Il castello nero- Epilogo

di
genere
pulp

46 anni dopo

Il cimitero era affollato, in chiesa non mi ero reso conto di quanta gente ci fosse, erano quasi tutti quelli che avevano partecipato al funerale di mia moglie, dieci giorni fa. Solo per farsi vedere, pensai, solo per assistere all'ultimo atto della tragedia che è stata la vita di mia figlia. No, anzi, alla commedia, perché è così che il mondo la vedeva, una serie di cui tutti vogliono essere spettatori, per sentirsi migliori di qualcuno, e infine, per battere le mani, come hanno fatto quando la bara è stata trasportata fuori sulla piazza. Ipocriti, falsi, criminali, sono loro che hanno ucciso mia figlia, tutti loro, con la loro indifferenza, il loro senso di finta pietà, i loro sguardi accusatori, la loro viltà, tutti colpevoli, tutti imputabili di omicidio predeterminato. Dai vecchi ai bambini, dagli uomini alle donne, dalle forze dell’ordine agli psicologi, dai medici a me stesso. Nessuno, nessuno tra coloro che potevano salvare mia figlia l’ha veramente aiutata. Solo mia moglie ha lottato fino alla fine, anche quando la malattia l’aveva ormai consumata, non aveva smesso un attimo di combattere per mia figlia.
Mia figlia si era addormentata due giorni fa, nella struttura che la ospitava, dove avrebbe dovuto sconfiggere la depressione. Si era addormentata una sera e non si era svegliata più, almeno così mi hanno detto.
La bara ormai è stata calata nella fossa, ci sono voluti quattro uomini per trasportarla, otto braccia per sollevare un corpo di 37 chili. Che buffonata! Che vadano a fare in culo! Anzi, quasi quasi lo dico ad alta voce, qui, in mezzo a tutti. Tanto ormai ho quasi novant'anni, sono su una sedia a rotelle, ho perso in due settimane mia moglie e mia figlia, soffro di morbo di Alzheimer, direi che sono più che giustificato. Ma no, non ne varrebbe la pena, sarebbe la conclusione che tutti bramano per la commedia.
“Andiamo via” dico all'infermiera, un viso famigliare, in lacrime. Forse lei è l’unica che ha il diritto di piangere, Debby, la riconosco, è l’unica che riesco a riconoscere, l’unica che è stata vicino a mia figlia. Vengo caricato sul retro del furgoncino della struttura, vicino a me siede Debby, l’autista mette in moto. Siamo soli io e lei, separati dalla cabina di guida da una parete divisoria; conoscendo la mia infermiera prevedo che ora scoppierà in lacrime per la sua amica, e mi preparo a consolarla, anche se non ne ho voglia. E invece ride, scoppia a ridere e mi guarda con un sorriso diabolicamente angelico, “La troia è morta” sussurra, “Finalmente ha avuto quello che si meritava”, mi dice all’orecchio, guardandomi dolcemente. “Sì, Renatino, tua figlia era una puttana, e ha avuto quello che si meritava. Vuoi che ti spieghi tutto? Va bene, se proprio insisti?” E ride ancora. Io non riesco a proferire verbo, cosa diavolo sta succedendo?
“Cominciamo dall’inizio, quasi cinquant’anni fa. Tua figlia, la mia amichetta del cuore, o meglio, l’unica che avevo, mi disse che vuole andare all’estero a studiare, perché lei era la più brava e perfetta di tutte, no? E già lì mi incazzo, sì, perché io come avrei potuto sopravvivere senza di lei, con chi sarei uscita? E in vacanza? Chi mi avrebbe presentato i ragazzi? Lei era la figa, io l’amica cicciona, come avrei fatto a trovare un uomo da sola? Tutte le donne a cui mi sono affezionata se ne vogliono andare via da me, perché? Ma non era questo il vero problema, no, la cosa che mi ha fatto veramente incazzare è stato quando la troia, per farmi vedere quanto era brava a rimorchiare i ragazzi, si è messa a limonare con il mio Kevin. Sì, la puttana sapeva che mi piaceva e se l’è fatto, per fortuna riuscì a fermarla prima che lo portasse a letto, ma vedi, ormai avevo perso per sempre l’unica amica che avevo. Ero sola.”
