Prime esperienze

di
genere
gay

Pippo ed il Cozzo erano dei ragazzi di qualche anno più grandi di me. Li avevo aiutati per lo studio ma li conoscevo da anni; erano di un paese vicino caserta, dove passavo regolarmente i mesi estivi.
Non saprei dire se mi attraessero, non erano belli. Due tipi bassi e tarchiati, ma con un fisico scolpito e muscoloso, e molto maschili tanto da sembrare molto più grandi di quanto erano. Sapevo solo per sentito dire di rapporti tra maschi e non avevo esperienza ma, qualche volta, vedendo qualche cazzo avevo provato un fremito alla pancia. Tutti i pomeriggi, anche negli anni precedenti, nell’ora calda, andavamo in quella cantina molto spaziosa adibita a sala hobby per chiacchierare, sentire musica e giocare.
Che ci fossero state delle avvisaglie sulle loro intenzioni non c’è dubbio. Spesso si erano masturbati difronte a me che arrossivo suscitando le loro risate, mi mostravano riviste con foto porno, o mi spiegavano comportamenti sessuali osceni. Ma la prima volta che mi ritrovai nudo difronte a loro, col le loro mani addosso mi spaventai. Sotto l’effetto dell’alcool, mi avevano immobilizzato e spogliato nudo.
Guarda che pisellino che c’ha il romano, diceva Cozzo, vieni qui dai, che non lo diciamo a nessuno, forza e dai una manata sul culo, una tastata alle tette, mentre scappavo per la piccola cantina senza scampo.
Se vuoi che ti ridiamo i vestiti ti devi mettere in ginocchio, se no ti lasciamo qui nudo. Dai, ragazzi, non scherzate, dicevo piagnucolando. Ma più piagnucolavo più quelli sembravano divertiti ed eccitati.
Quando fui in ginocchio, il Ciorro mi si avvicinò e, con fare sicuro mi spinse in avanti, facendomi mettere a bocconi e cominciò a tastarmi il culo e a sculacciarlo con violenza e gusto. Quando però, sentii il suo dito insinuarsi dentro, mi girai di scatto e mi tolsi. Intanto Pippo, lì davanti, si godeva a scena e stava menandosi l’uccello.
Quando mi misi a piangere, i due capirono che stavano esagerando. Mi diedero i vestiti e mi fecero uscire.
Due giorni dopo, di mia spontanea volontà, tornai nella cantina. Non ti devi vergognare, mi diceva Pippo, vedi il tuo pisello come è piccolo? Come sei senza peli? Vedi che tette grandi che hai? Tu sei una femmina, lo devi capire. Ti piace quando ti tocco le tette vero? Sì, dissi, non potendolo nascondere, mi piace e lui continuò a stringermi i capezzoli. Anche quando ti faccio male ti piace vero? Provavo un dolore intenso, ma per nulla al mondo avrei rinunciato al suo palpeggiamento. Intanto Cozzo mi toccava le chiappe. Quando si sedettero vicino a me, mettendomi in mezzo, si abbassarono le brache e le mutande e mi venne naturale prendere i loro cazzi in mano e masturbarli. Finirono da soli la sega, sborsando sul pavimento. Per oggi basta, disse Cozzo, ma domani non devi più fare storie.
———
Quando vidi davanti al mio viso il cazzo del Cozzo, rimasi visibilmente meravigliato e lui se ne accorse. Non che non lo avessi già visto ma, solo ora mi rendevo conto che non era un uccello da bambino come il mio, ma un cazzo maschile vero, peloso, grosso e con un forte odore di muschio, come quelli che avevo visto sulle riviste lì in cantina.
Devi stare tranquillo, che non lo diciamo a nessuno, apri la bocca dai che non succede nulla. Quando me ne mise la metà, la sua cappella urtò la mia gola, facendomi tossire… buono mi disse, dandomi uno schiaffetto, faccio più piano, ma stringilo con le labbra, ecco così, bravo. E cominciò ad dentro e fuori delle mie labbra con la cappella.
