Il vestito di Silvia
di
babbacombe lee
genere
zoofilia
Aveva aperto l’armadio e si era guardata nello specchio fissato all’interno dell’anta.
In forma perfetta, come al solito.
Silvia era soddisfatta del suo aspetto, era di quelle donne dal fisico snello ed atletico, vagamente androgino, con le spalle larghe, braccia e gambe magre e leggermente muscolose, ed i seni piccoli.
Che fosse una donna si sarebbe notato comunque dal suo culetto rotondo e ben modellato, ma Silvia vestiva sempre un po’ da “maschiaccio”, canottiere e magliette in estate, maglioni d‘inverno e immancabilmente jeans, ma non di quelli aderenti, costosi e firmati, ma piuttosto quelli rozzi, ed un po’ sformati, tipo farmer americano, quindi, in condizioni normali, il suo didietro sarebbe passato inosservato.
Quella mattina, mentre si guardava allo specchio, scalza e con indosso soltanto mutandine e reggiseno, lo sguardo di Silvia cadde sul vestito turchese appeso nell’armadio, unica anomalia tra i tanti capi che usava usualmente.
Lo aveva indossato poche volte, in qualche occasione importante, ed era un mucchio di tempo che non lo metteva.
Sulla sua pelle ancora abbronzata stava proprio bene, fasciava perfettamente le sue forme senza stringere troppo.
Naturalmente non avrebbe potuto mettere le solite scarpe da ginnastica e così tirò fuori dalla scatola le uniche scarpe eleganti che possedeva.
Tacco alto e fino, ma non troppo alto, perché lei con quei trampoli spropositati proprio non riusciva a camminare, una breve pettinata ai suoi lunghi capelli scuri, che per l’occasione aveva deciso di lasciare sciolti sulle spalle, invece che tenuti legati con il solito grande fermaglio a molla, un filo di trucco, e Silvia era uscita per andare al lavoro come tutte le mattine.
Ma non era come tutte le mattine, il suo ingresso in ufficio iniziò con i due addetti al bancone della portineria, che conosceva da anni, che salutò come al solito, che risposero al suo buongiorno come al solito e …
Un attimo dopo avevano cambiato espressione, non avevano detto nulla, ma lo stupore dipinto sui loro visi, era evidente.
Accadde una cosa simile anche nell’atrio degli ascensori, nella breve attesa che ne arrivasse uno a piano terra.
In mezzo ai colleghi del suo reparto l’effetto fu ancora più forte, sembrava che improvvisamente, grazie a quel vestito, avessero tutti scoperto che quel maschiaccio di Silvia aveva un corpo niente male.
Nessuno le disse nulla, tranne un collega con cui aveva parecchia confidenza, a cui scappò un “dovresti vestirti più spesso così, stai molto bene”.
La giornata passò così, con gli sguardi un po’ nascostamente ammirati dei colleghi, ed un po’ invidiosi delle colleghe, quando lei passava per i corridoi, ancheggiando leggermente.
Non lo faceva apposta, era per via dei tacchi alti, che la davano poca stabilità, ma l’effetto del suo bel culetto, che si muoveva sotto al vestito turchese, era stato una piacevole novità che aveva spezzato la routine quotidiana dell’ufficio.
Era una bella giornata di fine estate, non troppo calda, e Silvia, uscita dal lavoro, decise di fare due passi, poi passando davanti ad un centro commerciale, entrò e gironzolò senza comprare nulla.
Era già a buon punto sulla strada di casa quando …
Accidenti, pensò, dovevo farla al centro commerciale.
Le scappava pipì ed era ancora abbastanza distante da casa.
Cominciò a ragionare: ho poco tempo perché devo uscire di nuovo per andare a cena fuori, se torno indietro fino al centro commerciale farò tardi, non mi va di andare in un bar e prendermi da bere qualcosa, per arrivare fino a casa c’è ancora parecchia strada …
Poi guardò il sole, ormai basso sull’orizzonte, e pensò: ma sì, taglio per il parco ed arrivo a casa prima di notte, arrivo prima e la faccio a casa che è meglio.
Purtroppo non aveva fatto i conti con la sua scarsa dimestichezza con le scarpe dal tacco alto, che rallentarono di molto la sua andatura nei vialetti sterrati.
Quando era proprio nel mezzo del grande parco, si rese conto che non aveva l’autonomia per arrivare fino a casa, così, confidando nel fatto che non vedeva nessuno in giro, si allontanò dal vialetto e, al riparo di una fitta siepe, si abbassò le mutandine e si accucciò.
