Finché non mi vedrai volare - Primo capitolo (Topi da cinema)

di
genere
gay

TOPI DA CINEMA

Era stato un ragazzo coi capelli mori e spiaccicati sulla testa a dirmelo, a darmi i primi rudimenti.
Il modo più sicuro per trovare “pesci” è quello di sedersi nelle ultime file del cinema, lontano da tutti, in disparte, e aspettare.
Io di solito mi metto un po’ sdraiato, con le ginocchia appoggiate allo schienale di fronte, la maglietta a maniche corte e i jeans scoloriti.
E aspetto, aspetto.
Fino a che qualcuno inizia a girarsi di dietro, verso me. E poi inizia a fissarmi, mentre io lo guardo appena, con occhiate fugaci, facendo finta di continuare a guardare svogliatamente il film.
Di solito capita che uno si alzi e indietreggi fino alla mia fila, sedendosi dapprima in qualche sedile più in là da me. E poi sempre più vicino, più vicino.
Sono per la maggior parte vecchi, dai cinquanta in su, anche se non sono mai stato molto bravo a dare l’età alla gente.
Mi fanno un po’ pena quelli che tremano, quasi che stessero venendo nelle mutande prima ancora di avermi sfiorato. Sembra che l’idea di poter allungare una mano li porti sull’orlo di un infarto.
Di solito hanno la voce alta e un po’ gracchiante, tremula, e l’alito che sa di saliva. Puzzano di carta di giornale e di dopobarba di supermercato, come i pendolari sui treni.
Se mi giro, cercano di rendersi interessanti, con un sorriso da cui invece traspare solo tanta insicurezza e nervosismo.
Chissà se fanno così anche con le donne. O se è il pensiero del mio pisello a farli innervosire.
Hanno quasi tutti la fede al dito.
Forse lo fanno per non pensare al pisello dei loro figli.
Con quelli tremendamente lenti prendo io l’iniziativa, ma sempre in maniera di far sentire loro i protagonisti. Allungo un po’ la gamba verso di loro, a sfiorargli le ginocchia, e continuo fino a che ottengo una reazione.
Nella maggior parte dei casi iniziano mettendomi una mano sulla coscia, prendendo ad accarezzarmi sempre più vicino all’inguine. Non lo so perché, ma dopo un po’ mi mi viene duro, anche se loro non mi piacciono per niente. Forse perché sono parti delicate.
A me i vecchi mica piacciono. Certo, sono sempre meglio delle donne. Non ho mai capito che ci trovino gli etero in quel buco slabbrato, rugoso e puzzolente. Non mi piacciono, dicevo, però se mi accarezzano, quasi sempre divento duro.
Non so spiegarlo, ma è la sensazione che qualcuno inizi pian piano a prendere possesso di me, a imporsi, a eccitarmi.
I passivi aspettano solo di tirarsi giù i pantaloni e di essere sbattuti contro un muro.
Agli uomini rudi invece, anche ai vecchi, piace impadronirsi di te, privarti del diritto di scegliere liberamente cosa fare. Se potessero, ti controllerebbero anche il respiro.
Quando con le dita iniziano a sfiorarmi il pacco, mi sento fiero di fargli sentire come sono tosto. Quelli che si aspettano un fagiolino, hanno la sorpresa di una bella melanzana.
Un altro momento che mi arrapa è quando cominciano a sbottonarti la patta, o a calarti la zip, per intrufolare le dita. Una volta che permetti a un uomo di entrarti con la mano nelle mutande senza opporre resistenza, sei già suo. Non c’è sottomissione più grande che permettere a un altro uomo di stringerti le palle.
Pochi lo ammetterebbero, ma io credo che la voglia di umiliare un altro maschio sia tra le fantasie più forti di tutti gli uomini. Forse soprattutto degli etero.
È inutile e anche un po’ stupido negarlo. Non c’è uomo che non godrebbe nel metterne in ginocchio un altro. Nell’averne un altro prono davanti a sé, con la testa abbassata in mezzo alle sue gambe. Tutti gli uomini preferirebbero un bocchino da un altro uomo che da una donna. È la vittoria, il prevalere di un cazzo su un altro.
Per evitare di venirgli sulle mani (il che non è mai molto ben accetto), mi alzo un attimo in piedi, cogliendoli di sorpresa, per poi subito inginocchiarmi di fronte a loro. È piacevole e doloroso insieme umiliarsi in quel modo. Ma loro ne sono felici, e questo è quello che conta.
Poggio le mani sulle loro ginocchia, divaricandole leggermente, ma non troppo. Anche allargare le gambe a un uomo è segno di potere, e io non posso e non devo permettermelo.
Mi tiro un po’ avanti e avvicino la faccia sul pacco dell’uomo, assaggiando prima i pantaloni, per iniziare a farlo eccitare pian piano.
