Amore e sesso
di
genio di razza1
genere
incesti
Ho già varcato la soglia degli ‘anta’ (42, per l’esattezza) e credo di potermi considerare pienamente realizzata.
Socialmente, il ruolo raggiunto di Amministratore Delegato di una grande azienda mi rassicura molto sulle mie condizioni anche per il futuro.
Sul piano delle emozioni, dopo l’errore commesso di rimanere incinta e partorire a 18 anni per ingenuità di ragazza, credo di essermi presa molte soddisfazioni nella vita.
Sul piano familiare, mia figlia Nicla, a 24 anni, è brillantemente avviata ad una buona professione nonostante i grandi capricci e la volubilità che la portano a cambiare spesso partner con la massima indifferenza: i motivi di dibattito tra noi sono questo suo sfarfalleggiare tra un amorazzo e l’altro e l’ostinazione con cui, in pubblico e in privato, ha deciso di chiamarmi Tina (il mio vero nome è Concetta) perché secondo lei ‘mamma’ è deleterio per me perché affossa la mia bellezza e la mia eleganza sexi ed è ingombrante per lei che deve spiegare come mai ha una mamma così giovane e brillante.
Francesco, l’altro mio figlio, ha 21 anni ed è anche lui un promettente laureando, è più tenero e coccolone: i miei confermano che è vera l’ipotesi che i figli prendano dalle madri e le figlie dai padri.
Il mio piccolo rammarico è infatti mio marito Pasquale che, ormai al di là dei cinquanta, continua a correre dietro alle gonnelle delle ragazzine e spesso si impegna a sperperare quello che io guadagno.
Le litigate tra me e Nicla vertono proprio sul perché non mi decido a chiedere la separazione, assegnargli un vitalizio e liberare da un’ingombrante palla al piede la mia bravura, la mia intelligenza e la mia bellezza.
In altri termini, Nicla vorrebbe che mi amassi un poco di più e che liberassi un poco la mia interiorità, intesa anche come sessualità, per uscire dalle ragnatele della concezione ormai morta della moglie fedele in eterno; non riesce assolutamente ad accettare l’idea che si possa rimanere legati ad una zavorra perché lo richiede la propria formazione.
Di fatto, poi, si comporta in realtà proprio come suo padre, con l’intelligenza di non aver mai preso e di non voler prendere, almeno in tempi brevi, decisioni vitalizie.
Naturalmente, poiché mi vuole molto bene, non esita a denunciare le malefatte di suo padre, specialmente quando rischiano di ricadere sulla mia persona.
Tra le altre cose, abbiamo acquistato da molti anni una casetta al mare, una costruzione in stile antico, ma ristrutturata in maniera rispettosa del territorio, ma di gusto moderno, in un punto molto panoramico con accesso privato alla spiaggia, nell’immediata vicinanza di uno stabilimento balneare di lusso, che è diventato il bengodi di mio marito e della sua caccia alle ninfette affamate di libertà e di nuove esperienze; ma anche il luogo preferito dei figli, che trovano ampio spazio per il loro desiderio di conoscenza e di relazioni.
Sono distesa sotto l’ombrellone al riparo del sole cocente del sud, chiusa (‘mummificata’ per Nicla) nel mio costume intero di sapore vagamente vintage, quando vibra il telefonino e leggo che mia figlia mi sta chiamando; allarmata, le chiedo dove sia e perché chiama.
Mi avverte che il mio ineffabile Pasquale si è messo ad offrire al bar a destra a e manca evidentemente con una mia carta di credito, visto che lui non ne possiede; guardo il portafogli e mi accorgo che effettivamente una carta non è al suo posto.
Vado in direzione e avverto che mio marito sta pagando con una carta abusiva, per la quale potrebbero avere problemi sia lui che lo stabilimento: il direttore si precipita ad avvisare il barman di non accettare più ordini ed io vado da mio marito, lo prendo in disparte e gli impongo di restituire la carta se non vuole finire in galera: borbotta qualcosa di incomprensibile e va via, a coda ritta, fingendosi offeso.
Ovviamente, Nicla con perde l’occasione per tornare ad inveire contro suo padre e contro di me che sono troppo tenera con lui; la prego di sedersi accanto a me e cerco di spiegarle che per quelli della mia generazione certi valori sono assoluti e indiscutibili; mi ribatte solo che la schiavitù è stata abolita prima per civiltà e poi per legge.
Mi sfida allora a passare qualche giorno insieme e a vivere almeno alcune ore secondo i suoi principi, che non sono altamente morali ma sono più logici di quello che io voglio ammettere.
Ho in programma un viaggio a Parigi di tre giorni, per un convegno ad alto tasso di interesse per il lavoro; le chiedo se è disposta a venire con me nella ville Lumiere e sperimentare su un terreno neutrale le sue convinzioni; accetta ad un solo patto: tutto il tempo ufficiale, convegno, colloqui, trattative e altro, sarà nel mio stile; tutto il tempo libero, compresi i pranzi e le cene, saranno gestiti da lei e la seguirò anche nel look: mi dichiaro d’accordo.
Partiamo in aereo un giovedì mattina e in poche ore siamo sul posto; vengo travolta dagli adempimenti obbligatori e ci ritroviamo libere solo verso l’imbrunire; è presto, per andare a cena; ce ne andiamo a passeggio: ho indossato, sotto la guida di Nicla, una camicetta leggera che fa trasparire il reggiseno con le mie tette piene, carnali, da donna matura con due figli, eppure straordinariamente eccitanti (me ne accorgo ogni volta che ho a che fare con uomini il cui sguardo, normalmente, riesce a bucare anche le giacche rigorose, che indosso abitualmente, ogni volta che, per un qualsiasi motivo, si aprono un poco; la gonna l’ha scelta lei: non è una mini, ma si ferma almeno dieci centimetri oltre il ginocchio (le mie, in genere, arrivano sotto il ginocchio); ai piedi, ho deciso di indossare ballerine senza tacco che non sollevano più di tanto il mio culo, per sua natura già molto alto e tondo; Nicla proclama che sono particolarmente sexi ed appetibile: per dimostrarlo, mi invita ad osservare gli sguardi assassini di tutti gli uomini che incrociamo e le occhiate feroci delle compagne che li rimproverano.
“Non puoi capire quanto sono orgogliosa di passeggiare con una donna così bella ed affascinante come te!”
Mia figlia mi spiazza, ma sento il suo affetto e lo ricambio con una stretta di mano; siamo davanti ad una libreria ed è annunciata la presentazione di un volume di poesie di un giovane, Francois Rouen, che avevo già deciso di comprare per aver letto alcune cose qui e là; lo dico a mia figlia e, naturalmente, mi spinge immediatamente dentro, dove, ad un tavolino, è seduto l’autore circondato da giovani che parlano con lui che firma le copie; Nicla prende un libro e si rivolge al poeta in perfetto francese dicendo che siamo italiane, che Tina conosce la sua poesia e che amerebbe una copia autografata.
Lui lascia il tavolo e viene diretto da noi, mi chiede in perfetto italiano delle poesie che ho letto e cominciamo a parlarne; la nostra entrata ha interrotto il lavoro di presentazione e il gruppo di ragazzi protesta; Nicla parte in quarta.
“Senti, Franco, innanzitutto, perché non ti faccia illusioni, Tina non è una mia amica o mia sorella: è mia madre, legittima e naturale.”
Lui la interrompe e riesce a zittirla.
“No, non è possibile: così giovane, così sensibile, così bella e così affascinante, già mamma di una donna altrettanto meravigliosa?! Permettimi di dire che sei un vero miracolo della natura!”
“Bello, non stare a fare il lumacone, che con noi non attacca; se proprio vuoi corteggiarla, sappi che siamo in giro per andare a cena. Indicaci un posto giusto, molto francese e molto romantico, dove potete farvi gli occhi dolci quanto volete e intanto ceniamo. Visto che i poeti sono sempre poveri, dal momento che Tina, oltre a tutte le qualità che vedi e tante altre che non si vedono, è anche un’alta dirigente d’industria e si può permettere qualche piccolo lusso, sei ospite suo: basta che ci porti a cenare in un bel posto e la fai sentire soddisfatta di aver dialogato, ma io direi amoreggiato, per una sera con un poeta che ammirava già prima di conoscerlo. Ci stai?”
“Tua madre mi innamora, non ho problemi ad ammetterlo; ma anche tu mi affascini con questo falso cinismo che nasconde un amore viscerale per tua madre e per la sua sensibilità. C’è un posto qui a fianco che io non potrei permettermi; ma se dici che potete farvi passare il gusto di una bella serata, vi ci accompagno volentieri; dovete aspettare solo dieci minuti che sbrigo la firma dei volumi.”
“Firmane tanti, tantissimi; ti aspettiamo.”
In tutto il loro dialogo non ho avuto la forza né l’occasione per inserirmi con una sola frase; adesso però ho quasi paura dell’impegno che Nicla ha assunto per me: parlare di poesia e d’amore era l’unica cosa che poteva spiazzarmi e questa benedetta ragazza mi ci ha catapulta al centro senza che me ne accorgessi.
“Nicla, ma ti rendi conto che accosti la fiamma alla paglia. E se perdessi la testa, stasera?”
“Mamma, adesso devo rivolgermi a mamma perché tutto sia più chiaro!, perché per una volta non accetti un mio punto di vista? Io ho paura dell’amore: per questo cerco di non innamorarmi; tu invece hai bisogno di amore e soprattutto di fare l’amore. Ti ordino allora di innamorarti solo per una sera, anzi per una notte, di abbandonarti all’onda di questo piacere che ti si legge negli occhi, nel viso, nei capezzoli che si sono induriti e, se ti mettessi la mano fra le cosce, nella figa che ti sta allagando le mutande che porti invece degli slip o delle brasiliane. Tu stasera mi stai a sentire: ti innamori pazzamente, ti concedi a te stessa e a lui, fai l’amore per tutta la notte, fino a svenire, ti fai riempire di sborra o d’amore, come preferisci chiamarla, tanto so che prendi la pillola. Domattina, sotto la doccia, ti lavi di tutte le scorie, chiudi nei ricordi e nel cuore questa notte e torniamo a casa più felici, più ricche, più umane, anche io che sto solo facendo la ruffiana. Mentre lui ti conquista, se ce ne fosse bisogno, io sparirò ed andrò a concupire qualcuno per me. Domani mattina, ti prego, raccontami che hai fatto l’amore alla grande e portiamoci questo segreto con noi in Italia.”
Vorrei obiettare qualcosa, ma Francois è già con noi e ci guida deciso all’uscita.
E’ una cena fantastica: lui è conosciuto nel giro ed è anche benvoluto; i camerieri si fanno in quattro per metterci nelle condizioni ideali e, durante la cena, non facciamo che guardarci negli occhi da veri innamorati; Nicla gongola; in un momento in cui lui va in bagno, trovo la forza di confessarle.
“Mi sento come al primo appuntamento, anzi come la sera delle nozze, come se stessi per partire per la luna di miele.”
“Mamma, ti voglio tanto, tanto, ma tanto bene. Io vado via; siete troppo belli così innamorati. Ci penserò io, domani, a riportarti sulla terra. Tu abbandonati e galleggia.”
Quando Francois ritorna e si siede, mia figlia ha già elaborato la sua strategia.
“Senti, poeta, io sono stata felicissima di averti incontrato; spero che farai felice Tina almeno per una notte; se non ci vedremo più, ti saluto qui e vado a concupire quel bel fusto all’angolo. Ciao.”
Rimasti soli, Francois mi prende le mani sopra al tavolo e sembra accarezzarmi tutta con lo sguardo; mi sporgo verso di lui e, attraverso il tavolo, ci scambiamo un bacio leggero, che mi fa fremere fin dentro le ossa. Mi chiede dove alloggio e se preferisco andare in hotel o a casa sua. Gli dico che domani il convegno comincia presto e che devo dormire abbastanza perché sarà una faccenda faticosa.
“Vuoi che ci salutiamo qui?”
Trovo il coraggio di dire.
“No, voglio che facciamo l’amore. E non ti meravigliare: non ho mai tradito mio marito, nemmeno col pensiero; non so cosa sia il corpo di un altro uomo: ma questa sera la poesia, l’amore e la filosofia di Nicla mi dicono che devo farlo, per me soprattutto; devo prendermi tutto l’amore di cui sono capace e che tu saprai darmi. Domani ti potrò anche dimenticare, ma stasera voglio galleggiare sulle nuvole.”
“Posso dirti che Nicla è una donna assai più saggia di quello che sembra?”
“Io non riesco a dirlo: guarda, sta già limonando con quel ragazzo e noi non ci siamo ancora dati un bacio vero.”
“Dartelo qui non serve più: ho voglia del tuo amore e di offrirti il mio.”
L’albergo non è lontano; recupero la chiave della camera e andiamo su; mi sento veramente come la sposina in viaggio di nozze; anzi, l’emozione è maggiore, perché adesso so con chiarezza che cosa sto facendo e perché lo voglio: non ho verginità da sacrificare, fisicamente, ma quella mentale è assai più pesante da portare.
Penso a mia figlia, mentre mi sento avvolgere dal suo abbraccio passionale e intenso; scioccamente, penso che dovrei fare l’amore davanti a lei per poter fare bene le cose, per farmi consigliare; poi mi sento stupida e mi concentro sulle mani di lui che mi accarezzano tutta e quasi non osano aprire i vestiti per arrivare alla carne viva; e penso al cazzo che mi preme sul ventre, da sopra i vestiti e mi procura già emozioni vicine all’orgasmo.
Poi prendo l’iniziativa e comincio a spogliarlo io; tutte le mie fisime spariscono, la bestia della libidine che era nascosta in me emerge di colpo e mi scateno su di lui: lo bacio in rapidissima successione su tutto il viso, sugli occhi, sulle guance, sulla bocca e mi impossesso come una furia della sua lingua che succhio avidamente; si scatena anche lui, come se avesse abbandonato le riserve, e sento che mi bacia con furore quasi, che mi succhia dappertutto, mi lecca fin dentro le orecchie scatenandomi un inferno nella figa; mi palpa i seni e lo aiuto a sfilare camicetta e reggiseno per offrire alla sua bocca i capezzoli duri e grossi come nocciole, che attendono solo di essere succhiati, serrati, tirati, morsi fino a far male.
Slaccio la cintura e abbasso insieme pantaloni e mutande: ha un cazzo bellissimo, molto grande, molto nodoso, che dà piacere alla mano che lo manipola, che promette gioia in bocca, in figa e forse anche nel culo: non ho esitato, quando Pasquale me l’ha chiesto, ho provato piacere e so che questa sera voglio darglielo, come gesto d’amore: fibrillo in tutto il corpo e sento che la figa mi cola per la serie di orgasmi che anche solo accarezzandomi riesce a procurarmi; ha ragione, Nicla: non so che cosa mi sono perduta, attaccandomi ad un parassita che mi succhia anima e corpo; ma ora, anche solo per una notte, ho bisogno di riscattarmi.
Mi abbasso sui talloni e prendo il cazzo in bocca: mi viene da piangere, tanta è l’emozione di sentire la cappella sotto la lingua e sto ferma un tempo che mi pare infinito ad assaporarne il gusto, a trasmettere la lussuria alla figa per farla sbrodolare ancora; poi comincio a pompare; non so quanto sono brava a succhiare, perché l’ho fatto solo a mio marito, ma Francois sembra impazzire: strabuzza gli occhi, freme e si tende tutto, non so se sta per sborrare e, nel dubbio, mi fermo perché non voglio finire presto.
E’ vero che devo dormire e gliel’ho detto, ma solo per prevenire che non avremmo dormito insieme; però possiamo fare l’amore quanto vogliamo: e questo l’ho detto, fammi fare l’amore fino a svenire; mi prende per le ascelle e mi solleva; si è già tolto giacca e camicia; si libera dei pantaloni e delle mutande che aveva ai piedi e, intanto, mi sfila gonna e mutandoni (in quel momento, un poco mi vergogno e mi riprometto che adeguerò il mio intimo); mi sfila anche le autoreggenti e, nuda, mi rovescia sul bordo del letto; si accoscia davanti a me, accarezza le gambe e le cosce fino all’inguine, sposta i peli della figa che porto molto lunghi, incolti e folti, apre con le dita le grandi labbra e piomba con la bocca sul mio clitoride che, in un attimo, è gonfio da farmi male, ma il dolore si attenua nella sua bocca, quando comincia a succhiarmelo fino a strapparmi un orgasmo che non ricordo uguale a nessun altro; sta lì a succhiare, leccare, mordere, martirizzare per una decina di minuti, lasciandomi a desiderare ardentemente il cazzo in figa, finche devo dirglielo.
“Ti voglio dentro, ti voglio tutto dentro, ti prego!”
Mi fa spostare al centro del letto, monta su in ginocchio e continua a carezzarmi il monte di venere pelosissimo e la figa che stringe tutta in una mano; infila il dito medio per far emergere la fessura, si accosta tra le cosce, appoggia la cappella alla vulva e spinge dentro: sento il cazzo percorrere il canale vaginale tutto intero, fino all’utero che tocca con un leggero dolore per me, abituata ad un solo cazzo, meno grosso; si stende sopra di me, mi bacia sulla bocca e mi sussurra frasi dolcissime: mi sembra di galleggiare su una nuvola, proprio come avevo detto io; e ogni volta che lui, cavalcandomi, sprofonda dentro di me, la mia nuvola scende verso il basso per riportarsi in alto subito dopo insieme al cazzo che esce dalla figa per ripiombare dentro con nuovi orgasmi; quando sento che il suo corpo si tende un poco, per l’orgasmo in arrivo, alzo le gambe e imprigiono la sua vita intrecciando le caviglie sulla schiena: il cazzo sprofonda in me fino al dolore; stringo i muscoli vaginali e lo trattengo dentro il più a lungo possibile: gemendo, mi esplode in figa una sborrata lunga, piena, intensa; rispondo urlando i miei orgasmi, forti, passionali, decisi, da fargli sentire tutto il mio amore.
Se ne sta su di me a rilassarsi; ci accarezziamo il viso, il petto, le spalle: lui mi titilla a lungo i capezzoli e devo pregarlo di fermarsi perché mi provocano il solletico, mentre mi rilasso; accarezzo le sue natiche sode, dure, tese e le stringo al mio ventre quasi per farmi penetrare ancora più dentro, anche col cazzo che si è decisamente ridotto; non avrei voglia di andarmi a lavare ma, se lascio che lo sperma mi coli dalla figa, sporco tutte le lenzuola; intanto, ho ancora voglia di sentirmi penetrata; e questa volta sento il culo che freme, quasi geloso di essere stato trascurato; mi sfilo per un momento, raccolgo gli abiti, miei e suoi, e li deposito sulle sedie (riflesso condizionato di massaia); vado in bagno a scaricare la vescica e a sciacquarmi la figa; torno sul letto e, accarezzandolo, gli chiedo.
“Ci fermiamo qui?”
“Per me, assolutamente no; tu cosa desideri?”
Prendo la sua mano, me la porto dietro e guido il dito medio nell’ano,
“E’ esattamente quello che avrei desiderato!”
Un momento dopo sono carponi sul letto; lui, dietro di me, lecca la zona con devozione religiosa: naturalmente, privilegia l’ano che percorre in tutte le pieghette che lo chiudono e nel quale si insinua prima con la lingua poi con le dita: dopo averci giocato un poco con il medio, si ferma perplesso: mi rendo conto anche io che il suo membro, in un culetto abituato a volumi meno impegnativi, rischia di fare danno, se non è lubrificato; mi ricordo che tra le creme ce n’è una alla vaselina che forse dovrebbe avere una funzione analoga; la vado a prendere in bagno e gliela consegno; mi unge accuratamente l’ano e il canale rettale, inserendo facilmente prima due poi tre dita e ruotandole dentro; a quel punto, mi prende la testa, mi fa girare verso di lui e mi guarda con amore; faccio segno di si con la testa e sento la cappella che si accosta all’ano. Entra delicatamente, ma sicuramente e fino in fondo; qualche leggero dolorino è assorbito dal piacere di sentirlo nel corpo. Stupidamente, mentre mi sprofonda nel culo, sussurro.
“Ti amo. Questa notte ti amo e sono tutta tua.”
“Questo è amore; ti amo anch’io, non solo per questa notte. Faremo l’amore forse solo stanotte; ma questo amore improbabile è un regalo divino.”
Comincia a cavalcarmi nel culo con una foga eccezionale; lo sento fin dentro lo stomaco, tanto mi penetra; e veramente annetto a quella inculata il valore di un amore piovuto da chissà dove e che è destinato a finire, forse subito dopo. Quando sento la sborra di lui invadermi le budella, non riesco a trattenere un urlo bestiale: la più bella sborrata della mia vita.
Andiamo avanti così, per una parte della notte; trova il tempo e la forza di sborrarmi ancora una volta, in bocca stavolta, e montarmi di nuovo in figa e in culo, riuscendo a sborrare solo la seconda volta: quando leggo sulla sveglia le quattro, lo avverto che devo dormire, almeno un paio d’ore. Si riveste ed esce, non sappiamo se solo dalla camera o dalla mia vita. Ma non ho voglia di indagare o di pormi quesiti. Mi addormento di pacca, sfinita forse anche dal sesso.
Al mattino, trovo Nicla in sala per la colazione; mi sembra alquanto provata.
“Stai male? Hai una cera!”
“Tu quante volte e fino a quando?”
“Alle quattro l’ho spedito via per dormire almeno un po’; tra culo, figa e bocca, diciamo sei, due per parte.”
“All’anima della borghese bigotta. Bravissima! Ti è piaciuto?”
“La mia faccia che ti dice?”
“Che hai attraversato il paradiso!”
“Su una leggera nuvola rosa. Adesso però, devo cancellare. Tu cosa hai combinato?”
“Ho scopato, fino alle sette di stamane quando sono tornata in albergo.”
“E dove sei andata?”
“Nel suo albergo che è a fianco del ristorante.”
“Adesso io vado al lavoro; poi staremo insieme.”
“Io tu e Francois.”
“No, perché? Non hai detto tu stessa che stamattina dovevo cancellarlo?”
“Non ho detto stamattina come tempo reale, stamattina è quando torniamo in Italia. Io, se uno mi dà voglia di farmene sei la prima volta, almeno la tre giorni la sfrutto.”
“Ma se non so neppure dove rintracciarlo!”
“Tu? Ma la tua amica Nicla pensa sempre a tutto. E’ inutile: a dirigere un’azienda, sei impareggiabile; sul sesso e sull’amore, se non c’è la tua Nicletta, neanche un poeta imbranato riesci a rimorchiare. Ciao, mamma, ci vediamo a pranzo … con il tuo tenerissimo Francois.”
Il week end parigino con Nicla (ma anche e soprattutto con Francois) è stato forse il periodo più bello della mia maturità: per tre giorni e tre notti non ho fatto che vivere in un sogno, cullandomi sulla nuvola rosa di un amore provvisorio ed impossibile come se fosse la realtà di ogni giorno, abbarbicandomi alla poesia ed all’amore per dare un senso alla lussuria che scatenano in me mia figlia, coi suoi discorsi libertari e provocatori, e il giovane poeta francese che mi riempie di attenzioni ed ha sempre pronta una bella frase per sollevarmi lo spirito.
A letto, invece, mi solleva ben altro e per tutto il tempo non ho fatto che scoprire e riscoprire la mia sessualità, il mio corpo, forse il mio bisogno d’amore: mi impossesso del suo cazzo come una protesi esterna del mio corpo che continuamente spingo dentro il mio strappandone umori e scatenando il mio piacere; mi faccio penetrare più e più volte in tutti i buchi, ogni volta accogliendo il cazzo come le belle frasi entrano nelle orecchie e nella testa, con amore infinito.
Poi, come tutte le cose belle, anche la vacanza (o piuttosto la fuga dalla realtà) ha avuto una sua naturale conclusione e mi ritrovo sull’aereo diretto a casa, con tutti i problemi che la mia vita pone e che ho depositato, sotto un tappeto, a casa, al momento della partenza; non nascondo che il momento più difficile è affrontare Pasquale, mio marito, che, appena mi vede, mi salta addosso e vuole scoparmi seduta stante: il confronto inevitabile non gli è favorevole e scava ancora l’abisso che ci separa; ma la mia formazione profondamente radicata mi impone di nascondere nei ricordi l’esperienza parigina e tornare ad essere la moglie paziente di sempre.
Passa l’estate e rientriamo a Milano; trascorrono anche alcuni grigi mesi autunnali e la nuvola rosa è ormai un vago ricordo sbiadito che riaffiora di tanto in tanto, specialmente quando, stressata dal lavoro, mi concedo delle lunghe e defatiganti sedute di masturbazione, sollecitando gli orgasmi col ricordo di un cazzo che amorevolmente mi sfonda il culo in un hotel parigino; in quei casi, frequentemente mi sdraio scosciata sul letto, quasi avessi tra le mie cosce Francois che mi scopa, e il martellamento sulla figa si fa quasi maniacale.
Nicla viene a trovarmi una mattina, per portarmi qualcosa che ha ricevuto per posta: un volume di piccolissimo formato che contiene un poemetto in francese di un centinaio di versi; insiste perché lo legga davanti a lei e mi chiede cosa ne pensi: lo giudico caruccio ed ho la sensazione che qualcosa mi sfugga, tra le righe della poesia.
“Come mai ti occupi anche di poesia, adesso?”
Mi risponde un sorriso mefistofelico che non riesco ad interpretare; poi tira fuori dalla busta la copertina che aveva preventivamente staccato: leggo il nome di Francois e il titolo che allude decisamente alla nostre tre notti a Parigi; e capisco che cosa mi ha stimolato i precordi: la coscienza che si tratta di un deja vu, di una tranche de vie che appartengono alla mia propria vita.
Mi dice che l’ha ricevuto direttamente da Francois, col quale è rimasta in collegamento, epistolare e telefonico, e che per espressa richiesta me lo ha portato: è la prima copia stampata del libretto che presto sarà tradotto e pubblicato in Italia; per un attimo, sento un groppo alla gola per il magone; poi mi riprendo e ricordo a mia figlia che quella storia sta bene nell’album dei ricordi; mi risponde solo che secondo lei avevo bisogno di arricchire quell’album e chiudiamo lì la faccenda; ad ogni buon conto, mi tengo il volumetto e lo conservo tra le cose care.
Passano ancora dei mesi, cinque o sei, ed io sono travolta dal ritmo del mio lavoro che diventa sempre più intenso e più impegnativo; in primavera avanzata, quando già si guarda alla prossima estate, sono sorpresa da un messaggino di Nicla sullo smartphone (assai raramente usa con me questo tipo di comunicazione): indica il giornale del mattino ed una pagina di cronaca cittadina; apro il giornale e trovo che in una libreria del centro si presenta il volume di poesie di Francois che contiene il poemetto tradotto; con una certa emozione, chiamo Nicla.
“Ciao. Perché un sms?”
“Non è piacevole quello che devo dirti.”
“La presentazione del libro?”
“No; chi accompagna lui … la moglie.”
“Va bene; e allora? E’ nell’umano ordine delle cose.”
“Vuoi farmi credere che ti è indifferente la cosa?”
“No. Ci sto male, se è questo che vuoi sentire. La risposta è in una vecchia canzone spagnola. Te la cerco e te la mando. Forse capirai cosa può provare una donna nel pieno della maturità che perde la testa per un giovane.”
“Cosa dice la canzone?”
“Dice: solo una notte ancora, poi vai per la tua strada, ma per una notte ingannami ancora.”
“Tina, non è il tuo caso. Quando lo vedrai, saprai che neanche una notte elemosineresti da lui; e, per di più, non hai bisogno di elemosinare per avere amore, te lo garantisco io. Ci sono molti che te ne danno a iosa, se lo chiedi.”
Quando ci incontriamo davanti alla libreria e vedo il comportamento della moglie di Francois, ma soprattutto la supinità di lui alla presunzione di lei mi casca dal cuore e dalla memoria; ma Nicla non è donna da lasciare qualcosa a metà; mi spinge avanti finché incontro lo sguardo di lui che abbassa gli occhi come un reo; mia figlia si limita a commentare.
“Chiacchiere per vendere!”
