I Padroni
di
DOMA
genere
dominazione
Marina è felice. Davide, l’uomo che oggi è il suo compagno, l’ha portata a un insperato equilibrio mentale e sessuale, ha saputo far emergere la natura che ha dentro, l’ha spogliata e rivestita con l’abito giusto per lei.
«Ti farò fare cose che nemmeno immagini – le ha detto – ti insegnerò ciò che non hai osato neppure pensare, sperimenterai emozioni pazzesche e fantastiche, godrai nella disperazione e alla fine non potrai più farne a meno».
E così è stato: ora è quello che sapeva di essere e che si era rifiutata di accettare, una schiava.
Da un po’ nel ménage si è aggregato Paolo, un pilastro che ha completato l’opera.
I padroni – per Marina lo sono di fatto – l’hanno lavorata, educata, addestrata e istruita fino a farne un eccezionale giocattolo sessuale con soddisfazione di tutti e tre.
Con loro ha completamente dimenticato l’uso della biancheria intima, se non per qualche pratica dolorosa, e dei pantaloni. È sempre depilata con cura e la parola intimità è scomparsa dal vocabolario: al principio è stato difficile riuscire a svolgere le normali funzioni corporali in presenza di qualcuno. Sono stati i trattamenti ai capezzoli particolarmente “efficaci” a farle vincere il pudore e la vergogna, adesso va meglio.
Marina è lo strumento del piacere dei due maschi e ne gode profondamente.
Spesso viene punita per mancanze, disubbidienze o piccole indecisioni o incertezze nell’eseguire gli ordini. A volte la sofferenza, l’umiliazione e la sottomissione sono solo maniere che usano per portarla al massimo livello di eccitazione, fino a ottenere orgasmi devastanti, inusuali, diversi e… straordinari.
Soffre, indubbiamente, ma adora la sofferenza, perché sa che li eccita e porterà a estenuanti e appaganti momenti di sesso sfrenato. Per lei è un piacere essere un oggetto nelle mani di chi ama; attende – e provoca – le punizioni per provare il terribile languore che dal ventre si propaga al resto del corpo fino a farla bagnare come una fontana, con l’unica stimolazione del pensiero di quel che dovrà subire prima di godere.
Per Marina ciò che è considerato perversione dai cosiddetti “normali” è l’unico modo per vivere il sesso appieno.
È lei a raccontare com’è cominciato.
«Non posso scordare il nostro incontro con Paolo e ricordarlo è una sferzata di adrenalina.
È successo sulla nave che ci portava in Sardegna. Era al bar e per caso (o per inconscia attrazione) ci siamo avvicinati: è bastata una battuta sulle condizioni del mare per rompere il ghiaccio; pareva fosse indispensabile e obbligatorio conoscerci.
“Lei è Marina – mi presentò Davide – la mia schiava”.
Mi fissò costringendomi ad abbassare lo sguardo. “Mi piace, insieme possiamo divertirci assai. Sono alloggiato nella 7428” e ci lasciò.
Non fu necessario l’ordine del padrone, avevo già capito che saremmo andati da lui: la voce, gli occhi, la sicurezza mi avevano scatenato i sensi, un misto di desiderio e timore.
Dopo alcuni (interminabili) minuti ci avviammo. In trance, mi feci condurre fino alla cabina. Entrando tremavo e il cuore mi esplodeva in petto: mi accade quando non so cosa mi succederà, sebbene sia convinta che sarà orribile e fantastico nel medesimo tempo.
Paolo stava aspettando sdraiato in cuccetta. Si alzò e invitò Davide ad accomodarsi.
“Ero certo che saresti venuto, non potevo sbagliarmi. Devo però sapere se veramente vuoi che mi occupi con te di Marina, mi occorre il tuo consenso”.
“Naturalmente – rispose – se siamo qui è proprio per questo”.
“Ok. La lavoreremo con impegno e vedrai che impazzirà, dipende da lei se di dolore o di piacere”.
“Stai tranquillo che sarà di piacere” fu la risposta di Davide.
“Allora, diamo inizio alle danze?”.
“Ovviamente”.
Le parole dei due uomini mi misero in uno stato di fortissima agitazione: ero umiliata, mi sentivo la merce di una trattativa di compravendita, il termine lavorata mi infastidiva, avevo paura e… mi stavo scaldando; i capezzoli spasmodicamente tesi sembrava volessero forare la camicetta e avevo un’irresistibile bisogno di toccarmi la figa completamente fradicia.
Finalmente Paolo si rivolse a me che ero rimasta in piedi, immobile al centro della stanzetta angusta: un’unica parola, con voce suadente e allo stesso tempo dura e decisa (almeno mi parve lo fosse), un ordine, “Spogliati”, che mi affrettai a eseguire velocemente, emozionatissima.
