La Punzione
di
werewolf
genere
dominazione
Per alcuni minuti era rimasto immobile ad ascoltare il pianto ansimante della sua nuova schiava.
Singhiozzava per il dolore fisico, dal momento che l’aveva messa nella gabbia legandola in quel modo di proposito, ma era certo non piangesse soltanto per quella ragione.
Le avessero domandato da quanto tempo era in ginocchio nella gabbia, Laura non avrebbe saputo rispondere.
Sapeva, però, di avere i polsi legati uno contro l’altro, ed anche i gomiti, e che dopo averle ordinato di entrare nella struttura metallica, prima di chiuderla, il suo collare era stato agganciato ad una cortissima catena, solidamente imbullonata nella base della gabbia. Con qualcosa, forse un lucchetto, i polsi le erano stati bloccati in alto, contro le sbarre metalliche della grata superiore. Ubbidì all’ordine di divaricare le gambe e lo fece prontamente, un po’ per non contrariarlo, un po’ perché immaginarsi legata ed alla sua mercé, in fondo le piaceva, e la faceva eccitare. In meno di un minuto, si ritrovò con le caviglie legate alle sbarre laterali della gabbia.
Impossibile sollevare il capo, e conseguentemente anche le spalle. Tentò allora di abbassare il sedere, ma con i polsi bloccati in alto ed i gomiti uniti, era solo restando in quella posizione che poteva evitare una torsione dolorosa all’articolazione delle spalle. Si eccitò ancora di più.
L’altra ragione per cui Laura ora singhiozzava, era la consapevolezza di essere davvero diventata la sua schiava, e come tale condizione fosse ormai irreversibile. La giovane donna disinibita, sempre provocante e che non perdeva occasione per comportarsi da troia, aveva chiaro davanti a sé il proprio futuro, ben sintetizzato dalla sofferenza fisica e da quell’eccitazione incontrollabile che le faceva scolare umori dalla vulva, nonostante tutto. Non le era servita una grande immaginazione: cosa le sarebbe accaduto glielo aveva spiegato lui, sin nei minimi dettagli, subito: sofferenza, sottomissione, totale perdita di controllo.
Era stato bravo nel creare le condizioni che l’avevano fatta ripudiare dalla famiglia, dalle amicizie e dal marito. Creato non sarebbe il termine corretto, l’aveva solo convinta ad ammettere e confessare chi fosse lei veramente e cosa le piaceva fare, rivelando come si comportava la loro amica, la figlia e la moglie, non appena ne aveva il modo. Un’umiliazione enorme, seguita dallo sbigottimento per il mancato perdono che quelle persone le avevano mostrato. Impossibile tornare indietro a quella vita ed a quella Laura, che ormai non esistevano più.
Ce l’aveva con sé stessa, non con lui, a cui ormai sentiva di appartenere. In fondo, anche se non a livello cosciente, quel destino se l’era cercato. Probabile, infatti, che quel comportarsi da troia rappresentasse un tentativo inconsapevole di agevolare la sorte.
Non s’era accorta di nulla mentre s’illudeva di sedurre anche lui, fermamente convinta che provocare un’erezione fosse sufficiente per annullare le capacità intellettive di qualunque maschio. Un errore madornale, perché esistono uomini perfettamente capaci di mantenere il pieno controllo, e con un talento innato, quasi un istinto, che permette loro di vedere certe realtà, come l’inconfessato bisogno di sottomissione, di sofferenze ed umiliazioni di una cagna randagia come Laura, nata per essere mantenuta sempre in calore e fatalmente bisognosa di appartenere ad un Padrone.
Un robusto parallelepipedo di metallo, con sbarre distanziate fra loro una decina di centimetri.
Erano quelle le dimensioni della gabbia, appena sufficienti per contenere una schiava di corporatura normale. L’aveva collocata a fianco del letto, lungo la parete, usando la parte della struttura più vicina a lui come un comodino.
