vidi un fila di mutande con fatine, farfalle e altri disegni del genere e accanto una serie di scatoline di calze da bambina che non avevano nulla che vedere con il provocante tanga rosso fuoco e le calze che portava adesso. “Com'era crescuita bene” pensai
Quella visione diede una scossa al mio vecchio amico nei pantaloni.
Di nuovo a busto dritto si guardò allo specchio. Gli si avvicinò: controllò il viso in tutti i due profili, si tirò indietro e ondeggiò cercando di guardarsi di profilo l'intero corpo.
Si tolse la maglietta e la gettò vicino alla gonna.
Il reggiseno era molto in tirò e le sue tette sembravano sostenute e sode. Se lo slacciò e gliele vidi venire fuori; così sembrava avere una taglia in meno ma lasciando comunque a chi di dovere due bei validi motivi per sollevarsi e spingere i bottoni della zip, lo presi in mano con l'intento di farmi una sega.
Quando iniziò a slacciarsi il reggicalze, la coscienza mi fece ritornare ad essere un persona responsabile.
Rimisi dentro i pantaloni il mio pene con violenza. Come potevo essermi ridotto alla mia età a volermi fare una sega sbirciando dalla serratura come un ragazzino una donna che aveva appena subito una brutta sventura e che era stata una mia ex alunna; e quest'ultimo dettaglio mi fece sentire ancora di più uno stupido perchè lo facevo anche se guardandola non riuscivo a vederla per l'adulta che era ma per la bambina a cui tanto tempo fa spiegavo equazioni e dissequazioni.
Andai a prepararmi il divano in sala in attesa che liberarse il bagno per dedicarmi alle mie cure; a lei avrei lasciato la mia camera da letto.
Ci mise molto tempo. Quando finì mi raggiunse in sala in accappatoio gocciolante per chiedermi il phone.
Mi ero dimenticato di darglielo. La portai in camera dove in una scatola avevo messo tutte le cose di mia moglie tra cui anche il suo phone. In quei giorni cercavo di avere meno cose possibili per casa che me la ricordassero.
La lasciai e andai in bagno.
Avevo iniziato a lavarmi i denti quando mi accorsi che aveva lasciato il reggiseno sul lavandino, decisi di lasciaglierlo sulla porta della camera così che l'avrebbe preso quando avesse finito.
Davanti la porta venni colto di sorpresa da lei che stava uscendo essendosi accorta della sua dimenticanza.
Ci trovammo faccia a faccia. Io ero a torso nudo e lei in accappatoio, tipica situzione in cui chiunque, sotto gli effetti dell'alcool, sarebbe saltato addosso all'altro; ma riuscimo -per il momento- a trattenerci.
“Ehm! Ti sei dimenticata questo...”
“Si infatti...stavo...stavo...venendo”
Le fissai una gamba che gli sbucava dall'accappatoio, e il seno che cercava di coprirlo stringendo l'accappatoio non facendo altro che stringerlo e aumentare l'effetto della scollatura che continuava ad allimentare il mio eccitamento così duramente trattenuto.
Mi si gonfiò il pacco e vedendo che se n'era accorta sbrigativo gli diedi il reggiseno e me ne tornai in bagno.
A fatica mi calmai ed ero quasi riuscito a sgonfiarmi il pene, ma mentre mi ero chinato a sputare sentii una mano che me lo afferava.
Mi alzai di scatto e alle mie spalle dallo specchio vidi Elisa che mi guardava con gli occhi gonfi e carichi di desiderio.
Mi abbaracciò da dietro, rimanendo immobile, lasciai che con una mano mi massaggiasse il petto e con l'altra andasse a stuzzicare il pacco.
“Professore...-iniziò slacciandomi la cerniera- non so lei -infilò nell'apertura dentro le mutande cercando il mio pene- ma io mi sento tanto sola -lo trovò è lo tirò fuori”
Mi girai d'improvviso afferrandole le mani dopo essere ritornato in me.
“Elisa non mi sembra questo il modo di affrontare le cose”
“Professore sono responsabile di quello che faccio.”
Non sapevo come reagire, lo volevo anch'io ma quella faccia continuava a trasformarsi in quello di una bambina.
“Sono cresciuta”
Mi sforzai di vederla per la donna che era diventata. Ci riuscii e la lasciai fare.
Si inginocchiò e si infilò il mio pene in bocca.
Era delicata ma ingorda per quanto se lo infilava in bocca sembrava che avrei potuto sfondargli la testa.