Rimasta nuda vinsi l’istinto naturale di coprirmi con le mani e divaricai leggermente le gambe abbandonando le braccia lungo i fianchi, secondo gli insegnamenti (imparati a caro prezzo) di Davide.
“Complimenti per il fisico e per la postura – disse calmo – si vede che sei stata addestrata. Ma ti sei dimenticata di essere una schiava con un'unica funzione: eccitarci. Più che impegnata a raggiungere lo scopo mi sei sembrata in procinto di fare una doccia di corsa per non tardare a un appuntamento. Per la fretta hai guadagnato una punizione: cosa pensi di meritare?”.
Mi meraviglia della risposta che diedi: “Una sonora sculacciata, signore”.
“Mi sembra adeguata – proseguì Paolo – l’avrai. Ora apriti, mostrami il clitoride e stuzzicalo con l’unghia”.
Mentre lo facevo, si avvicinò per palpeggiarmi seni, culo e pancia, introducendomi un dito nell’ano e uno in figa.
“E’ bella soda, ha i buchi elastici e accoglienti ed è un lago bollente. Mi pare che le piaccia essere umiliata”.
“Le ho insegnato a tenersi in forma – replicò Davide – e non ho mai dovuto faticare per farla partire”.
“Splendido, sarà un autentico diletto”.
Si erano messi a parlare fra loro di me ignorandomi: per allontanare il fastidio e per calmarmi mi sforzai di non ascoltare e ci riuscii così bene che quasi mi persi l’ordine che mi impartì Paolo quando nuovamente si rivolse a me. “Piegati, appoggiati alla parete con le mani, braccia tese, gambe diritte e aperte, sporgi il culo: è arrivato il momento della sculacciata!”.
Dopo avermi corretto la posizione premendo sulle reni affinché il fondoschiena fosse perfettamente esposto, si rivolse a Davide: “Guarda che meraviglia, le si vede il buco e la figa lucida e gocciolante. Dieci per chiappa mi sembra adeguato. Vai Davide, tocca a te, fagliele roventi!”.
L’umiliazione fu cocente: mi faceva punire dal mio uomo e non era mai capitato al cospetto di uno sconosciuto! Anche Davide fu sorpreso, me ne accorsi dalla leggerezza dei primi colpi, però si riebbe presto, tant’è vero che mi assestò gli ultimi schiaffi con notevole violenza.
Dolorante, mi sollevai e vidi che sorridevano compiaciuti. Capii in un attimo che era Davide a comandare il gioco: “Adesso ci devi fare eccitare sul serio, perciò datti da fare, masturbati!”.
Fui colta da un’ondata di panico, mi si gelò il sangue, non potevo, il cervello rifiutava di dar seguito alla richiesta. Lo guardai con occhi supplicanti sperando inutilmente in un ripensamento, anzi l’indecisione fu subito notata e…”L’ubbidienza assoluta è la regola base – aggiunse – la tua esitazione ti costa un’altra punizione: uno dei prossimi giorni, per ventiquattro ore, non ti sarà permesso di godere ”.
Rassegnata cercai di concentrarmi sui movimenti della masturbazione a me famigliari. Non ci volle molto perché smarrissi la nozione del tempo e dello spazio, furono sufficienti un paio di sapienti carezze al bottoncino che si scatenò l’inferno nel ventre: mi tormentai il clitoride immergendo due dita nella figa che sembrava fuoco liquido. A mala pena mi accorsi che qualcosa si inseriva nell’ano, non saprei dire chi dei due fosse a farlo. L’orgasmo saliva veloce, feroce e liberatorio. Sul più bello Davide disse “Basta! Ricordati che sei qui per il nostro piacere non per il tuo”. Alle parole seguì un tremendo pizzicotto a un capezzolo che mi fece smettere.
Mi assalì un’immane frustrazione: ero vicina, stavo per venire e invece nulla, la passera bruciava, voleva la soddisfazione che non poteva procurarsi. Quasi sbottai per la rabbia, ciononostante fui capace di riprendere il controllo. Li avevo di fronte completamente nudi (non mi ero accorta si fossero spogliati) con i cazzoni tesi, rivolti verso di me.
“Come puoi vedere – fece notare Davide – ci hai eccitato. Brava, meriti un premio. Succhia Paolo che io ti inculo: dopo avertelo arrossato all’esterno voglio infiammartelo anche all’interno”.
Mi fece piegare, allargò le natiche e forzò l’ano – già abbondantemente abituato alla pratica – conficcandosi per intero. Solo a questo punto Paolo mi porse il cazzo da succhiare. Ne avevo troppa voglia e non ebbi remore ad aprire le labbra per accogliere quel grosso fungo violaceo dandomi da fare con la lingua a lambire la corona, picchiettare sulla glande e scorrere sul filetto teso. Scesi dalla colonna sino ai coglioni, per poi risalire alla cima e inghiottirla a fondo facendo andare la testa su e giù, le guance un cilindro e la verga un pistone.