La moglie si sente colpita e risponde piccata.
“Lei non ha nessuna idea della storia d’amore che qui viene raccontata.”
Nicla si sporge verso di lui.
“Bello, dillo a questa sciacquetta che io e te sappiamo benissimo chi è la donna della storia e che solo la sua presunzione può consentirle di credere diversamente. Senti, sciacquetta, quando tu proverai un millesimo di quello che la donna di questa vicenda ha vissuto con tuo marito, chiederai di morire per fermare quell’attimo; fino ad allora, sguazza nella tua imbecillità; alle donne vere un’anima morta come è ridotto oggi Francois non serve a niente, vero poeta?”
Lui non ha il coraggio di obiettare, abbassa la testa e pare che pianga.
“Stai male? Hai voglia di piangere?”
Nicla sa essere tenerissima e spietata.
“Non sto male; ho voglia di piangere, ma qui non posso.”
“Vieni a casa mia, siamo a due passi.”
La seguo come un cagnolino bastonato, limitandomi a ripassare in mente i fotogrammi più belli di una storia scioltasi come neve al sole: ma non sono triste, anzi mi sento quasi più forte e abbraccio in vita mia figlia, che mi sta trascinando in una pizzeria popolare affollata di giovani dove il mio abbigliamento, esattamente quello di Parigi, mi fa passare più facilmente per universitaria fuori corso con l’amica del cuore; per questo, sono oggetto di avances anche spinte e di commenti salaci, diretti a tutte e due.
“Sono sempre così diretti i ragazzi,qui?”
“Stasera si stanno contenendo: sanno essere peggiori.”
Mentre mangiamo in piedi, appoggiati a una mensola lungo il muro, si fanno avanti due maschi, decisamente meno giovani della media, dei quali uno abbraccia Nicla con grandi effusioni.
“Tina, questo è Claudio, un mio ex spasimante.”
“Divento ex solo quando a fianco a te c’è una donna così bella come la tua amica … “
Abile, il ragazzo, almeno con le parole; Nicla mi sussurra.
“Che ne dici di chiodo che schiaccia il chiodo?”
“Che vuoi dire?”
“Io nelle tue condizioni mi cercherei un cazzo come antidoto. Se ti va … “
“Sei pazza? Vuoi proprio che faccia la troia?”
“No, voglio che faccia sesso e che, dentro di te, lo viva come amore. Ci facciamo una bella orgetta a quattro e puoi star certa che dovrai scopare anche con me, perché io ti desidero da sempre: se gli stronzetti non ti vano, andiamo a letto io e te.”
“Confessione per confessione, a Parigi, mentre mi facevo inculare da Francois, pensavo che mi sarebbe piaciuto farlo davanti a te che mi davi consigli. Può darsi che anch’io voglia fare l’amore con te.”
“Se andiamo in quattro, mi dispiace solo per Francesco.”
“Che c’entra?”
“Mamma, ma sei proprio lenta su certe cose. Francesco avrà versato qualche ettolitro di sborra sulla tua figa, sul tuo culo, sulle tue tette; non sai quante volte ho dovuto farmi scopare fingendo di essere te, per farlo contento. Se scopi con questi stronzetti, per lui sarebbe la fine. Quanto meno, spera di essere il primo ad assaggiare mamma troia.”
“Cazzo, sai che significa?”
“Significa che puoi surrogare un amore deluso con quello per una persona cara, che da quella figa è uscito e a quella torna, se tu lo ami con tutto il corpo: guarda che la filosofia romantica da bancone la so fare pure io. Invito questi due o telefono a Francesco e ti scopiamo noi figli?
“Hai bisogno di chiederlo? Adesso voglio voi; e mi sa che con questo risolvo anche i problemi futuri.”
Francesco non risponde; la segreteria telefonica avverte che è fuori città e che tornerà a fine settimana.
“E adesso che facciamo? Io ho già il perizoma che è da strizzare, con questi tuoi maledetti discorsi.”
“Adesso ci scopiamo i ragazzi, qui, e dopo ci scateniamo io e te.”
Non ha mezzi termini , Nicla; comincia a muoversi sensualmente davanti ai due e li provoca finché il più deciso dei due, il biondino che mi aveva presentato come ex spasimante, cerca di baciarla; ma lei si sottrae rivolgendosi al moretto che finora non ha parlato; quasi per conseguenza, il biondino mi prende nella vita, mi afferra la bocca nella sua e comincia a perlustrarmela leccandomi tutto l’interno; sento il cazzo gonfiarsi contro il ventre e, quasi d’istinto, mi struscio alla ricerca del contatto con il clitoride che esplode non appena incontra la mazza ancora chiusa negli abiti.
Si accorge che sono venuta e chiede a Nicla di andare; lei, che si è accorta della cosa ed ha capito il mio bisogno di sesso, paga, ci prende tutti e tre e quasi ci trascina al portone di casa sua; in ascensore, diamo vita ad uno spettacolo decisamente porno, con Carlo, il biondino, che mi infila le mani dappertutto, dal reggiseno al perizoma, e mi stimola con tanta sapienza da farmi sborrare almeno tre volte nei tre piani da percorrere; Luigi, il moretto, si è letteralmente perso tra le tette di Nicla e le succhia come un poppante in astinenza.
L’appartamento è grande e ben arredato ( mi è costato un occhio della testa) e soprattutto è dotato di un letto grande, segno che Nicla spesso si trova in occasioni multiple; mi trovo nuda di fronte a loro perché hanno fatta a gara a spogliarmi in tre, Nicla con maggiore passione dei due maschi, perché non ha mai smesso di succhiarmi la bocca, il viso, le tette, mentre mi sfilavano camicia e reggiseno; quando poi mi hanno tolto la gonna e il perizoma così fradicio da doversi quasi buttare (ma Carlo se lo è passato su tutto il viso aspirando il profumo dei miei umori): quando è apparsa la mia figa, è stata la prima a lanciarsi su di me, facendomi sdraiare sul letto, coi piedi ancora a terra, per leccarmi la vulva e scatenarsi sul clitoride che ha succhiato come un piccolo cazzo facendomi urlare dal piacere; ha dovuto quasi lottare coi due che miravano ad impossessarsene e l’hanno costretta a sdraiarsi accanto a me per riservarle lo stesso piacere.
Mentre Luigi si fionda sulla figa di Nicla, totalmente depilata, carnosa, piena, con un clitoride che sporge superbo dalla vulva, Carlo mi scivola addosso e si sistema su di me in modo da titillarmi entrambi i capezzoli mentre fa scivolare verso la vulva un cazzo di notevoli dimensioni, per grossezza e per lunghezza, e comincia a penetrarmi con sensazioni in bilico tra la forzatura di una vagina non molto abituata al coito (almeno, non con cazzi di quella fatta) e i brividi di piacere che si susseguono ininterrotti bruciandomi il cervello col massimo godimento che arriva anche dalle pulsioni dell’utero sconvolto dalla cappella che urta la cervice; mi scopa alla grande, per molti minuti, poi esplode all’improvviso, inondandomi la figa; lo catturo dentro di me e gli stringo le gambe intorno alla vita mentre mi godo la penetrazione ed una successione quasi infinita di piccoli e grandi orgasmi che mi scuotono dalla testa al cuore.
“Perdonami, non ho saputo resistere. E’ la prima volta che una figa mi prende a tradimento e mi procura un orgasmo rapido. Sei veramente immensa, meravigliosa, irresistibile; hai la figa più bella, più, fresca, più affascinante che abbia mai scopato. Eppure, ne ho assaggiato tante, di fighe; ma, come la tua, è la prima volta.”
Guardo verso Nicla che si sta godendo la scopata lenta e quasi studiata di Luigi, determinato a godere a lungo e a farla godere allo spasimo; guardo Carlo con l’aria di chiedere cosa intende fare; comincia a pomiciare con me come un ragazzino ed io mi abbandono al piacere di tornare ragazzina e ricambiare le carezze intime: scendo sul suo corpo leccandolo in ogni punto e arrivo al cazzo che prendo tra le labbra e comincio a succhiare con tutto il desiderio che mi ispira: un pompino eccezionale, nuovo; sento che vibra e si contorce, ma stavolta non arriva all’orgasmo; mi lecca e mi succhia dappertutto, dalle tette alla bocca, dal ventre alla fronte: sembra quasi adorare una divinità e percorrerla in tutte le fibre per ottenerne i favori.
Mi stacco dal cazzo, per non farlo sborrare, lo rovescio sulla schiena mi impalo, facendomelo spingere profondamente fin dentro l’utero; quasi non mi accorgo che Nicla si è sganciata dal suo maschio e mi è venuta ad accarezzare la schiena e le natiche, fino a leccarmi il buco del culo; mi spinge il busto in avanti, verso la bocca di Carlo; sento qualcosa di fresco scorrermi tra le natiche e intuisco che stanno per sodomizzarmi, ma non capisco come: poi mi rendo conto che sta spingendomi il cazzo di Luigi nel culo: non è una mazza sottile e delicata, ma un bastone grosso, nodoso e lungo: penetra nell’intestino senza provocarmi dolore, anche se il canale rettale, con l’ingombro dell’altro cazzo nella vagina, rende difficile la penetrazione; alla fine sento il ventre picchiare sulle natiche, segno che è entrato fino in fondo.
“Che culo straordinario; mai inculata una donna più ricettiva e più sensuale; ispira lussuria da ogni poro: questo non è un culo, è il paradiso dei cazzi. Carlo, devi provarlo. E’ semplicemente immenso!”
Detto fatto, si scambiano di posto e mi trovo impalata sulla mazza di Luigi mentre Carlo provvede a penetrarmi nel culo con dolce violenza; trovano una sintonia e mi scopano alla grande; esplodiamo insieme, con un triplice urlo simultaneo; subito dopo, Nicla mi viene sopra e si struscia sulla mia figa con la sua, mi schiaccia le tette con le sue che sono quasi più grosse delle mie; e mi bacia con un amore che non ho mai provato; mi fa girare la testa l’idea di scopare con mia figlia e mi esalta la sensazione fisica che sa darmi sull’epidermide, senza penetrazione; andiamo avanti per un paio d’ore, scambiandoci continuamente i partner ed io godo senza interruzione, soprattutto quando ho a che fare con Nicla.
Amo tutto di lei; ed è la prima volta che mi accorgo di quanta passione fisica ci possa essere tra madre è figlia; non l’avevo mai vista dalla prospettiva del piacere fisico; ed ora mi trovo ad ammirare la figa evidentemente abituata a ricevere dentro cazzi anche di grandi dimensioni, eppure calda, dolce, morbida, carnosa, sensuale; mi sembra quasi di vedere per la prima volta il suo culo tondo come disegnato col compasso, nervoso e saldo piantato sui lombi quasi in esposizione permanente, con uno spacco centrale che disegna perfettamente le due natiche in cui si divide; al centro, l’ano decisamente spanato (deve amare molto la penetrazione anale e non arretra, evidentemente, davanti a dimensioni ciclopiche); la bocca dolce e sensuale, dal disegno perfetto, con la quale appena può mi divora tutta; le tette naturali, senza ritocchi, ricche, carnose, quasi enormi che invitano a leccare e nelle quali affogo spesso e volentieri: in cima, due aureole leggermente brune, ancora verginali, nonostante tutto, e due capezzoli prepotenti, ritti per l‘eccitazione, desiderosi di essere succhiati, leccati, mordicchiati.
I ragazzi sono veramente all’altezza della fama di grandi scopatori, sembrano davvero inesauribili: sono apertamente sempre più appassionati di me, del mio corpo: mi scopano in tutti i modi, in tutte le posizioni, con tutti i tempi e con tutti i meccanismi possibili, senza stancarsi mai di riempirmi specialmente quando si organizzano per la doppia penetrazione, contemporaneamente in bocca e in culo o in figa e, spesso, in culo e in figa.
Come nel cuore di una tempesta di sesso sfrenato, mi trovo ad essere continuamente oggetto di un nuovo assalto e devo fare spesso il gesto di sosta, come nello sport; la più insistente è mia figlia che sta veramente dando tutta se stessa, perché forse è un sogno realizzato quello di avere sua mamma nel suo letto, con due maschietti che lei conosce e di cui apprezza le qualità amatorie: far emergere il meglio (o il peggio) di me, che considera quasi bigotta, è quasi una missione e, non appena mi vede riposare, si fionda a baciarmi con amore; sentire la mia bocca divorata nella sua e infilarmi la lingua fino alle tonsille le dà quasi la sensazione di farsi riassorbire; quando poi trova lo spazio per infilare la lingua nella mia vagina, incurante (o apprezzandola) della sborra che uno dei suoi amici ha appena lasciato, sembra fisicamente tornare all’utero.
Dopo tanta ‘ginnastica’, mi sento quasi stremata, non sono giovane come loro e lo faccio capire a Nicla che li avverte che è arrivato il momento di chiudere la giostra; non sembrano molto convinti e si affannano quasi a rubare le ultime effusioni, gli ultimi sprazzi d’amore e di sesso, leccando una figa o un ano, titillando un capezzolo, baciandoci dappertutto. Poi si arrendono alla realtà e vanno, a turno, in bagno: furbescamente, Carlo fa andare prima Luigi e, mentre è solo, ne approfitta per una pomiciata con me, in piedi al centro della camera, ancora nudi completamente, col cazzo piantato tra le cosce sul pelo della figa: pochi movimenti di bacino a simulare il coito e la mia figa si mette di nuovo a colare di piacere; non riesco a cacciarlo via, non lo voglio, e mi stringo appassionatamente, anche io raccogliendo le ultime briciole di un sesso per me al limite del consentito; quando anche lui è andato a rinfrescarsi, si rivestono e si avviano ad andare; Nicla lascia uscire Luigi e blocca Carlo.
“Sei ancora in cerca di lavoro?”
“Si, ho spedito stamane il curriculum a varie aziende.”
Scopre le carte e gli rivela che Tina non è amica sua, ma compagna di studi di sua madre; l’altro sbalordisce; Nicla continua dicendogli del mio ruolo in un’azienda alla quale lui ha fatto domanda e gli chiede se è pronto a dimenticare tutto di quella serata, nel caso che decidessi di aiutarlo per il lavoro; Carlo le ricorda le difficoltà economiche in cui si muove la sua famiglia e le assicura che non una virgola uscirà dalla sua bocca: d’altronde, era notissimo per la sua grande discrezione; allora Nicla scopre definitivamente le carte.
“Mamma, ti va di dare una mano a un ragazzo che merita?”
“Domani mattina faccio prendere la sua pratica e sarà convocato a colloquio. Se merita, sarà dei nostri.”
“Mamma?!?! Ho sentito bene?”
“Si, hai sentito benissimo: Tina è mia madre e devo subire l’onta di sentirmi dire che ha una figa, un culo e delle tette più belle delle mie: io da quella figa ci sono nata, come può essere più bella della mia?”
“Nicla, scusa, ma abbiamo detto solo la verità; visto che non conoscevamo i retroscena, puoi credere che eravamo sinceri. Tua madre, anzi Tina, ha la più bella figa che abbiamo visitato, forse la più bella del mondo.”
“Ed io ne sono felice.”
Carlo non smette di ringraziare e mi garantisce tutta la sua gratitudine per quello che farò e la sua fedeltà se mai avessi ancora bisogno di lui come partner; lo rassicuro che non mancherò di chiamarlo, nel bisogno; siamo molto stanche, io e Nicla, e ci viene spontaneo stenderci sul letto per crollare in un sonno ristoratore; prima di addormentarmi, mi viene di raccomandarle.
“Appena possibile, avverti Francesco che voglio parlargli e farmi raccontare tutto il suo amore per me.”
“Solo raccontare?”
“Sei terribile; ma attenta, perché forse talis filia talis mater … A proposito, solo una mia curiosità: ma, visto che ne hai scopati tanti e che tuo padre non la perdona a nessuna, mi hai mai fatto le corna?“
“Due o tre volte; ma non è il massimo; di tutti gli amanti che ho incontrato, è certamente il più supponente e il più maschilista; ma, come tutti questi personaggi, alla fine è assolutamente poco abile, poco delicato e insomma non dà soddisfazione. Anche per questo, non ti capirò mai.”
“Non ti chiedo di capire; ti chiedo di accettare. Forse, oggi mi rendo conto che la felicità era vicina, ma da un’altra parte; però non rinnego assolutamente niente del mio vissuto e rifarei esattamente le stesse cose nella vita. Solo un’altra curiosità, poi dormiamo. Con Francesco hai mai fatto sesso?”
“Ti ho già detto che spesso ho dovuto fingermi te, perché desiderava te e poteva scopare solo me. Abbiamo fatto sesso da quando aveva sedici anni e un cazzo appena manipolabile; ce la siamo spassata un mondo, per qualche tempo, poi abbiamo trovato altre strade e altri interessi. Ma se in un’orgetta me lo trovo davanti, ci faccio l’amore, bada non me lo scopo, ci faccio l’amore, con tanta voglia e con tanta gioia reciproca.”
“Quindi, manco proprio solo io, all’appello!”
“Per poco, mamma, ancora per poco … “
Non fa passare molto tempo, Nicla, prima di mettere in atto il suo proposito: dopo poco più di una settimana, mi chiede per il week end successivo di tenermi totalmente libera per passarlo con lei, a casa sua, non essendo consigliabile, per quel che ha in mente, casa mia con suo padre tra i piedi; ormai ho imparato a conoscerla e, per qualche verso, sento di essere succuba delle sue voglie: esattamente come mi ha chiesto, il venerdì pomeriggio, chiudo i lavori in azienda e avverto che sarei stata irreperibile per chiunque per tutto il week end; comunico a Pasquale che passo il fine settimana coi figli e vado a casa di Nicla che ha commissionato una squisita cena, da consegnare su richiesta; citofono con una certa ansia, stranissima perché si tratta di mia figlia: ma sapendo chi è lei e con chi si sta preparando a ‘giocare’ mi sento rabbrividire.
Mi accoglie con un bacio appassionato e mi accarezza lungamente il culo e il seno; le metto una mano nella vestaglia e la trovo totalmente nuda; accarezzo la figa e avverto un certo umido che parla di una eccitazione straordinaria; appena in casa, mi invita a mettermi a mio agio usando liberamente le sue vestaglie e, se no ho bisogno, l’accappatoio nel caso volessi fare una doccia; mentre mi libero degli abiti e mi rinfresco rapidamente, mi comunica che vorrebbe farmi ascoltare, non vista, qualche confessione di Francesco e che, per questo, quando lui arriverà, vorrebbe che mi nascondessi in ascolto nell’altra camera.
Io neppure sapevo che anche Francesco era della partita e le chiedo se per caso ha pensato ad una serata al calor bianco.
“Non una serata, mamma: una tre giorni tutta per noi tre. Domenica sera dobbiamo essere una sola anima in tre corpi.”
Sorrido, ma solo perché quello è un antico sogno che mai avrei sperato di concretizzare e che lei, con un colpo da strega, cerca di realizzare; la rassicuro; mi metto in accappatoio e pantofole; mi strucco (ho notato che Nicla non ha traccia di trucco) e decido di pomiciare un poco con mia figlia, in attesa del via alla serata; ma il gracchiare del citofono mi blocca; vado nell’altra camera e mi sistemo dietro la porta per avere una buona visuale del salone; dopo poco, entra Francesco e non posso impedirmi una certa emozione a vedere che bel ragazzo sia diventato, alto, ben piantato, elegante e deciso nei modi.
“Ciao, sorellina, come mai questo strano invito?”
“Ti sembra strano che voglia stare qualche ora con te?”
“Di solito hai compagnie più intriganti; tra noi bastano i minuti di un abbraccio amoroso.”
“Stasera avevo tanta voglia di parlarti.”
“C’entra per caso quella storia che raccontano della tua amica sconosciuta, Tina mi pare, della quale dicono che ti ha surclassato in bellezza, in fascino e in capacità amatorie? Chi è? La conosco?”
“Chi racconta queste leggende metropolitane?”
“Luigi ha detto in giro che è venuto qui con Carlo, con te e con una tua strana amica misteriosa; pare che ci sia stato un bellissimo incontro a quattro e che la sconosciuta ti abbia surclassata a letto.”
“Carlo che ne dice?”
“Quello?!?!?! E quando parla, quello? Qualcuno suggerisce che addirittura si è preso una sbandata di quelle buone, per la sconosciuta, e che siano andati a vivere in non so quale sola dei Caraibi; di fatto, lo si vede poco in giro.”
“Quante Tina conosci tra le mie amiche?”
“So che chiami Tina mamma; di altre non mi risulta.”
“E quindi?”
“Quindi che? Mica vorresti farmi capire che la sconosciuta era mamma?”
“Ti farebbe senso se fosse così?”
“Nicla: che mamma sia la donna più bella, più affascinante, più bona, più tutto di quanto chiunque possa immaginare, non lo venire a raccontare a me che muoio d’amore per lei … “
“… ma non hai mai trovato il coraggio di farglielo neppure capire.”
“Sta’ zitta; questo è un discorso troppo doloroso; non lo facciamo neppure. Insomma, era mamma la sconosciuta, ci hai scopato, l’hai fatta scopare dai tuoi amici e lei è stata una sorpresa continua per tutti voi? E a me non hai affatto pensato?”
“Senti, stronzetto, guarda le chiamate perse; scoprirai che mentre te ne stavi in Riviera a cazzeggiare ti ho chiamato disperatamente ma non eri contattabile. Hai perso la tua occasione, semplice!”
“Lo sai che mi stai uccidendo? L’unico mio sogno impossibile è fare l’amore con mamma; tu ci sei andata vicino ed io non ero raggiungibile. Mi odio.”
“Odiati quanto vuoi, ma è andata così e nessuno può farci niente; hanno avuto culo quei due, anche se Luigi si pentirà per tutta la vita di essere gola profonda.”
“Ma … mamma … ti rendi conto di come è strano tutto questo? Avremmo spergiurato che era la moglie più fedele e paziente del mondo … “
“Finché non è arrivato il diavoletto Nicla che la sua mamma voleva farsela, se l’è fatta e le ha fatto scoprire momenti di grande amore e di grande sesso.”
“Davvero è stato così?”
“Ti dico solo che la nostra tenera mammina mi ha fatto vedere il più grande e il più bel film d’amore, fatti conto a Parigi, con una tre notti con un poeta che sarebbe da raccontare in un romanzo.”
“Mamma ha perso la testa per un poeta?”
“Te la vedi mamma che perde la testa? Piuttosto vedresti le vacche a pois volare in cielo. Sono riuscita ad indurla ad essere innamorata di un giovane poeta lo spazio di un week end, a farci l’amore alla grande in quei tre giorni; e lei è riuscita a rimanere imperterrita al comando della sua azienda, a conservarlo tra i ricordi e ad amarsi per come si è scoperta disponibile: è cambiata molto, quel fine settimana.”
“Sai che papà si è lamentato che è passata dai mutandoni al perizoma; lui non capisce perché; adesso so che spogliarsi davanti ad un altro l’ha convinto a rinnovare anche il suo look. Com’è arrivata a finire a letto con quei due e con te?”
“Semplice: il poeta è venuto a Milano, con moglie megera; mamma ha sofferto per il crollo di un sogno ed io ho cercato di consolarla suggerendole di fare sesso; mi ha seguito, forse si è innamorata di me ed ha preso in blocco anche quei due, dei quali almeno uno, come mi dicevi, forse è anche rimasto scottato.”
“Perché l’hai fatto?”
“Perché amo mamma, perché volevo fare qualcosa per lei e con lei, perché volevo vederla felice anche solo per attimi; e ti assicuro che mi è parsa in paradiso quando a Parigi ha fatto l’amore col poeta, il quale è stronzo senza dubbio, ma ha saputo anche farle vivere momenti di pura estasi.”
“Cazzo, ti invidio da morire. Adesso ti scopo come anni fa, così tu fingi di essere mamma ed io mi illudo di fare l’amore con lei. Mi hai invitato per questo, spero. Adesso mi racconti per filo e per segno tutto, anche e soprattutto i particolari scabrosi; ed io ti scopo fino a farti male per la gelosia, per la rabbia, per l’invidia … a due stronzi e non a me …”
“Che ne diresti se fosse lei a scoparti e fingesse di essere me?”
“Che cazzo dici?”
“Dice solo che se mi avessi confessato il tuo amore, io l’avrei ricambiato anche con tutto il corpo!”
Esordisco apparendo all’improvviso: Francesco rimane interdetto, a bocca aperta; balbetta.
“Nicla mi ha detto ed ho deciso di continuare a fare l’amore con te dopo tanti anni.”
Sono stupiti tutti e due; gli devo una spiegazione.
“La prima volta che ho fatto l’amore con te è stato quando eri un poppante. Ero molto giovane, calda, eccitabile e desiderosa di fare l’amore; vostro padre spesso mi trascurava; quando prendevi in bocca un capezzolo, non lo mollavi finché la tetta non era vuota, spesso dopo mezz’ora; sentirmi succhiare il capezzolo mi eccitava da morire; spesso avevo degli orgasmi travolgenti, più belli di quelli che mi procurava Pasquale: dopo un poco, imparai a procurarmeli; quindi, quando ti prendevo in braccio per farti succhiare, per me era come prepararmi a godere con te, il mio piccolo amante.”
“Mamma, ma una donna, quando allatta, si eccita?”
“Non è detto; non succede a tutte, solo qualche volta: per questo, Francesco era il mio amante segreto.”
“Quindi, ho fatto l’amore con te da poppante.”
“Anche dopo, molto più tardi e hai quasi messo in crisi il matrimonio. Non ti ricordi davvero di quel pomeriggio al mare?”
“Oh dio, avevo rimosso; è vero. Quella volta ho fatto proprio l’amore.”
“Che cazzo è successo?”
“Niente di particolare; aveva quindici o sedici anni, forse già voi due scopavate; un pomeriggio, di ritorno dal mare, ci stendemmo nudi sul letto io Francesco e vostro padre; tu dormivi sul lettino e Pasquale si era quasi addormentato; Francesco si appoggiò al mio culo e il cazzo gli venne duro, così duro che alla fine si appoggiò alla mia figa e la cappella entrò per qualche centimetro in vulva; quasi non me ne curai; e solo adesso mi rendo conto che avrei dovuto capire quanto amore ci mettesse il mio ragazzino nella casualità del contatto. A farla breve, in un attimo mi penetrò in figa e senza neanche muoversi mi scaricò una grossa sborrata; vostro padre si svegliò e piantò una grana; per fortuna il dottore gli spiegò che nel sonno ad un ragazzo poteva succedere. Adesso dovrei andare a dirgli che il ragazzo aveva solo fatto finta di dormire.”
“Mamma, credimi, fu una reazione semivolontaria; poi negli anni l’ho rivissuta con grandi seghe; ma quella volta volevo solo stare appiccicato alla tua pelle, della schiena o del culo non importava: l’erezione fu una naturale conseguenza e sborrarti dentro anche. Mi perdoni?”
“No, perché dovevi scoparmi sul serio; Nicla ti aveva già insegnato come si faceva: perché non mi hai scopato quella volta?”
“Non lo so: paura, vergogna, dubbi, esitazione … “
“E adesso da dove aspetti l’invito?”
Resta imbarazzato: non si aspettava da me tanta determinazione; mi viene vicino e mi abbraccia timidamente; devo essere io a prendere l’iniziativa, se voglio che faccia sesso con me.
“Mamma, ceniamo prima o facciamo prima l’amore?”
Nicla è come sempre decisa e diretta; Francesco balbetta.
“Preferisci portarmi subito a letto o vuoi amoreggiare da poeta?”
“Voglio adorarti come meriti, voglio corteggiarti come una ragazzina che incontro per la prima volta e che mi pare troppo esplicita e diretta, per i miei gusti, quasi come mia sorella alla quale assomigli tanto, in questi momenti. Fai portare la cena, fammi conquistare l’amore della mia mamma; poi prometto che non mi fermerò, ma devo vivere il mio sogno integralmente: per favore, non parlatemi di sesso in maniera così brutale.”
Lo stringo con dolcezza al petto; nel movimento, la vestaglia si apre e le sue mani finiscono sui miei fianchi; me le porto sui seni e glieli faccio accarezzare.