“Cosa ho fatto, mi chiedi? Semplice, andai a piangere dal papà, e lì, in quel momento, pianificammo tutto, sì, perché mio padre è sempre stato innamorato di tua moglie, e odiava te, perché l’hai trascinato nella baracca del pedofilo. E allora, la soluzione era semplice. Stuprare quella troia di tua figlia. Sì, perché così, per mio padre, sarebbe stato come scopare tua moglie da giovane, tu ne saresti rimasto distrutto e io mi sarei vendicata della puttana.” Ero sconvolto, distrutto, non poteva essere, tradito dal mio amico….
“Il piano era semplice” continuò Debby “dovevo invitarla in discoteca per riappacificarci, rimorchiare un cazzo di tossico a cui avrei dovuto fare almeno un pompino per avere le sue tracce genetiche, drogare Regina con la Dementia, procurata da mio padre e, a un certo punto, far finta di stare male e chiamare mio padre per venire a prenderci. E così è stato.”
“Quando mio padre arrivò, salimmo in macchina, ma, invece di entrare in autostrada, imboccò una stradina di campagna, che portava alla spiaggia, dove vi era una baracca abbandonata, la droga ormai aveva fatto effetto, Regina non si sarebbe ricordata di niente, tuttavia era ancora vigile. Quando si accorse che non stavamo ritornando a casa ebbe la brillante idea di fare la matta, mettendosi ad urlare e a insultarmi, ma ormai eravamo al casolare, quello con la porta azzurra. Vuoi sapere come continua la storia o ti stai facendo un’idea?”.
“No, non è vero! Non può essere vero!”
“Sì, invece, ora continuo, puoi urlare quanto vuoi, tanto siamo isolati, non ci sentirà nessuno, nemmeno l’autista. Dunque, ti devi immaginare tua figlia troia che urla come una pazza, prevedendo quello che sarebbe successo, mio padre con il cazzo che praticamente gli usciva dai pantaloni e io contenta come una bambina alla sua festa di compleanno. Bene, la troia, appena fermata la macchina, si toglie i tacchi da mignotta che aveva, apre la portiera e cerca di scappare. Ovviamente mio padre è più veloce, l’afferra per i capelli e le rifila due ceffoni belli potenti, più forti di quelli che tirava alla mamma. Regina rimane intontita per un attimo, mio padre la carica in spalla e si avvia verso il casolare. Tua figlia allora, tira un calcio dritto nelle palle a mio padre, e riesce ancora a liberarsi. Corre a piedi nudi verso la strada, ma non ha fatto i conti con un’amica gelosa, sì, la blocco e la mando a terra, lottiamo per un po’, lei riesce ancora a liberarsi, ma mio padre, nel frattempo, è riuscito a riprendersi, ed è incazzato, molto incazzato! La prende per la camicetta, le rifila ancora due bei ceffoni e poi la lega, prima i polsi, dietro la schiena, poi le caviglie con i suoi bei piedini che cercavo in tutti i modi di colpire ancora mio padre. Inizia a piangere, la puttana, sì, perché sa che sta per ricevere la sua giusta punizione. E infatti il castigo arriva. Prima i pugni, sì, mio padre le si siede sopra e inizia a colpirla, prima in faccia, poi anche sul petto e in pancia. Non sai che goduria!”.
Giulio era il più forte del cantiere, mia figlia era stata picchiata da una bestia che l’avrebbe potuta uccidere a mani nude.
“Ormai Regina poteva solo piangere, non so se dal dolore o dall’umiliazione, comunque non era più in grado di ribellarsi. La portiamo nel casolare, la facciamo sdraiare su un letto, sì, quel letto, Renatino, e lì, beh, non avevo mai visto mio padre così! Devo dire che faceva paura anche a me. Iniziò a strapparle quei vistiti da puttana che indossava, prima la camicetta, scoprendo che, da vera puttana non portava il reggiseno mio padre le rifila un paio di schiaffoni su quelle belle tette e poi inizia a mordere, sì, sembrava un lupo che stesse sbranando la preda, Regina urlava dal dolore, e mio padre… ” rise “mio padre continuava a chiamarla Matilde ” rise di gusto “Sì, il tuo caro amico stava per stuprare tua figlia, ma, in realtà, nella sua mente, stava violentando tua moglie. Ti dirò, non ero mai stata così fiera di mio padre.”