In ginocchio nudo davanti a lui, che con le mutande calate se la divertiva a darmi insegnamenti, mentre il suo compare se la rideva pregustando il suo turno mi sentii completamente soggetto alla loro volontà. Mi vergognavo da morire, capivo che dovevo scappare, andarmene ed invece continuai imperterrito a fare quella cosa oscena. Sei bravo a farli, bravissimo. Continua così… Tra un po’ sburro, ricordati cosa ti ho detto, se ti togli lo dico a tutti che sei una bocchinara.
In effetti mi aveva avvertito, mi aveva spiegato. Ad un certo punto ti prendo la testa e devo godere, non ti devi spaventare, devi stare buono e tranquillo. Ti sburro in bocca e tu stai fermo finchè non finisco. Poi se vuoi lo ingoi se no lo sputi nel fazzoletto… ok? Ma no dai, la tua sborra mi fa schifo… ma che schifo, non farmi perdere tempo in cazzate.
Il suo sperma caldo cominciò a schizzarmi in gola molto presto, mentre lui mi stringeva la testa con forza e con la punta del cazzo mi toccava la gola. Soffrivo, le ginocchia mi facevano male e i conati di vomito mi stavano assalendo. Ma rimasi fermo come mi aveva detto, per il timore di non compiacerlo.
Pippo arrivò subito dopo, con il cazzo duro, aveva fretta dopo essersi gustato il suo amico. Apri la bocca per bene, disse, e come fosse la cosa più naturale del mondo mi sputò in bocca. Inghiotti tutto, dai, e spaventato dalla sua irruenza inghiottii il suo sputo e lo sperma del Coppo. Brava troia, dai, apri che non ce la faccio più. Il suo cazzo era violento, entrava ed usciva senza tregua, insensibile alle mie esigenze. Mi sburrò quasi subito in bocca, con violenza inaudita.
Il giorno dopo replicammo nel pomeriggio, e per tutta la settimana, saltando la domenica. Il lunedì successivo prendemmo a vederci sia dopo pranzo che dopo cena. Un giorno che Pippo non poté venire, il Coppo mi fece un discorso strano, di amici da accontentare, gente seria, di cui non temere. Poi, mi fece accucciare sul tavolaccio e mi unse con l’olio d’oliva il culo. Quando cominciai a frignare mi diede un paio di schiaffoni ben assestati e continuò col suo pisello ad andare su e giù dentro di me. Dopo avermi riempito per bene, me lo mise in bocca e mi disse di pulirlo. Posso rivestirmi? Chiesi dopo aver finito. No, rimani nudo, non ho finito.
Si accese una sigaretta e mi guardò a lungo senza parlare. Vieni a fare la femmina, disse all’improvviso, indicando con lo sguardo il suo cazzo semiduro. Capii subito cosa voleva, mi metteva alla prova, misurare la mia abilità. Presi a lavorare il suo cazzo con la bocca, lentamente, facendolo eccitare. Era assurdo farlo, lo capivo, lo stavo preparando di nuovo a penetrarmi quando il culo mi bruciava ancora. Ma dovevo compiacerlo, mi piaceva farlo, soffrire per il suo piacere, essere usato. Per fortuna non ci mise molto. Il cazzo esplose in profondità nel mio intestino, voglioso ed autoritario, regalando al Coppo un piacere così intenso che lo sentii accasciarsi sulla mia schiena, mentre un rivolo di calda bava mi colava sulla schiena.
Asciugai con la carta igienica il rivolo di sperma tra le mie gambe e le chiappe. Lui mi guardava orgoglioso di quello che mi aveva fatto, lo avevo fatto sentire uno stallone. Forse era solo un po’ intimorito, dal fatto che dopo questa cosa non sarei più tornato nella cantina. Magari avrei detto tutto a qualcuno. Forse aveva esagerato. Per due giorni in effetti non ci vedemmo. Ma il venerdì, passai li davanti e lui era lì. Mi fece cenno ed io, senza fiatare, scesi nell’inferno con lui. Mi tenne tutto il giorno li sotto, dalla mattina presto all’ora di cena. Quando sburrò per la quinta volta si sentì soddisfatto, sapeva che ormai ero una cosa sua, un suo giocattolo.
Non mi chiese il permesso quando portò il suo primo amico. Me lo diede come cosa scontata. E’ un bravo signore, forse lo conosci, la moglie è in ferie ha bisogno di svuotare le palle. Ma, chi è? Non preoccuparti. Ma come non mi preoccupo, scusa, non lo conosco. Non fare tutte queste storie, lo so che ti piace il cazzo, quindi basta. Ora arriva.