“Ti piacciono ancora così tanto le mie tette?”
“Le amo, le sogno, mi masturbo da una vita sognando di succhiarle come allora; hai due tette bellissime; sei tutta bellissima e ti amo, ti amo, ti amo.”
Nicla ha chiamato il negozio e dopo cinque minuti arriva la cena, mentre io e Francesco ci stiamo coprendo di piccoli baci.
“Non riesci a chiamarmi Tina almeno in questi momenti? Mamma suona quasi blasfemo mentre si fa sesso: l’idea dell’incesto mi pesa quanto mi attira l’idea di possederti e di farmi possedere con amore.”
“Io amo la mia mamma; sono innamorato da sempre della mia mamma; se vuoi, diventi Tina anche per me, come lo puoi essere con qualunque estraneo; ma preferisco pensare all’amore di figlio che tracima e diventa passione, sesso, voglia di fondermi con te, desiderio di tornare all’utero da cui sono nato; per questo preferisco sentirti e chiamarti mamma anche quando il cazzo mi diventa duro tra le tue cosce come adesso.”
“Hai ragione: anche io mi sento mamma anche quando la figa mi cola dal piacere di sentire il tuo cazzo. Ti amo.”
“La smettete di fare i fidanzatini di Peynet? Qui si fredda tutto e diventa immangiabile.”
“E se questa sera volessi mangiare solo il cazzo di mio figlio e la figa di mia figlia?”
“Fra noi tre, mi sa di essere l’unica a ragionare ancora un poco: fino a domenica, avrai voglia di mangiare cazzo, figa e altro, dalla bocca sul viso, da quella sul ventre, davanti, e da quella fra le natiche, dietro. E ancora non sai cosa ho in mente! Mangiate le ostriche, intanto: pare che siano fortemente afrodisiache.”
Francesco apre un’ostrica e me la infila in vulva, all’imbocco della vagina, si inginocchia davanti a me e comincia a leccarmi l’interno delle cosce avanzando fino all’ostrica che ingoia di colpo, insieme al flusso di umori che la lunga leccata scatena.
“Ma ti sei depilata interamente!”
Nicla è meravigliata; Francesco la guarda interrogativo.
“Fino a una settimana fa, mamma aveva un pelo lungo e incolto, era unica e stupenda la sua figa col bosco nero che la copriva; io l’ho conosciuta ed assaggiata così.”
“La Spa sa fare miracoli, sai; e mi pare di sentirmi più fresca e più pulita, senza peli.”
Nicla mi obbliga ad alzarmi, mi fa stendere sul tavolo e mi appoggia, in disordine, gamberetti ed ostriche su tutto il ventre; appoggia al centro dell’ombelico l’ostrica più bella; intanto, Francesco si è liberato degli abiti e tira fuori un corpo bellissimo, muscoloso, armonioso su cui svetta un cazzo importante, lungo e grosso, bitorzoluto e pieno di venature che non riesco ancora a toccare, anche se lo vorrei con tutta me stessa.
“Adesso mangiamo la mamma a partire dalla figa, tu a destra e io a sinistra: chi arriva primo all’ostrica sull’ombelico pulendo tuta l’area avrà diritto a scoparsela per primo: senza trucchi e senza inganni.”
“Ma siete pazzi?”
Cerco di obiettare; ma la gara è partita e sento le lingue dei miei figli accarezzarmi il ventre, la culla della loro vita, diretti all’ombelico: sono eccitata al di là di ogni possibilità e quasi piango a pensare ai miei ragazzi che sembrano riprendere possesso di un corpo che sentono appartenergli.
Francesco ha troppa voglia di possedermi come ha sognato per anni e la sua lingua è più calda, nervosa, ansiosa di arrivare alla fine: raggiunge per primo l’ostrica, la ingoia golosamente e viene a baciarmi: è la prima volta che sento la sua lingua penetrarmi in bocca con decisione aperta e matura; mi stimola e mi eccita come mai avrei pensato e sento l’utero contrarsi e fremere, in attesa del suo cazzo.
Quando il ventre è completamente pulito, mi solleva tra le braccia (neppure pensavo che potesse farcela) e mi porta sul letto dove mi deposita con delicatezza; poi mi scivola addosso lievemente e struscia su tutto il mio corpo la sua muscolatura notevole, mi schiaccia i seni coi pettorali e mi bacia; tra le mie cosce, le mani di Nicla scavano nella figa a caccia del clitoride che prende fra le dita e stimola come un piccolo cazzo; poi afferra il cazzo del fratello e guida la cappella fra le grandi labbra; da lì, sono le spinte di Francesco a penetrarmi lentamente: mi limito a sborrare in continuazione, con dolcezza e passione; comincia a montarmi con colpi lenti e lunghi, per prendere e dare tanto piacere.
Nicla è scomparsa per qualche minuto, mentre Francesco mi scopa con amore, mi bacia dappertutto e mi sussurra dolcezze che accentuano la mia lussuria; quando rientra, Nicla impone a suo fratello.
“Cerchiamo di essere paritari; scopala a smorza candela!”
Non capisco, ma loro forse si intendono più di quanto io pensi: lui si rotola sul letto e mi fa montare sopra, indicandomi di poggiare le ginocchia sul letto, di infilarmi il cazzo in figa e di abbassare il busto perché possa succhiarmi le tette o farmi baciare sulla bocca; dietro di me avverto la freschezza del lubrificante come già avevo imparato, ma non so capire a cosa possa servire; Nicla si appoggia alla mia schiena e le sue cosce premono contro le mie natiche; qualcosa di duro spinge contro il mio ano: giro la testa pensando ad un altro personaggio, ma trovo Nicla che mi afferra per i lombi e mi sta inculando.
“Mamma, dopo ti spiego che cosa sto usando. Sappi solo che ti sto chiavando con una protesi, perché voglio possederti insieme e contemporaneamente a Francesco. Te l’avevo detto: domenica sera saremo una sola anima in tre corpi.”
“Non sono così ignorante da non conoscere uno strap on. Fai solo attenzione a non lacerarmi, con quella bestia non hai la sensibilità per capire se la dilatazione è eccessiva.”
“Ignori la mia esperienza e l’amore che ho per te: sono in grado di contare le pieghette del tuo ano e di goderle una per una.”
Mi lascio andare e mi godo la penetrazione doppia in tutto il suo splendore. Mi coglie un dubbio.
“Ma il tuo strap on ha una protuberanza per la tua figa?”
“Non preoccuparti; tra poco sentirai la più intensa, la più lunga, la più grande triplice sborrata che si possa immaginare. Tu pensa a godere la tua, perché la mia è già in arrivo!”
“Anche la mia!”
Affanna Francesco; ed io so bene che sul suo orgasmo il mio scatterà più violento di quel che si aspettano.
Quando avverto nell’utero lo spruzzo di Francesco che sta urlando di piacere, esplodo con una violenza incredibile e il mio corpo sussulta e si agita come tarantolato, mentre scarico fiotti di piacere sul cazzo e tra le cosce: Nicla raggiunge il suo orgasmo contemporaneamente a noi e le sue spinte nel culo si fanno possenti, persino feroci; li sento sussurrare, mormorare, implorare ‘mamma ti amo’ come non li avevo sentiti tutta la vita e li abbraccio tutti e due, con tutto il corpo, urlando a mia volta il mio infinito amore per tutti e due, fisico e spirituale.
Con molta lentezza, Nicla esce dal culo violentato ed io mi sgancio da Francesco, che continua a trattenermi sul suo ventre, anche se il cazzo tende a scivolare fuori; ci sdraiamo sul letto, pacificati; poi decidiamo di tornare a tavola per mangiare ancora qualcosa, possibilmente senza molte digressioni, ma solo scambiandoci baci e carezze.
“Mamma, quando avrai voglia di scopare, chiama me prima di ricorrere a chiunque altro; ti ho amato da sempre e voglio essere sempre il primo per te.
Mi dice Francesco e lo fulmino con uno sguardo. Chiedo poi a Nicla.
“Ti accorgi di come mi stai depravando?”
“Se non te la senti, la porta è aperta. Se invece stai comprendendo che c’è anche un altro modo di amare i figli e di vivere l’amore e il sesso, allora non stare a lamentarti: non ho udito grida di dolore poco fa, ma solo di gioia e d’amore; io so che non ti ho mai amato come questa sera: e ti ho amato come madre, come fattrice e come donna, col cuore, con la testa e con tutto il corpo. Non credo si possa amare di più e, ti ripeto, in questa ‘vacanza d’amore’ mi piacerebbe che arrivassimo a scoprirci e a riconoscerci fino in fondo, come familiari ma soprattutto come persone. La mia proposta rimane la stessa: fare l’amore fino a domenica sera, poi verificare.”
“Adesso, cara Nicla, mi stai a sentire e stai zitta, assolutamente zitta! Per quanto sforzi la memoria, non trovo un episodio, un caso, un momento in cui io o tuo padre abbiamo autorizzato o vietato un vostro comportamento o interferito con le vostre vite: tu si diventata una troietta sfrenata e tuo fratello un puttaniere; il vostro sistema di vita amorosa è entrare in un pub, in un locale, in una discoteca, agganciare il primo cazzo o la prima figa e scopare per una notte intera. Ma non ci siamo mai permessi di giudicarvi; voi invece salite sul pulpito e ci condannate, me come bigotta e tuo padre come puttaniere, pur essendo peggio di lui. Di fatto siete, e tu particolarmente, arroganti, supponenti e tirannici: chi non la pensa come voi, prenda la porta, come mi hai detto or ora. E intanto vivete da parassiti. E’ vero che io non sapevo molte cose; ma se credi che sia una povera imbecille, sei fuori strada: se arrivo a dare lavoro ai tuoi amici, è perché ho testa ed ho saputo lavorare, qualità che a te manca. Ignoro tante cose ed ho l’umiltà di riconoscerlo e di chiedere aiuto. Ma per arrivare a pensare di dominarmi, ce ne vuole. Ti ho voluto credere quando mi hai detto che innamorarmi per una notte era ragionevole, ma sapevo che stavi solo esibendo la tua forza di persuasione; sono stata felice di trasgredire e in parte mi hai spinto, ma se non ci fosse stata la mia volontà, col cazzo che mi obbligavi. Ho ceduto per amore tuo, anche quando hai portato le notti da una a tre, con mia somma gioia, lo ammetto. Quando il francese mi ha buttato giù, mi sono attaccata a te perché sentivo l’impulso ad amare fisicamente mia figlia: tu sei venuta a letto con me facendoti accompagnare dai tuoi bulletti e mi avete sbattuta per bene; ho anche goduto molto, ma ho capito che tu scopavi, non facevi l’amore con me. Quando ti ho detto che volevo farmi raccontare, solo raccontare da Francesco il suo amore, ci hai pensato tu ad alzare il tiro e mi avete sbattuto come una pietanza o come un tappetino, tutti e due senza amore: è inutile blaterare di amore; io di quello sono molto più esperta di voi, perché lo vivo da ragazzina e lo sento quando un cazzo mi entra in figa o una lingua nella vagina. Mi avete scopato tanto, in maniera tecnicamente perfetta, ma non ho sentito l’amore che proclamate. Ora mi chiedi di passare tre giorni in appartamento, a farmi trattare ancora come uno zerbino per il vostro sesso. Non ci sto. Io domani esco e vado a fare shopping: l’amore si verifica anche in questi gesti quotidiani, quando confronti i gusti e le volontà. Se volete stare in casa, buon pro vi faccia; se me lo anticipate adesso, io mi risparmio anche una notte senza amore. Caro Francesco, mi hai offeso gravemente; io non ho una voglia astratta di scopare e non chiamo chiunque a sbattermi. Ho scopato col francese perché me ne sono innamorata, su consiglio di Nicla, per quelle sole notti, ma ne ero innamorata; ho cercato di fare l’amore con Nicla che amo alla follia; e lei mi ha indotto a scopare anche coi suoi amici, senza darmi l’amore che chiedevo; mi sono fatta sbattere come un tappeto da voi, perché volevo il tuo amore e mi avete dato solo sesso. Io faccio l’amore con chi almeno un poco mi dimostra amore, non corro come te a caccia della prima figa, o del primo cazzo, tanto per farmi grattare: se mi sale la voglia, è di quella persona, di quel cazzo, non di qualunque altro; se mi saltasse la voglia (e spero che succeda) di fare ancora l’amore con te, fare l’amore imprimitelo bene in testa: non scopare o far sesso, ma fare l’amore; se dovesse succedere, ti chiamerò perché amo e voglio te, non perché uno vale l’altro. Ti è chiaro che, per la mia cultura, mi hai offeso gravemente?”
“Mamma, sai che c’è di nuovo? Vattelo a cercare questo amore; io so dare la figa e prendermi il cazzo: delle altre stronzate più o meno romantiche faccio a meno volentieri.”
La frase di Nicla mi uccide; sento che è consonante con suo fratello; quindi divento una belva.
“Bene, siete come vostro padre e come lui vi tratterò. Tu, ragazza, dal mese prossimo ti metti a lavorare, perché la pacchia dell’assegno finisce e, se devi, puoi anche scopare a pagamento: a me non fa specie; a te credo costi poco. Se vuoi, conosco una buona agenzia di escort della quale mi servo e che mi farebbero il favore di metterti alla prova. Tu, giovanotto, vedrai un notevole taglio: ti passerò l’essenziale per arrivare alla laurea, poi il lavoro te lo cercherai anche tu. Visto che ti piace esibire il tuo potere nel sesso, lascia che io esprima il mio nell’economia. Buona notte e buon fine settimana.”
Li lascio interdetti e vado in bagno, mi infilo sotto la doccia; quando esco, mi rivesto interamente e mi avvio ad andarmene; non dicono una parola e mi rendo conto che la comunicazione non c’è più, se mai è esistita; vedo male, perché ho gli occhi pieni di lacrime.
Mentre entro in ascensore, squilla il telefonino; accendo speranzosa che siano già pentiti e trovo un’indicazione strana, Carlo; chiedo che cosa voglia.
“Scusami, ho trovato il numero ma non il nome. Ti dispiace dire chi sei?”
“Tina ti dice qualcosa?”
“Oh, signora, mi perdoni: è vero che lei mi aveva dato il numero …”
“Scusa, ma non si era detto che in privato ero Tina e mi davi del tu?
“Vale anche adesso che lei è la padrona della fabbrica dove lavoro?”
“Una cosa o vale o non vale; per me, in privato, sei il Carlo che proclama di amarmi; in fabbrica, sei l’impiegato e guai se sgarri. Dove sei?”
“Sono al Duomo; e tu?”
“A casa di Nicla; sei vicino; se vieni, ho bisogno di un amico o di una spalla asciutta o, meglio ancora, di un uomo innamorato: se non ricordo m,ale, avevi detto che nel caso … ”
“Vengo immediatamente; stanotte sono il tuo cavalier servente innamorato della castellana.
“Mi piace l’immagine. Ti aspetto”
“Ma io sono già qui.”
Mi piomba alle spalle; deve aver fatto di volata il tratto.
“Dove andiamo?”
Prima di rispondere chiamo Pasquale al telefonino; mi risponde in un frastuono infinito; è fuori, con amiche e non tornerà a casa stanotte; gli dispiace che non mi fermo da Nicla ma non può farci niente; decido di portarmi Carlo a casa e di scoparmelo nella camera degli ospiti, dove mio marito non entra mai.
Dopo dieci minuti, siamo sul letto della camera; sono stata spietatamente sincera: ho rotto coi miei figli ed ho bisogno di qualcuno che mi ami, anche solo per una notte; ho sentito che si è detto innamorato di me ed è la persona più vicina all’amore che oggi esiste intorno a me: oltretutto, abbiamo già scopato (fatto l’amore, mi corregge, perché quella sera lui mi ha amato davvero ed ha sentito che non era solo ginnastica, la mia) e questo rende anche più facile, nonostante il peso, per me, di farlo nella casa mia e di Pasquale che, a questo punto, merita di essere messo in un fascio coi figli e trattato a pesci in faccia; Carlo avverte sua madre che non tornerà; poi cerca di convincermi che non è necessario copulare, se il problema è tutto mentale e di cuore: possiamo parlare finché ne ho bisogno ed anche piangere sulla sua spalla, se mi fa bene, senza necessariamente fare ginnastica sessuale.
“Per questo, voglio che facciamo l’amore, e che me ne faccia fare tanto e alla grande; so che non è né bello né razionale, ma ho bisogno di essere amata; poi deciderò se accantonarti e dimenticare o farti diventare il giovane amante segreto. Per ora, amami fino a che puoi o fino a che io reggo.”
C’è amore, nel bacio con cui mi prende e mi soffoca tra le sue braccia; è giovane e forte e mi piace abbandonarmi a lui con la certezza che non mi farà cadere in depressione; mi sommerge di piccoli baci su tutto il volto, con la delicatezza di un bambino e la forza di un uomo, soprattutto per la potenza del membro che sento crescermi tra le cosce, da sotto ai vestiti suoi e da sopra quelli miei; ho bisogno di lasciarmi andare e me ne sto ferma mentre mi spoglia delicatamente e mi bacia su tutto il corpo.
Niente a che vedere con la ferocia dei miei figli mentre mi scopavano con sapiente tecnica amorosa: questo, se non è amore vero, ci va molto vicino; e l’ansimare, lo sbavare continuo mentre mi lecca, la tenerezza dei piccoli morsi, la dolcezza dello sguardo mentre ammira il mio corpo che già conosce ma che adora come la prima volta, perché è la prima volta che mi ha tutta per lui: tutto, insomma, mi suggerisce che è molto vicino all’amore e, inevitabilmente, comincio a sentire di amarlo anche io.
Mi piego a sfilargli pantaloni e slip; afferro il cazzo, di cui avevo vaga memoria e che ora mi si propone in tutta la suo possanza, e lo ingoio da affamata, fino a farmi dolere il palato, fino a sentirmi quasi soffocare, fino a resistere a conati di vomito: lo voglio tutto, dentro l’esofago, fino alle palle; e lo succhio come un caramello meraviglioso.
Si ricorda della volta precedente e mi sussurra.
“Devo frenarmi?”
“Guai a te se non mi fai godere prima di te!”
Mi solleva per le ascelle, mi fa sedere sul bordo del letto, mi spoglia e si abbassa fra le mie cosce.
E’ un viaggio in paradiso, per me, quello che lui fa tra le mie cosce fino alla figa: quando la scopre depilata, sento che sorride anche se non può muovere la bocca impegnata a leccare; poi mi dirà che la preferiva pelosa, più unica e distintiva; intanto mi succhia il clitoride e mi provoca degli spasmi continui che culminano in una grande sborrata; cominciamo a fare l’amore davvero; io stessa gli chiedo di penetrarmi in figa con tutta la dolce violenza che il suo amore gli suggerisce e gli chiedo di sborrare una prima volta, di farmi sentire il suo seme esplodere nell’utero insieme al mio orgasmo; rilassandoci, ci mettiamo a 69 ed io riprendo a succhiare il cazzo che in breve riprende il suo vigore e la sua stazza.
“Inculami, ti prego.”
Non aspettava altro: riprende a montarmi in figa, ma a pecorina con una penetrazione più dura e più lenta, per farmi sentire il cazzo dalla vulva alla cervice dell’utero; intanto lubrifica con la saliva e con i miei umori il buco del culo che cede dolcemente e si apre alla penetrazione; ho in borsa una crema che mi ero portata per ogni evenienza, gliela passo e mi lubrifica anche il canale rettale inserendo due dita e ruotandole; poi mi chiede scusa e accosta la cappella, spinge un poco e la sentiamo penetrare; tutti e due sembriamo seguire con i tessuti dei sessi il progresso dell’asta nelle viscere e i dolci incoraggiamenti che mi sussurra aiutano a godere al massimo della penetrazione; quando l’asta arriva in fondo, si ferma e si appoggia sulla mia schiena; sento il ventre che assorbe dolcemente l’ingombro.
“Riesci a farmi ruotare per averti di faccia?”
“O devo uscire per rientrare, con qualche fastidio, o dobbiamo muoverci come contorsionisti per arrivare a farlo.”
Gli dico di sfilarlo di rimettermelo dentro: voglio guardarlo in viso mentre mi concedo al suo amore, che adesso mi splende veramente davanti agli occhi; esce il più delicatamente possibile, mi ruota, si mette i piedi intorno al collo e penetra nel buco spalancato davanti al suo cazzo: passa più agevolmente di quanto mi aspettassi: riporta i piedi sul lenzuolo, mi fa leggermente divaricare e, col cazzo piantato nel culo, scende a baciarmi prima i capezzoli e poi le labbra; lo abbraccio con foga da ragazzina innamorata; lo sente e mi ricambia con decine di piccoli baci d’amore.
“Non uscire finché non sei venuto. Sai che in questo momento ti amo davvero?”
“Io continuo ad amarti; di più, credo che non si può.”
“Lunedì affronteremo i problemi che questo amore ci propone; per ora, portami in paradiso.”
E il paradiso per lo meno lo sfioro mentre mi monta con forza nel culo finché esplode con furia ed io con lui con gemiti ed urli innaturali; passiamo così tutta la notte, concedendoci solo qualche intervallo di sonno ogni tanto, puntualmente interrotto da quello dei due che, più eccitato, chiede un nuovo amplesso.
Quando è l’ora in cui potrebbe rientrare Pasquale, ci laviamo sotto la doccia, tra baci, palpate e carezze infinite, e gli chiedo se se la sente di passare ancora con me il sabato e parte della domenica.
“Io spero anche tutta la vita. Fammi solo andare a cambiare almeno l’intimo.”
L’accompagno a casa e attendo fuori l’inizio della mia nuova avventura d’amore.
La decisione di passare con Carlo il fine settimana mi esalta più del lecito: stavolta si tratta di una vera trasgressione, di un tradimento che va anche al di là delle stupide imprese di Pasquale con le ragazzine sempre nuove che, nonostante gli acciacchi, continua a cercare in ogni dove; in qualche modo, la mia è una prima vera fuga da tutto, anche dai figli.
Quando torna da me, dopo aver salutato la madre, gli chiedo dove pensa di andare e allarga le braccia: bisognerebbe sapere quali sono le nostre intenzioni; un posto per innamorati, gli dico subito, con un ristorante possibilmente tipico e un albergo discreto dove amarci pienamente e liberamente.
Mi accenna ad un paesino di pedemontana dove c’è un laghetto semiartificiale, insomma un posto dove alcuni amici si sono trovati meravigliosamente e che, per fortuna, non dista molto, solo una trentina di chilometri.
Prima di andare al lago, confesso una mia idea: gli dico che , prima della sfuriata, avevo pensato di andare coi miei figli a fare un giro di shopping al centro; di fronte alla sua faccia meravigliata, devo spiegargli che per la mia attività non riesco ad andarmi a comprare nemmeno le calze o le mutande, che devo acquistare tutto su catalogo e per corrispondenza o, in casi particolari, affidarmi a una segretaria che lo faccia per me; quasi per giustificarmi, gli chiarisco che anche per questo ero arrivata così tardi a ‘scoprire’ l’esistenza di slip, perizoma, tanga e brasiliane: vista la mia lentezza ad approdare a certe cose, forse è già superato l’intimo che indosso.
Sorride, naturalmente, ma con la bontà che dimostra sempre mi dice che è sufficiente visitare un centro commerciale, che per fortuna è di strada e mi posso sbizzarrire; ma mi precisa.
“Non è vero shopping perché non sono negozi di lusso, ma locali popolari dove corre la gente media.”
“Amore mio (oggi me lo permetto; oggi sei l’amore mio), io posso mandare una ragazza ad una sfilata di mode e farmi mandare a casa il capo che lei ha fotografato e mi ha mandato col telefonino; posso acquistare un negozio di lusso per avere una borsa: non voglio fare shopping di lusso, quello di Nicla, per intenderci; voglio girare tra i banconi e, nel caso, provare i capi.”
“Se scegli l’intimo, voglio verificare le prove in camerino.”
“Ma se ero nuda con te due ore fa?!”
“E vuoi mettere il gusto di guardare la faccia dei presenti quando mi apparto con una bellissima per ammirare in privato il suo intimo?”
“Insomma, vuoi esibirti?”
“No, sto scherzando; ma sono sicuro che ti divertirai anche tu.”
Il primo negozio che visitiamo è proprio di intimo, molto elegante e particolare; e, quasi per un destino fatale, la scena è quella che ha anticipato Carlo, scelgo un combinato brasiliana e reggiseno, davvero un po’ arditi, in verità; la ragazza al banco mi guarda ammirata e commenta che me lo posso permettere, col mio fisico; Carlo dice qualcosa sul colore e sul fruscio del materiale che dà il senso di una sua specifica competenza; la ragazza obietta che è proprio ideale per l’incarnato ‘della tua ragazza’; Carlo, stranamente, la riprende, ma per quel ‘tua’ che non accetta e non per il commento.
“Tina non è mia né di nessun altro; è solo una persona meravigliosa, come te che non devi sentirti di nessuno, se non di te stessa.”
“Hai ragione: è stato un mio lapsus; sai, l’abitudine; come preferisci che dica?”
“Tina è solo il mio amore.”
“Allora il tuo amore è così bella che può indossare qualunque cosa, le pietre della strada si gireranno a guardarla.”
Chiedo di provare la combinazione; me la consegna e mi indica uno sgabuzzino di compensato con un grande specchio dove mi spoglio nuda e indosso i due pezzi: mi trovo favolosa; chiedo a Carlo se può venire a verificare: in pratica, faccio il gioco che aveva minacciato e mi ci diverto pure; entra e si blocca sbalordito, ma non per finta.
“Sei straordinaria; e non solo per la combinazione che sembra disegnata apposta per te, ma perché tu sei immensamente bella e desiderabile.”
“Non fare lo stronzo: entra e chiudi bene quella tenda.”
Entra e mi abbraccia con foga: l’avverto che se ci spingiamo troppoavanti, io rischio di rovinare la brasiliana con il flusso di umori e lui non può più uscire per l’evidente erezione; ridiamo come scemi e lui esce, ma una piccola folla ha tempo per vedere di sfuggita il mio corpo seminudo; si leva un mormorio vivace.
Esco indossando gli indumenti; li pago e metto in una borsa quelli di prima; a Carlo, che con gli occhi mi chiede perché, dico.
“Li hai scelti tu, piacciono a te, li indosso per te.”
Mi bacia delicatamente sulla guancia e sento tanto amore sprizzare dagli occhi.
Compriamo altre cose e dovunque mi ammirano per la mia bellezza; non mi capita spesso di essere oggetto di tanti complimenti, anche perché non ho una gran vita fuori della fabbrica; e vedo Carlo quasi orgoglioso delle frasi di adulazione che rivolgono a me, quasi fosse lui ad avere il merito della mia bellezza; ma questa mattina, almeno quello della gioia che forse mi fa più bella ce l’ha solo lui.
Mi deve strappare a quel pellegrinaggio strano tra i negozi: fosse per me, ci perderei la settimana; ma se vogliamo andare a pranzo al lago, bisogna muoversi.
Filiamo via velocemente, non c’è traffico su quella strada provinciale e in mezz’ora siamo sul posto, banalmente pittoresco, raccolto e silenzioso, con il laghetto e le montagne che vi si specchiano: un posto non da favola, ma da innamorati, come testimoniano le coppie che, numerose, si fanno ritratti e selfie sullo sfondo del lago; Carlo mi guarda furbetto e mi fa.
“Sarebbe troppo impegnativo il selfie per noi due?”
“Non credo proprio. Se e quando scoppierà lo scandalo, ci vorrà ben altro per dimostrare che questa gita è stato un grave tradimento.”
“Se parli di scandalo, devo ritenere che sarò il tuo giovane amante segreto?”
“Ti sta bene o ti va stretto?”
“Ti amo, dovunque mi sistemi ti amerò. Cercherò di esserti anche fedele, ma non posso prometterlo, specie se dovrò stare nell’ombra per lunghi periodi. Ma l’intensità del mio amore non potrà scalfirla niente.”
“So che stiamo costeggiando un burrone; ma stavolta il desiderio di amore è più forte della paura. Spero solo che non sarai la mia prossima delusione.