Che la ragazza stesse piangendo non lo sorprendeva affatto, ma lo stesso, quel pianto gli risultava fastidioso. Diede allora dei colpi sulla gabbia con il palmo della mano, facendo rimbombare l'intera struttura.
"Silenzio, troia!”.
Lei smise e lui si girò dall’altra parte, ma dopo alcuni minuti ricominciarono i singhiozzi.
A quel punto si alzò dal letto, combattuto tra l’irritazione per il riposo interrotto e l’opportunità di punire a dovere la sua cagna.
In sé, punire non gli dava alcun piacere.
Infliggere sofferenza a schiave come Laura è un’operazione difficile e delicata, dal momento che spesso, è proprio ciò che desiderano per eccitarsi ed arrivare all’orgasmo. Ben sapendo quanto può essere efficace punire con severità una schiava per renderla sempre più sottomessa, decise di approfittare dell’occasione. Del resto, con quel “mugolio”, dormire gli sarebbe stato impossibile.
Le liberò i polsi dalle sbarre superiori ed aprì la gabbia. Sganciò la catena dal collare e slegò le caviglie dalle sbarre laterali. Fu rapidissimo nell’operazione, al punto che Laura si ritrovò in piedi quasi senza rendersene conto, praticamente sollevata per i capelli.
La guardò e vide che tentava di soffocare i singhiozzi senza riuscirci. Anche ne fosse stata capace, ormai sarebbe stato troppo tardi.
"Cosa ti avevo detto di fare, schiava?"
"stai... stare zitta."
"Ti sembra di averlo fatto?"
“nn… no...”
“No cosa?”
“no Padrone”
“Quindi?”
“...sarò punita”
“E’ giusto?”
“...sì Padrone”.
Le afferrò i polsi e glieli sollevò, obbligandola a piegarsi in avanti ad angolo retto.
Appoggiato con il ventre contro le sue natiche, la controllò tra le gambe con la mano libera, scoprendola fradicia. Non appena aveva avvertito contro i glutei quel cazzo grosso, lungo e rigido come un bastone, si era subito bagnata.
In silenzio la trascinò in bagno. Lo fece piuttosto rudemente, tenendola stretta per i capelli, mentre lei, inciampando e piangendo, cercava di seguirlo.
"Ora ti voglio docile. Se starai in silenzio abbastanza a lungo, potrei anche decidere di abbreviare la punizione".
"abbreviare cosa, Padrone?"
Non riuscì a trattenersi e domandò, anche se sapeva di dover restare zitta. Lui non le disse nulla, ma la guardò con un’aria di rimprovero che non ammetteva dubbi, scuotendo eloquentemente la testa.
"Entra nella vasca ed inginocchiati, braccia conserte dietro la schiena… guai a te se ti muovi".
Lei eseguì.
"Resta sempre in silenzio, qualunque cosa succeda".
Laura continuava a guardarlo con un’espressione interrogativa, domandandosi che razza di punizione fosse inginocchiarsi in una vasca.
Orientato il doccino su di lei, aprì il rubinetto dell'acqua fredda.
Il getto le arrivò in volto, scorrendole poi lungo il corpo. Un involontario e rapido grido prima di tornare silenziosa, poi si morse la lingua. Lo sguardo di Laura era fisso verso di lui, come se nei suoi occhi sperasse leggere in cosa sarebbe consistita la punizione.
Appoggiato al lavandino, guardava lo spruzzo colpirla.
I capezzoli le si erano inturgiditi, la pelle d'oca ricopriva ogni millimetro dell’epidermide, pochi minuti ed iniziò a tremarle la mandibola. La vedeva muoversi sempre più disperatamente, dondolarsi avanti ed indietro, nella speranza di far passare lo spruzzo gelato sopra la testa, come se lui non la vedesse.
“Sta dritta, puttana… guai a te se ti muovi!”