Davide intanto aveva preso a stantuffarmi lento e regolare, uno sballo esaltante; arretrando si portava via l’anima e l’affondo seguente me la restituiva con gli interessi. Le palle sbattevano sulla passera e si avvicinarsi inarrestabile la fine. D’un tratto provai un’incredibile e intollerabile sensazione di vuoto: Davide aveva estratto il cazzo lasciandomi nuovamente insoddisfatta.
“Cambio – esclamò allegro – ho voglia di farmelo succhiare. Vieni a chiavarla Paolo!”.
Me lo cacciò in bocca e cominciò a fottermi quasi fosse ancora nel culo. Paolo infilò un profilattico e si mise dietro, allungai una mano, impugnai l’asta e me la guidai in figa: ero in tensione massima, volevo godere, non potevo resistere oltre. Quando si infilò strinsi i pugni in una contrazione di piacere e mi concentrai: mi scanalava con grandi colpi che volavano dall’utero direttamente alla testa e io l’assecondavo cercando ogni millimetro dell’uccello. A un tratto mi piantò due dita nel culo: fu troppo, contrassi i muscoli ed esplosi. Contemporaneamente Davide mi venne in gola e Paolo riempì il preservativo. Crollai esausta e appagata. Nella nebbia che mi avvolgeva la mente li sentii che dicevano: “È venuta e non ha chiesto il permesso, mi pare sia una gravissima mancanza”. “Hai ragione, provvederemo a rimediare”.
Giunti sull’isola fu naturale essere ospiti a casa di Paolo. Lì mi dettarono le regole: fra le mura domestiche potevo mettere solamente le scarpe, naturalmente dal tacco a spillo altissimo, mentre fuori non mi era permessa la biancheria intima, obbligatorio vestire gonna (vietatissimi i pantaloni) e camicetta in modo da rendere evidente che sotto ero nuda (e che aumentava enormemente il disagio). Inoltre dovevo essere sempre pronta e disponibile per qualunque desiderio sessuale (in verità non mi era difficile esserlo) e non potevo assolutamente recarmi in bagno da sola; avevo il compito di aiutarli nelle funzioni corporali e igieniche.
Espletate le “formalità”, si appartarono per un breve conciliabolo, infine Paolo si rivolse a me fissandomi negli occhi con uno sguardo duro e tagliente che mi fece vacillare: “Ieri notte sulla nave hai commesso un paio di deplorevoli inadempienze, l’indecisione nell’ubbidire e l’orgasmo senza l’autorizzazione esplicita del padrone. Ci siamo consultati convenendo di accorpare gli errori in un’unica punizione. Avrai ciò che ti è stato promesso: domani dall’alba al tramonto non potrai godere, se non sarai capace di trattenerti sarai cacciata a pedate e trascorrerai il resto della vacanza dove meglio credi, a secco di soldi e… cazzi”. Guardai Davide sgomenta, sapeva benissimo le mie necessità in fatto di sesso, mi ricambiò con un’espressione che raramente avevo visto.
Fu un giorno interminabile che è scolpito nella memoria: sin dal risveglio non persero occasione per scoparmi, incularmi, masturbarmi, stuzzicarmi impedendomi il logico sfogo. A nulla valsero le suppliche, le preghiere, i pianti, le richieste di perdono: inflessibili proseguirono imperterriti fino a sera. Infine Davide, forse colto da pietà o semplicemente preoccupato per lo stato confusionale in cui mi trovavo, convinse Paolo a porre termine al supplizio: mi piantò rudemente due dita nell’ano, chiesi con un filo di voce singhiozzante se potevo, ottenuto il via libera esplosi squassata dalle ondate di vibrazioni dalla figa al cervello e viceversa. Li ringraziai baciandoli ovunque e piansi a dirotto.
Superata la parentesi di pura follia, le ferie trascorsero tranquille. Io e Davide eravamo normali turisti, nel tardo pomeriggio Paolo staccava dal lavoro e riprendevano i giochi.
Ricordo un memorabile giovedì. Appena tornato mi usò da latrina personale svuotandomi addosso la vescica, poi volle essere lavato. Successivamente mi fecero sdraiare supina e ricoprirono tette e pancia con le gocce brucianti di una candela accesa. Quindi mi fecero allargare le cosce e portare le ginocchia piegate all’altezza delle spalle; fu l’inizio della vera tortura: se era stato straziante il trattamento sui capezzoli, le colate di cera sul clitoride e sul buco posteriore furono insopportabili.