“E’ perfettamente inutile giurare ed anche solo parlarne; sono qui, sono tuo, anche se ho protestato contro quel possessivo, puoi farmi quello che vuoi e chiedermi la luna. Quanto durerà? Certamente non fino a una moglie megera. Forse tutta una vita. Chissà! Voglio farti ascoltare una canzone popolare spagnola: il testo è riferito a una donna matura che parla a un giovane nella sua giovinezza che lei ha amato e che sta per lasciarla … “
“Conosci ‘una noche mas’?”
“la conosci anche tu?”
“Già; e qui dovrei essere io ad elemosinare da te una notte in più, una bugia in più … “
“E invece sarò io, certamente, perché tu non potrai sottrarti ai doveri della famiglia e mi chiederai di farmi da parte.”
“Ti ho avvisato che non lascio mio marito.”
“Non mi preoccupa lui; ma i tuoi figli si, sono carogne autentiche, tu non li conosci ancora, ma temo che ti scontrerai e forse ci faremo anche male.”
“Quanto pensi che si possa dover lottare per conquistare una fabbrica e difenderla dagli avvoltoi? Io lo faccio tutti i giorni; se questa larva d’amore che stiamo coccolando anche con reggiseni e brasiliane dovesse diventare una torre da difendere, sappi che non temo nemici e non ho pietà: per il mio amore sacrifico tutti, anche i figli che mi hanno spezzato il cuore. Adesso facciamoci un selfie e andiamo a mangiare!”
Ci scattiamo un’istantanea col telefonino e la guardiamo subito, per scoprire il fascino di un grande amore dietro la luce negli occhi, nel viso, nello sguardo; ci sediamo a tavola e mangiamo con gusto pietanze tipiche affascinanti; al momento di pagare, un’ombra attraversa il viso di Carlo.
“Amore, è un dato di fatto: io sono quella che ha i soldi e sono felice di pagare, un reggiseno bello che tu hai scelto per me ed ammirato per primo, oppure un pranzo meraviglioso consumato amorevolmente in un ambiente da veri innamorati. Ti prego di non farti problemi; non mi stai sfruttando e caverò gli occhi a chiunque lo insinui!”
Ho già avvisato per la camera e il cameriere mi porta la chiave, insieme al conto; gli consegno una carta di credito e dico di pagare da lì tutto quello che ci competerà; prendo Carlo sottobraccio e mi avvio alla porta dell’hotel.
“Vuoi riposare o fare l’amore?”
“Voglio fare l’amore, ma a modo mio che sono certo sarà anche il tuo.”
Entriamo nella camera e Carlo si spoglia da una parte del letto, io dall’altra; sistemiamo gli abiti ordinatamente e ci stendiamo sul letto di vecchio stile con testiera in ferro; stiamo per un po’ a guardare il soffitto, poi mi giro verso di lui e lo guardo per capire cosa vuol fare; mi prende per un braccio, mi tira a sé, mi abbraccia e mi fa accoccolare contro di lui, rannicchiata in posizione fetale.
“Per un poco voglio fare l’amore così, ascoltare il calore del tuo corpo vicino al mio, abbracciarti e toccarti dappertutto tranne che su punti erogeni, voglio comunicarti tutto il bene che ti voglio, attraverso la pelle a contatto con la tua, senza nessuna necessità di entrarti dentro o di stimolare la tua sessualità; fra poco potremo anche accarezzarci sensualmente e cominciare ad amarci con tutto il corpo; per ora voglio stare così, come questo posto, in bellezza e dolcezza assoluta, silenziosa.”
“Ti amo. Posso baciarti?”
“Ti amo. Posso accarezzarti tutta?”
Ci scateniamo all’improvviso come due ragazzini in tempesta ormonale: le sue mani corrono sulla mia pelle e la carezzano lievemente nei punti più segreti, più nascosti; mi bacia sotto le ascelle, dietro le ginocchia, sotto le natiche, sulle spalle, lungo la spina dorsale; poi mi sale addosso e si distende completamente su di me facendo coincidere ossa muscoli e ghiandole; ho provato quasi vergogna mentre mi baciava punti che nessuno mai prende in considerazione, ascelle, ginocchia e dita dei piedi; e mi sento stranamente veleggiare mentre verifico le distanze tra il suo corpo e il mio, mani, gambe, fianchi, ventre, ombelico, torace e viso; ha un modo di amare, quest’uomo (questo ragazzo, forse) che mi sconvolge e rischia di farmi sentire sempre più innamorata; lo ribalto a forza, lo pianto sul letto e mi impalo sul cazzo che ha sempre tenuto immobile tra le mie cosce.
“Ti amo, Carlo. Scopami, fammi fare sesso, amami, fammi fare l’amore; fai tutto quello che sai per farmi sfiorare il paradiso; l’inferno lo troveremo a casa, dopo. Ora siamo solo io, tu e il nostro amore. Non avrei mai pensato di arrivare a tanto; eppure ci sono e non nessuna voglia di tornare indietro: fammi sentire il tuo amore in tutto il corpo!”
Ci eravamo ripromessi di limitarci ad amarci dolcemente, senza aggressività, solo ascoltando il calore del corpo dell’altro; passiamo l’intero pomeriggio a letto, senza uscire un attimo nemmeno al balcone; Carlo deve fare appello a tutta la sua esperienza di amante, che non è stata nemmeno tanto piccola, per farmi attraversare tutto il noto e l’ignoto del sesso e mettere in pratica tutte le alternative possibili alla penetrazione in figa: ogni volta quasi mi spavento di fronte alle nuove proposte; ed ogni volta mi scopro a desiderare di ripeterle: nel mio delirio di innamorata, attribuisco questa mia adesione entusiastica alla dolcezza di lui; e più volte deve ricordarmi che le cose non vengono fuori se non le abbiamo dentro.
Quando gli chiedo perché non siamo riusciti a restare al di qua del sesso, dentro il nostro amore puro, irreale, astratto, mi ha spiegato che, come è disumana l’idea stessa del sesso senza amore che molti giovani sostengono (tra i cui i miei figli), allo stesso modo è improponibile l’amore senza sesso, come d’altronde si legge già nei classici per i quali ogni cosa perfetta è fatta di materia e spirito insieme.
“L’amore troppo spirituale diventa letteratura; se si carica di sesso, di materialità, diventa umano: per questo, mentre ti proponevo un amore etereo, ideale, in certo modo astratto, sapevo che i corpi mi avrebbero sconfessato e cercato la fisicità che rende vivo l’amore.
“A questo punto, cominci a farmi rabbia tu e mi odio io per aver sacrificato la tua cultura alla fabbrica!”
“Amore, mia madre ha bisogno del mio aiuto; io ti ho chiesto di farmi assumere; anzi, per mia fortuna te lo ha chiesto Nicla che adesso rimpiangerà di averci fatto conoscere; lei sapeva che sono in pessime acque e che mamma fa sforzi enormi per rimanere a galla. Anche per questo il nostro amore è un assurdo: come minimo, penseranno che recito il Romeo per farmi foraggiare e risolvere i miei problemi economici. Ma io, oltre a vergognarmi quando vedo che devi pagare sempre tu; ti avverto che se solo ti azzardi ad offrirmi un centesimo, giuro che ti cancello dalla mia vita.”
“Cosa succederà se un giorno incontro tua madre?”
“Succederà che scopri che c’è una donna che mi adora come tu non potrai mai fare e che sta consumando i suoi giorni aspettando che io trovi il mio posto nel mondo.”
“Quello, a sentire i tuoi capi, ce l’hai già per le tue qualità e per i tuoi meriti, senza doverti scopare la padrona. Oltre a scoprire che ti ama alla follia, cosa devo aspettarmi da una donna a cui rischio di rubare il figlio prezioso?”
“Troverai un vecchia che ha la tua età e il fisico di tua nonna, perché si è logorata tutta una vita; troverai la saggezza e l’equilibrio in una persona che non perde mai la calma e che ha sopportato con pazienza tutti i colpi della vita. Troverai l’unica persona che può essere mia madre, ti assicuro.”
“Io spero proprio di incontrarla, prima o poi, e comunque si evolverà la storia del nostro amore.”
Il week end si consuma in un autentica sarabanda di suoni, di colori, di corpi che si intrecciano, di sesso che esplode da tutte le parti del corpo; nella notte di sabato, mancano solo i fuochi di artificio che però noi sentiamo e crediamo di vedere mentre ci amiamo come bestie allo stato brado che sfruttano le poche ore dell’estro della femmina per accoppiarsi quante più volte è possibile; scopiamo come se non ci dovesse essere un domani e veramente rischiamo di restarci per un infarto, alcune volte.
Poi anche la ‘bella vacanza’, come tutte le cose, finisce e rientriamo ciascuno a casa sua; trovo Pasquale mezzo intontito dall’alcool che si rivolta in bagno nel suo stesso vomito; mi chiedo perché non decido di lasciare persone così squallide come lui e i nostri figli per costruirmi una nuova vita altrove, in un’isola ai Caraibi, per esempio; ma poi ci rifletto e capisco che è solo l’impietoso confronto che mi rende tanto insofferente; quando mi sarò calmata, anche il tasso della mia pazienza sarà più alto.
E’ passato quasi un anno dalla mia vacanza sul lago: io non ho lasciato Pasquale anche se diventa più insistente la domanda ‘perché non ti decidi’, di fronte alle miserie di cui si rende protagonista; Nicla ha trovato lavoro in un’azienda concorrente alla mia (naturalmente, me l’aspettavo); Francesco si lamenta con suo padre che i soldi non gli bastano, ma non mi ha più rivolto la parola, come sua sorella; Carlo è il mio giovane amante sempre meno segreto, visto che ormai in tutte le fabbriche che dipendono da me ogni operaio, ogni impiegato sanno con esattezza dove quando e come ci incontriamo per fare l’amore e nessuno trova checché da ridire, anche perché professionalmente lui è impeccabile e dimostra ogni giorno di più di meritare il ruolo che svolge.
L’aria di crisi che avanza ingombra ormai tutti gli spazi di attività e diventa sempre più difficile tenere insieme una struttura che si fonda su piccole unità consociate; le richieste di assorbimento e di ristrutturazione si fanno pressanti e comincio a temere che dovrò cedere; su consiglio subdolo dei miei legali, comincio ad accumulare in banche offshore capitali per assicurarmi una buona vecchiaia, se la crisi dovesse prendermi alla gola: so che non è corretto e forse è anche disonesto; ma à la guerre comme à la guerre e cerco comunque di salvare il culo: forse, la soluzione meno dolorosa sarà cedere tutto ad una multinazionale, quanto meno per appianare i debiti e forse per garantire l’occupazione.
L’episodio più duro, però, in quel frangente, è la morte della mamma di Carlo, stroncata dalle fatiche di tanti anni di stenti, proprio quando il figlio sarebbe stato in grado di garantirle la vecchiaia; la notizie mi coglie tra capo e collo e mi stronca, per un momento; chiamo Carlo e gli chiedo come sta; sta male, inutile dirlo specialmente a me che so quanto amore avesse per lei, certo più che a me; mi precipito a casa sua e lo trovo circondato dagli amici, perfino i miei figli; appena mi vede, lascia tutti con uno strattone e mi si precipita in braccio; lo bacio con tutto l’amore che provo e che sento di dovergli; lo accarezzo a lungo sulla testa che ha appoggiato sulla mia spalla mentre piange.
“Amore, so che non è il momento, ma devo dirtelo. Non ce la faccio più senza di te. Ora che tua mamma non c’è, non hai scuse; noi andiamo a ricostruirci una vita da un’altra parte, in Svizzera per esempio, così potrai venire spesso a farle visita al cimitero. Ma adesso ti voglio tutto per me e, se mi ami, devi venir via con me.”
“Tina, lasciami sfogare il dolore, abbi pazienza qualche giorno; poi andremo via insieme e, stavolta, in barba alla filosofia libertaria, tu sarai solo mia ed io sarò solo tuo, per sempre. Ti amo, Tina; e so che mamma mi approverebbe.”
“Anche io ti amo, con tutto il cuore.”
Lo lascio andare e sento che Nicla borbotta qualche cosa, ma non mi curo di capire.
La guerra è solo agli inizi e già i colpi arrivano pesanti da ogni parte; comincio dal lavoro e mi organizzo per la cessione ad una multinazionale, operazione che richiede tempo, astuzia, delicatezza e segretezza: nessuno deve sapere niente fino alla firma dei protocolli, per evitare manifestazioni di protesta, interventi dall’alto e cose simili; ma devo difendermi anche dai miei perché alcune avvisaglie mi dicono che mirano ad attaccare il patrimonio mio personale, ignari che da qualche mese è già al sicuro nel caveau di una banca svizzera; e devo badare anche alle malelingue che cominciano a far serpeggiare strane, malefiche notizie tese a disturbare i rapporti tra me e Carlo: non escludo che dietro ci sia lo zampino di Nicla e telefono a Carlo per metterlo sull’avviso; mi rassicura e mi dice che fra due giorni, se voglio, posso dare il via alla nostra fuga: ha deciso e viene a vivere con me, con la speranza di restarci per sempre.
Mesi di estenuanti trattative hanno portato vicino all’esito favorevole della cessione dell’Azienda ad una multinazionale ma mi rendo conto che tutta la pratica mi ha decisamente debilitata, esaurendo tutte le mie energie; avrei urgente bisogno di riposarmi, quando mi arriva la telefonata di Pasquale che mi invita a un colloquio chiarificatore in casa a cui parteciperanno anche i nostri figli; gli rispondo piccata che in quella casa io ci vivo da sola da anni ormai, visto che lui passa le notti nei locali più malfamati della città ed i figli non ricordano neppure più l’indirizzo; comunque, ci sarò anch’io, in buona compagnia; avverto il capo dell’ufficio legale e gli chiedo di essere presente alla riunione; chiedo a Carlo se se la sente di essere con me all’ultimo atto della sceneggiata familiare; naturalmente, accetta: è molto più combattivo di quello che credevo, il mio giovane amore!
Passo la mattinata a studiare con l’avvocato le possibili soluzioni della vertenza e concordiamo il piano d’azione; nel pomeriggio, assemblea generale del personale al quale viene comunicata la cessione dell’Azienda alla Multinazionale, fatti salvi i livelli occupazionali, i quadri e le remunerazioni; per buona sorte, tutti dichiarano che l’accordo è conveniente e risolutivo; naturalmente, l’unica che perde ruolo e posto sono io, ma era tutto calcolato nella mia strategia; quando se ne rende conto, Carlo mi guarda sorpreso: gli faccio cenno di avvicinarsi e gli sussurro.
“Tra qualche giorno partiamo per Lugano; ho già preso una casa. In fondo ci perdo la liquidazione perché su quella gli avvoltoi si lanceranno, ma dovranno accontentarsi. Non preoccuparti e fidati.”
“Tina, io non sono disposto a fare il mantenuto, né in Italia né in Svizzera né in capo al mondo.”
“Evidentemente, non è vero che il cavalier servente è disposto a tutto per la gentil donzella: c’è sempre qualcosa al di sopra dei suoi limiti.”
“Ti prego, amore, non ricattarmi così!”
“Stupido! Che ricatti?!?! A Lugano stanno già svolgendo le pratiche per aprire una mia piccola attività; tu, per non essere ancora mio subalterno, hai un colloquio fissato con un’altra industria: sei così bravo che potranno solo prenderti. Così non dipenderai da me e potrai lasciarmi quando vorrai.”
“Ma che storie vai dicendo?”
“No, amore, non sono storie. In questa vicenda chi rischia tutto sono io. In Svizzera, se tu decidessi di lasciarmi, mi troverei senza famiglia, senza affetti e sola col mio lavoro. Ma io so che non mi lascerai o forse lo spero tanto che ne sono convinta; e se anche dovesse succedere, credo che resterò abbastanza combattiva almeno per molti anni a venire. Adesso cerchiamo di pensare alla grande battaglia che ci aspetta. Sei sicuro di voler essere al centro dello scontro?”
“Si; forse hai la sensazione di una mia debolezza, ma è solo sensazione. Il mio amore per te è saldo e convinto più del primo giorno; se c’è da lottare, lo faremo, insieme, con ogni energia; e stai certa che, se non ci uccidono fisicamente, non vinceranno.”
Alle due del pomeriggio faccio un ultimo giro per salutare i collaboratori più stretti e lascio definitivamente il mio ufficio, accompagnata dalle lacrime di qualche segretaria; all’ingresso mi aspetta Carlo che mi chiede cosa voglio fare; l’appuntamento con i miei è alle cinque, ma so che la casa è vuota: gli propongo di andare a imboscarci nella camera degli ospiti, dove già siamo stati una volta; per lui va benissimo; saliamo in macchina ed in una mezz’oretta sono a casa mia e andiamo direttamente nella camera degli ospiti; mi vado a sedere sul letto e gli tendo le braccia: capisce che voglio amore; chiude a chiave la porta, mi viene vicino e si siede accanto a me; sappiamo tutti e due che mi addolora profondamente quello che sto per fare: mi bacia dolcemente il viso, per comunicarmi che è con me e che da quella distruzione sta per nascere la nostra nuova vita; ho bisogno di sentire che è mio, che gli appartengo e che stiamo per essere felici, forse.
Lo faccio alzare, gli sbottono i pantaloni, li faccio scorrere a terra con i boxer e afferro il cazzo, che mi spalmo sul viso, ne aspiro l’odore maschio e lo lecco delicatamente per sentirlo vibrare sulle labbra; lo spingo in bocca, oltre i denti e lo assaporo per sentirne il gusto eccitante; muove il bacino e me lo spinge verso la gola; lo lecco tutt’intorno mentre lo lascio scivolare verso l’ugola; comincio a muovere la testa per farmi scopare in bocca ricavandone l’eccitazione che sempre mi dà e gli orgasmi, lievi, frequenti, che mi provoca con il sapore forte e i nodi che stimolo continuamente.
“Vuoi che godo nella tua bocca?”
“No; fai quello che senti, ma se ti riesce, cerca di toccarmi tutti i punti erogeni del corpo, fammi sentire che ti appartengo, fammi godere con tutte le fibre.”
Mi chiava in bocca con forza e quasi mi soffoca; sento che mi domina e mi sottometto volentieri alla sua aggressione; non l’ho mai sentito così volitivo e così potente; alzo lo sguardo e incontro il suo mentre mi pompa in bocca: ha negli occhi un amore infinito che mi trasmette attraverso il cazzo; prendo a masturbare fuori dalla mia bocca e gli tengo tra le labbra solo la cappella; lo sento tendersi, scuotersi, tremare; temo che stia per sborrare e rallento il ritmo, tiro fuori la verga e gliela titillo con le mani, partendo dalla radice e accarezzandolo fino al frenulo.
“Hai deciso di farmi morire? Non vuoi che ti penetro in figa?”
“Si che ti voglio; adesso prendimi da dietro e fammelo sentire nel ventre come lo hai fatto sentire in bocca.”
Finisce di spogliarsi e spoglia pure me buttando gli abiti dove capita; mi solleva, mi fa girare e mi piega il busto verso il letto, a pecorina; gira dietro di me, sollecita con il dito medio la fessura, la apre, mi titilla un poco il clitoride e, quando mi sente bagnata, infila il cazzo in un sol colpo fino a farlo sbattere contro la cervice; urlo di passione un ‘ti amo’ che risuona per la casa.
“Eccoti tutto il mio amore, Tina, ti voglio, sei mia, prendi!!!!”
La sborrata è lunga, intensa, piena d’amore; ed io la assaporo con la gioia che solo l’amore con Carlo mi sa dare; sento un languore che mi scioglie il corpo, che mi ribalta stomaco e ventre, che mi fa urlare e piangere, all’improvviso; si spaventa, mi solleva, mi torce la testa e mi bacia gli occhi.
“Perché piangi, amore?”
“Non lo so; piango per me, per te, per noi, per la nostra vita nuova; e forse piango anche per l’azienda che ho dovuto cedere, per questi anni di lavoro che ho dovuto cancellare; forse piango perché sto per fare del male a persone che per venti anni sono state la mia vita. Non lo so perché piango. Lasciamelo fare; poi forse scopriremo perché. Soprattutto, però, sono profondamente innamorata di te e piango di gioia perché finalmente mi possiedi e ti possiedo come sogniamo da ormai due anni.”
Qualcun altro deve essere entrato in casa perché si sentono sordi rumori dal salone; deve essere Pasquale, perché non so se i figli siano ancora in possesso delle chiavi e non si è sentito il campanello.
Dico a Carlo di non curarsene e di farmi ancora tanto amore quanto ne ha; mi accarezza dolcemente e si dedica alle mie tette; le accarezza e le lecca, succhia i capezzoli mi bacia sulla bocca; mi perdo dentro le sue carezze e riesco solo a tenermelo stretto quasi temessi di perderlo; mi stringe al petto, quasi a scaldarmi e mi torna in mente l’albergo al lago e il tentativo di amarci senza fare sesso: impossibile, mi dimostrò allora; ed anche stavolta cazzo e figa reagiscono al’unisono, lui rizzandosi allo spasimo; e lei vibrando fino a inondarsi di nuovo di umori.
Riprende a scoparmi, stavolta carponi sul letto; mi chiede se lo voglio nel culo; gli dico di si; mi lecca a lungo l’ano, raccoglie gli umori della figa e li usa per lubrificare il canale rettale; poi mi penetra delicatamente; gemo e respiro assorbendolo nel ventre; un colpo alla maniglia è il segno che Pasquale cerca di entrare in una stanza che non ha mai frequentato.
“Tina, sei qui?”
“Si, sono qui e ho da fare. Vattene!”
Si allontana in silenzio; spero che abbia capito, anche se per la sua mentalità non è possibile che io abbia un altro uomo e che ci stia facendo l’amore nella nostra casa; faccio segno a Carlo di non badare e di farmi fare l’amore; picchia con foga e passione per un po’, poi mi allaga l’intestino; non possiamo più imboscarci e decidiamo di uscire allo scoperto; apro la porta e andiamo nel bagno di servizio per lavarci; torniamo nella camera, ci rivestiamo e andiamo nel salone dove troviamo lui seduto poltrona.
“Allora, è questo il tuo amante?”
“Questo è il mio compagno ed il mio amore vero. Domani chiedo la separazione e in due anni avrò il divorzio.”
“Ti farò una guerra che non t’immagini: non riuscirai a liberarti di me a poco prezzo e rapidamente.”
“Chiederò la separazione per colpa e presenterò i referti degli investigatori che per anni ti hanno intercettato, fotografato, filmato; come si dice al paese che una volta era il nostro, te ne andrai con una mano davanti a una dietro; e non avrai un centesimo da me, quando dimostrerò quanto hai sperperato del denaro che io guadagnavo e tu consumavi con le quattro sciacquette che ti abbindolavano.”
“Vedremo chi è meglio.”
“Già … detto da uno che ricorre al Viagra a poco più di cinquant’anni, promette bene.”
“Io non prendo il Viagra!”
“I filmati e le foto dicono di si.”
“Mi hai fatto sorvegliare?!?!”
“Già, poveretto: sei stato anche sorvegliato.”
Bussano alla porta; sono i figli e chiedono di cominciare; dico che non si può, manca qualcuno; bussano e il mio legale entra; ci sediamo intorno al tavolino per i dolci e chiedo chi vuole cominciare: come prevedibile, apre il fuoco Nicla.
“Visto che hai deciso di fare un’altra vita, chiudi con la vecchia e facciamo i conti.”
“Avvocato, relazioni.”
“Non c’è da relazionare; l’Azienda è fallita ed è stata venduta; la signora ha perso il posto e tutto il suo patrimonio; resta solo la liquidazione, quando sarà erogata. Anche le case, tutte quante, sono state vendute per fare fronte al fallimento, quelle a Milano occupate rispettivamente da ciascuno di voi e quella al mare.”
“Come? Hai venduto la mia casa?”
“Se fosse stata tua non avrei potuto; poiché il documento di proprietà diceva che era mia, come quella di tuo fratello e questa che abitavamo io e tuo padre, ho potuto vendere tutto e salvare la faccia nel fallimento.”
“Quindi, adesso che fai?”
“Me ne vado altrove, forse all’estero e vado a rifarmi una vita.”
“Col tuo ganzo?”
“Col mio amore!!!!!”
Francesco ha gli occhi lucidi.
“Mamma, non puoi lasciarci così!”
“Ti ho già pregato, per questo: in certi casi, chiamami Tina, chiamami stronza, chiamami troia ma non azzardarti a sporcare il nome di mamma che sulla tua bocca diventa eresia!”
“No, tu sei mia mamma e sei stata anche mia amica; anche Carlo è mio amico e non ho niente contro di voi; ti voglio bene, vi voglio bene e me ne vado, ma solo vorrei che per un’altra volta mi considerassi tuo figlio, mi perdonassi le cazzate che ho fatto e mi abbracciassi come un figlio. Solo questo ti chiedo.”
Naturalmente, l’intervento di Francesco mi spacca il cuore e non avrei il coraggio di tenere la posizione; ancora più ovviamente, è Carlo a spiazzarmi; va verso Francesco e gli tende la mano, l’altro si alza e l’abbraccia; Carlo lo spinge verso di me.
“Stupido, devi essere tu ad abbracciarla e non ti respinge, lo sai bene.”
Viene ad abbracciarmi e lo accarezzo sulla testa.
“Hai avuto quel posto di lavoro?”
“Si, mamma; grazie per l’aiuto; adesso ho anche una fidanzata che amo tantissimo; se la casa è venduta, vado a vivere con lei dai suoi. Mi piacerebbe che la conoscessi.”
“Forse un giorno … Chissà … “
Nicla scatta.
“Che storia è questa?”
“L’ho già detto a tuo padre. Da domani mi trasferisco in Svizzera dove ho un’offerta per ricominciare. Chiederò separazione e divorzio. Vado a vivere con Carlo. Non so se tornerò mai più; non c’è niente che mi lega all’Italia, adesso.”
Carlo non sa stare zitto.
“Per favore, non dire cose non vere; potresti pentirtene. Ti lega a Milano la tomba di mia madre che io visiterò spesso e vorrei che tu fossi con me, sempre. Ti lega a Milano Francesco che avrà una famiglia che tu vorrai conoscere, specialmente se dovesse venire un nipote. Ti lega a Milano Nicla, che ami e al tempo stesso odi troppo per dimenticarla. Andremo a stare a Lugano e in due ore puoi essere qui anche ogni settimana. Il sangue lo puoi masticare, ma non illuderti di poterlo sputare.”
“Maledetto il giorno che vi ho fatto incontrare e la scommessa stupida che facemmo.”
“Che stai dicendo?”
“Hai dimenticato che Carlo te l’ho presentato io? Avevo scommesso che ti avrei fatto scopare con Luigi, ma questo coglione si innamorò appena ti vide ed è andato sempre peggiorando; fra poco mi toccherà chiamarlo anche papà se, dopo il divorzio, doveste decidere di sposarvi. Te l’immagini, Carlo, io che ti chiamo papà?”
“Un momento, porca miseria: tu scommettevi sulle corna che mi avresti fatto fare a tuo padre? Sei stata proprio una grande stronza, permettimi. E tu veramente ti sei innamorato a prima vista e me l’hai detto solo quando ti ho costretto?”
“Senti, mamma, e bada che stavolta non mi va proprio di chiamarti Tina: sto per perderti e non voglio che te ne vada odiandomi; dunque, mamma, io ho fatto enormi cazzate, che ho nascosto sotto cazzate più grosse da nascondere sotto cazzate disumane; poi, come vedi, emergono tutte come la merda quando si scioglie la neve, mi pare che al tuo antico paese si dica così; le ho fatte e non c’è rimedio; a parziale scusante, hai imparato ad amare, hai trovato il tuo uomo, quello vero, non la larva che avevi sposato, e ti ho costretto a cambiare qualche cosina, per lo meno il tipo di mutande o il pelo sulla figa. Non sono capace di chiedere perdono, neanche quando il torto é marcio e conclamato. Però non ti azzardare a pensare che non ti voglio bene: non avrei potuto ispirarti l’amore se non ti avessi amato sul serio. Non mi abbandonare per sempre; lasciami un margine per sperare che litigheremo ancora. Se vi sposate, non mi invitare. Non ci verrei.”