Una vera liberazione, pensò Silvia mentre cercava di mantenersi in equilibrio sui tacchi.
Accidenti, le scappò quando, rimessasi in piedi, si accorse che aveva bagnato lo slip.
Si appoggiò ad un albero vicino e, sollevando prima un piede e poi l’altro, si liberò dell’indumento bagnato, che ripose nella borsetta, dopo averlo messo in una bustina di plastica, si rimise a posto il vestito e si diresse verso il vialetto che aveva abbandonato poco prima.
Aveva fatto solo due passi che sentì un rumore provenire dalla siepe.
Si guardò intorno un po’ spaventata, perché intanto si era fatto quasi buio.
“E’ solo un cane, che stupida che sono!”, esclamò ad alta voce.
Silvia aveva sempre avuto un buon rapporto con tutti gli animali, specialmente con i cani, e quindi quel bastardone di taglia grande, dal pelo grigio ed arruffato, non la preoccupò minimamente.
Il cane puntò dritto verso di lei, scodinzolando e le si fermò vicino, Silvia le fece una carezza sul muso, l’animale la ricambiò con una bella linguata sulla mano, poi successe una cosa imprevista.
Il cane infilò il muso sotto il vestito di Silvia ed iniziò ad annusarla in mezzo alle cosce.
“Ehi! No, questo no!”, lo sgridò Silvia scostandosi, ma il cane si rifece sotto ed infilò di nuovo il muso sotto il vestito e questa volta lei sentì il contatto del naso dell’animale con il suo sesso.
Fece un passo indietro, la situazione cominciava a farsi imbarazzante.
Il cane si alzò sulle zampe anteriori e Silvia, di istinto, si girò, così si trovò contro l’albero, con il cane addosso alla sua schiena, con le zampe anteriori poggiate sulle sue spalle.
L’animale le si appiccicò al sedere, e lei a questo punto lo spinse forte indietro e cercò di andarsene.
Anche in questo caso Silvia aveva sottovalutato i problemi dati dai tacchi alti, perché il suo tentativo di fuga non riuscì: inciampò mentre si girava ed il cane le diede pure una spinta.
Insomma Silvia si ritrovò per terra a carponi, con il cane sopra.
“Willy, ecco dove ti eri cacciato!”
Silvia alzò gli occhi nella direzione da cui aveva sentito provenire la voce.
Aveva i capelli davanti agli occhi ed era ormai parecchio buio, ma vide un uomo con un guinzaglio in mano che si avvicinava.
Ma certo che stupida, il cane aveva il collare, quindi doveva esserci anche il padrone, ora lui lo chiama ed il cane mi lascia in pace.
Il padrone non lo chiamò e Willy continuò a fare quello che aveva fatto finora, cioè strofinarsi contro il sedere di Silvia.
Quando realizzò che le sue mutandine erano nella borsa, che il cane era maschio e che le stava facendo sbattere qualcosa in mezzo alle cosce, cominciò a preoccuparsi seriamente.
Avrà pesato almeno 50 chili, le era salito sopra e si rese conto che forse non sarebbe mai riuscita a scrollarselo di dosso da sola.
“Signore, per favore, richiami il cane.”
“Tranquilla, è solo un cucciolone e vuole giocare con te.”
Silvia provò ad alzarsi, ma l’animale la spinse verso il basso premendole la schiena con il petto, mentre le sue zampe posteriori si spostarono in avanti.
Sentì la punta del pene dell’animale che le faceva il solletico sulle cosce.
“Aiuto! Per favore!”
“Non credo che Willy abbia bisogno di aiuto. Penso che ci riuscirà da solo.”
“Ma è impazzito, mi tolga questa bestia di dosso!”
Il cane si era mosso e Silvia, per un attimo sentì il pene dell’animale che le solleticava l’orifizio anale.
“No! No, maledizione!”, gridò mentre cerca nuovamente di scrollarsi di dosso l’animale.
Poi il cane si spostò un po’ più in basso e spinse in avanti.
La punta del suo pene entrò dritta nella vagina secca di Silvia, che cacciò un grido di dolore e di sorpresa allo stesso tempo.
A questo punto il cane iniziò a muoversi velocemente avanti e indietro e Silvia dovette puntare bene le braccia per non finire faccia a terra.