Quando ritennero che avessi sofferto a sufficienza mi mandarono in bagno a ripulirmi; rientrata in camera li trovai nudi (e ‘dritti’), mi dissero che volevano constatare se avessi la capacità di godere nel dolore e io avvertii ancora la sensazione spaventosa di paura e languore che mi assale ogni qualvolta non so cosa mi stia per accadere.
Inginocchiata sul letto con le caviglie sul bordo, mi imprigionarono i polsi con una fascia che assicurarono ai fianchi bloccandomi qualsiasi movimento delle mani. Davide di dedicò a sgrillettarmi con perizia: non potevo vedere quanto stava avvenendo dietro di me ma non me ne curai troppo vista l’eccitazione causata dal lavorio sulla passera. Dal nulla comparve un fallo artificiale di dimensioni accettabili che Davide, con estrema lentezza, mi fece scivolare nella vulva fradicia. Lo accolsi come si accoglie un cazzo in carne e ‘ossa’, incurante dell’esibizione oscena e perversa che davo del corpo.
Introdotta la cappella, con un colpo secco e deciso fece penetrare il resto: mi inarcai con un gemito roco; passarono alcuni secondi che mi consentirono di adattarmi al corpo estraneo in me e cominciò a farlo entrare e uscire ritmicamente, strapazzandomi il clitoride con l’altra mano; inevitabilmente presi immediatamente fuoco.
Purtroppo non durò; improvvisamente un fitta lancinante mi esplose dentro, mi voltai di scatto e vidi Paolo che con un frustino da cavallerizzo mi batteva le piante dei piedi; a quel punto realizzai il piano crudele e il terrore mi assalì: volevano farmi venire masturbandomi e frustandomi! “Vi prego non fatelo – urlai supplicando – non ci riuscirò mai!!”. Nessuna pietà, continuarono imperterriti.
Alternavano abilmente i colpi al va e vieni del cazzo finto; ondate di dolore e di piacere si susseguivano incessantemente rendendomi folle: ondeggiavo testa e busto nell’inutile ricerca di sollievo, agitavo le gambe sperando di evitare le frustate, ero scossa da convulsioni e singhiozzi tanto che Davide dovette sorreggermi ripetutamente per non farmi cadere. Ma, miracolosamente, nel tunnel buio della disperazione nel quale ero precipitata si accese una luce lontana che si avvicinò lentamente fino a che … mi colse un orgasmo devastante e gridai a squarciagola; un istante incredibile che mi lasciò appagata e completamente priva di forze.
Mi liberarono i polsi, mi permisero un po’ di riposo, mi coccolarono, mi offrirono una bevanda fresca e attesero pazientemente che mi riavessi.
“Visto che va meglio – intervenne Paolo – adesso si scopa, siamo pronti oltremisura. Forza faccelo venire bello duro che prepariamo un panino imbottito, con noi fette di pane s’intende! Sei d’accordo Davide?”.
Non servì rispondere, mi si posero dinanzi e io, docile, in ginocchio succhiai e leccai con impegno entrambi i bastoni. Un lavoro breve, presto Davide volle cambiare registro, si sdraiò sul letto con la canna svettante: “Vienimi sopra, impalati e apri le chiappe che facciamo adoperare l’accesso posteriore al nostro amico”.
Cavalcai l’asta tesa e violacea, mi sdraiai sul suo petto e con le mani spalancai le natiche. Paolo mi spalmò una ditata di vaselina e mi inculò delicatamente senza farmi male, con dolcezza usandomi un riguardo inaspettato.
Appena fu ben piantato si mossero, dapprima lentamente alla ricerca del giusto ritmo, poi sempre più speditamente e con precisione chirurgica. Ci misi poco a scatenarmi e anch’io mi diedi da fare spingendo il bacino su e giù per accogliere profondamente i due falli, che strusciavano l’uno contro l’altro attraverso la sottile membrana che li divideva regalandomi una magnifica sensazione di pienezza.
Non so quanto andammo avanti, so invece che ‘arrivammo’ pressoché simultaneamente (sì, ho chiesto il permesso…) giacendo abbracciati per parecchi minuti.
Ci preparammo per andare a cena e i padroni – oltre a gonna e camicetta, scarpe dal tacco a spillo altissimo e niente biancheria – vollero associare un’eccitante e degradante variante: mi introdussero un plug nel culo fermandolo in vita con una corda.
Così agghindata risultava faticoso, fastidioso e pure straordinariamente stimolante sia camminare che stare seduta: ero costretta a effettuare movimenti innaturali, provocanti e lascivi, di cui mi vergognavo terribilmente, che furono notati dai clienti del ristorante e che – ne sono certa – non mancarono di interessare il cameriere. Durante la cena mi stuzzicarono e umiliarono all’inverosimile, divertiti dal mio imbarazzo. Quindi – con sollievo e un pizzico di dispiacere per la strana atmosfera che si era creata – venne il momento di andare per ricominciare a soffrire e godere.