Socialmente, il ruolo raggiunto di Amministratore Delegato di una grande azienda mi rassicura molto sulle mie condizioni anche per il futuro.
Sul piano delle emozioni, dopo l’errore commesso di rimanere incinta e partorire a 18 anni per ingenuità di ragazza, credo di essermi presa molte soddisfazioni nella vita.
Sul piano familiare, mia figlia Nicla, a 24 anni, è brillantemente avviata ad una buona professione nonostante i grandi capricci e la volubilità che la portano a cambiare spesso partner con la massima indifferenza: i motivi di dibattito tra noi sono questo suo sfarfalleggiare tra un amorazzo e l’altro e l’ostinazione con cui, in pubblico e in privato, ha deciso di chiamarmi Tina (il mio vero nome è Concetta) perché secondo lei ‘mamma’ è deleterio per me perché affossa la mia bellezza e la mia eleganza sexi ed è ingombrante per lei che deve spiegare come mai ha una mamma così giovane e brillante.
Francesco, l’altro mio figlio, ha 21 anni ed è anche lui un promettente laureando, è più tenero e coccolone: i miei confermano che è vera l’ipotesi che i figli prendano dalle madri e le figlie dai padri.
Il mio piccolo rammarico è infatti mio marito Pasquale che, ormai al di là dei cinquanta, continua a correre dietro alle gonnelle delle ragazzine e spesso si impegna a sperperare quello che io guadagno.
Le litigate tra me e Nicla vertono proprio sul perché non mi decido a chiedere la separazione, assegnargli un vitalizio e liberare da un’ingombrante palla al piede la mia bravura, la mia intelligenza e la mia bellezza.
In altri termini, Nicla vorrebbe che mi amassi un poco di più e che liberassi un poco la mia interiorità, intesa anche come sessualità, per uscire dalle ragnatele della concezione ormai morta della moglie fedele in eterno; non riesce assolutamente ad accettare l’idea che si possa rimanere legati ad una zavorra perché lo richiede la propria formazione.
Di fatto, poi, si comporta in realtà proprio come suo padre, con l’intelligenza di non aver mai preso e di non voler prendere, almeno in tempi brevi, decisioni vitalizie.
Naturalmente, poiché mi vuole molto bene, non esita a denunciare le malefatte di suo padre, specialmente quando rischiano di ricadere sulla mia persona.
Tra le altre cose, abbiamo acquistato da molti anni una casetta al mare, una costruzione in stile antico, ma ristrutturata in maniera rispettosa del territorio, ma di gusto moderno, in un punto molto panoramico con accesso privato alla spiaggia, nell’immediata vicinanza di uno stabilimento balneare di lusso, che è diventato il bengodi di mio marito e della sua caccia alle ninfette affamate di libertà e di nuove esperienze; ma anche il luogo preferito dei figli, che trovano ampio spazio per il loro desiderio di conoscenza e di relazioni.
Sono distesa sotto l’ombrellone al riparo del sole cocente del sud, chiusa (‘mummificata’ per Nicla) nel mio costume intero di sapore vagamente vintage, quando vibra il telefonino e leggo che mia figlia mi sta chiamando; allarmata, le chiedo dove sia e perché chiama.
Mi avverte che il mio ineffabile Pasquale si è messo ad offrire al bar a destra a e manca evidentemente con una mia carta di credito, visto che lui non ne possiede; guardo il portafogli e mi accorgo che effettivamente una carta non è al suo posto.
Vado in direzione e avverto che mio marito sta pagando con una carta abusiva, per la quale potrebbero avere problemi sia lui che lo stabilimento: il direttore si precipita ad avvisare il barman di non accettare più ordini ed io vado da mio marito, lo prendo in disparte e gli impongo di restituire la carta se non vuole finire in galera: borbotta qualcosa di incomprensibile e va via, a coda ritta, fingendosi offeso.
Ovviamente, Nicla con perde l’occasione per tornare ad inveire contro suo padre e contro di me che sono troppo tenera con lui; la prego di sedersi accanto a me e cerco di spiegarle che per quelli della mia generazione certi valori sono assoluti e indiscutibili; mi ribatte solo che la schiavitù è stata abolita prima per civiltà e poi per legge.
Mi sfida allora a passare qualche giorno insieme e a vivere almeno alcune ore secondo i suoi principi, che non sono altamente morali ma sono più logici di quello che io voglio ammettere.
Ho in programma un viaggio a Parigi di tre giorni, per un convegno ad alto tasso di interesse per il lavoro; le chiedo se è disposta a venire con me nella ville Lumiere e sperimentare su un terreno neutrale le sue convinzioni; accetta ad un solo patto: tutto il tempo ufficiale, convegno, colloqui, trattative e altro, sarà nel mio stile; tutto il tempo libero, compresi i pranzi e le cene, saranno gestiti da lei e la seguirò anche nel look: mi dichiaro d’accordo.
Partiamo in aereo un giovedì mattina e in poche ore siamo sul posto; vengo travolta dagli adempimenti obbligatori e ci ritroviamo libere solo verso l’imbrunire; è presto, per andare a cena; ce ne andiamo a passeggio: ho indossato, sotto la guida di Nicla, una camicetta leggera che fa trasparire il reggiseno con le mie tette piene, carnali, da donna matura con due figli, eppure straordinariamente eccitanti (me ne accorgo ogni volta che ho a che fare con uomini il cui sguardo, normalmente, riesce a bucare anche le giacche rigorose, che indosso abitualmente, ogni volta che, per un qualsiasi motivo, si aprono un poco; la gonna l’ha scelta lei: non è una mini, ma si ferma almeno dieci centimetri oltre il ginocchio (le mie, in genere, arrivano sotto il ginocchio); ai piedi, ho deciso di indossare ballerine senza tacco che non sollevano più di tanto il mio culo, per sua natura già molto alto e tondo; Nicla proclama che sono particolarmente sexi ed appetibile: per dimostrarlo, mi invita ad osservare gli sguardi assassini di tutti gli uomini che incrociamo e le occhiate feroci delle compagne che li rimproverano.
“Non puoi capire quanto sono orgogliosa di passeggiare con una donna così bella ed affascinante come te!”
Mia figlia mi spiazza, ma sento il suo affetto e lo ricambio con una stretta di mano; siamo davanti ad una libreria ed è annunciata la presentazione di un volume di poesie di un giovane, Francois Rouen, che avevo già deciso di comprare per aver letto alcune cose qui e là; lo dico a mia figlia e, naturalmente, mi spinge immediatamente dentro, dove, ad un tavolino, è seduto l’autore circondato da giovani che parlano con lui che firma le copie; Nicla prende un libro e si rivolge al poeta in perfetto francese dicendo che siamo italiane, che Tina conosce la sua poesia e che amerebbe una copia autografata.
Lui lascia il tavolo e viene diretto da noi, mi chiede in perfetto italiano delle poesie che ho letto e cominciamo a parlarne; la nostra entrata ha interrotto il lavoro di presentazione e il gruppo di ragazzi protesta; Nicla parte in quarta.
“Senti, Franco, innanzitutto, perché non ti faccia illusioni, Tina non è una mia amica o mia sorella: è mia madre, legittima e naturale.”
Lui la interrompe e riesce a zittirla.
“No, non è possibile: così giovane, così sensibile, così bella e così affascinante, già mamma di una donna altrettanto meravigliosa?! Permettimi di dire che sei un vero miracolo della natura!”
“Bello, non stare a fare il lumacone, che con noi non attacca; se proprio vuoi corteggiarla, sappi che siamo in giro per andare a cena. Indicaci un posto giusto, molto francese e molto romantico, dove potete farvi gli occhi dolci quanto volete e intanto ceniamo. Visto che i poeti sono sempre poveri, dal momento che Tina, oltre a tutte le qualità che vedi e tante altre che non si vedono, è anche un’alta dirigente d’industria e si può permettere qualche piccolo lusso, sei ospite suo: basta che ci porti a cenare in un bel posto e la fai sentire soddisfatta di aver dialogato, ma io direi amoreggiato, per una sera con un poeta che ammirava già prima di conoscerlo. Ci stai?”
“Tua madre mi innamora, non ho problemi ad ammetterlo; ma anche tu mi affascini con questo falso cinismo che nasconde un amore viscerale per tua madre e per la sua sensibilità. C’è un posto qui a fianco che io non potrei permettermi; ma se dici che potete farvi passare il gusto di una bella serata, vi ci accompagno volentieri; dovete aspettare solo dieci minuti che sbrigo la firma dei volumi.”
“Firmane tanti, tantissimi; ti aspettiamo.”
In tutto il loro dialogo non ho avuto la forza né l’occasione per inserirmi con una sola frase; adesso però ho quasi paura dell’impegno che Nicla ha assunto per me: parlare di poesia e d’amore era l’unica cosa che poteva spiazzarmi e questa benedetta ragazza mi ci ha catapulta al centro senza che me ne accorgessi.
“Nicla, ma ti rendi conto che accosti la fiamma alla paglia. E se perdessi la testa, stasera?”
“Mamma, adesso devo rivolgermi a mamma perché tutto sia più chiaro!, perché per una volta non accetti un mio punto di vista? Io ho paura dell’amore: per questo cerco di non innamorarmi; tu invece hai bisogno di amore e soprattutto di fare l’amore. Ti ordino allora di innamorarti solo per una sera, anzi per una notte, di abbandonarti all’onda di questo piacere che ti si legge negli occhi, nel viso, nei capezzoli che si sono induriti e, se ti mettessi la mano fra le cosce, nella figa che ti sta allagando le mutande che porti invece degli slip o delle brasiliane. Tu stasera mi stai a sentire: ti innamori pazzamente, ti concedi a te stessa e a lui, fai l’amore per tutta la notte, fino a svenire, ti fai riempire di sborra o d’amore, come preferisci chiamarla, tanto so che prendi la pillola. Domattina, sotto la doccia, ti lavi di tutte le scorie, chiudi nei ricordi e nel cuore questa notte e torniamo a casa più felici, più ricche, più umane, anche io che sto solo facendo la ruffiana. Mentre lui ti conquista, se ce ne fosse bisogno, io sparirò ed andrò a concupire qualcuno per me. Domani mattina, ti prego, raccontami che hai fatto l’amore alla grande e portiamoci questo segreto con noi in Italia.”
Vorrei obiettare qualcosa, ma Francois è già con noi e ci guida deciso all’uscita.
E’ una cena fantastica: lui è conosciuto nel giro ed è anche benvoluto; i camerieri si fanno in quattro per metterci nelle condizioni ideali e, durante la cena, non facciamo che guardarci negli occhi da veri innamorati; Nicla gongola; in un momento in cui lui va in bagno, trovo la forza di confessarle.
“Mi sento come al primo appuntamento, anzi come la sera delle nozze, come se stessi per partire per la luna di miele.”
“Mamma, ti voglio tanto, tanto, ma tanto bene. Io vado via; siete troppo belli così innamorati. Ci penserò io, domani, a riportarti sulla terra. Tu abbandonati e galleggia.”
Quando Francois ritorna e si siede, mia figlia ha già elaborato la sua strategia.
“Senti, poeta, io sono stata felicissima di averti incontrato; spero che farai felice Tina almeno per una notte; se non ci vedremo più, ti saluto qui e vado a concupire quel bel fusto all’angolo. Ciao.”
Rimasti soli, Francois mi prende le mani sopra al tavolo e sembra accarezzarmi tutta con lo sguardo; mi sporgo verso di lui e, attraverso il tavolo, ci scambiamo un bacio leggero, che mi fa fremere fin dentro le ossa. Mi chiede dove alloggio e se preferisco andare in hotel o a casa sua. Gli dico che domani il convegno comincia presto e che devo dormire abbastanza perché sarà una faccenda faticosa.
“Vuoi che ci salutiamo qui?”
Trovo il coraggio di dire.
“No, voglio che facciamo l’amore. E non ti meravigliare: non ho mai tradito mio marito, nemmeno col pensiero; non so cosa sia il corpo di un altro uomo: ma questa sera la poesia, l’amore e la filosofia di Nicla mi dicono che devo farlo, per me soprattutto; devo prendermi tutto l’amore di cui sono capace e che tu saprai darmi. Domani ti potrò anche dimenticare, ma stasera voglio galleggiare sulle nuvole.”
“Posso dirti che Nicla è una donna assai più saggia di quello che sembra?”
“Io non riesco a dirlo: guarda, sta già limonando con quel ragazzo e noi non ci siamo ancora dati un bacio vero.”
“Dartelo qui non serve più: ho voglia del tuo amore e di offrirti il mio.”
L’albergo non è lontano; recupero la chiave della camera e andiamo su; mi sento veramente come la sposina in viaggio di nozze; anzi, l’emozione è maggiore, perché adesso so con chiarezza che cosa sto facendo e perché lo voglio: non ho verginità da sacrificare, fisicamente, ma quella mentale è assai più pesante da portare.
Penso a mia figlia, mentre mi sento avvolgere dal suo abbraccio passionale e intenso; scioccamente, penso che dovrei fare l’amore davanti a lei per poter fare bene le cose, per farmi consigliare; poi mi sento stupida e mi concentro sulle mani di lui che mi accarezzano tutta e quasi non osano aprire i vestiti per arrivare alla carne viva; e penso al cazzo che mi preme sul ventre, da sopra i vestiti e mi procura già emozioni vicine all’orgasmo.
Poi prendo l’iniziativa e comincio a spogliarlo io; tutte le mie fisime spariscono, la bestia della libidine che era nascosta in me emerge di colpo e mi scateno su di lui: lo bacio in rapidissima successione su tutto il viso, sugli occhi, sulle guance, sulla bocca e mi impossesso come una furia della sua lingua che succhio avidamente; si scatena anche lui, come se avesse abbandonato le riserve, e sento che mi bacia con furore quasi, che mi succhia dappertutto, mi lecca fin dentro le orecchie scatenandomi un inferno nella figa; mi palpa i seni e lo aiuto a sfilare camicetta e reggiseno per offrire alla sua bocca i capezzoli duri e grossi come nocciole, che attendono solo di essere succhiati, serrati, tirati, morsi fino a far male.
Slaccio la cintura e abbasso insieme pantaloni e mutande: ha un cazzo bellissimo, molto grande, molto nodoso, che dà piacere alla mano che lo manipola, che promette gioia in bocca, in figa e forse anche nel culo: non ho esitato, quando Pasquale me l’ha chiesto, ho provato piacere e so che questa sera voglio darglielo, come gesto d’amore: fibrillo in tutto il corpo e sento che la figa mi cola per la serie di orgasmi che anche solo accarezzandomi riesce a procurarmi; ha ragione, Nicla: non so che cosa mi sono perduta, attaccandomi ad un parassita che mi succhia anima e corpo; ma ora, anche solo per una notte, ho bisogno di riscattarmi.
Mi abbasso sui talloni e prendo il cazzo in bocca: mi viene da piangere, tanta è l’emozione di sentire la cappella sotto la lingua e sto ferma un tempo che mi pare infinito ad assaporarne il gusto, a trasmettere la lussuria alla figa per farla sbrodolare ancora; poi comincio a pompare; non so quanto sono brava a succhiare, perché l’ho fatto solo a mio marito, ma Francois sembra impazzire: strabuzza gli occhi, freme e si tende tutto, non so se sta per sborrare e, nel dubbio, mi fermo perché non voglio finire presto.
E’ vero che devo dormire e gliel’ho detto, ma solo per prevenire che non avremmo dormito insieme; però possiamo fare l’amore quanto vogliamo: e questo l’ho detto, fammi fare l’amore fino a svenire; mi prende per le ascelle e mi solleva; si è già tolto giacca e camicia; si libera dei pantaloni e delle mutande che aveva ai piedi e, intanto, mi sfila gonna e mutandoni (in quel momento, un poco mi vergogno e mi riprometto che adeguerò il mio intimo); mi sfila anche le autoreggenti e, nuda, mi rovescia sul bordo del letto; si accoscia davanti a me, accarezza le gambe e le cosce fino all’inguine, sposta i peli della figa che porto molto lunghi, incolti e folti, apre con le dita le grandi labbra e piomba con la bocca sul mio clitoride che, in un attimo, è gonfio da farmi male, ma il dolore si attenua nella sua bocca, quando comincia a succhiarmelo fino a strapparmi un orgasmo che non ricordo uguale a nessun altro; sta lì a succhiare, leccare, mordere, martirizzare per una decina di minuti, lasciandomi a desiderare ardentemente il cazzo in figa, finche devo dirglielo.
“Ti voglio dentro, ti voglio tutto dentro, ti prego!”
Mi fa spostare al centro del letto, monta su in ginocchio e continua a carezzarmi il monte di venere pelosissimo e la figa che stringe tutta in una mano; infila il dito medio per far emergere la fessura, si accosta tra le cosce, appoggia la cappella alla vulva e spinge dentro: sento il cazzo percorrere il canale vaginale tutto intero, fino all’utero che tocca con un leggero dolore per me, abituata ad un solo cazzo, meno grosso; si stende sopra di me, mi bacia sulla bocca e mi sussurra frasi dolcissime: mi sembra di galleggiare su una nuvola, proprio come avevo detto io; e ogni volta che lui, cavalcandomi, sprofonda dentro di me, la mia nuvola scende verso il basso per riportarsi in alto subito dopo insieme al cazzo che esce dalla figa per ripiombare dentro con nuovi orgasmi; quando sento che il suo corpo si tende un poco, per l’orgasmo in arrivo, alzo le gambe e imprigiono la sua vita intrecciando le caviglie sulla schiena: il cazzo sprofonda in me fino al dolore; stringo i muscoli vaginali e lo trattengo dentro il più a lungo possibile: gemendo, mi esplode in figa una sborrata lunga, piena, intensa; rispondo urlando i miei orgasmi, forti, passionali, decisi, da fargli sentire tutto il mio amore.
Se ne sta su di me a rilassarsi; ci accarezziamo il viso, il petto, le spalle: lui mi titilla a lungo i capezzoli e devo pregarlo di fermarsi perché mi provocano il solletico, mentre mi rilasso; accarezzo le sue natiche sode, dure, tese e le stringo al mio ventre quasi per farmi penetrare ancora più dentro, anche col cazzo che si è decisamente ridotto; non avrei voglia di andarmi a lavare ma, se lascio che lo sperma mi coli dalla figa, sporco tutte le lenzuola; intanto, ho ancora voglia di sentirmi penetrata; e questa volta sento il culo che freme, quasi geloso di essere stato trascurato; mi sfilo per un momento, raccolgo gli abiti, miei e suoi, e li deposito sulle sedie (riflesso condizionato di massaia); vado in bagno a scaricare la vescica e a sciacquarmi la figa; torno sul letto e, accarezzandolo, gli chiedo.
“Ci fermiamo qui?”
“Per me, assolutamente no; tu cosa desideri?”
Prendo la sua mano, me la porto dietro e guido il dito medio nell’ano,
“E’ esattamente quello che avrei desiderato!”
Un momento dopo sono carponi sul letto; lui, dietro di me, lecca la zona con devozione religiosa: naturalmente, privilegia l’ano che percorre in tutte le pieghette che lo chiudono e nel quale si insinua prima con la lingua poi con le dita: dopo averci giocato un poco con il medio, si ferma perplesso: mi rendo conto anche io che il suo membro, in un culetto abituato a volumi meno impegnativi, rischia di fare danno, se non è lubrificato; mi ricordo che tra le creme ce n’è una alla vaselina che forse dovrebbe avere una funzione analoga; la vado a prendere in bagno e gliela consegno; mi unge accuratamente l’ano e il canale rettale, inserendo facilmente prima due poi tre dita e ruotandole dentro; a quel punto, mi prende la testa, mi fa girare verso di lui e mi guarda con amore; faccio segno di si con la testa e sento la cappella che si accosta all’ano. Entra delicatamente, ma sicuramente e fino in fondo; qualche leggero dolorino è assorbito dal piacere di sentirlo nel corpo. Stupidamente, mentre mi sprofonda nel culo, sussurro.
“Ti amo. Questa notte ti amo e sono tutta tua.”
“Questo è amore; ti amo anch’io, non solo per questa notte. Faremo l’amore forse solo stanotte; ma questo amore improbabile è un regalo divino.”
Comincia a cavalcarmi nel culo con una foga eccezionale; lo sento fin dentro lo stomaco, tanto mi penetra; e veramente annetto a quella inculata il valore di un amore piovuto da chissà dove e che è destinato a finire, forse subito dopo. Quando sento la sborra di lui invadermi le budella, non riesco a trattenere un urlo bestiale: la più bella sborrata della mia vita.
Andiamo avanti così, per una parte della notte; trova il tempo e la forza di sborrarmi ancora una volta, in bocca stavolta, e montarmi di nuovo in figa e in culo, riuscendo a sborrare solo la seconda volta: quando leggo sulla sveglia le quattro, lo avverto che devo dormire, almeno un paio d’ore. Si riveste ed esce, non sappiamo se solo dalla camera o dalla mia vita. Ma non ho voglia di indagare o di pormi quesiti. Mi addormento di pacca, sfinita forse anche dal sesso.
Al mattino, trovo Nicla in sala per la colazione; mi sembra alquanto provata.
“Stai male? Hai una cera!”
“Tu quante volte e fino a quando?”
“Alle quattro l’ho spedito via per dormire almeno un po’; tra culo, figa e bocca, diciamo sei, due per parte.”
“All’anima della borghese bigotta. Bravissima! Ti è piaciuto?”
“La mia faccia che ti dice?”
“Che hai attraversato il paradiso!”
“Su una leggera nuvola rosa. Adesso però, devo cancellare. Tu cosa hai combinato?”
“Ho scopato, fino alle sette di stamane quando sono tornata in albergo.”
“E dove sei andata?”
“Nel suo albergo che è a fianco del ristorante.”
“Adesso io vado al lavoro; poi staremo insieme.”
“Io tu e Francois.”
“No, perché? Non hai detto tu stessa che stamattina dovevo cancellarlo?”
“Non ho detto stamattina come tempo reale, stamattina è quando torniamo in Italia. Io, se uno mi dà voglia di farmene sei la prima volta, almeno la tre giorni la sfrutto.”
“Ma se non so neppure dove rintracciarlo!”
“Tu? Ma la tua amica Nicla pensa sempre a tutto. E’ inutile: a dirigere un’azienda, sei impareggiabile; sul sesso e sull’amore, se non c’è la tua Nicletta, neanche un poeta imbranato riesci a rimorchiare. Ciao, mamma, ci vediamo a pranzo … con il tuo tenerissimo Francois.”
Il week end parigino con Nicla (ma anche e soprattutto con Francois) è stato forse il periodo più bello della mia maturità: per tre giorni e tre notti non ho fatto che vivere in un sogno, cullandomi sulla nuvola rosa di un amore provvisorio ed impossibile come se fosse la realtà di ogni giorno, abbarbicandomi alla poesia ed all’amore per dare un senso alla lussuria che scatenano in me mia figlia, coi suoi discorsi libertari e provocatori, e il giovane poeta francese che mi riempie di attenzioni ed ha sempre pronta una bella frase per sollevarmi lo spirito.
A letto, invece, mi solleva ben altro e per tutto il tempo non ho fatto che scoprire e riscoprire la mia sessualità, il mio corpo, forse il mio bisogno d’amore: mi impossesso del suo cazzo come una protesi esterna del mio corpo che continuamente spingo dentro il mio strappandone umori e scatenando il mio piacere; mi faccio penetrare più e più volte in tutti i buchi, ogni volta accogliendo il cazzo come le belle frasi entrano nelle orecchie e nella testa, con amore infinito.
Poi, come tutte le cose belle, anche la vacanza (o piuttosto la fuga dalla realtà) ha avuto una sua naturale conclusione e mi ritrovo sull’aereo diretto a casa, con tutti i problemi che la mia vita pone e che ho depositato, sotto un tappeto, a casa, al momento della partenza; non nascondo che il momento più difficile è affrontare Pasquale, mio marito, che, appena mi vede, mi salta addosso e vuole scoparmi seduta stante: il confronto inevitabile non gli è favorevole e scava ancora l’abisso che ci separa; ma la mia formazione profondamente radicata mi impone di nascondere nei ricordi l’esperienza parigina e tornare ad essere la moglie paziente di sempre.
Passa l’estate e rientriamo a Milano; trascorrono anche alcuni grigi mesi autunnali e la nuvola rosa è ormai un vago ricordo sbiadito che riaffiora di tanto in tanto, specialmente quando, stressata dal lavoro, mi concedo delle lunghe e defatiganti sedute di masturbazione, sollecitando gli orgasmi col ricordo di un cazzo che amorevolmente mi sfonda il culo in un hotel parigino; in quei casi, frequentemente mi sdraio scosciata sul letto, quasi avessi tra le mie cosce Francois che mi scopa, e il martellamento sulla figa si fa quasi maniacale.
Nicla viene a trovarmi una mattina, per portarmi qualcosa che ha ricevuto per posta: un volume di piccolissimo formato che contiene un poemetto in francese di un centinaio di versi; insiste perché lo legga davanti a lei e mi chiede cosa ne pensi: lo giudico caruccio ed ho la sensazione che qualcosa mi sfugga, tra le righe della poesia.
“Come mai ti occupi anche di poesia, adesso?”
Mi risponde un sorriso mefistofelico che non riesco ad interpretare; poi tira fuori dalla busta la copertina che aveva preventivamente staccato: leggo il nome di Francois e il titolo che allude decisamente alla nostre tre notti a Parigi; e capisco che cosa mi ha stimolato i precordi: la coscienza che si tratta di un deja vu, di una tranche de vie che appartengono alla mia propria vita.
Mi dice che l’ha ricevuto direttamente da Francois, col quale è rimasta in collegamento, epistolare e telefonico, e che per espressa richiesta me lo ha portato: è la prima copia stampata del libretto che presto sarà tradotto e pubblicato in Italia; per un attimo, sento un groppo alla gola per il magone; poi mi riprendo e ricordo a mia figlia che quella storia sta bene nell’album dei ricordi; mi risponde solo che secondo lei avevo bisogno di arricchire quell’album e chiudiamo lì la faccenda; ad ogni buon conto, mi tengo il volumetto e lo conservo tra le cose care.
Passano ancora dei mesi, cinque o sei, ed io sono travolta dal ritmo del mio lavoro che diventa sempre più intenso e più impegnativo; in primavera avanzata, quando già si guarda alla prossima estate, sono sorpresa da un messaggino di Nicla sullo smartphone (assai raramente usa con me questo tipo di comunicazione): indica il giornale del mattino ed una pagina di cronaca cittadina; apro il giornale e trovo che in una libreria del centro si presenta il volume di poesie di Francois che contiene il poemetto tradotto; con una certa emozione, chiamo Nicla.
“Ciao. Perché un sms?”
“Non è piacevole quello che devo dirti.”
“La presentazione del libro?”
“No; chi accompagna lui … la moglie.”
“Va bene; e allora? E’ nell’umano ordine delle cose.”
“Vuoi farmi credere che ti è indifferente la cosa?”
“No. Ci sto male, se è questo che vuoi sentire. La risposta è in una vecchia canzone spagnola. Te la cerco e te la mando. Forse capirai cosa può provare una donna nel pieno della maturità che perde la testa per un giovane.”
“Cosa dice la canzone?”
“Dice: solo una notte ancora, poi vai per la tua strada, ma per una notte ingannami ancora.”
“Tina, non è il tuo caso. Quando lo vedrai, saprai che neanche una notte elemosineresti da lui; e, per di più, non hai bisogno di elemosinare per avere amore, te lo garantisco io. Ci sono molti che te ne danno a iosa, se lo chiedi.”
Quando ci incontriamo davanti alla libreria e vedo il comportamento della moglie di Francois, ma soprattutto la supinità di lui alla presunzione di lei mi casca dal cuore e dalla memoria; ma Nicla non è donna da lasciare qualcosa a metà; mi spinge avanti finché incontro lo sguardo di lui che abbassa gli occhi come un reo; mia figlia si limita a commentare.
“Chiacchiere per vendere!”
La moglie si sente colpita e risponde piccata.
“Lei non ha nessuna idea della storia d’amore che qui viene raccontata.”