Mi appoggiai al lavandino godendomi quel gran bel pompino ma fu li che ebbi di nuovo dei flash.
Mi passarono davanti tutti i tre anni che l'avevo avuta come mia alunna. La vidi quando arrivò e quando con il tempo cambiò.
Vidi una bambina piccola intimidita la cui unica preoccupazione era solo di studiare e giocare ignara del cambiamento che in lei si stava preparando. Ricordai poi il giorno in cui la vidi a ricreazione correre dalla mia collega d'italiano con dei forti mal di pancia che poi mi disse aveva avuto le sue prime mestruazioni. I giorni a seguire, dopo che qualcuno le aveva spiegato cosa era diventata, incominciai a vederla alle prese con le sue prime infatuazioni e i suoi spasimanti, senza ancora sapere cosa farci veramente con un ragazzo; con l'uso stupefiacente che faceva della bocca sicuramente l'aveva imparato.
Ritornai al presente.
Le infilai una mano in mezzo all'accappatoio con delicatezza le afferrai un seno
Lasciò il mio pene si alzò e si aprì l'accappatoio lasciando uscire entrambi le tette che dopo averle saggiate bene con le mani le iniziai a succhiare i capezzoli mentre lei continuava a farmi un sega leggera.
Mi sollevò il volto e mi portò in camera.
Si sedette sul letto, si slegò la cintura dell'accappatoio e aprì entrambi i lembi.
Era nuda e completamente a disposizione.
Avvicinandomi a lei prese a girarmi la testa. Ogni movimento sembrava distorcere la realtà e la vedevo tornare bambina, grande, bambina, grande ecc...
Vedi quello strano scherzo della sua vista come un messaggio del suo inconscio che gli chiedeva “Ma sei sicuro di quello che fai?”
Una volta davanti rimasi fermo per assicurarmi che rimanesse la donna che mi aveva succhiatto il cazzo qualche isante prima.
Vedendomi indeciso spalancò al limite le gambe e vedere alla tenue e calda luce del abagiure la sua vagina non lasciai più spazio ai pensieri.
Iniziai con il leccargliela piano facendola ansimare leggermente, ma vedendo che non bastava a farla godere a pieno presi l'iniziativa gli salii sul corpo fino a quando, tenendomi alzato con le mani all'altezza del suo volto la guardai e le diedi un bacio sulla fronte.
Guidai il mio pene verso la sua vagina e con molta delicatezza iniziai a penetrarla, partii piano puntando più sulla forza del colpo che sulla velocità ma appena accellerai di poco lei mi fermò. “Professore le volevo chiedere una cosa. Quando sta per venire. non si fermi...”
“Ma no..”
“Prenderò la pillola. Ma stasera ho bisogno di sentire un po' di vita dentro di me”
Mi vide tutibare.
“La prego” conclusse lasciando scorrere una lacrima.
Annuii e ripresi ad andare su e giu.
Non cambiammo posizione e non variai il ritmo per molto, quello che avevo preso andava benissimo.
Non troppo sostenuto ma intenso. Con il mio pene cercavo -simbolicamente- di toccarla nel profondo, quasi come una carezza che la confortasse dalle disgrazie che le erano capitate.
Andavo dentro e fuori con gusto sfoderando tutta la mia virilità che nonstante l'età si era conservata discretamente.
Le vedevo cadere delle lacrime mentre ansimava. Improvvisamente gridò a voce altissima: “Più forte!”
Le presi le gambe gliele tirai indietro e iniziai a montarla selvaggiamente. Gridava.
Diventai un animale. Spingevo così forte che facevo sbattere il letto contro il muro. Il seno che le se muoveva per le mie spinte mi eccitava e incrementai ulteriormente e andai più forte.
Una volta finito mi disse che voleva che facessi in quel modo per non sentire le grida di dolore che lanciava la sua anima.
Sentii arrivare l'orgasmo. I miei testicoli aveveno risvegliato il mio liquido. Quando arrivivarono mi lasciai andare scaricandogli il mio sperma con forza per farle sentire il calore di quel fac-simile di vita che mi aveva chiesto.
Ogni getto le davo una spinta forte scaricando l'energia della eiaculazione incitandomi con la voce. Il getto rallentò e quando finì mi lasciai andare su di lei. Ero stremato.
Le rimasi sdraiato sopra appogniandomi con la testa a un seno per trovare conforto, fregandomene del mio peso.