È ora di smettere, devo prepararmi, stanno per giungere e…».
Questa è Marina, se non ci fosse si dovrebbe inventarla, o meglio educarne un’altra!
«Ti farò fare cose che nemmeno immagini – le ha detto – ti insegnerò ciò che non hai osato neppure pensare, sperimenterai emozioni pazzesche e fantastiche, godrai nella disperazione e alla fine non potrai più farne a meno».
E così è stato: ora è quello che sapeva di essere e che si era rifiutata di accettare, una schiava.
Da un po’ nel ménage si è aggregato Paolo, un pilastro che ha completato l’opera.
I padroni – per Marina lo sono di fatto – l’hanno lavorata, educata, addestrata e istruita fino a farne un eccezionale giocattolo sessuale con soddisfazione di tutti e tre.
Con loro ha completamente dimenticato l’uso della biancheria intima, se non per qualche pratica dolorosa, e dei pantaloni. È sempre depilata con cura e la parola intimità è scomparsa dal vocabolario: al principio è stato difficile riuscire a svolgere le normali funzioni corporali in presenza di qualcuno. Sono stati i trattamenti ai capezzoli particolarmente “efficaci” a farle vincere il pudore e la vergogna, adesso va meglio.
Marina è lo strumento del piacere dei due maschi e ne gode profondamente.
Spesso viene punita per mancanze, disubbidienze o piccole indecisioni o incertezze nell’eseguire gli ordini. A volte la sofferenza, l’umiliazione e la sottomissione sono solo maniere che usano per portarla al massimo livello di eccitazione, fino a ottenere orgasmi devastanti, inusuali, diversi e… straordinari.
Soffre, indubbiamente, ma adora la sofferenza, perché sa che li eccita e porterà a estenuanti e appaganti momenti di sesso sfrenato. Per lei è un piacere essere un oggetto nelle mani di chi ama; attende – e provoca – le punizioni per provare il terribile languore che dal ventre si propaga al resto del corpo fino a farla bagnare come una fontana, con l’unica stimolazione del pensiero di quel che dovrà subire prima di godere.
Per Marina ciò che è considerato perversione dai cosiddetti “normali” è l’unico modo per vivere il sesso appieno.
È lei a raccontare com’è cominciato.
«Non posso scordare il nostro incontro con Paolo e ricordarlo è una sferzata di adrenalina.
È successo sulla nave che ci portava in Sardegna. Era al bar e per caso (o per inconscia attrazione) ci siamo avvicinati: è bastata una battuta sulle condizioni del mare per rompere il ghiaccio; pareva fosse indispensabile e obbligatorio conoscerci.
“Lei è Marina – mi presentò Davide – la mia schiava”.
Mi fissò costringendomi ad abbassare lo sguardo. “Mi piace, insieme possiamo divertirci assai. Sono alloggiato nella 7428” e ci lasciò.
Non fu necessario l’ordine del padrone, avevo già capito che saremmo andati da lui: la voce, gli occhi, la sicurezza mi avevano scatenato i sensi, un misto di desiderio e timore.
Dopo alcuni (interminabili) minuti ci avviammo. In trance, mi feci condurre fino alla cabina. Entrando tremavo e il cuore mi esplodeva in petto: mi accade quando non so cosa mi succederà, sebbene sia convinta che sarà orribile e fantastico nel medesimo tempo.
Paolo stava aspettando sdraiato in cuccetta. Si alzò e invitò Davide ad accomodarsi.
“Ero certo che saresti venuto, non potevo sbagliarmi. Devo però sapere se veramente vuoi che mi occupi con te di Marina, mi occorre il tuo consenso”.
“Naturalmente – rispose – se siamo qui è proprio per questo”.
“Ok. La lavoreremo con impegno e vedrai che impazzirà, dipende da lei se di dolore o di piacere”.
“Stai tranquillo che sarà di piacere” fu la risposta di Davide.
“Allora, diamo inizio alle danze?”.
“Ovviamente”.
Le parole dei due uomini mi misero in uno stato di fortissima agitazione: ero umiliata, mi sentivo la merce di una trattativa di compravendita, il termine lavorata mi infastidiva, avevo paura e… mi stavo scaldando; i capezzoli spasmodicamente tesi sembrava volessero forare la camicetta e avevo un’irresistibile bisogno di toccarmi la figa completamente fradicia.
Finalmente Paolo si rivolse a me che ero rimasta in piedi, immobile al centro della stanzetta angusta: un’unica parola, con voce suadente e allo stesso tempo dura e decisa (almeno mi parve lo fosse), un ordine, “Spogliati”, che mi affrettai a eseguire velocemente, emozionatissima.
Rimasta nuda vinsi l’istinto naturale di coprirmi con le mani e divaricai leggermente le gambe abbandonando le braccia lungo i fianchi, secondo gli insegnamenti (imparati a caro prezzo) di Davide.