Nicla si sporge verso di lui.
“Bello, dillo a questa sciacquetta che io e te sappiamo benissimo chi è la donna della storia e che solo la sua presunzione può consentirle di credere diversamente. Senti, sciacquetta, quando tu proverai un millesimo di quello che la donna di questa vicenda ha vissuto con tuo marito, chiederai di morire per fermare quell’attimo; fino ad allora, sguazza nella tua imbecillità; alle donne vere un’anima morta come è ridotto oggi Francois non serve a niente, vero poeta?”
Lui non ha il coraggio di obiettare, abbassa la testa e pare che pianga.
“Stai male? Hai voglia di piangere?”
Nicla sa essere tenerissima e spietata.
“Non sto male; ho voglia di piangere, ma qui non posso.”
“Vieni a casa mia, siamo a due passi.”
La seguo come un cagnolino bastonato, limitandomi a ripassare in mente i fotogrammi più belli di una storia scioltasi come neve al sole: ma non sono triste, anzi mi sento quasi più forte e abbraccio in vita mia figlia, che mi sta trascinando in una pizzeria popolare affollata di giovani dove il mio abbigliamento, esattamente quello di Parigi, mi fa passare più facilmente per universitaria fuori corso con l’amica del cuore; per questo, sono oggetto di avances anche spinte e di commenti salaci, diretti a tutte e due.
“Sono sempre così diretti i ragazzi,qui?”
“Stasera si stanno contenendo: sanno essere peggiori.”
Mentre mangiamo in piedi, appoggiati a una mensola lungo il muro, si fanno avanti due maschi, decisamente meno giovani della media, dei quali uno abbraccia Nicla con grandi effusioni.
“Tina, questo è Claudio, un mio ex spasimante.”
“Divento ex solo quando a fianco a te c’è una donna così bella come la tua amica … “
Abile, il ragazzo, almeno con le parole; Nicla mi sussurra.
“Che ne dici di chiodo che schiaccia il chiodo?”
“Che vuoi dire?”
“Io nelle tue condizioni mi cercherei un cazzo come antidoto. Se ti va … “
“Sei pazza? Vuoi proprio che faccia la troia?”
“No, voglio che faccia sesso e che, dentro di te, lo viva come amore. Ci facciamo una bella orgetta a quattro e puoi star certa che dovrai scopare anche con me, perché io ti desidero da sempre: se gli stronzetti non ti vano, andiamo a letto io e te.”
“Confessione per confessione, a Parigi, mentre mi facevo inculare da Francois, pensavo che mi sarebbe piaciuto farlo davanti a te che mi davi consigli. Può darsi che anch’io voglia fare l’amore con te.”
“Se andiamo in quattro, mi dispiace solo per Francesco.”
“Che c’entra?”
“Mamma, ma sei proprio lenta su certe cose. Francesco avrà versato qualche ettolitro di sborra sulla tua figa, sul tuo culo, sulle tue tette; non sai quante volte ho dovuto farmi scopare fingendo di essere te, per farlo contento. Se scopi con questi stronzetti, per lui sarebbe la fine. Quanto meno, spera di essere il primo ad assaggiare mamma troia.”
“Cazzo, sai che significa?”
“Significa che puoi surrogare un amore deluso con quello per una persona cara, che da quella figa è uscito e a quella torna, se tu lo ami con tutto il corpo: guarda che la filosofia romantica da bancone la so fare pure io. Invito questi due o telefono a Francesco e ti scopiamo noi figli?
“Hai bisogno di chiederlo? Adesso voglio voi; e mi sa che con questo risolvo anche i problemi futuri.”
Francesco non risponde; la segreteria telefonica avverte che è fuori città e che tornerà a fine settimana.
“E adesso che facciamo? Io ho già il perizoma che è da strizzare, con questi tuoi maledetti discorsi.”
“Adesso ci scopiamo i ragazzi, qui, e dopo ci scateniamo io e te.”
Non ha mezzi termini , Nicla; comincia a muoversi sensualmente davanti ai due e li provoca finché il più deciso dei due, il biondino che mi aveva presentato come ex spasimante, cerca di baciarla; ma lei si sottrae rivolgendosi al moretto che finora non ha parlato; quasi per conseguenza, il biondino mi prende nella vita, mi afferra la bocca nella sua e comincia a perlustrarmela leccandomi tutto l’interno; sento il cazzo gonfiarsi contro il ventre e, quasi d’istinto, mi struscio alla ricerca del contatto con il clitoride che esplode non appena incontra la mazza ancora chiusa negli abiti.
Si accorge che sono venuta e chiede a Nicla di andare; lei, che si è accorta della cosa ed ha capito il mio bisogno di sesso, paga, ci prende tutti e tre e quasi ci trascina al portone di casa sua; in ascensore, diamo vita ad uno spettacolo decisamente porno, con Carlo, il biondino, che mi infila le mani dappertutto, dal reggiseno al perizoma, e mi stimola con tanta sapienza da farmi sborrare almeno tre volte nei tre piani da percorrere; Luigi, il moretto, si è letteralmente perso tra le tette di Nicla e le succhia come un poppante in astinenza.
L’appartamento è grande e ben arredato ( mi è costato un occhio della testa) e soprattutto è dotato di un letto grande, segno che Nicla spesso si trova in occasioni multiple; mi trovo nuda di fronte a loro perché hanno fatta a gara a spogliarmi in tre, Nicla con maggiore passione dei due maschi, perché non ha mai smesso di succhiarmi la bocca, il viso, le tette, mentre mi sfilavano camicia e reggiseno; quando poi mi hanno tolto la gonna e il perizoma così fradicio da doversi quasi buttare (ma Carlo se lo è passato su tutto il viso aspirando il profumo dei miei umori): quando è apparsa la mia figa, è stata la prima a lanciarsi su di me, facendomi sdraiare sul letto, coi piedi ancora a terra, per leccarmi la vulva e scatenarsi sul clitoride che ha succhiato come un piccolo cazzo facendomi urlare dal piacere; ha dovuto quasi lottare coi due che miravano ad impossessarsene e l’hanno costretta a sdraiarsi accanto a me per riservarle lo stesso piacere.
Mentre Luigi si fionda sulla figa di Nicla, totalmente depilata, carnosa, piena, con un clitoride che sporge superbo dalla vulva, Carlo mi scivola addosso e si sistema su di me in modo da titillarmi entrambi i capezzoli mentre fa scivolare verso la vulva un cazzo di notevoli dimensioni, per grossezza e per lunghezza, e comincia a penetrarmi con sensazioni in bilico tra la forzatura di una vagina non molto abituata al coito (almeno, non con cazzi di quella fatta) e i brividi di piacere che si susseguono ininterrotti bruciandomi il cervello col massimo godimento che arriva anche dalle pulsioni dell’utero sconvolto dalla cappella che urta la cervice; mi scopa alla grande, per molti minuti, poi esplode all’improvviso, inondandomi la figa; lo catturo dentro di me e gli stringo le gambe intorno alla vita mentre mi godo la penetrazione ed una successione quasi infinita di piccoli e grandi orgasmi che mi scuotono dalla testa al cuore.
“Perdonami, non ho saputo resistere. E’ la prima volta che una figa mi prende a tradimento e mi procura un orgasmo rapido. Sei veramente immensa, meravigliosa, irresistibile; hai la figa più bella, più, fresca, più affascinante che abbia mai scopato. Eppure, ne ho assaggiato tante, di fighe; ma, come la tua, è la prima volta.”
Guardo verso Nicla che si sta godendo la scopata lenta e quasi studiata di Luigi, determinato a godere a lungo e a farla godere allo spasimo; guardo Carlo con l’aria di chiedere cosa intende fare; comincia a pomiciare con me come un ragazzino ed io mi abbandono al piacere di tornare ragazzina e ricambiare le carezze intime: scendo sul suo corpo leccandolo in ogni punto e arrivo al cazzo che prendo tra le labbra e comincio a succhiare con tutto il desiderio che mi ispira: un pompino eccezionale, nuovo; sento che vibra e si contorce, ma stavolta non arriva all’orgasmo; mi lecca e mi succhia dappertutto, dalle tette alla bocca, dal ventre alla fronte: sembra quasi adorare una divinità e percorrerla in tutte le fibre per ottenerne i favori.
Mi stacco dal cazzo, per non farlo sborrare, lo rovescio sulla schiena mi impalo, facendomelo spingere profondamente fin dentro l’utero; quasi non mi accorgo che Nicla si è sganciata dal suo maschio e mi è venuta ad accarezzare la schiena e le natiche, fino a leccarmi il buco del culo; mi spinge il busto in avanti, verso la bocca di Carlo; sento qualcosa di fresco scorrermi tra le natiche e intuisco che stanno per sodomizzarmi, ma non capisco come: poi mi rendo conto che sta spingendomi il cazzo di Luigi nel culo: non è una mazza sottile e delicata, ma un bastone grosso, nodoso e lungo: penetra nell’intestino senza provocarmi dolore, anche se il canale rettale, con l’ingombro dell’altro cazzo nella vagina, rende difficile la penetrazione; alla fine sento il ventre picchiare sulle natiche, segno che è entrato fino in fondo.
“Che culo straordinario; mai inculata una donna più ricettiva e più sensuale; ispira lussuria da ogni poro: questo non è un culo, è il paradiso dei cazzi. Carlo, devi provarlo. E’ semplicemente immenso!”
Detto fatto, si scambiano di posto e mi trovo impalata sulla mazza di Luigi mentre Carlo provvede a penetrarmi nel culo con dolce violenza; trovano una sintonia e mi scopano alla grande; esplodiamo insieme, con un triplice urlo simultaneo; subito dopo, Nicla mi viene sopra e si struscia sulla mia figa con la sua, mi schiaccia le tette con le sue che sono quasi più grosse delle mie; e mi bacia con un amore che non ho mai provato; mi fa girare la testa l’idea di scopare con mia figlia e mi esalta la sensazione fisica che sa darmi sull’epidermide, senza penetrazione; andiamo avanti per un paio d’ore, scambiandoci continuamente i partner ed io godo senza interruzione, soprattutto quando ho a che fare con Nicla.
Amo tutto di lei; ed è la prima volta che mi accorgo di quanta passione fisica ci possa essere tra madre è figlia; non l’avevo mai vista dalla prospettiva del piacere fisico; ed ora mi trovo ad ammirare la figa evidentemente abituata a ricevere dentro cazzi anche di grandi dimensioni, eppure calda, dolce, morbida, carnosa, sensuale; mi sembra quasi di vedere per la prima volta il suo culo tondo come disegnato col compasso, nervoso e saldo piantato sui lombi quasi in esposizione permanente, con uno spacco centrale che disegna perfettamente le due natiche in cui si divide; al centro, l’ano decisamente spanato (deve amare molto la penetrazione anale e non arretra, evidentemente, davanti a dimensioni ciclopiche); la bocca dolce e sensuale, dal disegno perfetto, con la quale appena può mi divora tutta; le tette naturali, senza ritocchi, ricche, carnose, quasi enormi che invitano a leccare e nelle quali affogo spesso e volentieri: in cima, due aureole leggermente brune, ancora verginali, nonostante tutto, e due capezzoli prepotenti, ritti per l‘eccitazione, desiderosi di essere succhiati, leccati, mordicchiati.
I ragazzi sono veramente all’altezza della fama di grandi scopatori, sembrano davvero inesauribili: sono apertamente sempre più appassionati di me, del mio corpo: mi scopano in tutti i modi, in tutte le posizioni, con tutti i tempi e con tutti i meccanismi possibili, senza stancarsi mai di riempirmi specialmente quando si organizzano per la doppia penetrazione, contemporaneamente in bocca e in culo o in figa e, spesso, in culo e in figa.
Come nel cuore di una tempesta di sesso sfrenato, mi trovo ad essere continuamente oggetto di un nuovo assalto e devo fare spesso il gesto di sosta, come nello sport; la più insistente è mia figlia che sta veramente dando tutta se stessa, perché forse è un sogno realizzato quello di avere sua mamma nel suo letto, con due maschietti che lei conosce e di cui apprezza le qualità amatorie: far emergere il meglio (o il peggio) di me, che considera quasi bigotta, è quasi una missione e, non appena mi vede riposare, si fionda a baciarmi con amore; sentire la mia bocca divorata nella sua e infilarmi la lingua fino alle tonsille le dà quasi la sensazione di farsi riassorbire; quando poi trova lo spazio per infilare la lingua nella mia vagina, incurante (o apprezzandola) della sborra che uno dei suoi amici ha appena lasciato, sembra fisicamente tornare all’utero.
Dopo tanta ‘ginnastica’, mi sento quasi stremata, non sono giovane come loro e lo faccio capire a Nicla che li avverte che è arrivato il momento di chiudere la giostra; non sembrano molto convinti e si affannano quasi a rubare le ultime effusioni, gli ultimi sprazzi d’amore e di sesso, leccando una figa o un ano, titillando un capezzolo, baciandoci dappertutto. Poi si arrendono alla realtà e vanno, a turno, in bagno: furbescamente, Carlo fa andare prima Luigi e, mentre è solo, ne approfitta per una pomiciata con me, in piedi al centro della camera, ancora nudi completamente, col cazzo piantato tra le cosce sul pelo della figa: pochi movimenti di bacino a simulare il coito e la mia figa si mette di nuovo a colare di piacere; non riesco a cacciarlo via, non lo voglio, e mi stringo appassionatamente, anche io raccogliendo le ultime briciole di un sesso per me al limite del consentito; quando anche lui è andato a rinfrescarsi, si rivestono e si avviano ad andare; Nicla lascia uscire Luigi e blocca Carlo.
“Sei ancora in cerca di lavoro?”
“Si, ho spedito stamane il curriculum a varie aziende.”
Scopre le carte e gli rivela che Tina non è amica sua, ma compagna di studi di sua madre; l’altro sbalordisce; Nicla continua dicendogli del mio ruolo in un’azienda alla quale lui ha fatto domanda e gli chiede se è pronto a dimenticare tutto di quella serata, nel caso che decidessi di aiutarlo per il lavoro; Carlo le ricorda le difficoltà economiche in cui si muove la sua famiglia e le assicura che non una virgola uscirà dalla sua bocca: d’altronde, era notissimo per la sua grande discrezione; allora Nicla scopre definitivamente le carte.
“Mamma, ti va di dare una mano a un ragazzo che merita?”
“Domani mattina faccio prendere la sua pratica e sarà convocato a colloquio. Se merita, sarà dei nostri.”
“Mamma?!?! Ho sentito bene?”
“Si, hai sentito benissimo: Tina è mia madre e devo subire l’onta di sentirmi dire che ha una figa, un culo e delle tette più belle delle mie: io da quella figa ci sono nata, come può essere più bella della mia?”
“Nicla, scusa, ma abbiamo detto solo la verità; visto che non conoscevamo i retroscena, puoi credere che eravamo sinceri. Tua madre, anzi Tina, ha la più bella figa che abbiamo visitato, forse la più bella del mondo.”
“Ed io ne sono felice.”
Carlo non smette di ringraziare e mi garantisce tutta la sua gratitudine per quello che farò e la sua fedeltà se mai avessi ancora bisogno di lui come partner; lo rassicuro che non mancherò di chiamarlo, nel bisogno; siamo molto stanche, io e Nicla, e ci viene spontaneo stenderci sul letto per crollare in un sonno ristoratore; prima di addormentarmi, mi viene di raccomandarle.
“Appena possibile, avverti Francesco che voglio parlargli e farmi raccontare tutto il suo amore per me.”
“Solo raccontare?”
“Sei terribile; ma attenta, perché forse talis filia talis mater … A proposito, solo una mia curiosità: ma, visto che ne hai scopati tanti e che tuo padre non la perdona a nessuna, mi hai mai fatto le corna?“
“Due o tre volte; ma non è il massimo; di tutti gli amanti che ho incontrato, è certamente il più supponente e il più maschilista; ma, come tutti questi personaggi, alla fine è assolutamente poco abile, poco delicato e insomma non dà soddisfazione. Anche per questo, non ti capirò mai.”
“Non ti chiedo di capire; ti chiedo di accettare. Forse, oggi mi rendo conto che la felicità era vicina, ma da un’altra parte; però non rinnego assolutamente niente del mio vissuto e rifarei esattamente le stesse cose nella vita. Solo un’altra curiosità, poi dormiamo. Con Francesco hai mai fatto sesso?”
“Ti ho già detto che spesso ho dovuto fingermi te, perché desiderava te e poteva scopare solo me. Abbiamo fatto sesso da quando aveva sedici anni e un cazzo appena manipolabile; ce la siamo spassata un mondo, per qualche tempo, poi abbiamo trovato altre strade e altri interessi. Ma se in un’orgetta me lo trovo davanti, ci faccio l’amore, bada non me lo scopo, ci faccio l’amore, con tanta voglia e con tanta gioia reciproca.”
“Quindi, manco proprio solo io, all’appello!”
“Per poco, mamma, ancora per poco … “
Non fa passare molto tempo, Nicla, prima di mettere in atto il suo proposito: dopo poco più di una settimana, mi chiede per il week end successivo di tenermi totalmente libera per passarlo con lei, a casa sua, non essendo consigliabile, per quel che ha in mente, casa mia con suo padre tra i piedi; ormai ho imparato a conoscerla e, per qualche verso, sento di essere succuba delle sue voglie: esattamente come mi ha chiesto, il venerdì pomeriggio, chiudo i lavori in azienda e avverto che sarei stata irreperibile per chiunque per tutto il week end; comunico a Pasquale che passo il fine settimana coi figli e vado a casa di Nicla che ha commissionato una squisita cena, da consegnare su richiesta; citofono con una certa ansia, stranissima perché si tratta di mia figlia: ma sapendo chi è lei e con chi si sta preparando a ‘giocare’ mi sento rabbrividire.
Mi accoglie con un bacio appassionato e mi accarezza lungamente il culo e il seno; le metto una mano nella vestaglia e la trovo totalmente nuda; accarezzo la figa e avverto un certo umido che parla di una eccitazione straordinaria; appena in casa, mi invita a mettermi a mio agio usando liberamente le sue vestaglie e, se no ho bisogno, l’accappatoio nel caso volessi fare una doccia; mentre mi libero degli abiti e mi rinfresco rapidamente, mi comunica che vorrebbe farmi ascoltare, non vista, qualche confessione di Francesco e che, per questo, quando lui arriverà, vorrebbe che mi nascondessi in ascolto nell’altra camera.
Io neppure sapevo che anche Francesco era della partita e le chiedo se per caso ha pensato ad una serata al calor bianco.
“Non una serata, mamma: una tre giorni tutta per noi tre. Domenica sera dobbiamo essere una sola anima in tre corpi.”
Sorrido, ma solo perché quello è un antico sogno che mai avrei sperato di concretizzare e che lei, con un colpo da strega, cerca di realizzare; la rassicuro; mi metto in accappatoio e pantofole; mi strucco (ho notato che Nicla non ha traccia di trucco) e decido di pomiciare un poco con mia figlia, in attesa del via alla serata; ma il gracchiare del citofono mi blocca; vado nell’altra camera e mi sistemo dietro la porta per avere una buona visuale del salone; dopo poco, entra Francesco e non posso impedirmi una certa emozione a vedere che bel ragazzo sia diventato, alto, ben piantato, elegante e deciso nei modi.
“Ciao, sorellina, come mai questo strano invito?”
“Ti sembra strano che voglia stare qualche ora con te?”
“Di solito hai compagnie più intriganti; tra noi bastano i minuti di un abbraccio amoroso.”
“Stasera avevo tanta voglia di parlarti.”
“C’entra per caso quella storia che raccontano della tua amica sconosciuta, Tina mi pare, della quale dicono che ti ha surclassato in bellezza, in fascino e in capacità amatorie? Chi è? La conosco?”
“Chi racconta queste leggende metropolitane?”
“Luigi ha detto in giro che è venuto qui con Carlo, con te e con una tua strana amica misteriosa; pare che ci sia stato un bellissimo incontro a quattro e che la sconosciuta ti abbia surclassata a letto.”
“Carlo che ne dice?”
“Quello?!?!?! E quando parla, quello? Qualcuno suggerisce che addirittura si è preso una sbandata di quelle buone, per la sconosciuta, e che siano andati a vivere in non so quale sola dei Caraibi; di fatto, lo si vede poco in giro.”
“Quante Tina conosci tra le mie amiche?”
“So che chiami Tina mamma; di altre non mi risulta.”
“E quindi?”
“Quindi che? Mica vorresti farmi capire che la sconosciuta era mamma?”
“Ti farebbe senso se fosse così?”
“Nicla: che mamma sia la donna più bella, più affascinante, più bona, più tutto di quanto chiunque possa immaginare, non lo venire a raccontare a me che muoio d’amore per lei … “
“… ma non hai mai trovato il coraggio di farglielo neppure capire.”
“Sta’ zitta; questo è un discorso troppo doloroso; non lo facciamo neppure. Insomma, era mamma la sconosciuta, ci hai scopato, l’hai fatta scopare dai tuoi amici e lei è stata una sorpresa continua per tutti voi? E a me non hai affatto pensato?”
“Senti, stronzetto, guarda le chiamate perse; scoprirai che mentre te ne stavi in Riviera a cazzeggiare ti ho chiamato disperatamente ma non eri contattabile. Hai perso la tua occasione, semplice!”
“Lo sai che mi stai uccidendo? L’unico mio sogno impossibile è fare l’amore con mamma; tu ci sei andata vicino ed io non ero raggiungibile. Mi odio.”
“Odiati quanto vuoi, ma è andata così e nessuno può farci niente; hanno avuto culo quei due, anche se Luigi si pentirà per tutta la vita di essere gola profonda.”
“Ma … mamma … ti rendi conto di come è strano tutto questo? Avremmo spergiurato che era la moglie più fedele e paziente del mondo … “
“Finché non è arrivato il diavoletto Nicla che la sua mamma voleva farsela, se l’è fatta e le ha fatto scoprire momenti di grande amore e di grande sesso.”
“Davvero è stato così?”
“Ti dico solo che la nostra tenera mammina mi ha fatto vedere il più grande e il più bel film d’amore, fatti conto a Parigi, con una tre notti con un poeta che sarebbe da raccontare in un romanzo.”
“Mamma ha perso la testa per un poeta?”
“Te la vedi mamma che perde la testa? Piuttosto vedresti le vacche a pois volare in cielo. Sono riuscita ad indurla ad essere innamorata di un giovane poeta lo spazio di un week end, a farci l’amore alla grande in quei tre giorni; e lei è riuscita a rimanere imperterrita al comando della sua azienda, a conservarlo tra i ricordi e ad amarsi per come si è scoperta disponibile: è cambiata molto, quel fine settimana.”
“Sai che papà si è lamentato che è passata dai mutandoni al perizoma; lui non capisce perché; adesso so che spogliarsi davanti ad un altro l’ha convinto a rinnovare anche il suo look. Com’è arrivata a finire a letto con quei due e con te?”
“Semplice: il poeta è venuto a Milano, con moglie megera; mamma ha sofferto per il crollo di un sogno ed io ho cercato di consolarla suggerendole di fare sesso; mi ha seguito, forse si è innamorata di me ed ha preso in blocco anche quei due, dei quali almeno uno, come mi dicevi, forse è anche rimasto scottato.”
“Perché l’hai fatto?”
“Perché amo mamma, perché volevo fare qualcosa per lei e con lei, perché volevo vederla felice anche solo per attimi; e ti assicuro che mi è parsa in paradiso quando a Parigi ha fatto l’amore col poeta, il quale è stronzo senza dubbio, ma ha saputo anche farle vivere momenti di pura estasi.”
“Cazzo, ti invidio da morire. Adesso ti scopo come anni fa, così tu fingi di essere mamma ed io mi illudo di fare l’amore con lei. Mi hai invitato per questo, spero. Adesso mi racconti per filo e per segno tutto, anche e soprattutto i particolari scabrosi; ed io ti scopo fino a farti male per la gelosia, per la rabbia, per l’invidia … a due stronzi e non a me …”
“Che ne diresti se fosse lei a scoparti e fingesse di essere me?”
“Che cazzo dici?”
“Dice solo che se mi avessi confessato il tuo amore, io l’avrei ricambiato anche con tutto il corpo!”
Esordisco apparendo all’improvviso: Francesco rimane interdetto, a bocca aperta; balbetta.
“Nicla mi ha detto ed ho deciso di continuare a fare l’amore con te dopo tanti anni.”
Sono stupiti tutti e due; gli devo una spiegazione.
“La prima volta che ho fatto l’amore con te è stato quando eri un poppante. Ero molto giovane, calda, eccitabile e desiderosa di fare l’amore; vostro padre spesso mi trascurava; quando prendevi in bocca un capezzolo, non lo mollavi finché la tetta non era vuota, spesso dopo mezz’ora; sentirmi succhiare il capezzolo mi eccitava da morire; spesso avevo degli orgasmi travolgenti, più belli di quelli che mi procurava Pasquale: dopo un poco, imparai a procurarmeli; quindi, quando ti prendevo in braccio per farti succhiare, per me era come prepararmi a godere con te, il mio piccolo amante.”
“Mamma, ma una donna, quando allatta, si eccita?”
“Non è detto; non succede a tutte, solo qualche volta: per questo, Francesco era il mio amante segreto.”
“Quindi, ho fatto l’amore con te da poppante.”
“Anche dopo, molto più tardi e hai quasi messo in crisi il matrimonio. Non ti ricordi davvero di quel pomeriggio al mare?”
“Oh dio, avevo rimosso; è vero. Quella volta ho fatto proprio l’amore.”
“Che cazzo è successo?”
“Niente di particolare; aveva quindici o sedici anni, forse già voi due scopavate; un pomeriggio, di ritorno dal mare, ci stendemmo nudi sul letto io Francesco e vostro padre; tu dormivi sul lettino e Pasquale si era quasi addormentato; Francesco si appoggiò al mio culo e il cazzo gli venne duro, così duro che alla fine si appoggiò alla mia figa e la cappella entrò per qualche centimetro in vulva; quasi non me ne curai; e solo adesso mi rendo conto che avrei dovuto capire quanto amore ci mettesse il mio ragazzino nella casualità del contatto. A farla breve, in un attimo mi penetrò in figa e senza neanche muoversi mi scaricò una grossa sborrata; vostro padre si svegliò e piantò una grana; per fortuna il dottore gli spiegò che nel sonno ad un ragazzo poteva succedere. Adesso dovrei andare a dirgli che il ragazzo aveva solo fatto finta di dormire.”
“Mamma, credimi, fu una reazione semivolontaria; poi negli anni l’ho rivissuta con grandi seghe; ma quella volta volevo solo stare appiccicato alla tua pelle, della schiena o del culo non importava: l’erezione fu una naturale conseguenza e sborrarti dentro anche. Mi perdoni?”
“No, perché dovevi scoparmi sul serio; Nicla ti aveva già insegnato come si faceva: perché non mi hai scopato quella volta?”
“Non lo so: paura, vergogna, dubbi, esitazione … “
“E adesso da dove aspetti l’invito?”
Resta imbarazzato: non si aspettava da me tanta determinazione; mi viene vicino e mi abbraccia timidamente; devo essere io a prendere l’iniziativa, se voglio che faccia sesso con me.
“Mamma, ceniamo prima o facciamo prima l’amore?”
Nicla è come sempre decisa e diretta; Francesco balbetta.
“Preferisci portarmi subito a letto o vuoi amoreggiare da poeta?”
“Voglio adorarti come meriti, voglio corteggiarti come una ragazzina che incontro per la prima volta e che mi pare troppo esplicita e diretta, per i miei gusti, quasi come mia sorella alla quale assomigli tanto, in questi momenti. Fai portare la cena, fammi conquistare l’amore della mia mamma; poi prometto che non mi fermerò, ma devo vivere il mio sogno integralmente: per favore, non parlatemi di sesso in maniera così brutale.”
Lo stringo con dolcezza al petto; nel movimento, la vestaglia si apre e le sue mani finiscono sui miei fianchi; me le porto sui seni e glieli faccio accarezzare.
“Ti piacciono ancora così tanto le mie tette?”