“Grazie professore” disse accarezzandomi i capelli e lasciandomi rimanere sopra di lei.
Le sue carezza erano dolci e materne. La vita le aveva insegnato bene ad essere donna; l'aveva trasformata in una portatrice di sentimenti e emozioni che negli uomini e nelle piccole donne altrimenti non esisterbbero.
Da piccola aveva provato la stessa cosa da sua madre e crescendo aveva imparato a farlo a sua volta.
Si. Crescere e una magia. Un tempo si è nulla. Maschi e femmine giocano insieme ignorando le proprie differenze, iniziano a crescere imparano a conoscere loro stessi compiendo strade diverse che un giorno si incroceranno e impareranno qualcosa dell'altro mischiando sentimenti, emozioni ed esperienze dando al mondo la magie di tutte le magie che è la vita.
Insegnando matematica in una scuola media mi trovo a veder arrivare dei piccoli ammassi di carne a forma di essere umano che in tre anni si preparano a diventare uomini e donne che riempiranno di nuovi colori il mondo intero.
Scoprii il fascino per questo aspetto della vita 5 anni dopo il mio pensionamento passeggiando per i giardini davanti alla scuola dove insegnavo.
Mi fermai davanti al cancello guardando per un pò l'edificio con nostalgia.
Era l'una e mezza e nell'ampio piazzale davanti all'ingresso i genitori aspettavano il suono della campanella che avrebbe fatto uscire i loro figli.
Guardai l'orologio mancavano trenta secondi che scandii tra me e me in silenzio. Era sempre stato un motivo di orgoglio essere sempre preciso nel determinare il momento in cui avrebbe suonato.
Mentre lo facevo alzai un istante lo sguardo e vidi una giovane donna sulla quarantina che mi fissava; controllai le lancette e subito ritornai alla donna che la vidi sussurare qualcosa a un uomo a lei vicina che mi fissò a sua volta.
A meno 10 secondi mi allontanai verso le panchine dei giardini.
Non mi piacevano i loro sguardi sembravano quasi accusarmi di pedofilia.
Voltate le spalle sentii l'intonato suono della campanella seguito da un dissonante suono di voci infantili.
Non avevo ancora finito di attraversare il piccolo tratto di strada tra la scuola e i giardini che mi sentii chiamare.
Mi voltai e riconobbi l'uomo che mi aveva guardato.
“Desidera” dissi al giovane uomo che mi si era fermato davanti.
“Lei è il professor. Amato?”
“Ex... professore. Lei è?”
“Allora avevamo visto bene. Probabilemente non si ricorda di me sono passati tanti anni, sono stato un suo alunno. Luca Marchelli”
Mi ricordai subito di lui.
Dopo gli esami di terza media lo rividi solo due volte -esclusa questa- in un intervallo di tre e dieci anni e mi sorpresi di vedere come una persona possa cambiare così radicalmente. Prima lo vidi con la faccia ricoperta di acne e la voce ancora non ben accordata su tonalità adulte e dopo un giovane impostato e solare. Ed ora eccolo qua per la terza volta da uomo fatto e finito che faticavo a riconoscere come tale.
“Hai detto avevamo visto bene?”
“Si io e mia moglie”
“Allora è lei professor Amato”
Ci raggiunse la donna che le era vicina accompagnando una graziosa bambina per mano che trascinava sulle spalle un pesante zaino colmo di libri.
“Mi deve perdonare ma la mia memoria non carbura più come un tempo. Lei è?”
“Sono Elisa Migliacci sono stata anch'io sua alunna”
Ora mi ricordai anche di lei. Ebbi il piacere di insegnarle nella stessa classe di Luca.
Vedere un bambino che dopo trent'anni diventa un uomo non è sconvolgente come vedere una bambina diventare donna. Ti ricordi di un esserino che di femminile aveva solo i capelli lunghi e i vestitini di varie tonalità di rosa e poi la vedi dopo tanto tempo esplosa come un campo di fiori in primavera.
Passò qualche settimane e venni a sapere di un tragico evento che colpì quella piccola ma splendida famigliola.
Più che sconvolgermi la notizia fu il modo in cui ne venni a conoscenza.
Era passata l'estate e l'autunno stava scaricando le sue prime pioggie.
Io mi trovavo a ritornare di sera in macchina da una festa organizzata da vecchi amici, a cui partecipai solo per colmare il vuoto della dipartita di due settimane prima di mia moglie.