Notò che era più piccolo di quanto si sarebbe aspettata da un cane di grossa taglia, ma visto che era stata penetrata di sorpresa, a freddo, il contatto era discretamente doloroso.
L’animale, quasi subito, le spruzzò una bella dose di sperma, e lei si mise a gridare schifata, anche se dovette ammettere che ora il contatto era meno spiacevole.
In tutto ciò aveva chiuso gli occhi e, quando li riaprì, si accorse che l’uomo si era seduto proprio di fronte a lei, a gambe incrociate.
Le scostò i capelli da davanti agli occhi e le chiese con voce gentile: “Tutto bene?”
“No, maledizione!” gridò Silvia, mentre il cane cercava di entrarle dentro più profondamente, “mi fa male accidenti!”
“E’ così all’inizio della monta, ma poi diventa più piacevole, stai tranquilla, Willy è bravo ed esperto di queste cose.”
Cominciò ad essere presa dal panico: era nella mani di un pazzo che la stava facendo montare dal suo grosso cane, si mise a piangere, mentre l’animale continuava a spingere cercando di ficcarle dentro anche il resto del pene.
Sentì che lentamente le labbra della sua vagina cedevano, si aprivano, sotto la spinta dell’animale e poi era anche bagnata, sì, certo, era lo sperma del cane … non solo.
Trattenne un gemito, mordendosi le labbra, perché non voleva farsi accorgere dal padrone del cane che le stava di fronte, e la guardava come se volesse studiare le sue reazioni.
Silvia cacciò un grido, quando il cane riuscì a vincere l’ultima resistenza di Silvia, e le infilò dentro il resto del suo arnese.
“Ahi! Oddio! Mi fa male!”
“Bene, è entrato il nodo”, disse lui.
Il cane aumentò il ritmo, mentre la parte finale del pene che le era appena entrata dentro iniziava a gonfiarsi, dandole una strana sensazione di sentirsi piena.
Le scappò un gemito, poi un altro, ora Silvia respirava a bocca aperta, l’uomo le scostò di nuovo i capelli dal viso.
“Esperienza interessante, vero?”, le disse passandole un dito sulle labbra semi aperte.
Silvia rispose con un nuovo gemito, era stanca, sfinita dal dover tenere così a lungo quella scomoda posizione, ma si rendeva conto di non avere scelta e poi …
Le sfuggì un grido, le sembrava di sentire il pene gonfio che pulsava dentro di lei, più gonfio, sempre più gonfio.
Fino ad ora aveva assecondato il movimento del cane che le stava sopra, ora cominciò a muoversi anche lei, quello che l’uomo aveva chiamato nodo, e che doveva essere la parte finale, era così grande che impediva al pene di uscire completamente da lei, così, quando Silvia si spostava indietro, arrivava a schiacciarsi contro i testicoli dell’animale, ma quando si spostava in avanti, sentiva la vagina che si dilatava forzata dal nodo.
Quest’ultima era una sensazione dolorosa ma piacevole allo stesso tempo, che lei non aveva mai provato, e così continuò a muoversi in questa maniera finché non venne il momento. Le braccia di Silvia cedettero e lei finì con il viso nella conca creata dalle gambe incrociate del padrone del cane, con una guancia poggiata proprio sul pene dell’uomo.
Sentiva l’erezione attraverso la stoffa dei suoi pantaloni, mentre gridava e gemeva in preda ad un orgasmo incontenibile.
Subito dopo il cane la inondò di sperma, le sembrò non finire mai, mentre il padrone le carezzava dolcemente i capelli.
Sentì umido a contatto della guancia, il padrone del cane era venuto anche lui, si era eccitato nel vederla scopata dal suo cane, ed una grande macchia scura si stava allargando sulla stoffa dei pantaloni.
Il cane le scese dalla schiena e si girò di 90 gradi, ma rimase attaccato a Silvia.
“Non ti muovere, vi fareste male tutti e due, bisogna aspettare che il nodo si sgonfi.”
Silvia aspettò paziente, mentre l’odore acuto di sperma trasudava dai pantaloni dell’uomo, stordendola.
Sia lei che il cane provarono più volte, con una certa delicatezza a staccarsi, poi, alla fine, dopo una ventina di minuti, il nodo si sgonfiò e Silvia fu libera di rimettersi in piedi, mentre cane e padrone si allontanavano.
Rimase a lungo appoggiata all’albero, con fiotti di sperma che le colavano lungo le gambe, poi, dopo essersi ripulita con dei fazzolettini, stupita e turbata di quanto accadutole, si rimise in cammino, diretta a casa.