“Le amo, le sogno, mi masturbo da una vita sognando di succhiarle come allora; hai due tette bellissime; sei tutta bellissima e ti amo, ti amo, ti amo.”
Nicla ha chiamato il negozio e dopo cinque minuti arriva la cena, mentre io e Francesco ci stiamo coprendo di piccoli baci.
“Non riesci a chiamarmi Tina almeno in questi momenti? Mamma suona quasi blasfemo mentre si fa sesso: l’idea dell’incesto mi pesa quanto mi attira l’idea di possederti e di farmi possedere con amore.”
“Io amo la mia mamma; sono innamorato da sempre della mia mamma; se vuoi, diventi Tina anche per me, come lo puoi essere con qualunque estraneo; ma preferisco pensare all’amore di figlio che tracima e diventa passione, sesso, voglia di fondermi con te, desiderio di tornare all’utero da cui sono nato; per questo preferisco sentirti e chiamarti mamma anche quando il cazzo mi diventa duro tra le tue cosce come adesso.”
“Hai ragione: anche io mi sento mamma anche quando la figa mi cola dal piacere di sentire il tuo cazzo. Ti amo.”
“La smettete di fare i fidanzatini di Peynet? Qui si fredda tutto e diventa immangiabile.”
“E se questa sera volessi mangiare solo il cazzo di mio figlio e la figa di mia figlia?”
“Fra noi tre, mi sa di essere l’unica a ragionare ancora un poco: fino a domenica, avrai voglia di mangiare cazzo, figa e altro, dalla bocca sul viso, da quella sul ventre, davanti, e da quella fra le natiche, dietro. E ancora non sai cosa ho in mente! Mangiate le ostriche, intanto: pare che siano fortemente afrodisiache.”
Francesco apre un’ostrica e me la infila in vulva, all’imbocco della vagina, si inginocchia davanti a me e comincia a leccarmi l’interno delle cosce avanzando fino all’ostrica che ingoia di colpo, insieme al flusso di umori che la lunga leccata scatena.
“Ma ti sei depilata interamente!”
Nicla è meravigliata; Francesco la guarda interrogativo.
“Fino a una settimana fa, mamma aveva un pelo lungo e incolto, era unica e stupenda la sua figa col bosco nero che la copriva; io l’ho conosciuta ed assaggiata così.”
“La Spa sa fare miracoli, sai; e mi pare di sentirmi più fresca e più pulita, senza peli.”
Nicla mi obbliga ad alzarmi, mi fa stendere sul tavolo e mi appoggia, in disordine, gamberetti ed ostriche su tutto il ventre; appoggia al centro dell’ombelico l’ostrica più bella; intanto, Francesco si è liberato degli abiti e tira fuori un corpo bellissimo, muscoloso, armonioso su cui svetta un cazzo importante, lungo e grosso, bitorzoluto e pieno di venature che non riesco ancora a toccare, anche se lo vorrei con tutta me stessa.
“Adesso mangiamo la mamma a partire dalla figa, tu a destra e io a sinistra: chi arriva primo all’ostrica sull’ombelico pulendo tuta l’area avrà diritto a scoparsela per primo: senza trucchi e senza inganni.”
“Ma siete pazzi?”
Cerco di obiettare; ma la gara è partita e sento le lingue dei miei figli accarezzarmi il ventre, la culla della loro vita, diretti all’ombelico: sono eccitata al di là di ogni possibilità e quasi piango a pensare ai miei ragazzi che sembrano riprendere possesso di un corpo che sentono appartenergli.
Francesco ha troppa voglia di possedermi come ha sognato per anni e la sua lingua è più calda, nervosa, ansiosa di arrivare alla fine: raggiunge per primo l’ostrica, la ingoia golosamente e viene a baciarmi: è la prima volta che sento la sua lingua penetrarmi in bocca con decisione aperta e matura; mi stimola e mi eccita come mai avrei pensato e sento l’utero contrarsi e fremere, in attesa del suo cazzo.
Quando il ventre è completamente pulito, mi solleva tra le braccia (neppure pensavo che potesse farcela) e mi porta sul letto dove mi deposita con delicatezza; poi mi scivola addosso lievemente e struscia su tutto il mio corpo la sua muscolatura notevole, mi schiaccia i seni coi pettorali e mi bacia; tra le mie cosce, le mani di Nicla scavano nella figa a caccia del clitoride che prende fra le dita e stimola come un piccolo cazzo; poi afferra il cazzo del fratello e guida la cappella fra le grandi labbra; da lì, sono le spinte di Francesco a penetrarmi lentamente: mi limito a sborrare in continuazione, con dolcezza e passione; comincia a montarmi con colpi lenti e lunghi, per prendere e dare tanto piacere.
Nicla è scomparsa per qualche minuto, mentre Francesco mi scopa con amore, mi bacia dappertutto e mi sussurra dolcezze che accentuano la mia lussuria; quando rientra, Nicla impone a suo fratello.
“Cerchiamo di essere paritari; scopala a smorza candela!”
Non capisco, ma loro forse si intendono più di quanto io pensi: lui si rotola sul letto e mi fa montare sopra, indicandomi di poggiare le ginocchia sul letto, di infilarmi il cazzo in figa e di abbassare il busto perché possa succhiarmi le tette o farmi baciare sulla bocca; dietro di me avverto la freschezza del lubrificante come già avevo imparato, ma non so capire a cosa possa servire; Nicla si appoggia alla mia schiena e le sue cosce premono contro le mie natiche; qualcosa di duro spinge contro il mio ano: giro la testa pensando ad un altro personaggio, ma trovo Nicla che mi afferra per i lombi e mi sta inculando.
“Mamma, dopo ti spiego che cosa sto usando. Sappi solo che ti sto chiavando con una protesi, perché voglio possederti insieme e contemporaneamente a Francesco. Te l’avevo detto: domenica sera saremo una sola anima in tre corpi.”
“Non sono così ignorante da non conoscere uno strap on. Fai solo attenzione a non lacerarmi, con quella bestia non hai la sensibilità per capire se la dilatazione è eccessiva.”
“Ignori la mia esperienza e l’amore che ho per te: sono in grado di contare le pieghette del tuo ano e di goderle una per una.”
Mi lascio andare e mi godo la penetrazione doppia in tutto il suo splendore. Mi coglie un dubbio.
“Ma il tuo strap on ha una protuberanza per la tua figa?”
“Non preoccuparti; tra poco sentirai la più intensa, la più lunga, la più grande triplice sborrata che si possa immaginare. Tu pensa a godere la tua, perché la mia è già in arrivo!”
“Anche la mia!”
Affanna Francesco; ed io so bene che sul suo orgasmo il mio scatterà più violento di quel che si aspettano.
Quando avverto nell’utero lo spruzzo di Francesco che sta urlando di piacere, esplodo con una violenza incredibile e il mio corpo sussulta e si agita come tarantolato, mentre scarico fiotti di piacere sul cazzo e tra le cosce: Nicla raggiunge il suo orgasmo contemporaneamente a noi e le sue spinte nel culo si fanno possenti, persino feroci; li sento sussurrare, mormorare, implorare ‘mamma ti amo’ come non li avevo sentiti tutta la vita e li abbraccio tutti e due, con tutto il corpo, urlando a mia volta il mio infinito amore per tutti e due, fisico e spirituale.
Con molta lentezza, Nicla esce dal culo violentato ed io mi sgancio da Francesco, che continua a trattenermi sul suo ventre, anche se il cazzo tende a scivolare fuori; ci sdraiamo sul letto, pacificati; poi decidiamo di tornare a tavola per mangiare ancora qualcosa, possibilmente senza molte digressioni, ma solo scambiandoci baci e carezze.
“Mamma, quando avrai voglia di scopare, chiama me prima di ricorrere a chiunque altro; ti ho amato da sempre e voglio essere sempre il primo per te.
Mi dice Francesco e lo fulmino con uno sguardo. Chiedo poi a Nicla.
“Ti accorgi di come mi stai depravando?”
“Se non te la senti, la porta è aperta. Se invece stai comprendendo che c’è anche un altro modo di amare i figli e di vivere l’amore e il sesso, allora non stare a lamentarti: non ho udito grida di dolore poco fa, ma solo di gioia e d’amore; io so che non ti ho mai amato come questa sera: e ti ho amato come madre, come fattrice e come donna, col cuore, con la testa e con tutto il corpo. Non credo si possa amare di più e, ti ripeto, in questa ‘vacanza d’amore’ mi piacerebbe che arrivassimo a scoprirci e a riconoscerci fino in fondo, come familiari ma soprattutto come persone. La mia proposta rimane la stessa: fare l’amore fino a domenica sera, poi verificare.”
“Adesso, cara Nicla, mi stai a sentire e stai zitta, assolutamente zitta! Per quanto sforzi la memoria, non trovo un episodio, un caso, un momento in cui io o tuo padre abbiamo autorizzato o vietato un vostro comportamento o interferito con le vostre vite: tu si diventata una troietta sfrenata e tuo fratello un puttaniere; il vostro sistema di vita amorosa è entrare in un pub, in un locale, in una discoteca, agganciare il primo cazzo o la prima figa e scopare per una notte intera. Ma non ci siamo mai permessi di giudicarvi; voi invece salite sul pulpito e ci condannate, me come bigotta e tuo padre come puttaniere, pur essendo peggio di lui. Di fatto siete, e tu particolarmente, arroganti, supponenti e tirannici: chi non la pensa come voi, prenda la porta, come mi hai detto or ora. E intanto vivete da parassiti. E’ vero che io non sapevo molte cose; ma se credi che sia una povera imbecille, sei fuori strada: se arrivo a dare lavoro ai tuoi amici, è perché ho testa ed ho saputo lavorare, qualità che a te manca. Ignoro tante cose ed ho l’umiltà di riconoscerlo e di chiedere aiuto. Ma per arrivare a pensare di dominarmi, ce ne vuole. Ti ho voluto credere quando mi hai detto che innamorarmi per una notte era ragionevole, ma sapevo che stavi solo esibendo la tua forza di persuasione; sono stata felice di trasgredire e in parte mi hai spinto, ma se non ci fosse stata la mia volontà, col cazzo che mi obbligavi. Ho ceduto per amore tuo, anche quando hai portato le notti da una a tre, con mia somma gioia, lo ammetto. Quando il francese mi ha buttato giù, mi sono attaccata a te perché sentivo l’impulso ad amare fisicamente mia figlia: tu sei venuta a letto con me facendoti accompagnare dai tuoi bulletti e mi avete sbattuta per bene; ho anche goduto molto, ma ho capito che tu scopavi, non facevi l’amore con me. Quando ti ho detto che volevo farmi raccontare, solo raccontare da Francesco il suo amore, ci hai pensato tu ad alzare il tiro e mi avete sbattuto come una pietanza o come un tappetino, tutti e due senza amore: è inutile blaterare di amore; io di quello sono molto più esperta di voi, perché lo vivo da ragazzina e lo sento quando un cazzo mi entra in figa o una lingua nella vagina. Mi avete scopato tanto, in maniera tecnicamente perfetta, ma non ho sentito l’amore che proclamate. Ora mi chiedi di passare tre giorni in appartamento, a farmi trattare ancora come uno zerbino per il vostro sesso. Non ci sto. Io domani esco e vado a fare shopping: l’amore si verifica anche in questi gesti quotidiani, quando confronti i gusti e le volontà. Se volete stare in casa, buon pro vi faccia; se me lo anticipate adesso, io mi risparmio anche una notte senza amore. Caro Francesco, mi hai offeso gravemente; io non ho una voglia astratta di scopare e non chiamo chiunque a sbattermi. Ho scopato col francese perché me ne sono innamorata, su consiglio di Nicla, per quelle sole notti, ma ne ero innamorata; ho cercato di fare l’amore con Nicla che amo alla follia; e lei mi ha indotto a scopare anche coi suoi amici, senza darmi l’amore che chiedevo; mi sono fatta sbattere come un tappeto da voi, perché volevo il tuo amore e mi avete dato solo sesso. Io faccio l’amore con chi almeno un poco mi dimostra amore, non corro come te a caccia della prima figa, o del primo cazzo, tanto per farmi grattare: se mi sale la voglia, è di quella persona, di quel cazzo, non di qualunque altro; se mi saltasse la voglia (e spero che succeda) di fare ancora l’amore con te, fare l’amore imprimitelo bene in testa: non scopare o far sesso, ma fare l’amore; se dovesse succedere, ti chiamerò perché amo e voglio te, non perché uno vale l’altro. Ti è chiaro che, per la mia cultura, mi hai offeso gravemente?”
“Mamma, sai che c’è di nuovo? Vattelo a cercare questo amore; io so dare la figa e prendermi il cazzo: delle altre stronzate più o meno romantiche faccio a meno volentieri.”
La frase di Nicla mi uccide; sento che è consonante con suo fratello; quindi divento una belva.
“Bene, siete come vostro padre e come lui vi tratterò. Tu, ragazza, dal mese prossimo ti metti a lavorare, perché la pacchia dell’assegno finisce e, se devi, puoi anche scopare a pagamento: a me non fa specie; a te credo costi poco. Se vuoi, conosco una buona agenzia di escort della quale mi servo e che mi farebbero il favore di metterti alla prova. Tu, giovanotto, vedrai un notevole taglio: ti passerò l’essenziale per arrivare alla laurea, poi il lavoro te lo cercherai anche tu. Visto che ti piace esibire il tuo potere nel sesso, lascia che io esprima il mio nell’economia. Buona notte e buon fine settimana.”
Li lascio interdetti e vado in bagno, mi infilo sotto la doccia; quando esco, mi rivesto interamente e mi avvio ad andarmene; non dicono una parola e mi rendo conto che la comunicazione non c’è più, se mai è esistita; vedo male, perché ho gli occhi pieni di lacrime.
Mentre entro in ascensore, squilla il telefonino; accendo speranzosa che siano già pentiti e trovo un’indicazione strana, Carlo; chiedo che cosa voglia.
“Scusami, ho trovato il numero ma non il nome. Ti dispiace dire chi sei?”
“Tina ti dice qualcosa?”
“Oh, signora, mi perdoni: è vero che lei mi aveva dato il numero …”
“Scusa, ma non si era detto che in privato ero Tina e mi davi del tu?
“Vale anche adesso che lei è la padrona della fabbrica dove lavoro?”
“Una cosa o vale o non vale; per me, in privato, sei il Carlo che proclama di amarmi; in fabbrica, sei l’impiegato e guai se sgarri. Dove sei?”
“Sono al Duomo; e tu?”
“A casa di Nicla; sei vicino; se vieni, ho bisogno di un amico o di una spalla asciutta o, meglio ancora, di un uomo innamorato: se non ricordo m,ale, avevi detto che nel caso … ”
“Vengo immediatamente; stanotte sono il tuo cavalier servente innamorato della castellana.
“Mi piace l’immagine. Ti aspetto”
“Ma io sono già qui.”
Mi piomba alle spalle; deve aver fatto di volata il tratto.
“Dove andiamo?”
Prima di rispondere chiamo Pasquale al telefonino; mi risponde in un frastuono infinito; è fuori, con amiche e non tornerà a casa stanotte; gli dispiace che non mi fermo da Nicla ma non può farci niente; decido di portarmi Carlo a casa e di scoparmelo nella camera degli ospiti, dove mio marito non entra mai.
Dopo dieci minuti, siamo sul letto della camera; sono stata spietatamente sincera: ho rotto coi miei figli ed ho bisogno di qualcuno che mi ami, anche solo per una notte; ho sentito che si è detto innamorato di me ed è la persona più vicina all’amore che oggi esiste intorno a me: oltretutto, abbiamo già scopato (fatto l’amore, mi corregge, perché quella sera lui mi ha amato davvero ed ha sentito che non era solo ginnastica, la mia) e questo rende anche più facile, nonostante il peso, per me, di farlo nella casa mia e di Pasquale che, a questo punto, merita di essere messo in un fascio coi figli e trattato a pesci in faccia; Carlo avverte sua madre che non tornerà; poi cerca di convincermi che non è necessario copulare, se il problema è tutto mentale e di cuore: possiamo parlare finché ne ho bisogno ed anche piangere sulla sua spalla, se mi fa bene, senza necessariamente fare ginnastica sessuale.
“Per questo, voglio che facciamo l’amore, e che me ne faccia fare tanto e alla grande; so che non è né bello né razionale, ma ho bisogno di essere amata; poi deciderò se accantonarti e dimenticare o farti diventare il giovane amante segreto. Per ora, amami fino a che puoi o fino a che io reggo.”
C’è amore, nel bacio con cui mi prende e mi soffoca tra le sue braccia; è giovane e forte e mi piace abbandonarmi a lui con la certezza che non mi farà cadere in depressione; mi sommerge di piccoli baci su tutto il volto, con la delicatezza di un bambino e la forza di un uomo, soprattutto per la potenza del membro che sento crescermi tra le cosce, da sotto ai vestiti suoi e da sopra quelli miei; ho bisogno di lasciarmi andare e me ne sto ferma mentre mi spoglia delicatamente e mi bacia su tutto il corpo.
Niente a che vedere con la ferocia dei miei figli mentre mi scopavano con sapiente tecnica amorosa: questo, se non è amore vero, ci va molto vicino; e l’ansimare, lo sbavare continuo mentre mi lecca, la tenerezza dei piccoli morsi, la dolcezza dello sguardo mentre ammira il mio corpo che già conosce ma che adora come la prima volta, perché è la prima volta che mi ha tutta per lui: tutto, insomma, mi suggerisce che è molto vicino all’amore e, inevitabilmente, comincio a sentire di amarlo anche io.
Mi piego a sfilargli pantaloni e slip; afferro il cazzo, di cui avevo vaga memoria e che ora mi si propone in tutta la suo possanza, e lo ingoio da affamata, fino a farmi dolere il palato, fino a sentirmi quasi soffocare, fino a resistere a conati di vomito: lo voglio tutto, dentro l’esofago, fino alle palle; e lo succhio come un caramello meraviglioso.
Si ricorda della volta precedente e mi sussurra.
“Devo frenarmi?”
“Guai a te se non mi fai godere prima di te!”
Mi solleva per le ascelle, mi fa sedere sul bordo del letto, mi spoglia e si abbassa fra le mie cosce.
E’ un viaggio in paradiso, per me, quello che lui fa tra le mie cosce fino alla figa: quando la scopre depilata, sento che sorride anche se non può muovere la bocca impegnata a leccare; poi mi dirà che la preferiva pelosa, più unica e distintiva; intanto mi succhia il clitoride e mi provoca degli spasmi continui che culminano in una grande sborrata; cominciamo a fare l’amore davvero; io stessa gli chiedo di penetrarmi in figa con tutta la dolce violenza che il suo amore gli suggerisce e gli chiedo di sborrare una prima volta, di farmi sentire il suo seme esplodere nell’utero insieme al mio orgasmo; rilassandoci, ci mettiamo a 69 ed io riprendo a succhiare il cazzo che in breve riprende il suo vigore e la sua stazza.
“Inculami, ti prego.”
Non aspettava altro: riprende a montarmi in figa, ma a pecorina con una penetrazione più dura e più lenta, per farmi sentire il cazzo dalla vulva alla cervice dell’utero; intanto lubrifica con la saliva e con i miei umori il buco del culo che cede dolcemente e si apre alla penetrazione; ho in borsa una crema che mi ero portata per ogni evenienza, gliela passo e mi lubrifica anche il canale rettale inserendo due dita e ruotandole; poi mi chiede scusa e accosta la cappella, spinge un poco e la sentiamo penetrare; tutti e due sembriamo seguire con i tessuti dei sessi il progresso dell’asta nelle viscere e i dolci incoraggiamenti che mi sussurra aiutano a godere al massimo della penetrazione; quando l’asta arriva in fondo, si ferma e si appoggia sulla mia schiena; sento il ventre che assorbe dolcemente l’ingombro.
“Riesci a farmi ruotare per averti di faccia?”
“O devo uscire per rientrare, con qualche fastidio, o dobbiamo muoverci come contorsionisti per arrivare a farlo.”
Gli dico di sfilarlo di rimettermelo dentro: voglio guardarlo in viso mentre mi concedo al suo amore, che adesso mi splende veramente davanti agli occhi; esce il più delicatamente possibile, mi ruota, si mette i piedi intorno al collo e penetra nel buco spalancato davanti al suo cazzo: passa più agevolmente di quanto mi aspettassi: riporta i piedi sul lenzuolo, mi fa leggermente divaricare e, col cazzo piantato nel culo, scende a baciarmi prima i capezzoli e poi le labbra; lo abbraccio con foga da ragazzina innamorata; lo sente e mi ricambia con decine di piccoli baci d’amore.
“Non uscire finché non sei venuto. Sai che in questo momento ti amo davvero?”
“Io continuo ad amarti; di più, credo che non si può.”
“Lunedì affronteremo i problemi che questo amore ci propone; per ora, portami in paradiso.”
E il paradiso per lo meno lo sfioro mentre mi monta con forza nel culo finché esplode con furia ed io con lui con gemiti ed urli innaturali; passiamo così tutta la notte, concedendoci solo qualche intervallo di sonno ogni tanto, puntualmente interrotto da quello dei due che, più eccitato, chiede un nuovo amplesso.
Quando è l’ora in cui potrebbe rientrare Pasquale, ci laviamo sotto la doccia, tra baci, palpate e carezze infinite, e gli chiedo se se la sente di passare ancora con me il sabato e parte della domenica.
“Io spero anche tutta la vita. Fammi solo andare a cambiare almeno l’intimo.”
L’accompagno a casa e attendo fuori l’inizio della mia nuova avventura d’amore.
La decisione di passare con Carlo il fine settimana mi esalta più del lecito: stavolta si tratta di una vera trasgressione, di un tradimento che va anche al di là delle stupide imprese di Pasquale con le ragazzine sempre nuove che, nonostante gli acciacchi, continua a cercare in ogni dove; in qualche modo, la mia è una prima vera fuga da tutto, anche dai figli.
Quando torna da me, dopo aver salutato la madre, gli chiedo dove pensa di andare e allarga le braccia: bisognerebbe sapere quali sono le nostre intenzioni; un posto per innamorati, gli dico subito, con un ristorante possibilmente tipico e un albergo discreto dove amarci pienamente e liberamente.
Mi accenna ad un paesino di pedemontana dove c’è un laghetto semiartificiale, insomma un posto dove alcuni amici si sono trovati meravigliosamente e che, per fortuna, non dista molto, solo una trentina di chilometri.
Prima di andare al lago, confesso una mia idea: gli dico che , prima della sfuriata, avevo pensato di andare coi miei figli a fare un giro di shopping al centro; di fronte alla sua faccia meravigliata, devo spiegargli che per la mia attività non riesco ad andarmi a comprare nemmeno le calze o le mutande, che devo acquistare tutto su catalogo e per corrispondenza o, in casi particolari, affidarmi a una segretaria che lo faccia per me; quasi per giustificarmi, gli chiarisco che anche per questo ero arrivata così tardi a ‘scoprire’ l’esistenza di slip, perizoma, tanga e brasiliane: vista la mia lentezza ad approdare a certe cose, forse è già superato l’intimo che indosso.
Sorride, naturalmente, ma con la bontà che dimostra sempre mi dice che è sufficiente visitare un centro commerciale, che per fortuna è di strada e mi posso sbizzarrire; ma mi precisa.
“Non è vero shopping perché non sono negozi di lusso, ma locali popolari dove corre la gente media.”
“Amore mio (oggi me lo permetto; oggi sei l’amore mio), io posso mandare una ragazza ad una sfilata di mode e farmi mandare a casa il capo che lei ha fotografato e mi ha mandato col telefonino; posso acquistare un negozio di lusso per avere una borsa: non voglio fare shopping di lusso, quello di Nicla, per intenderci; voglio girare tra i banconi e, nel caso, provare i capi.”
“Se scegli l’intimo, voglio verificare le prove in camerino.”
“Ma se ero nuda con te due ore fa?!”
“E vuoi mettere il gusto di guardare la faccia dei presenti quando mi apparto con una bellissima per ammirare in privato il suo intimo?”
“Insomma, vuoi esibirti?”
“No, sto scherzando; ma sono sicuro che ti divertirai anche tu.”
Il primo negozio che visitiamo è proprio di intimo, molto elegante e particolare; e, quasi per un destino fatale, la scena è quella che ha anticipato Carlo, scelgo un combinato brasiliana e reggiseno, davvero un po’ arditi, in verità; la ragazza al banco mi guarda ammirata e commenta che me lo posso permettere, col mio fisico; Carlo dice qualcosa sul colore e sul fruscio del materiale che dà il senso di una sua specifica competenza; la ragazza obietta che è proprio ideale per l’incarnato ‘della tua ragazza’; Carlo, stranamente, la riprende, ma per quel ‘tua’ che non accetta e non per il commento.
“Tina non è mia né di nessun altro; è solo una persona meravigliosa, come te che non devi sentirti di nessuno, se non di te stessa.”
“Hai ragione: è stato un mio lapsus; sai, l’abitudine; come preferisci che dica?”
“Tina è solo il mio amore.”
“Allora il tuo amore è così bella che può indossare qualunque cosa, le pietre della strada si gireranno a guardarla.”
Chiedo di provare la combinazione; me la consegna e mi indica uno sgabuzzino di compensato con un grande specchio dove mi spoglio nuda e indosso i due pezzi: mi trovo favolosa; chiedo a Carlo se può venire a verificare: in pratica, faccio il gioco che aveva minacciato e mi ci diverto pure; entra e si blocca sbalordito, ma non per finta.
“Sei straordinaria; e non solo per la combinazione che sembra disegnata apposta per te, ma perché tu sei immensamente bella e desiderabile.”
“Non fare lo stronzo: entra e chiudi bene quella tenda.”
Entra e mi abbraccia con foga: l’avverto che se ci spingiamo troppoavanti, io rischio di rovinare la brasiliana con il flusso di umori e lui non può più uscire per l’evidente erezione; ridiamo come scemi e lui esce, ma una piccola folla ha tempo per vedere di sfuggita il mio corpo seminudo; si leva un mormorio vivace.
Esco indossando gli indumenti; li pago e metto in una borsa quelli di prima; a Carlo, che con gli occhi mi chiede perché, dico.
“Li hai scelti tu, piacciono a te, li indosso per te.”
Mi bacia delicatamente sulla guancia e sento tanto amore sprizzare dagli occhi.
Compriamo altre cose e dovunque mi ammirano per la mia bellezza; non mi capita spesso di essere oggetto di tanti complimenti, anche perché non ho una gran vita fuori della fabbrica; e vedo Carlo quasi orgoglioso delle frasi di adulazione che rivolgono a me, quasi fosse lui ad avere il merito della mia bellezza; ma questa mattina, almeno quello della gioia che forse mi fa più bella ce l’ha solo lui.
Mi deve strappare a quel pellegrinaggio strano tra i negozi: fosse per me, ci perderei la settimana; ma se vogliamo andare a pranzo al lago, bisogna muoversi.
Filiamo via velocemente, non c’è traffico su quella strada provinciale e in mezz’ora siamo sul posto, banalmente pittoresco, raccolto e silenzioso, con il laghetto e le montagne che vi si specchiano: un posto non da favola, ma da innamorati, come testimoniano le coppie che, numerose, si fanno ritratti e selfie sullo sfondo del lago; Carlo mi guarda furbetto e mi fa.
“Sarebbe troppo impegnativo il selfie per noi due?”
“Non credo proprio. Se e quando scoppierà lo scandalo, ci vorrà ben altro per dimostrare che questa gita è stato un grave tradimento.”
“Se parli di scandalo, devo ritenere che sarò il tuo giovane amante segreto?”
“Ti sta bene o ti va stretto?”
“Ti amo, dovunque mi sistemi ti amerò. Cercherò di esserti anche fedele, ma non posso prometterlo, specie se dovrò stare nell’ombra per lunghi periodi. Ma l’intensità del mio amore non potrà scalfirla niente.”
“So che stiamo costeggiando un burrone; ma stavolta il desiderio di amore è più forte della paura. Spero solo che non sarai la mia prossima delusione.