La festa non servì a riparare al senso di vuoto che aveva lasciato
Lungo il tragitto passai in una via frequentata da drogati e puttane.
Guardando quella interminabile fila di culi e tette mi dissi: “Perchè no?”
Avrei disonorato la memoria di mia moglie ma in quel momento non me ne importava nulla; la solitudine e cosa ben peggiore.
Iniziai a cercare chi di loro potesse soddisfarmi.
Trans, Trans, Mora, Mora, Trans, Bionda, Bion...no Trans, Mora, Rossa.
Solo guardando con attenzione ognuna di loro potei notare una figura seduta su un sasso nell'ombra con la testa tra le mani, che oltre che stimolarmi sessualmente aveva un vago aspetto familiare; ma che lo fosse o meno avevo scelto.
Mi fermai, abbassai il finestrino e gli cacciai un fischio.
Dall'ombra in cui si trovava venne da me, stavo per chiedergli quanto volesse e fortunatamente riuscii a trattenermi quando la vidi bene in volto.
Elisa madre di famiglia, nonché mia ex alunna non credo serva altro per rendere meglio l'idea dell'imbarazzo che potevo provare..
Senza pensarci un attimo la feci salire e gli diedi la mia giacca e alzai il riscaldamento della macchina per riscaldarla. Non sapevo cosa avrei fatto, ma sicuramente non l'avrei lasciata sotto la pioggia in quel misero luogo.
Lungo il tragitto le chiessi del perchè si trovasse li venendo così a sapere della tragica morte di sua figla e suo marito dopo una grave malattia.
Non provai nessun tipo di tristezza ma la mia mente si affollò di tanti Perchè senza risposta.
La portai a casa mia dove le preparai un pasto caldo e cercai di distrarla in qualche modo con battutte e vino che tra una risata e un altra risuscì a farci dimenticare i nostri dolori per un po'.
Quando l'euforia finì le offrii di dormire da me. Non aveva la macchina e io ubriaco, non me la sentivo di prendere la macchina.
Mi chiese di potersi fare una doccia.
Le mostrai il bagno e le diedi un vecchio pigama di mia moglie in attesa che quelli che aveva addosso si asciugassero.
Prendedomi il pigiama dalle mani mi chiese di mia moglie così che le raccontai brevemente anche la mia, anche se non altrettano, triste storia; per poi lasciarla alle sue cure.
Parlare di mia moglie risvegliò il senso di vuoto e la voglia di sesso si ripresentò più forte di prima.
Quando uscii chiuse la porta a chiave e arrapato com'ero cercai di sbirciare dalla serratura.
Cercando di posizionarmi feci un po' di rumore urtando il mobiletto vicino alla porta.
Senza ombra di dubbio se ne accorse e si girò un istante verso la porta. Non si scandalizzò, anzi vidi che sorrideva divertita.
Rimasi li a guardarla sbottonarsi i bottoni della gonna con lentezza.
Ebbi un flash, il primo di molti che si ripetevano mentre continuavo a sbirciarla. Me la immaginai bambina che si intrufolava nell'armadio della mamma per provarsi i suoi vestiti per sentirsi grande. Magari provando lo stesso tipo di gonna che a quell'età per tenerla su doveva fare tre giri di cintura e tanto gli sarebbe stata ancora larga. Ora invece ne ha una sua e che i suoi fianchi riempono con orgoglio.
Dopo l'ultimo bottone lasciò cadere la gonna per terra e la raccolse mettendola sopra il lavandino.
Chinandosi giro il suo bel culo verso la serratura, dagli slip intravidi anche il piccolo rigonfiamento della vagina.
La rividi bambina e pensai al suo cassetto della biancheria intima. Vidi un fila di mutande con fatine, farfalle e altri disegni del genere e accanto una serie di scatoline di calze da bambina che non avevano nulla che vedere con il provocante tanga rosso fuoco e le calze che portava adesso. “Com'era crescuita bene” pensai
Quella visione diede una scossa al mio vecchio amico nei pantaloni.
Di nuovo a busto dritto si guardò allo specchio. Gli si avvicinò: controllò il viso in tutti i due profili, si tirò indietro e ondeggiò cercando di guardarsi di profilo l'intero corpo.
Si tolse la maglietta e la gettò vicino alla gonna.
Il reggiseno era molto in tirò e le sue tette sembravano sostenute e sode. Se lo slacciò e gliele vidi venire fuori; così sembrava avere una taglia in meno ma lasciando comunque a chi di dovere due bei validi motivi per sollevarsi e spingere i bottoni della zip, lo presi in mano con l'intento di farmi una sega.