Lo sguardo che Laura gli lanciò fu di pura disperazione. Disagio senza erotismo.
Non le piaceva affatto quella situazione, desiderava solo che finisse.
“Te lo avevo detto… lo sapevi… niente piacere durante le punizioni, cagna!”
Soddisfatto ed indifferente, per tutta risposta a quell’implorazione silente, chiuse lo scarico della vasca, che iniziò a riempirsi.
“Ora distenditi supina lungo la vasca, mani sopra la testa!”
L'acqua le cadeva sul ventre, scivolando poi sul resto del corpo ed infine nella vasca.
Più il livello aumentava, più cresceva il suo ansimare. Cercava spasmodicamente di aspirare aria, mentre i muscoli le si contraevano autonomamente, nel vano tentativo di produrre calore.
Completamente immersa nell'acqua fredda da una decina di minuti, i suoi occhi erano bloccati su quelli di lui, nella speranza di qualche ulteriore comando, qualsiasi cosa che potesse interrompere quella punizione le sarebbe andata bene.
Lui la guardava, senza che dal suo volto trasparisse alcun sentimento.
Si stava domandando se la schiava gli avrebbe ubbidito nel caso in cui le avesse ordinato di affogarsi. Fantasie, ma se non l’avesse tirata fuori a breve, a causa dell’ipotermia incipiente, nel volgere di un’altra decina di minuti non avrebbe più avuto la forza di uscire dall’acqua da sola.
Chiuse il rubinetto, la prese nuovamente per i capelli e di peso la sollevò in piedi.
Maldestra ad uscire dalla vasca, si ritrovò nuda, con le spalle al muro, trattenuta per il collo dalla mano di lui.
"Allarga le gambe!"
Laura obbedì immediatamente.
Non si sentiva affatto femmina, né attraente. Il suo corpo tremava ancora, così come le labbra, ogni centimetro della sua carne era freddo e bagnato. Con la mano libera lui le entrò fra le gambe, e raggiunta la vulva, con le dita separò le grandi labbra. Niente, nessun “effetto”.
Magari è il freddo, pensò, che materialmente le impedisce di sentire le mie dita.
Per trovare conferme, le assestò uno schiaffo sulla vulva. Laura s’irrigidì, ma lui strinse ancora di più le sue dita attorno al collo, fin quasi a soffocarla e quella stretta enfatizzò ogni ulteriore colpo. Lei tremava ancora, ma il suo ansimare cambiò radicalmente, in un attimo. La sua natura di schiava stava nuovamente prendendo il sopravvento, e la conferma materiale fu un'oleosa secrezione calda che iniziava ad invaderle la vagina, nonostante il corpo ancora freddo, madido e tremante.
Travolta dal desiderio, si era eccitata al punto da essere vicinissima all’orgasmo, e pervasa da un disperato bisogno di venire, anelava il permesso per farlo.
La frusta del Padrone le aveva insegnato come il suo piacere appartenesse ormai solo a lui e sapeva bene che, senza la sua autorizzazione, le era proibito.
"Hai tanto bisogno di godere, eh? ...vero troia?"
Lei annuì, poi sussultò, confortandolo nella sensazione che mai, prima d’ora, Laura avesse provato un così disperato bisogno. Una necessità primordiale, quasi come respirare, ma che non poteva soddisfare senza il suo permesso.
Le si avvicinò per sussurrarle qualcosa all'orecchio, lei sperò che fosse per concederle l’orgasmo.
"La prossima volta che ti dico di fare silenzio, starai subito zitta? …non è vero, cagna?".
“sì… Padrone”
Non ci fu alcun permesso.
Laura fu rimessa in gabbia, più vogliosa che mai. Immobilizzata come prima, trascorse il resto della notte a meditare e piangere, ma lui si addormentò soddisfatto, certo che lo avrebbe fatto in silenzio.