Quando lo vidi mi prese un colpo. Era Armando, il camionista, un amico di mio padre. Stai tranquillo, mi disse subito per tranquillizzarmi, se sei bravo ed ubbidiente non diciamo al paparino che ti piace fare la femminuccia con questi delinquenti. E visto che non rispondevo bloccato dalla vergogna, mi urlò hai capito cosa ti ho detto cazzo? Sì certo, signor Armando, ho capito.
Bene, allora spogliati che è tre giorni che non sburro per bene. Mi tolsi i pantaloncini e la maglietta e rimasi in mutande. Che belle tettine da signorina che hai, disse seduto sulla sedia a gambe aperte mentre mi mostravo a lui.
Lo sai cosa ti devo fare adesso, vero? Sì, lo so signor Armando. Bene e sai che devi essere bravo e non fare storie, vero? Sì. Tanto siamo qui io e te e nessuno lo saprà. Stai tranquillo. Tanto me l’hanno detto che ti piace, mi disse pizzicandomi dolorosamente le tette. Togliti le mutande, fammi vedere che bel culetto che hai.
Bello, da vera troietta! E mi insinuò un dito nel culo. Ahi! Zitta puttanella, ferma, se stai ferma ti fa meno male. Abbassati. Intanto si era abbassato le brache alle ginocchia e, benché fossi girato di spalle, avvertii l’afrore animalesco che proveniva dai suoi genitali sudati.
Te l’hanno già messo nel culo?, mi domandava mentre mi torturava col suo dito enorme e ruvido. E poiché non rispondevo, mi fece girare, inginocchiare davanti a lui e mi mollò un ceffone. Solo allora, vidi il suo cazzo. Era enorme, turgido come se stesse per scoppiare, con la cappella fuoriuscita a metà di un viola pesto. Sì, me lo hanno messo… Bene!, replicò, il Coppo vero? Quel maiale. Sì, lui. Ma mi fa male. Lo so, ti devi abituare, ti devi rilassare, è un consiglio che ti do. E con forza mi spinse la testa sul cazzo e mi impose un ritmo lento, che lo soddisfaceva. Poi iniziò qualche spinta più violenta, il cazzo mi toccò la gola provocandomi dei conati che Armandò ignorò. Poi d’un tratto, assecondai il suo movimento e lo lasciai entrare nella mia gola, come voleva lui. Mi sentii subito soffocare ma lui, invece di estrarlo, mi teneva la testa spinta sul pube. Impedendomi di liberarmi, se stai calmo, non ti succede nulla… mi diceva con tono caldo di voce, lo devi prendere tutto. Dopo avermi liberato dalla morsa e lasciatomi respirare, mi rifece quella cosa altre cinque volte, lasciandomi senza fiato. Bravo, ti stai imparando bene, guarda che cazzo duro mi hai fatto venire, papà sarà fiero di te… ah ah…
Lo so che ti fa male, ma non devi resistere… senti i miei consigli. Stavo a cosce larghe sul tavolo della cantina, Armando aveva appena finito di infilare la sua cappella dura nel mio culo, dopo avermi lubrificato con un po’ d’olio da cucina. Tanto anche se ti fa male questi te lo mettono al culo lo stesso, ormai sei la loro puttana, meglio che ti ci abitui. Poi con un colpo, mi fu tutto dentro, facendomi urlare. Buono, stai zitto, troia, senti come è fatto un cazzo vero! Mi stringeva i fianchi con forza con le sue mani enormi, tenendomi ben attaccato con le chiappe schiacciate al suo pube. Intanto il suo pisello esplorava il mio intestino lentamente, sempre più duro ed eccitato.
Provavo dolore ed imbarazzo per quello che mi stava facendo e perché era proprio lui a farmelo. Sapevo che era una cosa naturale, che era uno stallone ed era nato per fare questo, non voleva farmi male ma ci era costretto dal suo ruolo. Io servivo solo per farlo godere, tutto qui.
Rilasciò il suo seme caldo dentro di me con calma, penetrandomi il più possibile. Il mio ano era infiammato, bruciava da morire, ma rimasi fermo immobile, silenzioso, intento a non rovinare il suo piacere, guardando il suo viso trasformarsi in una maschera di piacere, tutto bagnato di sudore per lo sforzo compiuto.