“Complimenti per il fisico e per la postura – disse calmo – si vede che sei stata addestrata. Ma ti sei dimenticata di essere una schiava con un'unica funzione: eccitarci. Più che impegnata a raggiungere lo scopo mi sei sembrata in procinto di fare una doccia di corsa per non tardare a un appuntamento. Per la fretta hai guadagnato una punizione: cosa pensi di meritare?”.
Mi meraviglia della risposta che diedi: “Una sonora sculacciata, signore”.
“Mi sembra adeguata – proseguì Paolo – l’avrai. Ora apriti, mostrami il clitoride e stuzzicalo con l’unghia”.
Mentre lo facevo, si avvicinò per palpeggiarmi seni, culo e pancia, introducendomi un dito nell’ano e uno in figa.
“E’ bella soda, ha i buchi elastici e accoglienti ed è un lago bollente. Mi pare che le piaccia essere umiliata”.
“Le ho insegnato a tenersi in forma – replicò Davide – e non ho mai dovuto faticare per farla partire”.
“Splendido, sarà un autentico diletto”.
Si erano messi a parlare fra loro di me ignorandomi: per allontanare il fastidio e per calmarmi mi sforzai di non ascoltare e ci riuscii così bene che quasi mi persi l’ordine che mi impartì Paolo quando nuovamente si rivolse a me. “Piegati, appoggiati alla parete con le mani, braccia tese, gambe diritte e aperte, sporgi il culo: è arrivato il momento della sculacciata!”.
Dopo avermi corretto la posizione premendo sulle reni affinché il fondoschiena fosse perfettamente esposto, si rivolse a Davide: “Guarda che meraviglia, le si vede il buco e la figa lucida e gocciolante. Dieci per chiappa mi sembra adeguato. Vai Davide, tocca a te, fagliele roventi!”.
L’umiliazione fu cocente: mi faceva punire dal mio uomo e non era mai capitato al cospetto di uno sconosciuto! Anche Davide fu sorpreso, me ne accorsi dalla leggerezza dei primi colpi, però si riebbe presto, tant’è vero che mi assestò gli ultimi schiaffi con notevole violenza.
Dolorante, mi sollevai e vidi che sorridevano compiaciuti. Capii in un attimo che era Davide a comandare il gioco: “Adesso ci devi fare eccitare sul serio, perciò datti da fare, masturbati!”.
Fui colta da un’ondata di panico, mi si gelò il sangue, non potevo, il cervello rifiutava di dar seguito alla richiesta. Lo guardai con occhi supplicanti sperando inutilmente in un ripensamento, anzi l’indecisione fu subito notata e…”L’ubbidienza assoluta è la regola base – aggiunse – la tua esitazione ti costa un’altra punizione: uno dei prossimi giorni, per ventiquattro ore, non ti sarà permesso di godere ”.
Rassegnata cercai di concentrarmi sui movimenti della masturbazione a me famigliari. Non ci volle molto perché smarrissi la nozione del tempo e dello spazio, furono sufficienti un paio di sapienti carezze al bottoncino che si scatenò l’inferno nel ventre: mi tormentai il clitoride immergendo due dita nella figa che sembrava fuoco liquido. A mala pena mi accorsi che qualcosa si inseriva nell’ano, non saprei dire chi dei due fosse a farlo. L’orgasmo saliva veloce, feroce e liberatorio. Sul più bello Davide disse “Basta! Ricordati che sei qui per il nostro piacere non per il tuo”. Alle parole seguì un tremendo pizzicotto a un capezzolo che mi fece smettere.
Mi assalì un’immane frustrazione: ero vicina, stavo per venire e invece nulla, la passera bruciava, voleva la soddisfazione che non poteva procurarsi. Quasi sbottai per la rabbia, ciononostante fui capace di riprendere il controllo. Li avevo di fronte completamente nudi (non mi ero accorta si fossero spogliati) con i cazzoni tesi, rivolti verso di me.
“Come puoi vedere – fece notare Davide – ci hai eccitato. Brava, meriti un premio. Succhia Paolo che io ti inculo: dopo avertelo arrossato all’esterno voglio infiammartelo anche all’interno”.
Mi fece piegare, allargò le natiche e forzò l’ano – già abbondantemente abituato alla pratica – conficcandosi per intero. Solo a questo punto Paolo mi porse il cazzo da succhiare. Ne avevo troppa voglia e non ebbi remore ad aprire le labbra per accogliere quel grosso fungo violaceo dandomi da fare con la lingua a lambire la corona, picchiettare sulla glande e scorrere sul filetto teso. Scesi dalla colonna sino ai coglioni, per poi risalire alla cima e inghiottirla a fondo facendo andare la testa su e giù, le guance un cilindro e la verga un pistone.