Graditi apprezzamenti, suggerimenti e critiche (costruttive): werewolf@elude.in
Singhiozzava per il dolore fisico, dal momento che l’aveva messa nella gabbia legandola in quel modo di proposito, ma era certo non piangesse soltanto per quella ragione.
Le avessero domandato da quanto tempo era in ginocchio nella gabbia, Laura non avrebbe saputo rispondere.
Sapeva, però, di avere i polsi legati uno contro l’altro, ed anche i gomiti, e che dopo averle ordinato di entrare nella struttura metallica, prima di chiuderla, il suo collare era stato agganciato ad una cortissima catena, solidamente imbullonata nella base della gabbia. Con qualcosa, forse un lucchetto, i polsi le erano stati bloccati in alto, contro le sbarre metalliche della grata superiore. Ubbidì all’ordine di divaricare le gambe e lo fece prontamente, un po’ per non contrariarlo, un po’ perché immaginarsi legata ed alla sua mercé, in fondo le piaceva, e la faceva eccitare. In meno di un minuto, si ritrovò con le caviglie legate alle sbarre laterali della gabbia.
Impossibile sollevare il capo, e conseguentemente anche le spalle. Tentò allora di abbassare il sedere, ma con i polsi bloccati in alto ed i gomiti uniti, era solo restando in quella posizione che poteva evitare una torsione dolorosa all’articolazione delle spalle. Si eccitò ancora di più.
L’altra ragione per cui Laura ora singhiozzava, era la consapevolezza di essere davvero diventata la sua schiava, e come tale condizione fosse ormai irreversibile. La giovane donna disinibita, sempre provocante e che non perdeva occasione per comportarsi da troia, aveva chiaro davanti a sé il proprio futuro, ben sintetizzato dalla sofferenza fisica e da quell’eccitazione incontrollabile che le faceva scolare umori dalla vulva, nonostante tutto. Non le era servita una grande immaginazione: cosa le sarebbe accaduto glielo aveva spiegato lui, sin nei minimi dettagli, subito: sofferenza, sottomissione, totale perdita di controllo.
Era stato bravo nel creare le condizioni che l’avevano fatta ripudiare dalla famiglia, dalle amicizie e dal marito. Creato non sarebbe il termine corretto, l’aveva solo convinta ad ammettere e confessare chi fosse lei veramente e cosa le piaceva fare, rivelando come si comportava la loro amica, la figlia e la moglie, non appena ne aveva il modo. Un’umiliazione enorme, seguita dallo sbigottimento per il mancato perdono che quelle persone le avevano mostrato. Impossibile tornare indietro a quella vita ed a quella Laura, che ormai non esistevano più.
Ce l’aveva con sé stessa, non con lui, a cui ormai sentiva di appartenere. In fondo, anche se non a livello cosciente, quel destino se l’era cercato. Probabile, infatti, che quel comportarsi da troia rappresentasse un tentativo inconsapevole di agevolare la sorte.
Non s’era accorta di nulla mentre s’illudeva di sedurre anche lui, fermamente convinta che provocare un’erezione fosse sufficiente per annullare le capacità intellettive di qualunque maschio. Un errore madornale, perché esistono uomini perfettamente capaci di mantenere il pieno controllo, e con un talento innato, quasi un istinto, che permette loro di vedere certe realtà, come l’inconfessato bisogno di sottomissione, di sofferenze ed umiliazioni di una cagna randagia come Laura, nata per essere mantenuta sempre in calore e fatalmente bisognosa di appartenere ad un Padrone.
Un robusto parallelepipedo di metallo, con sbarre distanziate fra loro una decina di centimetri.
Erano quelle le dimensioni della gabbia, appena sufficienti per contenere una schiava di corporatura normale. L’aveva collocata a fianco del letto, lungo la parete, usando la parte della struttura più vicina a lui come un comodino.