“Poi le strappò la minigonna, o meglio, quello straccetto che le copriva a malapena il culo, le sue mutandine di pizzo nero, da troia di classe, devo dire, fecero la stessa fine, e vidi la figa bella rasata, proprio come quella di una troia...e poi...poi mio padre si levò i calzoni, tagliò le corde che le legavano i piedi, le allargò e le gambe…e…la melodia più dolce che abbia mai ascoltato, la regina delle troie che urla di dolore, o sì, avresti dovuto sentirlo, mio padre che le sfonda la figa con un colpo solo, il sangue che macchia il lenzuolo, lei che piange e urla a squarciagola, mio padre che mugola come un toro…o sì, quasi quasi mi eccito ancora al pensiero, sai, pensavo non fosse più vergine. ”
Ero distrutto, quanto dolore aveva dovuto sopportare mia figlia.
“Ma non è ancora finita, oh no, vidi mio padre che la gira a pancia in giù, ormai Regina non riusciva più a lottare, le allargò ancora di più le gambe e...oh sì, Renato, le sfondò quel suo bel culetto da puttana, sì, senza pietà, con colpi che violenti, continui, fino alle palle, e, ad ogni affondo, un pugno, o sulla schiena, o sulla testa, o sui fianchi…Regina non riusciva neanche più a piangere…ma per mio padre non era ancora abbastanza, era troppo tempo che aspettava di farsi la tua Matilde, e poi non poteva venirle nel culo, avrebbe lasciato tracce di DNA. e allora, questo è il pezzo forte…estrasse il suo bel cazzone sporco di sangue e merda dal culo di Regina e glielo ficcò dritto in bocca, fino in gola, e allora Regina commise il peggiore errore della sua vita. Vomitò. Vomitò sul cazzo di mio padre, intanto che le stava sborrando in gola. Mio padre non ci vide più, iniziò a prenderla a pugni in faccia, più forti di quelli di prima, si fermò solo quando un paio di denti volarono sul pavimento, ma ormai la troia aveva perso conoscenza.”
Stavo piangendo, mia figlia…tutto per colpa mia…
La ricaricammo in macchina e ritornammo nei pressi della discoteca, attraverso i sentieri nei campi, trovammo un boschetto; mentre mio padre scaricava Regina io mi strappai i vestiti, inoltre mio padre, prima di andarsene, rifilò anche a me qualche schiaffo e qualche pugno per simulare meglio la violenza. Rimasi sola con la puttana, mancava ancora qualche ora alla chiusura del locale, quando avrei dovuto andarmene in cerca di aiuto. Mi rimaneva, dunque, un po’ di tempo per divertirmi da sola con tua figlia. E immagino che già sai cosa feci, vero? Il famoso bastone. Sì, io ho sodomizzato tua figlia con un ramo di pino e lo sai cosa è successo? Tua figlia è venuta, ha goduto, le si è bagnata la figa, aveva perso conoscenza ma la sua natura da troia non si era ancora addormentata…sì, tua figlia era una puttana che godeva quando le infilavano i bastoni nel culo!” E rise, rise sempre più forte.
“La mia bambina…sei stata tu...la sua migliore amica…aiuto, polizia, aiuto!!”
“Signor Castelli! Si calmi, la prego, tra poco saremo in struttura, potrà riposarsi, ha avuto una giornata intensa…”
“Tu, Debby, hai ucciso tu mia figlia!”
“Signor Castelli, io non sono Debby, mi chiamo Giulia, si ricorda, sono la sua infermiera. Un signore nelle sue condizioni non dovrebbe sopportare quello che ha passato lei in questi giorni, tra qualche minuto sarà nel suo letto, le porteremo la cena e si farà una bella dormita fino a domani mattina, d’accordo?”
“Va bene, Debby, ho proprio bisogno di riposare, meno male che ci sei tu!”
di
scritto il
2019-08-27
2 . 6 K
visite
0
voti
valutazione
0
il tuo voto
Segnala abuso in questo racconto erotico

Commenti dei lettori al racconto erotico

cookies policy Per una migliore navigazione questo sito fa uso di cookie propri e di terze parti. Proseguendo la navigazione ne accetti l'utilizzo.