Quando si slacciano la cinta sento un tuffo al cuore, come una scarica di adrenalina che mi blocca la gola e il respiro per un attimo. Mi pare di rivedere mio padre che me le dava di santa ragione, dopo aver parlato coi prof. Allora lo odiavo e forse lo odio ancora, ma quando lo sogno intento a darmi una delle sue lezioni, mi risveglio quasi sempre col pigiama bagnato. E a volte anche il cuscino.
Quasi tutti a quel punto mi prendono la testa tra le mani, e se la spingono in mezzo alle cosce, come a soffocarmi. Alcuni si infilano le dita nelle mutande per tirarselo fuori, altri, ma pochi, aspettano che sia io a farlo.
In quel momento è già tutto, o quasi, finito.
Cioè, deve ancora iniziare tutto, ma il rito è già concluso. È come quando sogni con tutto te stesso di poter baciare un ragazzo, fino a stare male al solo vederlo. Quando finalmente lui ti cinge i fianchi e si protende verso di te con gli occhi chiusi, dopo aver ingoiato, già sta tutto per finire. Il tempo di sentire la lingua che ti scivola in bocca, e la magia, il sogno, già iniziano a stingersi.
Ci sono tanti modi di fare un pompino.
Se il cazzo è molto grosso conviene tenerlo con una mano, soprattutto perché più sono grossi (e vecchi) e più è facile che pendano.
Io solitamente inizio leccando velocemente con la punta della lingua la cappella, scendendo al massimo a solleticare il cordoncino, il filetto, come diavolo si chiama (franulo, frenulo, una volta me lo hanno detto). Credo di aver capito che sia quella la parte più sensibile di un uomo. Secondo me i sessuologi nemmeno lo sanno.
Li preferisco col cordoncino attaccato, che col cappuccio che scende fino giù, perché sennò mi pare di succhiare la carne viva. E poi si sentono tutte le vene. I cappucci slabbrati mi fanno un po’ schifo (maledetti vecchi).
Se il pisello è piccolo, riesco a sbattermelo in bocca tutto intero. Mi pare quasi di ingoiarlo, ma a volte mi vengono i dubbi che l’altro si possa sentire sminuito dal vederselo sprofondare tra le mie labbra, e allora lo tiro fuori e inizio a leccarlo.
Un’altra cosa che li lascia stecchiti è quando contemporaneamente gli accarezzo l’attaccatura delle palle. Forse è la seconda parte più sensibile.
I passivi adorano sentirsi due o tre dita (una non basta, soprattutto con quelli veramente rotti) salirgli su per il culo. Gemono come dannati.
Guai a farlo a un attivo. È capace di prenderti a ceffoni. E io accetto quasi tutto. Accetto di recitare la parte che vogliono loro. Li chiamo papà, padrone, signore. Accetto la puzza di pesce che viene da quelli che si lavano poco. Ma le botte no. Quelle non le voglio da nessuno.
A Marco piaceva farsi legare e torturare. Diceva che lo faceva stare malissimo, ma non poteva farne a meno. L’hanno portato all’ospedale con l’intestino sfondato. L’uomo che stava con lui gli aveva infilato non so cosa, e non faceva altro che piangere. Diceva che era stato lui a farselo da solo. Gli uomini sono dei gran bastardi.
Quando sento che la cappella inizia a tendersi e a pulsare, è segno che stanno per venire. Di solito, fin dall’inizio, metto la lingua in modo tale da tapparmi un po’ la gola, almeno quando schizzano non mi ingoio tutta quella roba.
La sborra non fa schifo come credevo. Odora un po’, ma non sa di niente.
Un mio amico diceva che per averla profumata bisognava bere succo di mela.
Non capisco come faccia a incrostarsi a quel modo. Se te ne cade sulle mattonelle e si secca, il giorno dopo neanche con la varechina.
Prenderlo di dietro, invece, è molto più semplice, ma è abbastanza raro che arrivi a goderne.
A parte il fatto che mi stimola la cacca, credo che non ci sia niente di più stupido e inutile che infilarlo in quel buco che proprio non ne vuole sapere. Eppure, qualche volta, forse più di qualche volta, con la persona giusta, mi piace, ma non sempre.
Quando hanno finito, alcuni fanno i furbi e fingono di non avere capito che tutto ha un prezzo.
È allora che gli dimostro che anche un marchettaro, se vuole, può avere le palle più grosse delle loro, e mi faccio minaccioso, iniziando anche ad alzare la voce.
A quel punto non c’è niente da fare. Pagano tutti e non chiedono neanche il resto.
(Primo capitolo del romanzo "Finché non mi vedrai volare" di Sylar Gilmore, edito da Eroscultura)
scritto il
2019-03-09
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