Che la ragazza stesse piangendo non lo sorprendeva affatto, ma lo stesso, quel pianto gli risultava fastidioso. Diede allora dei colpi sulla gabbia con il palmo della mano, facendo rimbombare l'intera struttura.
"Silenzio, troia!”.
Lei smise e lui si girò dall’altra parte, ma dopo alcuni minuti ricominciarono i singhiozzi.
A quel punto si alzò dal letto, combattuto tra l’irritazione per il riposo interrotto e l’opportunità di punire a dovere la sua cagna.
In sé, punire non gli dava alcun piacere.
Infliggere sofferenza a schiave come Laura è un’operazione difficile e delicata, dal momento che spesso, è proprio ciò che desiderano per eccitarsi ed arrivare all’orgasmo. Ben sapendo quanto può essere efficace punire con severità una schiava per renderla sempre più sottomessa, decise di approfittare dell’occasione. Del resto, con quel “mugolio”, dormire gli sarebbe stato impossibile.
Le liberò i polsi dalle sbarre superiori ed aprì la gabbia. Sganciò la catena dal collare e slegò le caviglie dalle sbarre laterali. Fu rapidissimo nell’operazione, al punto che Laura si ritrovò in piedi quasi senza rendersene conto, praticamente sollevata per i capelli.
La guardò e vide che tentava di soffocare i singhiozzi senza riuscirci. Anche ne fosse stata capace, ormai sarebbe stato troppo tardi.
"Cosa ti avevo detto di fare, schiava?"
"stai... stare zitta."
"Ti sembra di averlo fatto?"
“nn… no...”
“No cosa?”
“no Padrone”
“Quindi?”
“...sarò punita”
“E’ giusto?”
“...sì Padrone”.
Le afferrò i polsi e glieli sollevò, obbligandola a piegarsi in avanti ad angolo retto.
Appoggiato con il ventre contro le sue natiche, la controllò tra le gambe con la mano libera, scoprendola fradicia. Non appena aveva avvertito contro i glutei quel cazzo grosso, lungo e rigido come un bastone, si era subito bagnata.
In silenzio la trascinò in bagno. Lo fece piuttosto rudemente, tenendola stretta per i capelli, mentre lei, inciampando e piangendo, cercava di seguirlo.
"Ora ti voglio docile. Se starai in silenzio abbastanza a lungo, potrei anche decidere di abbreviare la punizione".
"abbreviare cosa, Padrone?"
Non riuscì a trattenersi e domandò, anche se sapeva di dover restare zitta. Lui non le disse nulla, ma la guardò con un’aria di rimprovero che non ammetteva dubbi, scuotendo eloquentemente la testa.
"Entra nella vasca ed inginocchiati, braccia conserte dietro la schiena… guai a te se ti muovi".
Lei eseguì.
"Resta sempre in silenzio, qualunque cosa succeda".
Laura continuava a guardarlo con un’espressione interrogativa, domandandosi che razza di punizione fosse inginocchiarsi in una vasca.
Orientato il doccino su di lei, aprì il rubinetto dell'acqua fredda.
Il getto le arrivò in volto, scorrendole poi lungo il corpo. Un involontario e rapido grido prima di tornare silenziosa, poi si morse la lingua. Lo sguardo di Laura era fisso verso di lui, come se nei suoi occhi sperasse leggere in cosa sarebbe consistita la punizione.
Appoggiato al lavandino, guardava lo spruzzo colpirla.
I capezzoli le si erano inturgiditi, la pelle d'oca ricopriva ogni millimetro dell’epidermide, pochi minuti ed iniziò a tremarle la mandibola. La vedeva muoversi sempre più disperatamente, dondolarsi avanti ed indietro, nella speranza di far passare lo spruzzo gelato sopra la testa, come se lui non la vedesse.
“Sta dritta, puttana… guai a te se ti muovi!”
Lo sguardo che Laura gli lanciò fu di pura disperazione. Disagio senza erotismo.
Non le piaceva affatto quella situazione, desiderava solo che finisse.