In forma perfetta, come al solito.
Silvia era soddisfatta del suo aspetto, era di quelle donne dal fisico snello ed atletico, vagamente androgino, con le spalle larghe, braccia e gambe magre e leggermente muscolose, ed i seni piccoli.
Che fosse una donna si sarebbe notato comunque dal suo culetto rotondo e ben modellato, ma Silvia vestiva sempre un po’ da “maschiaccio”, canottiere e magliette in estate, maglioni d‘inverno e immancabilmente jeans, ma non di quelli aderenti, costosi e firmati, ma piuttosto quelli rozzi, ed un po’ sformati, tipo farmer americano, quindi, in condizioni normali, il suo didietro sarebbe passato inosservato.
Quella mattina, mentre si guardava allo specchio, scalza e con indosso soltanto mutandine e reggiseno, lo sguardo di Silvia cadde sul vestito turchese appeso nell’armadio, unica anomalia tra i tanti capi che usava usualmente.
Lo aveva indossato poche volte, in qualche occasione importante, ed era un mucchio di tempo che non lo metteva.
Sulla sua pelle ancora abbronzata stava proprio bene, fasciava perfettamente le sue forme senza stringere troppo.
Naturalmente non avrebbe potuto mettere le solite scarpe da ginnastica e così tirò fuori dalla scatola le uniche scarpe eleganti che possedeva.
Tacco alto e fino, ma non troppo alto, perché lei con quei trampoli spropositati proprio non riusciva a camminare, una breve pettinata ai suoi lunghi capelli scuri, che per l’occasione aveva deciso di lasciare sciolti sulle spalle, invece che tenuti legati con il solito grande fermaglio a molla, un filo di trucco, e Silvia era uscita per andare al lavoro come tutte le mattine.
Ma non era come tutte le mattine, il suo ingresso in ufficio iniziò con i due addetti al bancone della portineria, che conosceva da anni, che salutò come al solito, che risposero al suo buongiorno come al solito e …
Un attimo dopo avevano cambiato espressione, non avevano detto nulla, ma lo stupore dipinto sui loro visi, era evidente.
Accadde una cosa simile anche nell’atrio degli ascensori, nella breve attesa che ne arrivasse uno a piano terra.
In mezzo ai colleghi del suo reparto l’effetto fu ancora più forte, sembrava che improvvisamente, grazie a quel vestito, avessero tutti scoperto che quel maschiaccio di Silvia aveva un corpo niente male.
Nessuno le disse nulla, tranne un collega con cui aveva parecchia confidenza, a cui scappò un “dovresti vestirti più spesso così, stai molto bene”.
La giornata passò così, con gli sguardi un po’ nascostamente ammirati dei colleghi, ed un po’ invidiosi delle colleghe, quando lei passava per i corridoi, ancheggiando leggermente.
Non lo faceva apposta, era per via dei tacchi alti, che la davano poca stabilità, ma l’effetto del suo bel culetto, che si muoveva sotto al vestito turchese, era stato una piacevole novità che aveva spezzato la routine quotidiana dell’ufficio.
Era una bella giornata di fine estate, non troppo calda, e Silvia, uscita dal lavoro, decise di fare due passi, poi passando davanti ad un centro commerciale, entrò e gironzolò senza comprare nulla.
Era già a buon punto sulla strada di casa quando …
Accidenti, pensò, dovevo farla al centro commerciale.
Le scappava pipì ed era ancora abbastanza distante da casa.
Cominciò a ragionare: ho poco tempo perché devo uscire di nuovo per andare a cena fuori, se torno indietro fino al centro commerciale farò tardi, non mi va di andare in un bar e prendermi da bere qualcosa, per arrivare fino a casa c’è ancora parecchia strada …
Poi guardò il sole, ormai basso sull’orizzonte, e pensò: ma sì, taglio per il parco ed arrivo a casa prima di notte, arrivo prima e la faccio a casa che è meglio.
Purtroppo non aveva fatto i conti con la sua scarsa dimestichezza con le scarpe dal tacco alto, che rallentarono di molto la sua andatura nei vialetti sterrati.
Quando era proprio nel mezzo del grande parco, si rese conto che non aveva l’autonomia per arrivare fino a casa, così, confidando nel fatto che non vedeva nessuno in giro, si allontanò dal vialetto e, al riparo di una fitta siepe, si abbassò le mutandine e si accucciò.