Quando iniziò a slacciarsi il reggicalze, la coscienza mi fece ritornare ad essere un persona responsabile.
Rimisi dentro i pantaloni il mio pene con violenza. Come potevo essermi ridotto alla mia età a volermi fare una sega sbirciando dalla serratura come un ragazzino una donna che aveva appena subito una brutta sventura e che era stata una mia ex alunna; e quest'ultimo dettaglio mi fece sentire ancora di più uno stupido perchè lo facevo anche se guardandola non riuscivo a vederla per l'adulta che era ma per la bambina a cui tanto tempo fa spiegavo equazioni e dissequazioni.
Andai a prepararmi il divano in sala in attesa che liberarse il bagno per dedicarmi alle mie cure; a lei avrei lasciato la mia camera da letto.
Ci mise molto tempo. Quando finì mi raggiunse in sala in accappatoio gocciolante per chiedermi il phone.
Mi ero dimenticato di darglielo. La portai in camera dove in una scatola avevo messo tutte le cose di mia moglie tra cui anche il suo phone. In quei giorni cercavo di avere meno cose possibili per casa che me la ricordassero.
La lasciai e andai in bagno.
Avevo iniziato a lavarmi i denti quando mi accorsi che aveva lasciato il reggiseno sul lavandino, decisi di lasciaglierlo sulla porta della camera così che l'avrebbe preso quando avesse finito.
Davanti la porta venni colto di sorpresa da lei che stava uscendo essendosi accorta della sua dimenticanza.
Ci trovammo faccia a faccia. Io ero a torso nudo e lei in accappatoio, tipica situzione in cui chiunque, sotto gli effetti dell'alcool, sarebbe saltato addosso all'altro; ma riuscimo -per il momento- a trattenerci.
“Ehm! Ti sei dimenticata questo...”
“Si infatti...stavo...stavo...venendo”
Le fissai una gamba che gli sbucava dall'accappatoio, e il seno che cercava di coprirlo stringendo l'accappatoio non facendo altro che stringerlo e aumentare l'effetto della scollatura che continuava ad allimentare il mio eccitamento così duramente trattenuto.
Mi si gonfiò il pacco e vedendo che se n'era accorta sbrigativo gli diedi il reggiseno e me ne tornai in bagno.
A fatica mi calmai ed ero quasi riuscito a sgonfiarmi il pene, ma mentre mi ero chinato a sputare sentii una mano che me lo afferava.
Mi alzai di scatto e alle mie spalle dallo specchio vidi Elisa che mi guardava con gli occhi gonfi e carichi di desiderio.
Mi abbaracciò da dietro, rimanendo immobile, lasciai che con una mano mi massaggiasse il petto e con l'altra andasse a stuzzicare il pacco.
“Professore...-iniziò slacciandomi la cerniera- non so lei -infilò nell'apertura dentro le mutande cercando il mio pene- ma io mi sento tanto sola -lo trovò è lo tirò fuori”
Mi girai d'improvviso afferrandole le mani dopo essere ritornato in me.
“Elisa non mi sembra questo il modo di affrontare le cose”
“Professore sono responsabile di quello che faccio.”
Non sapevo come reagire, lo volevo anch'io ma quella faccia continuava a trasformarsi in quello di una bambina.
“Sono cresciuta”
Mi sforzai di vederla per la donna che era diventata. Ci riuscii e la lasciai fare.
Si inginocchiò e si infilò il mio pene in bocca.
Era delicata ma ingorda per quanto se lo infilava in bocca sembrava che avrei potuto sfondargli la testa.
Mi appoggiai al lavandino godendomi quel gran bel pompino ma fu li che ebbi di nuovo dei flash.
Mi passarono davanti tutti i tre anni che l'avevo avuta come mia alunna. La vidi quando arrivò e quando con il tempo cambiò.
Vidi una bambina piccola intimidita la cui unica preoccupazione era solo di studiare e giocare ignara del cambiamento che in lei si stava preparando. Ricordai poi il giorno in cui la vidi a ricreazione correre dalla mia collega d'italiano con dei forti mal di pancia che poi mi disse aveva avuto le sue prime mestruazioni. I giorni a seguire, dopo che qualcuno le aveva spiegato cosa era diventata, incominciai a vederla alle prese con le sue prime infatuazioni e i suoi spasimanti, senza ancora sapere cosa farci veramente con un ragazzo; con l'uso stupefiacente che faceva della bocca sicuramente l'aveva imparato.