Davide intanto aveva preso a stantuffarmi lento e regolare, uno sballo esaltante; arretrando si portava via l’anima e l’affondo seguente me la restituiva con gli interessi. Le palle sbattevano sulla passera e si avvicinarsi inarrestabile la fine. D’un tratto provai un’incredibile e intollerabile sensazione di vuoto: Davide aveva estratto il cazzo lasciandomi nuovamente insoddisfatta.
“Cambio – esclamò allegro – ho voglia di farmelo succhiare. Vieni a chiavarla Paolo!”.
Me lo cacciò in bocca e cominciò a fottermi quasi fosse ancora nel culo. Paolo infilò un profilattico e si mise dietro, allungai una mano, impugnai l’asta e me la guidai in figa: ero in tensione massima, volevo godere, non potevo resistere oltre. Quando si infilò strinsi i pugni in una contrazione di piacere e mi concentrai: mi scanalava con grandi colpi che volavano dall’utero direttamente alla testa e io l’assecondavo cercando ogni millimetro dell’uccello. A un tratto mi piantò due dita nel culo: fu troppo, contrassi i muscoli ed esplosi. Contemporaneamente Davide mi venne in gola e Paolo riempì il preservativo. Crollai esausta e appagata. Nella nebbia che mi avvolgeva la mente li sentii che dicevano: “È venuta e non ha chiesto il permesso, mi pare sia una gravissima mancanza”. “Hai ragione, provvederemo a rimediare”.
Giunti sull’isola fu naturale essere ospiti a casa di Paolo. Lì mi dettarono le regole: fra le mura domestiche potevo mettere solamente le scarpe, naturalmente dal tacco a spillo altissimo, mentre fuori non mi era permessa la biancheria intima, obbligatorio vestire gonna (vietatissimi i pantaloni) e camicetta in modo da rendere evidente che sotto ero nuda (e che aumentava enormemente il disagio). Inoltre dovevo essere sempre pronta e disponibile per qualunque desiderio sessuale (in verità non mi era difficile esserlo) e non potevo assolutamente recarmi in bagno da sola; avevo il compito di aiutarli nelle funzioni corporali e igieniche.
Espletate le “formalità”, si appartarono per un breve conciliabolo, infine Paolo si rivolse a me fissandomi negli occhi con uno sguardo duro e tagliente che mi fece vacillare: “Ieri notte sulla nave hai commesso un paio di deplorevoli inadempienze, l’indecisione nell’ubbidire e l’orgasmo senza l’autorizzazione esplicita del padrone. Ci siamo consultati convenendo di accorpare gli errori in un’unica punizione. Avrai ciò che ti è stato promesso: domani dall’alba al tramonto non potrai godere, se non sarai capace di trattenerti sarai cacciata a pedate e trascorrerai il resto della vacanza dove meglio credi, a secco di soldi e… cazzi”. Guardai Davide sgomenta, sapeva benissimo le mie necessità in fatto di sesso, mi ricambiò con un’espressione che raramente avevo visto.
Fu un giorno interminabile che è scolpito nella memoria: sin dal risveglio non persero occasione per scoparmi, incularmi, masturbarmi, stuzzicarmi impedendomi il logico sfogo. A nulla valsero le suppliche, le preghiere, i pianti, le richieste di perdono: inflessibili proseguirono imperterriti fino a sera. Infine Davide, forse colto da pietà o semplicemente preoccupato per lo stato confusionale in cui mi trovavo, convinse Paolo a porre termine al supplizio: mi piantò rudemente due dita nell’ano, chiesi con un filo di voce singhiozzante se potevo, ottenuto il via libera esplosi squassata dalle ondate di vibrazioni dalla figa al cervello e viceversa. Li ringraziai baciandoli ovunque e piansi a dirotto.
Superata la parentesi di pura follia, le ferie trascorsero tranquille. Io e Davide eravamo normali turisti, nel tardo pomeriggio Paolo staccava dal lavoro e riprendevano i giochi.
Ricordo un memorabile giovedì. Appena tornato mi usò da latrina personale svuotandomi addosso la vescica, poi volle essere lavato. Successivamente mi fecero sdraiare supina e ricoprirono tette e pancia con le gocce brucianti di una candela accesa. Quindi mi fecero allargare le cosce e portare le ginocchia piegate all’altezza delle spalle; fu l’inizio della vera tortura: se era stato straziante il trattamento sui capezzoli, le colate di cera sul clitoride e sul buco posteriore furono insopportabili.
Quando ritennero che avessi sofferto a sufficienza mi mandarono in bagno a ripulirmi; rientrata in camera li trovai nudi (e ‘dritti’), mi dissero che volevano constatare se avessi la capacità di godere nel dolore e io avvertii ancora la sensazione spaventosa di paura e languore che mi assale ogni qualvolta non so cosa mi stia per accadere.