Una vera liberazione, pensò Silvia mentre cercava di mantenersi in equilibrio sui tacchi.
Accidenti, le scappò quando, rimessasi in piedi, si accorse che aveva bagnato lo slip.
Si appoggiò ad un albero vicino e, sollevando prima un piede e poi l’altro, si liberò dell’indumento bagnato, che ripose nella borsetta, dopo averlo messo in una bustina di plastica, si rimise a posto il vestito e si diresse verso il vialetto che aveva abbandonato poco prima.
Aveva fatto solo due passi che sentì un rumore provenire dalla siepe.
Si guardò intorno un po’ spaventata, perché intanto si era fatto quasi buio.
“E’ solo un cane, che stupida che sono!”, esclamò ad alta voce.
Silvia aveva sempre avuto un buon rapporto con tutti gli animali, specialmente con i cani, e quindi quel bastardone di taglia grande, dal pelo grigio ed arruffato, non la preoccupò minimamente.
Il cane puntò dritto verso di lei, scodinzolando e le si fermò vicino, Silvia le fece una carezza sul muso, l’animale la ricambiò con una bella linguata sulla mano, poi successe una cosa imprevista.
Il cane infilò il muso sotto il vestito di Silvia ed iniziò ad annusarla in mezzo alle cosce.
“Ehi! No, questo no!”, lo sgridò Silvia scostandosi, ma il cane si rifece sotto ed infilò di nuovo il muso sotto il vestito e questa volta lei sentì il contatto del naso dell’animale con il suo sesso.
Fece un passo indietro, la situazione cominciava a farsi imbarazzante.
Il cane si alzò sulle zampe anteriori e Silvia, di istinto, si girò, così si trovò contro l’albero, con il cane addosso alla sua schiena, con le zampe anteriori poggiate sulle sue spalle.
L’animale le si appiccicò al sedere, e lei a questo punto lo spinse forte indietro e cercò di andarsene.
Anche in questo caso Silvia aveva sottovalutato i problemi dati dai tacchi alti, perché il suo tentativo di fuga non riuscì: inciampò mentre si girava ed il cane le diede pure una spinta.
Insomma Silvia si ritrovò per terra a carponi, con il cane sopra.
“Willy, ecco dove ti eri cacciato!”
Silvia alzò gli occhi nella direzione da cui aveva sentito provenire la voce.
Aveva i capelli davanti agli occhi ed era ormai parecchio buio, ma vide un uomo con un guinzaglio in mano che si avvicinava.
Ma certo che stupida, il cane aveva il collare, quindi doveva esserci anche il padrone, ora lui lo chiama ed il cane mi lascia in pace.
Il padrone non lo chiamò e Willy continuò a fare quello che aveva fatto finora, cioè strofinarsi contro il sedere di Silvia.
Quando realizzò che le sue mutandine erano nella borsa, che il cane era maschio e che le stava facendo sbattere qualcosa in mezzo alle cosce, cominciò a preoccuparsi seriamente.
Avrà pesato almeno 50 chili, le era salito sopra e si rese conto che forse non sarebbe mai riuscita a scrollarselo di dosso da sola.
“Signore, per favore, richiami il cane.”
“Tranquilla, è solo un cucciolone e vuole giocare con te.”
Silvia provò ad alzarsi, ma l’animale la spinse verso il basso premendole la schiena con il petto, mentre le sue zampe posteriori si spostarono in avanti.
Sentì la punta del pene dell’animale che le faceva il solletico sulle cosce.
“Aiuto! Per favore!”
“Non credo che Willy abbia bisogno di aiuto. Penso che ci riuscirà da solo.”
“Ma è impazzito, mi tolga questa bestia di dosso!”
Il cane si era mosso e Silvia, per un attimo sentì il pene dell’animale che le solleticava l’orifizio anale.
“No! No, maledizione!”, gridò mentre cerca nuovamente di scrollarsi di dosso l’animale.
Poi il cane si spostò un po’ più in basso e spinse in avanti.
La punta del suo pene entrò dritta nella vagina secca di Silvia, che cacciò un grido di dolore e di sorpresa allo stesso tempo.
A questo punto il cane iniziò a muoversi velocemente avanti e indietro e Silvia dovette puntare bene le braccia per non finire faccia a terra.
Notò che era più piccolo di quanto si sarebbe aspettata da un cane di grossa taglia, ma visto che era stata penetrata di sorpresa, a freddo, il contatto era discretamente doloroso.