Ritornai al presente.
Le infilai una mano in mezzo all'accappatoio con delicatezza le afferrai un seno
Lasciò il mio pene si alzò e si aprì l'accappatoio lasciando uscire entrambi le tette che dopo averle saggiate bene con le mani le iniziai a succhiare i capezzoli mentre lei continuava a farmi un sega leggera.
Mi sollevò il volto e mi portò in camera.
Si sedette sul letto, si slegò la cintura dell'accappatoio e aprì entrambi i lembi.
Era nuda e completamente a disposizione.
Avvicinandomi a lei prese a girarmi la testa. Ogni movimento sembrava distorcere la realtà e la vedevo tornare bambina, grande, bambina, grande ecc...
Vedi quello strano scherzo della sua vista come un messaggio del suo inconscio che gli chiedeva “Ma sei sicuro di quello che fai?”
Una volta davanti rimasi fermo per assicurarmi che rimanesse la donna che mi aveva succhiatto il cazzo qualche isante prima.
Vedendomi indeciso spalancò al limite le gambe e vedere alla tenue e calda luce del abagiure la sua vagina non lasciai più spazio ai pensieri.
Iniziai con il leccargliela piano facendola ansimare leggermente, ma vedendo che non bastava a farla godere a pieno presi l'iniziativa gli salii sul corpo fino a quando, tenendomi alzato con le mani all'altezza del suo volto la guardai e le diedi un bacio sulla fronte.
Guidai il mio pene verso la sua vagina e con molta delicatezza iniziai a penetrarla, partii piano puntando più sulla forza del colpo che sulla velocità ma appena accellerai di poco lei mi fermò. “Professore le volevo chiedere una cosa. Quando sta per venire. non si fermi...”
“Ma no..”
“Prenderò la pillola. Ma stasera ho bisogno di sentire un po' di vita dentro di me”
Mi vide tutibare.
“La prego” conclusse lasciando scorrere una lacrima.
Annuii e ripresi ad andare su e giu.
Non cambiammo posizione e non variai il ritmo per molto, quello che avevo preso andava benissimo.
Non troppo sostenuto ma intenso. Con il mio pene cercavo -simbolicamente- di toccarla nel profondo, quasi come una carezza che la confortasse dalle disgrazie che le erano capitate.
Andavo dentro e fuori con gusto sfoderando tutta la mia virilità che nonstante l'età si era conservata discretamente.
Le vedevo cadere delle lacrime mentre ansimava. Improvvisamente gridò a voce altissima: “Più forte!”
Le presi le gambe gliele tirai indietro e iniziai a montarla selvaggiamente. Gridava.
Diventai un animale. Spingevo così forte che facevo sbattere il letto contro il muro. Il seno che le se muoveva per le mie spinte mi eccitava e incrementai ulteriormente e andai più forte.
Una volta finito mi disse che voleva che facessi in quel modo per non sentire le grida di dolore che lanciava la sua anima.
Sentii arrivare l'orgasmo. I miei testicoli aveveno risvegliato il mio liquido. Quando arrivivarono mi lasciai andare scaricandogli il mio sperma con forza per farle sentire il calore di quel fac-simile di vita che mi aveva chiesto.
Ogni getto le davo una spinta forte scaricando l'energia della eiaculazione incitandomi con la voce. Il getto rallentò e quando finì mi lasciai andare su di lei. Ero stremato.
Le rimasi sdraiato sopra appogniandomi con la testa a un seno per trovare conforto, fregandomene del mio peso.
“Grazie professore” disse accarezzandomi i capelli e lasciandomi rimanere sopra di lei.
Le sue carezza erano dolci e materne. La vita le aveva insegnato bene ad essere donna; l'aveva trasformata in una portatrice di sentimenti e emozioni che negli uomini e nelle piccole donne altrimenti non esisterbbero.
Da piccola aveva provato la stessa cosa da sua madre e crescendo aveva imparato a farlo a sua volta.
Si. Crescere e una magia. Un tempo si è nulla. Maschi e femmine giocano insieme ignorando le proprie differenze, iniziano a crescere imparano a conoscere loro stessi compiendo strade diverse che un giorno si incroceranno e impareranno qualcosa dell'altro mischiando sentimenti, emozioni ed esperienze dando al mondo la magie di tutte le magie che è la vita.
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