Inginocchiata sul letto con le caviglie sul bordo, mi imprigionarono i polsi con una fascia che assicurarono ai fianchi bloccandomi qualsiasi movimento delle mani. Davide di dedicò a sgrillettarmi con perizia: non potevo vedere quanto stava avvenendo dietro di me ma non me ne curai troppo vista l’eccitazione causata dal lavorio sulla passera. Dal nulla comparve un fallo artificiale di dimensioni accettabili che Davide, con estrema lentezza, mi fece scivolare nella vulva fradicia. Lo accolsi come si accoglie un cazzo in carne e ‘ossa’, incurante dell’esibizione oscena e perversa che davo del corpo.
Introdotta la cappella, con un colpo secco e deciso fece penetrare il resto: mi inarcai con un gemito roco; passarono alcuni secondi che mi consentirono di adattarmi al corpo estraneo in me e cominciò a farlo entrare e uscire ritmicamente, strapazzandomi il clitoride con l’altra mano; inevitabilmente presi immediatamente fuoco.
Purtroppo non durò; improvvisamente un fitta lancinante mi esplose dentro, mi voltai di scatto e vidi Paolo che con un frustino da cavallerizzo mi batteva le piante dei piedi; a quel punto realizzai il piano crudele e il terrore mi assalì: volevano farmi venire masturbandomi e frustandomi! “Vi prego non fatelo – urlai supplicando – non ci riuscirò mai!!”. Nessuna pietà, continuarono imperterriti.
Alternavano abilmente i colpi al va e vieni del cazzo finto; ondate di dolore e di piacere si susseguivano incessantemente rendendomi folle: ondeggiavo testa e busto nell’inutile ricerca di sollievo, agitavo le gambe sperando di evitare le frustate, ero scossa da convulsioni e singhiozzi tanto che Davide dovette sorreggermi ripetutamente per non farmi cadere. Ma, miracolosamente, nel tunnel buio della disperazione nel quale ero precipitata si accese una luce lontana che si avvicinò lentamente fino a che … mi colse un orgasmo devastante e gridai a squarciagola; un istante incredibile che mi lasciò appagata e completamente priva di forze.
Mi liberarono i polsi, mi permisero un po’ di riposo, mi coccolarono, mi offrirono una bevanda fresca e attesero pazientemente che mi riavessi.
“Visto che va meglio – intervenne Paolo – adesso si scopa, siamo pronti oltremisura. Forza faccelo venire bello duro che prepariamo un panino imbottito, con noi fette di pane s’intende! Sei d’accordo Davide?”.
Non servì rispondere, mi si posero dinanzi e io, docile, in ginocchio succhiai e leccai con impegno entrambi i bastoni. Un lavoro breve, presto Davide volle cambiare registro, si sdraiò sul letto con la canna svettante: “Vienimi sopra, impalati e apri le chiappe che facciamo adoperare l’accesso posteriore al nostro amico”.
Cavalcai l’asta tesa e violacea, mi sdraiai sul suo petto e con le mani spalancai le natiche. Paolo mi spalmò una ditata di vaselina e mi inculò delicatamente senza farmi male, con dolcezza usandomi un riguardo inaspettato.
Appena fu ben piantato si mossero, dapprima lentamente alla ricerca del giusto ritmo, poi sempre più speditamente e con precisione chirurgica. Ci misi poco a scatenarmi e anch’io mi diedi da fare spingendo il bacino su e giù per accogliere profondamente i due falli, che strusciavano l’uno contro l’altro attraverso la sottile membrana che li divideva regalandomi una magnifica sensazione di pienezza.
Non so quanto andammo avanti, so invece che ‘arrivammo’ pressoché simultaneamente (sì, ho chiesto il permesso…) giacendo abbracciati per parecchi minuti.
Ci preparammo per andare a cena e i padroni – oltre a gonna e camicetta, scarpe dal tacco a spillo altissimo e niente biancheria – vollero associare un’eccitante e degradante variante: mi introdussero un plug nel culo fermandolo in vita con una corda.
Così agghindata risultava faticoso, fastidioso e pure straordinariamente stimolante sia camminare che stare seduta: ero costretta a effettuare movimenti innaturali, provocanti e lascivi, di cui mi vergognavo terribilmente, che furono notati dai clienti del ristorante e che – ne sono certa – non mancarono di interessare il cameriere. Durante la cena mi stuzzicarono e umiliarono all’inverosimile, divertiti dal mio imbarazzo. Quindi – con sollievo e un pizzico di dispiacere per la strana atmosfera che si era creata – venne il momento di andare per ricominciare a soffrire e godere.
È ora di smettere, devo prepararmi, stanno per giungere e…».
Questa è Marina, se non ci fosse si dovrebbe inventarla, o meglio educarne un’altra!
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