L’animale, quasi subito, le spruzzò una bella dose di sperma, e lei si mise a gridare schifata, anche se dovette ammettere che ora il contatto era meno spiacevole.
In tutto ciò aveva chiuso gli occhi e, quando li riaprì, si accorse che l’uomo si era seduto proprio di fronte a lei, a gambe incrociate.
Le scostò i capelli da davanti agli occhi e le chiese con voce gentile: “Tutto bene?”
“No, maledizione!” gridò Silvia, mentre il cane cercava di entrarle dentro più profondamente, “mi fa male accidenti!”
“E’ così all’inizio della monta, ma poi diventa più piacevole, stai tranquilla, Willy è bravo ed esperto di queste cose.”
Cominciò ad essere presa dal panico: era nella mani di un pazzo che la stava facendo montare dal suo grosso cane, si mise a piangere, mentre l’animale continuava a spingere cercando di ficcarle dentro anche il resto del pene.
Sentì che lentamente le labbra della sua vagina cedevano, si aprivano, sotto la spinta dell’animale e poi era anche bagnata, sì, certo, era lo sperma del cane … non solo.
Trattenne un gemito, mordendosi le labbra, perché non voleva farsi accorgere dal padrone del cane che le stava di fronte, e la guardava come se volesse studiare le sue reazioni.
Silvia cacciò un grido, quando il cane riuscì a vincere l’ultima resistenza di Silvia, e le infilò dentro il resto del suo arnese.
“Ahi! Oddio! Mi fa male!”
“Bene, è entrato il nodo”, disse lui.
Il cane aumentò il ritmo, mentre la parte finale del pene che le era appena entrata dentro iniziava a gonfiarsi, dandole una strana sensazione di sentirsi piena.
Le scappò un gemito, poi un altro, ora Silvia respirava a bocca aperta, l’uomo le scostò di nuovo i capelli dal viso.
“Esperienza interessante, vero?”, le disse passandole un dito sulle labbra semi aperte.
Silvia rispose con un nuovo gemito, era stanca, sfinita dal dover tenere così a lungo quella scomoda posizione, ma si rendeva conto di non avere scelta e poi …
Le sfuggì un grido, le sembrava di sentire il pene gonfio che pulsava dentro di lei, più gonfio, sempre più gonfio.
Fino ad ora aveva assecondato il movimento del cane che le stava sopra, ora cominciò a muoversi anche lei, quello che l’uomo aveva chiamato nodo, e che doveva essere la parte finale, era così grande che impediva al pene di uscire completamente da lei, così, quando Silvia si spostava indietro, arrivava a schiacciarsi contro i testicoli dell’animale, ma quando si spostava in avanti, sentiva la vagina che si dilatava forzata dal nodo.
Quest’ultima era una sensazione dolorosa ma piacevole allo stesso tempo, che lei non aveva mai provato, e così continuò a muoversi in questa maniera finché non venne il momento. Le braccia di Silvia cedettero e lei finì con il viso nella conca creata dalle gambe incrociate del padrone del cane, con una guancia poggiata proprio sul pene dell’uomo.
Sentiva l’erezione attraverso la stoffa dei suoi pantaloni, mentre gridava e gemeva in preda ad un orgasmo incontenibile.
Subito dopo il cane la inondò di sperma, le sembrò non finire mai, mentre il padrone le carezzava dolcemente i capelli.
Sentì umido a contatto della guancia, il padrone del cane era venuto anche lui, si era eccitato nel vederla scopata dal suo cane, ed una grande macchia scura si stava allargando sulla stoffa dei pantaloni.
Il cane le scese dalla schiena e si girò di 90 gradi, ma rimase attaccato a Silvia.
“Non ti muovere, vi fareste male tutti e due, bisogna aspettare che il nodo si sgonfi.”
Silvia aspettò paziente, mentre l’odore acuto di sperma trasudava dai pantaloni dell’uomo, stordendola.
Sia lei che il cane provarono più volte, con una certa delicatezza a staccarsi, poi, alla fine, dopo una ventina di minuti, il nodo si sgonfiò e Silvia fu libera di rimettersi in piedi, mentre cane e padrone si allontanavano.
Rimase a lungo appoggiata all’albero, con fiotti di sperma che le colavano lungo le gambe, poi, dopo essersi ripulita con dei fazzolettini, stupita e turbata di quanto accadutole, si rimise in cammino, diretta a casa.
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