Tirò fuori il cazzo moscio e mi liberò dalla morsa. Mi fece inginocchiare di nuovo davanti a lui e mi disse di prenderlo in bocca per pulirlo per bene. Lucidalo per bene, bravo così, se no sporco le mutande. Il sue seme scendeva lento tra le mie cosce, ancora caldo e piacevole.
Sei stato abbastanza bravo, devi migliorare ancora, ma va bene. La cosa rimane qui, non preoccuparti, non diciamo nulla a nessuno. Grazie, dissi. Però, ti voglio rivedere ancora per questa cosa, almeno un paio di volte a settimana finché non parti. Poi uscì rapidamente dalla cantina e si chiuse la porta dietro.
——
Miro era un latitante che viveva in una casa nel bosco vicino xxx. Tutti sapevano fosse lì, ma nessuno andava a cercarlo.
Ti devo portare da lui, ha bisogno di divertirsi un po’, mi aveva detto Armando. E con la solita minaccia di far sapere ai mie cosa facevo, mi ero sentito costretto ad andare li.
Armando dice che sei un bravo frocetto, bravo di bocca e con un bel culetto stretto… E’ vero? Rispondi a Miro, mi disse Armando, non ti mangia mica?
Sì è vero. Bene, perché ho le palle piene e mi devi far divertire per bene.
Miro era sdraiato sulla poltrona, in pantaloncini e ciabatte, con una canottiera che ne evidenziava il fisico tirato. Doveva avere intorno ai 40 anni, fisico magro e muscoloso, con una leggera pancetta; tatuaggi su tutte e due le braccia ed alcuni sul viso. Mi faceva veramente paura e avrei voluto scappare a casa se avessi potuto.
Non avere paura, qui stai tranquillo. Mi disse Miro vedendomi teso. Se non vuoi puoi andartene… Ma no, disse Armando, è pronto non ti preoccupare è felice di farti contento. Ok, se rimani qui vai via stasera, prima di cena e non fai storie. OK!
Al letto non mi fece cose peggiori di quelle che mi faceva regolarmente Armando ma sentivo una sottile violenza mentre le faceva, come se volesse usarmi per scaricare tutte le sue tensioni. A questo si univa la paura e soggezione che avevo di lui, che mi rendeva sottomesso e collaborativo nei suo confronti. Non ci volle molto a mettermi a pecora, mi spinse in avanti e con violenza me lo mise dentro, dopo avermi lubrificato con la sua saliva. Mi sbatteva violentemente, come fossi una cagna, mentre le sue palle mi sbattevano sulle natiche. Due volte cedetti alle sue spinte e caddi bocconi. Lui mi fece rimettere in ginocchio, incazzato per aver perso il ritmo, finché non mi sistemò con la testa contro la spalliera del letto. Si godette la sburrata nel culo tenendomi per i capelli con la schiena incurvata.
Vai giù in stalla, mi disse, fai un po’ divertire i “ragazzi” ne hanno bisogno. Dietro non devi prenderlo, lì lo metto solo io. Poi quando hai finito fai una doccia fuori e risali. Avrei voluto protestare, ma non emisi un fiato. Scesi nella stalla in mutande. Era vuota, la usavano come magazzino, fresca. I “ragazzi” erano due uomini attempati, sui 60 anni, panciuti e con delle facce da criminali incalliti.
Quando Gianni si abbassò le brache, il suo pene era ancora moscio, anche se decisamente imponente. Glielo carezzai delicatamente, mentre lui mi palpava le natiche, con gli occhi chiusi in completo relax. Ci volle un po’ per farlo alzare per bene, ma quando fu duro resistette senza problemi per tutto il rapporto.

Quando l’estate finì e ritornai a Milano ero ormai un’altra persona. Mi avevano scopato nove uomini differenti ed avevo fatto una esperienza notevole. Sapevo perfettamente come farli godere rapidamente o ritardare il loro piacere, le differenze tra l’uno e l’altro. Non ne parlai a nessuno e mi astenni per qualche tempo dall’avere rapporti con maschi. Poi, un giorno…
scritto il
2018-08-04
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