“Te lo avevo detto… lo sapevi… niente piacere durante le punizioni, cagna!”
Soddisfatto ed indifferente, per tutta risposta a quell’implorazione silente, chiuse lo scarico della vasca, che iniziò a riempirsi.
“Ora distenditi supina lungo la vasca, mani sopra la testa!”
L'acqua le cadeva sul ventre, scivolando poi sul resto del corpo ed infine nella vasca.
Più il livello aumentava, più cresceva il suo ansimare. Cercava spasmodicamente di aspirare aria, mentre i muscoli le si contraevano autonomamente, nel vano tentativo di produrre calore.
Completamente immersa nell'acqua fredda da una decina di minuti, i suoi occhi erano bloccati su quelli di lui, nella speranza di qualche ulteriore comando, qualsiasi cosa che potesse interrompere quella punizione le sarebbe andata bene.
Lui la guardava, senza che dal suo volto trasparisse alcun sentimento.
Si stava domandando se la schiava gli avrebbe ubbidito nel caso in cui le avesse ordinato di affogarsi. Fantasie, ma se non l’avesse tirata fuori a breve, a causa dell’ipotermia incipiente, nel volgere di un’altra decina di minuti non avrebbe più avuto la forza di uscire dall’acqua da sola.
Chiuse il rubinetto, la prese nuovamente per i capelli e di peso la sollevò in piedi.
Maldestra ad uscire dalla vasca, si ritrovò nuda, con le spalle al muro, trattenuta per il collo dalla mano di lui.
"Allarga le gambe!"
Laura obbedì immediatamente.
Non si sentiva affatto femmina, né attraente. Il suo corpo tremava ancora, così come le labbra, ogni centimetro della sua carne era freddo e bagnato. Con la mano libera lui le entrò fra le gambe, e raggiunta la vulva, con le dita separò le grandi labbra. Niente, nessun “effetto”.
Magari è il freddo, pensò, che materialmente le impedisce di sentire le mie dita.
Per trovare conferme, le assestò uno schiaffo sulla vulva. Laura s’irrigidì, ma lui strinse ancora di più le sue dita attorno al collo, fin quasi a soffocarla e quella stretta enfatizzò ogni ulteriore colpo. Lei tremava ancora, ma il suo ansimare cambiò radicalmente, in un attimo. La sua natura di schiava stava nuovamente prendendo il sopravvento, e la conferma materiale fu un'oleosa secrezione calda che iniziava ad invaderle la vagina, nonostante il corpo ancora freddo, madido e tremante.
Travolta dal desiderio, si era eccitata al punto da essere vicinissima all’orgasmo, e pervasa da un disperato bisogno di venire, anelava il permesso per farlo.
La frusta del Padrone le aveva insegnato come il suo piacere appartenesse ormai solo a lui e sapeva bene che, senza la sua autorizzazione, le era proibito.
"Hai tanto bisogno di godere, eh? ...vero troia?"
Lei annuì, poi sussultò, confortandolo nella sensazione che mai, prima d’ora, Laura avesse provato un così disperato bisogno. Una necessità primordiale, quasi come respirare, ma che non poteva soddisfare senza il suo permesso.
Le si avvicinò per sussurrarle qualcosa all'orecchio, lei sperò che fosse per concederle l’orgasmo.
"La prossima volta che ti dico di fare silenzio, starai subito zitta? …non è vero, cagna?".
“sì… Padrone”
Non ci fu alcun permesso.
Laura fu rimessa in gabbia, più vogliosa che mai. Immobilizzata come prima, trascorse il resto della notte a meditare e piangere, ma lui si addormentò soddisfatto, certo che lo avrebbe fatto in silenzio.
Graditi apprezzamenti, suggerimenti e critiche (costruttive): werewolf@elude.in
0
voti
voti
valutazione
0
0
Commenti dei lettori al racconto erotico