“E’ perfettamente inutile giurare ed anche solo parlarne; sono qui, sono tuo, anche se ho protestato contro quel possessivo, puoi farmi quello che vuoi e chiedermi la luna. Quanto durerà? Certamente non fino a una moglie megera. Forse tutta una vita. Chissà! Voglio farti ascoltare una canzone popolare spagnola: il testo è riferito a una donna matura che parla a un giovane nella sua giovinezza che lei ha amato e che sta per lasciarla … “
“Conosci ‘una noche mas’?”
“la conosci anche tu?”
“Già; e qui dovrei essere io ad elemosinare da te una notte in più, una bugia in più … “
“E invece sarò io, certamente, perché tu non potrai sottrarti ai doveri della famiglia e mi chiederai di farmi da parte.”
“Ti ho avvisato che non lascio mio marito.”
“Non mi preoccupa lui; ma i tuoi figli si, sono carogne autentiche, tu non li conosci ancora, ma temo che ti scontrerai e forse ci faremo anche male.”
“Quanto pensi che si possa dover lottare per conquistare una fabbrica e difenderla dagli avvoltoi? Io lo faccio tutti i giorni; se questa larva d’amore che stiamo coccolando anche con reggiseni e brasiliane dovesse diventare una torre da difendere, sappi che non temo nemici e non ho pietà: per il mio amore sacrifico tutti, anche i figli che mi hanno spezzato il cuore. Adesso facciamoci un selfie e andiamo a mangiare!”
Ci scattiamo un’istantanea col telefonino e la guardiamo subito, per scoprire il fascino di un grande amore dietro la luce negli occhi, nel viso, nello sguardo; ci sediamo a tavola e mangiamo con gusto pietanze tipiche affascinanti; al momento di pagare, un’ombra attraversa il viso di Carlo.
“Amore, è un dato di fatto: io sono quella che ha i soldi e sono felice di pagare, un reggiseno bello che tu hai scelto per me ed ammirato per primo, oppure un pranzo meraviglioso consumato amorevolmente in un ambiente da veri innamorati. Ti prego di non farti problemi; non mi stai sfruttando e caverò gli occhi a chiunque lo insinui!”
Ho già avvisato per la camera e il cameriere mi porta la chiave, insieme al conto; gli consegno una carta di credito e dico di pagare da lì tutto quello che ci competerà; prendo Carlo sottobraccio e mi avvio alla porta dell’hotel.
“Vuoi riposare o fare l’amore?”
“Voglio fare l’amore, ma a modo mio che sono certo sarà anche il tuo.”
Entriamo nella camera e Carlo si spoglia da una parte del letto, io dall’altra; sistemiamo gli abiti ordinatamente e ci stendiamo sul letto di vecchio stile con testiera in ferro; stiamo per un po’ a guardare il soffitto, poi mi giro verso di lui e lo guardo per capire cosa vuol fare; mi prende per un braccio, mi tira a sé, mi abbraccia e mi fa accoccolare contro di lui, rannicchiata in posizione fetale.
“Per un poco voglio fare l’amore così, ascoltare il calore del tuo corpo vicino al mio, abbracciarti e toccarti dappertutto tranne che su punti erogeni, voglio comunicarti tutto il bene che ti voglio, attraverso la pelle a contatto con la tua, senza nessuna necessità di entrarti dentro o di stimolare la tua sessualità; fra poco potremo anche accarezzarci sensualmente e cominciare ad amarci con tutto il corpo; per ora voglio stare così, come questo posto, in bellezza e dolcezza assoluta, silenziosa.”
“Ti amo. Posso baciarti?”
“Ti amo. Posso accarezzarti tutta?”
Ci scateniamo all’improvviso come due ragazzini in tempesta ormonale: le sue mani corrono sulla mia pelle e la carezzano lievemente nei punti più segreti, più nascosti; mi bacia sotto le ascelle, dietro le ginocchia, sotto le natiche, sulle spalle, lungo la spina dorsale; poi mi sale addosso e si distende completamente su di me facendo coincidere ossa muscoli e ghiandole; ho provato quasi vergogna mentre mi baciava punti che nessuno mai prende in considerazione, ascelle, ginocchia e dita dei piedi; e mi sento stranamente veleggiare mentre verifico le distanze tra il suo corpo e il mio, mani, gambe, fianchi, ventre, ombelico, torace e viso; ha un modo di amare, quest’uomo (questo ragazzo, forse) che mi sconvolge e rischia di farmi sentire sempre più innamorata; lo ribalto a forza, lo pianto sul letto e mi impalo sul cazzo che ha sempre tenuto immobile tra le mie cosce.
“Ti amo, Carlo. Scopami, fammi fare sesso, amami, fammi fare l’amore; fai tutto quello che sai per farmi sfiorare il paradiso; l’inferno lo troveremo a casa, dopo. Ora siamo solo io, tu e il nostro amore. Non avrei mai pensato di arrivare a tanto; eppure ci sono e non nessuna voglia di tornare indietro: fammi sentire il tuo amore in tutto il corpo!”
Ci eravamo ripromessi di limitarci ad amarci dolcemente, senza aggressività, solo ascoltando il calore del corpo dell’altro; passiamo l’intero pomeriggio a letto, senza uscire un attimo nemmeno al balcone; Carlo deve fare appello a tutta la sua esperienza di amante, che non è stata nemmeno tanto piccola, per farmi attraversare tutto il noto e l’ignoto del sesso e mettere in pratica tutte le alternative possibili alla penetrazione in figa: ogni volta quasi mi spavento di fronte alle nuove proposte; ed ogni volta mi scopro a desiderare di ripeterle: nel mio delirio di innamorata, attribuisco questa mia adesione entusiastica alla dolcezza di lui; e più volte deve ricordarmi che le cose non vengono fuori se non le abbiamo dentro.
Quando gli chiedo perché non siamo riusciti a restare al di qua del sesso, dentro il nostro amore puro, irreale, astratto, mi ha spiegato che, come è disumana l’idea stessa del sesso senza amore che molti giovani sostengono (tra i cui i miei figli), allo stesso modo è improponibile l’amore senza sesso, come d’altronde si legge già nei classici per i quali ogni cosa perfetta è fatta di materia e spirito insieme.
“L’amore troppo spirituale diventa letteratura; se si carica di sesso, di materialità, diventa umano: per questo, mentre ti proponevo un amore etereo, ideale, in certo modo astratto, sapevo che i corpi mi avrebbero sconfessato e cercato la fisicità che rende vivo l’amore.
“A questo punto, cominci a farmi rabbia tu e mi odio io per aver sacrificato la tua cultura alla fabbrica!”
“Amore, mia madre ha bisogno del mio aiuto; io ti ho chiesto di farmi assumere; anzi, per mia fortuna te lo ha chiesto Nicla che adesso rimpiangerà di averci fatto conoscere; lei sapeva che sono in pessime acque e che mamma fa sforzi enormi per rimanere a galla. Anche per questo il nostro amore è un assurdo: come minimo, penseranno che recito il Romeo per farmi foraggiare e risolvere i miei problemi economici. Ma io, oltre a vergognarmi quando vedo che devi pagare sempre tu; ti avverto che se solo ti azzardi ad offrirmi un centesimo, giuro che ti cancello dalla mia vita.”
“Cosa succederà se un giorno incontro tua madre?”
“Succederà che scopri che c’è una donna che mi adora come tu non potrai mai fare e che sta consumando i suoi giorni aspettando che io trovi il mio posto nel mondo.”
“Quello, a sentire i tuoi capi, ce l’hai già per le tue qualità e per i tuoi meriti, senza doverti scopare la padrona. Oltre a scoprire che ti ama alla follia, cosa devo aspettarmi da una donna a cui rischio di rubare il figlio prezioso?”
“Troverai un vecchia che ha la tua età e il fisico di tua nonna, perché si è logorata tutta una vita; troverai la saggezza e l’equilibrio in una persona che non perde mai la calma e che ha sopportato con pazienza tutti i colpi della vita. Troverai l’unica persona che può essere mia madre, ti assicuro.”
“Io spero proprio di incontrarla, prima o poi, e comunque si evolverà la storia del nostro amore.”
Il week end si consuma in un autentica sarabanda di suoni, di colori, di corpi che si intrecciano, di sesso che esplode da tutte le parti del corpo; nella notte di sabato, mancano solo i fuochi di artificio che però noi sentiamo e crediamo di vedere mentre ci amiamo come bestie allo stato brado che sfruttano le poche ore dell’estro della femmina per accoppiarsi quante più volte è possibile; scopiamo come se non ci dovesse essere un domani e veramente rischiamo di restarci per un infarto, alcune volte.
Poi anche la ‘bella vacanza’, come tutte le cose, finisce e rientriamo ciascuno a casa sua; trovo Pasquale mezzo intontito dall’alcool che si rivolta in bagno nel suo stesso vomito; mi chiedo perché non decido di lasciare persone così squallide come lui e i nostri figli per costruirmi una nuova vita altrove, in un’isola ai Caraibi, per esempio; ma poi ci rifletto e capisco che è solo l’impietoso confronto che mi rende tanto insofferente; quando mi sarò calmata, anche il tasso della mia pazienza sarà più alto.
E’ passato quasi un anno dalla mia vacanza sul lago: io non ho lasciato Pasquale anche se diventa più insistente la domanda ‘perché non ti decidi’, di fronte alle miserie di cui si rende protagonista; Nicla ha trovato lavoro in un’azienda concorrente alla mia (naturalmente, me l’aspettavo); Francesco si lamenta con suo padre che i soldi non gli bastano, ma non mi ha più rivolto la parola, come sua sorella; Carlo è il mio giovane amante sempre meno segreto, visto che ormai in tutte le fabbriche che dipendono da me ogni operaio, ogni impiegato sanno con esattezza dove quando e come ci incontriamo per fare l’amore e nessuno trova checché da ridire, anche perché professionalmente lui è impeccabile e dimostra ogni giorno di più di meritare il ruolo che svolge.
L’aria di crisi che avanza ingombra ormai tutti gli spazi di attività e diventa sempre più difficile tenere insieme una struttura che si fonda su piccole unità consociate; le richieste di assorbimento e di ristrutturazione si fanno pressanti e comincio a temere che dovrò cedere; su consiglio subdolo dei miei legali, comincio ad accumulare in banche offshore capitali per assicurarmi una buona vecchiaia, se la crisi dovesse prendermi alla gola: so che non è corretto e forse è anche disonesto; ma à la guerre comme à la guerre e cerco comunque di salvare il culo: forse, la soluzione meno dolorosa sarà cedere tutto ad una multinazionale, quanto meno per appianare i debiti e forse per garantire l’occupazione.
L’episodio più duro, però, in quel frangente, è la morte della mamma di Carlo, stroncata dalle fatiche di tanti anni di stenti, proprio quando il figlio sarebbe stato in grado di garantirle la vecchiaia; la notizie mi coglie tra capo e collo e mi stronca, per un momento; chiamo Carlo e gli chiedo come sta; sta male, inutile dirlo specialmente a me che so quanto amore avesse per lei, certo più che a me; mi precipito a casa sua e lo trovo circondato dagli amici, perfino i miei figli; appena mi vede, lascia tutti con uno strattone e mi si precipita in braccio; lo bacio con tutto l’amore che provo e che sento di dovergli; lo accarezzo a lungo sulla testa che ha appoggiato sulla mia spalla mentre piange.
“Amore, so che non è il momento, ma devo dirtelo. Non ce la faccio più senza di te. Ora che tua mamma non c’è, non hai scuse; noi andiamo a ricostruirci una vita da un’altra parte, in Svizzera per esempio, così potrai venire spesso a farle visita al cimitero. Ma adesso ti voglio tutto per me e, se mi ami, devi venir via con me.”
“Tina, lasciami sfogare il dolore, abbi pazienza qualche giorno; poi andremo via insieme e, stavolta, in barba alla filosofia libertaria, tu sarai solo mia ed io sarò solo tuo, per sempre. Ti amo, Tina; e so che mamma mi approverebbe.”
“Anche io ti amo, con tutto il cuore.”
Lo lascio andare e sento che Nicla borbotta qualche cosa, ma non mi curo di capire.
La guerra è solo agli inizi e già i colpi arrivano pesanti da ogni parte; comincio dal lavoro e mi organizzo per la cessione ad una multinazionale, operazione che richiede tempo, astuzia, delicatezza e segretezza: nessuno deve sapere niente fino alla firma dei protocolli, per evitare manifestazioni di protesta, interventi dall’alto e cose simili; ma devo difendermi anche dai miei perché alcune avvisaglie mi dicono che mirano ad attaccare il patrimonio mio personale, ignari che da qualche mese è già al sicuro nel caveau di una banca svizzera; e devo badare anche alle malelingue che cominciano a far serpeggiare strane, malefiche notizie tese a disturbare i rapporti tra me e Carlo: non escludo che dietro ci sia lo zampino di Nicla e telefono a Carlo per metterlo sull’avviso; mi rassicura e mi dice che fra due giorni, se voglio, posso dare il via alla nostra fuga: ha deciso e viene a vivere con me, con la speranza di restarci per sempre.
Mesi di estenuanti trattative hanno portato vicino all’esito favorevole della cessione dell’Azienda ad una multinazionale ma mi rendo conto che tutta la pratica mi ha decisamente debilitata, esaurendo tutte le mie energie; avrei urgente bisogno di riposarmi, quando mi arriva la telefonata di Pasquale che mi invita a un colloquio chiarificatore in casa a cui parteciperanno anche i nostri figli; gli rispondo piccata che in quella casa io ci vivo da sola da anni ormai, visto che lui passa le notti nei locali più malfamati della città ed i figli non ricordano neppure più l’indirizzo; comunque, ci sarò anch’io, in buona compagnia; avverto il capo dell’ufficio legale e gli chiedo di essere presente alla riunione; chiedo a Carlo se se la sente di essere con me all’ultimo atto della sceneggiata familiare; naturalmente, accetta: è molto più combattivo di quello che credevo, il mio giovane amore!
Passo la mattinata a studiare con l’avvocato le possibili soluzioni della vertenza e concordiamo il piano d’azione; nel pomeriggio, assemblea generale del personale al quale viene comunicata la cessione dell’Azienda alla Multinazionale, fatti salvi i livelli occupazionali, i quadri e le remunerazioni; per buona sorte, tutti dichiarano che l’accordo è conveniente e risolutivo; naturalmente, l’unica che perde ruolo e posto sono io, ma era tutto calcolato nella mia strategia; quando se ne rende conto, Carlo mi guarda sorpreso: gli faccio cenno di avvicinarsi e gli sussurro.
“Tra qualche giorno partiamo per Lugano; ho già preso una casa. In fondo ci perdo la liquidazione perché su quella gli avvoltoi si lanceranno, ma dovranno accontentarsi. Non preoccuparti e fidati.”
“Tina, io non sono disposto a fare il mantenuto, né in Italia né in Svizzera né in capo al mondo.”
“Evidentemente, non è vero che il cavalier servente è disposto a tutto per la gentil donzella: c’è sempre qualcosa al di sopra dei suoi limiti.”
“Ti prego, amore, non ricattarmi così!”
“Stupido! Che ricatti?!?! A Lugano stanno già svolgendo le pratiche per aprire una mia piccola attività; tu, per non essere ancora mio subalterno, hai un colloquio fissato con un’altra industria: sei così bravo che potranno solo prenderti. Così non dipenderai da me e potrai lasciarmi quando vorrai.”
“Ma che storie vai dicendo?”
“No, amore, non sono storie. In questa vicenda chi rischia tutto sono io. In Svizzera, se tu decidessi di lasciarmi, mi troverei senza famiglia, senza affetti e sola col mio lavoro. Ma io so che non mi lascerai o forse lo spero tanto che ne sono convinta; e se anche dovesse succedere, credo che resterò abbastanza combattiva almeno per molti anni a venire. Adesso cerchiamo di pensare alla grande battaglia che ci aspetta. Sei sicuro di voler essere al centro dello scontro?”
“Si; forse hai la sensazione di una mia debolezza, ma è solo sensazione. Il mio amore per te è saldo e convinto più del primo giorno; se c’è da lottare, lo faremo, insieme, con ogni energia; e stai certa che, se non ci uccidono fisicamente, non vinceranno.”
Alle due del pomeriggio faccio un ultimo giro per salutare i collaboratori più stretti e lascio definitivamente il mio ufficio, accompagnata dalle lacrime di qualche segretaria; all’ingresso mi aspetta Carlo che mi chiede cosa voglio fare; l’appuntamento con i miei è alle cinque, ma so che la casa è vuota: gli propongo di andare a imboscarci nella camera degli ospiti, dove già siamo stati una volta; per lui va benissimo; saliamo in macchina ed in una mezz’oretta sono a casa mia e andiamo direttamente nella camera degli ospiti; mi vado a sedere sul letto e gli tendo le braccia: capisce che voglio amore; chiude a chiave la porta, mi viene vicino e si siede accanto a me; sappiamo tutti e due che mi addolora profondamente quello che sto per fare: mi bacia dolcemente il viso, per comunicarmi che è con me e che da quella distruzione sta per nascere la nostra nuova vita; ho bisogno di sentire che è mio, che gli appartengo e che stiamo per essere felici, forse.
Lo faccio alzare, gli sbottono i pantaloni, li faccio scorrere a terra con i boxer e afferro il cazzo, che mi spalmo sul viso, ne aspiro l’odore maschio e lo lecco delicatamente per sentirlo vibrare sulle labbra; lo spingo in bocca, oltre i denti e lo assaporo per sentirne il gusto eccitante; muove il bacino e me lo spinge verso la gola; lo lecco tutt’intorno mentre lo lascio scivolare verso l’ugola; comincio a muovere la testa per farmi scopare in bocca ricavandone l’eccitazione che sempre mi dà e gli orgasmi, lievi, frequenti, che mi provoca con il sapore forte e i nodi che stimolo continuamente.
“Vuoi che godo nella tua bocca?”
“No; fai quello che senti, ma se ti riesce, cerca di toccarmi tutti i punti erogeni del corpo, fammi sentire che ti appartengo, fammi godere con tutte le fibre.”
Mi chiava in bocca con forza e quasi mi soffoca; sento che mi domina e mi sottometto volentieri alla sua aggressione; non l’ho mai sentito così volitivo e così potente; alzo lo sguardo e incontro il suo mentre mi pompa in bocca: ha negli occhi un amore infinito che mi trasmette attraverso il cazzo; prendo a masturbare fuori dalla mia bocca e gli tengo tra le labbra solo la cappella; lo sento tendersi, scuotersi, tremare; temo che stia per sborrare e rallento il ritmo, tiro fuori la verga e gliela titillo con le mani, partendo dalla radice e accarezzandolo fino al frenulo.
“Hai deciso di farmi morire? Non vuoi che ti penetro in figa?”
“Si che ti voglio; adesso prendimi da dietro e fammelo sentire nel ventre come lo hai fatto sentire in bocca.”
Finisce di spogliarsi e spoglia pure me buttando gli abiti dove capita; mi solleva, mi fa girare e mi piega il busto verso il letto, a pecorina; gira dietro di me, sollecita con il dito medio la fessura, la apre, mi titilla un poco il clitoride e, quando mi sente bagnata, infila il cazzo in un sol colpo fino a farlo sbattere contro la cervice; urlo di passione un ‘ti amo’ che risuona per la casa.
“Eccoti tutto il mio amore, Tina, ti voglio, sei mia, prendi!!!!”
La sborrata è lunga, intensa, piena d’amore; ed io la assaporo con la gioia che solo l’amore con Carlo mi sa dare; sento un languore che mi scioglie il corpo, che mi ribalta stomaco e ventre, che mi fa urlare e piangere, all’improvviso; si spaventa, mi solleva, mi torce la testa e mi bacia gli occhi.
“Perché piangi, amore?”
“Non lo so; piango per me, per te, per noi, per la nostra vita nuova; e forse piango anche per l’azienda che ho dovuto cedere, per questi anni di lavoro che ho dovuto cancellare; forse piango perché sto per fare del male a persone che per venti anni sono state la mia vita. Non lo so perché piango. Lasciamelo fare; poi forse scopriremo perché. Soprattutto, però, sono profondamente innamorata di te e piango di gioia perché finalmente mi possiedi e ti possiedo come sogniamo da ormai due anni.”
Qualcun altro deve essere entrato in casa perché si sentono sordi rumori dal salone; deve essere Pasquale, perché non so se i figli siano ancora in possesso delle chiavi e non si è sentito il campanello.
Dico a Carlo di non curarsene e di farmi ancora tanto amore quanto ne ha; mi accarezza dolcemente e si dedica alle mie tette; le accarezza e le lecca, succhia i capezzoli mi bacia sulla bocca; mi perdo dentro le sue carezze e riesco solo a tenermelo stretto quasi temessi di perderlo; mi stringe al petto, quasi a scaldarmi e mi torna in mente l’albergo al lago e il tentativo di amarci senza fare sesso: impossibile, mi dimostrò allora; ed anche stavolta cazzo e figa reagiscono al’unisono, lui rizzandosi allo spasimo; e lei vibrando fino a inondarsi di nuovo di umori.
Riprende a scoparmi, stavolta carponi sul letto; mi chiede se lo voglio nel culo; gli dico di si; mi lecca a lungo l’ano, raccoglie gli umori della figa e li usa per lubrificare il canale rettale; poi mi penetra delicatamente; gemo e respiro assorbendolo nel ventre; un colpo alla maniglia è il segno che Pasquale cerca di entrare in una stanza che non ha mai frequentato.
“Tina, sei qui?”
“Si, sono qui e ho da fare. Vattene!”
Si allontana in silenzio; spero che abbia capito, anche se per la sua mentalità non è possibile che io abbia un altro uomo e che ci stia facendo l’amore nella nostra casa; faccio segno a Carlo di non badare e di farmi fare l’amore; picchia con foga e passione per un po’, poi mi allaga l’intestino; non possiamo più imboscarci e decidiamo di uscire allo scoperto; apro la porta e andiamo nel bagno di servizio per lavarci; torniamo nella camera, ci rivestiamo e andiamo nel salone dove troviamo lui seduto poltrona.
“Allora, è questo il tuo amante?”
“Questo è il mio compagno ed il mio amore vero. Domani chiedo la separazione e in due anni avrò il divorzio.”
“Ti farò una guerra che non t’immagini: non riuscirai a liberarti di me a poco prezzo e rapidamente.”
“Chiederò la separazione per colpa e presenterò i referti degli investigatori che per anni ti hanno intercettato, fotografato, filmato; come si dice al paese che una volta era il nostro, te ne andrai con una mano davanti a una dietro; e non avrai un centesimo da me, quando dimostrerò quanto hai sperperato del denaro che io guadagnavo e tu consumavi con le quattro sciacquette che ti abbindolavano.”
“Vedremo chi è meglio.”
“Già … detto da uno che ricorre al Viagra a poco più di cinquant’anni, promette bene.”
“Io non prendo il Viagra!”
“I filmati e le foto dicono di si.”
“Mi hai fatto sorvegliare?!?!”
“Già, poveretto: sei stato anche sorvegliato.”
Bussano alla porta; sono i figli e chiedono di cominciare; dico che non si può, manca qualcuno; bussano e il mio legale entra; ci sediamo intorno al tavolino per i dolci e chiedo chi vuole cominciare: come prevedibile, apre il fuoco Nicla.
“Visto che hai deciso di fare un’altra vita, chiudi con la vecchia e facciamo i conti.”
“Avvocato, relazioni.”
“Non c’è da relazionare; l’Azienda è fallita ed è stata venduta; la signora ha perso il posto e tutto il suo patrimonio; resta solo la liquidazione, quando sarà erogata. Anche le case, tutte quante, sono state vendute per fare fronte al fallimento, quelle a Milano occupate rispettivamente da ciascuno di voi e quella al mare.”
“Come? Hai venduto la mia casa?”
“Se fosse stata tua non avrei potuto; poiché il documento di proprietà diceva che era mia, come quella di tuo fratello e questa che abitavamo io e tuo padre, ho potuto vendere tutto e salvare la faccia nel fallimento.”
“Quindi, adesso che fai?”
“Me ne vado altrove, forse all’estero e vado a rifarmi una vita.”
“Col tuo ganzo?”
“Col mio amore!!!!!”
Francesco ha gli occhi lucidi.
“Mamma, non puoi lasciarci così!”
“Ti ho già pregato, per questo: in certi casi, chiamami Tina, chiamami stronza, chiamami troia ma non azzardarti a sporcare il nome di mamma che sulla tua bocca diventa eresia!”
“No, tu sei mia mamma e sei stata anche mia amica; anche Carlo è mio amico e non ho niente contro di voi; ti voglio bene, vi voglio bene e me ne vado, ma solo vorrei che per un’altra volta mi considerassi tuo figlio, mi perdonassi le cazzate che ho fatto e mi abbracciassi come un figlio. Solo questo ti chiedo.”
Naturalmente, l’intervento di Francesco mi spacca il cuore e non avrei il coraggio di tenere la posizione; ancora più ovviamente, è Carlo a spiazzarmi; va verso Francesco e gli tende la mano, l’altro si alza e l’abbraccia; Carlo lo spinge verso di me.
“Stupido, devi essere tu ad abbracciarla e non ti respinge, lo sai bene.”
Viene ad abbracciarmi e lo accarezzo sulla testa.
“Hai avuto quel posto di lavoro?”
“Si, mamma; grazie per l’aiuto; adesso ho anche una fidanzata che amo tantissimo; se la casa è venduta, vado a vivere con lei dai suoi. Mi piacerebbe che la conoscessi.”
“Forse un giorno … Chissà … “
Nicla scatta.
“Che storia è questa?”
“L’ho già detto a tuo padre. Da domani mi trasferisco in Svizzera dove ho un’offerta per ricominciare. Chiederò separazione e divorzio. Vado a vivere con Carlo. Non so se tornerò mai più; non c’è niente che mi lega all’Italia, adesso.”
Carlo non sa stare zitto.
“Per favore, non dire cose non vere; potresti pentirtene. Ti lega a Milano la tomba di mia madre che io visiterò spesso e vorrei che tu fossi con me, sempre. Ti lega a Milano Francesco che avrà una famiglia che tu vorrai conoscere, specialmente se dovesse venire un nipote. Ti lega a Milano Nicla, che ami e al tempo stesso odi troppo per dimenticarla. Andremo a stare a Lugano e in due ore puoi essere qui anche ogni settimana. Il sangue lo puoi masticare, ma non illuderti di poterlo sputare.”
“Maledetto il giorno che vi ho fatto incontrare e la scommessa stupida che facemmo.”
“Che stai dicendo?”
“Hai dimenticato che Carlo te l’ho presentato io? Avevo scommesso che ti avrei fatto scopare con Luigi, ma questo coglione si innamorò appena ti vide ed è andato sempre peggiorando; fra poco mi toccherà chiamarlo anche papà se, dopo il divorzio, doveste decidere di sposarvi. Te l’immagini, Carlo, io che ti chiamo papà?”
“Un momento, porca miseria: tu scommettevi sulle corna che mi avresti fatto fare a tuo padre? Sei stata proprio una grande stronza, permettimi. E tu veramente ti sei innamorato a prima vista e me l’hai detto solo quando ti ho costretto?”
“Senti, mamma, e bada che stavolta non mi va proprio di chiamarti Tina: sto per perderti e non voglio che te ne vada odiandomi; dunque, mamma, io ho fatto enormi cazzate, che ho nascosto sotto cazzate più grosse da nascondere sotto cazzate disumane; poi, come vedi, emergono tutte come la merda quando si scioglie la neve, mi pare che al tuo antico paese si dica così; le ho fatte e non c’è rimedio; a parziale scusante, hai imparato ad amare, hai trovato il tuo uomo, quello vero, non la larva che avevi sposato, e ti ho costretto a cambiare qualche cosina, per lo meno il tipo di mutande o il pelo sulla figa. Non sono capace di chiedere perdono, neanche quando il torto é marcio e conclamato. Però non ti azzardare a pensare che non ti voglio bene: non avrei potuto ispirarti l’amore se non ti avessi amato sul serio. Non mi abbandonare per sempre; lasciami un margine per sperare che litigheremo ancora. Se vi sposate, non mi invitare. Non ci verrei.”
1
voti
voti
valutazione
8
8
Commenti dei lettori al racconto erotico