Ho perso la verginità, ma ho salva la vita

di
genere
zoofilia

Avevo ultimato la descrizione delle mie reminescenze erotiche infantili, citando il fatto, che la guerra del 1940, aveva disciolto il nostro “branco”, e, ciò, anche perché, alla fine dell’anno scolastico, per sfuggire ai continui bombardamenti che intanto subiva la nostra città, le nostre famiglie furono costrette a trovare riparo nelle colline circostanti la città. Anche noi, infatti, trovammo casa presso una famiglia di contadini che ci offrì un alloggio rustico, ricavato in un angolo della loro “masseria”, sita a una diecina di kilometri dalla città, e purtroppo, anche il mio sodalizio di coppia finì.
La vita agreste scorreva lieta ed io e le mie sorelle maggiori sembravamo essere in villeggiatura in mezzo a tutto quel verde, che prima nemmeno conoscevamo, sepolti com’eravamo in un cadente centro storico.
Mio padre scendeva in città, ogni giorno, per proseguire le sue attività e noi ingannavamo il tempo, giocando a Guardie e ladri, o a Mosca cieca, nell’attesa che lui ritornasse con le derrate necessarie per sfamarci. Erano i tempi in cui per comprare gli alimenti, era necessario avere le tessere annonarie, con i loro piccolissimi quadratini, come fossero francobolli, che ci permettevano di acquistare le varie derrate.
La famiglia di contadini, per la verità, non ci faceva mancare il sostegno delle cose che per loro erano di facile reperimento: latte, formaggio e anche pane fresco, cotto nel forno a legna che aiutavamo ad attizzare, usando le frasche e i rami secchi degli alberi che tutti noi raccoglievamo, anche per gioco.
La sera dopo cena, da incoscienti, ci raccoglievamo nell’aia, ad “ammirare” lo spettacolo che si mostrava ai nostri occhi. Sopra di noi, il cielo, veniva illuminato da potenti fotoelettriche che cercavano di individuare gli aerei che bombardavano la città, mentre i cannoni della contraerea tentavano di abbatterne qualcuno, senza mai, dico mai, riuscirci. Per noi, era uno spettacolo inusuale e, come dicevo, da incoscienti lo ammiravamo, incuranti delle schegge dei proiettili che ricadevano a terra sibilanti.
Ma, per riprendere il precedente discorso sulle mie reminescenze erotiche infantili, devo dirvi che io, non avendo più un compagno con il quale esercitarmi nei giochi erotici, dovevo industriarmi a trovare un modo alternativo per soddisfare il mio istinto nascente, e così, oltre alla mia fidata mano, con la quale mi masturbavo spesso, utilizzavo ciò che mi attizzasse di più e che fosse reperibile in campagna: oggetti, o animali.
Il più adoperato, degli oggetti, era il cuscino del mio letto che adeguatamente piegato in due mi offriva la sua bianca fessura opportunamente protetta da un fazzoletto e imbottita con del pane raffermo inumidito con l’acqua calda, in cui potevo inserire il mio piccolo membro. Mi mettevo carponi sul letto e stringendolo tra le cosce, mimavo l’atto sessuale con frenesia, sino a quando potevo eiaculare. Il pensiero del culetto del mio amico, che attendeva fremente di essere penetrato, però, mi stuzzicava ancora e così cercavo e trovavo qualche oggetto o ortaggio alternativo con il quale tentavo di riprodurre, questa volta, su me stesso i gesti conosciuti e goduti, ma per la verità, con qualunque, “coso” provassi, non riscontravo più quella sensualità avuta mesi prima, e così rivolgevo le mie attenzioni alle figlie del contadino e/o ai genitali degli animali presenti nella masseria. Ce n’erano di tutti i generi: galline, caprette, tori, maiali e cavalli. Ognuno con i loro organi sessuali, pronti a soddisfare le mie curiosità erotiche.
Nell’attigua stalla, legato alla mangiatoia c’era un grosso cavallo baio, molto corpulento e muscolo: il contadino lo chiamava “U Karusu” (il bambino), per contrapposizione. Aveva degli zoccoli enormi che batteva continuamente a terra, mentre sferzava i suoi fianchi con la coda, per cacciare via le fastidiose mosche cavalline e due testicoli, enormi, che sembravano due pompelmi, uno po’ più grosso dell’altro.
Aiutavo spesso il “massaro” a dargli la biada e così mi era facile accarezzarlo. Poi, presa la necessaria confidenza e averne studiato le reazioni, cominciai ad accarezzarlo, in altri posti, prima sul fianco e poi sulla pancia e spostando la mano, timidamente, la passavo all’interno della sua coscia muscolosa e quindi sui testicoli e intuivo che la cosa gli piacesse tanto, poiché notavo che la pelle floscia, che li ricopriva, simile al velluto, mentre li palpeggiavo, si ritraeva verso l’alto e questi, aumentavano notevolmente di volume. La sensazione di accarezzarli e soppesarli, contemporaneamente con le due piccole mani messe a coppa, era eccitante. Emanavano potenza e ciò mi trasmetteva sensazioni piacevoli, che si ampliavano quando, dal suo corto prepuzio nero e corrugato, cominciava a uscire lentamente il suo membro, che sembrava una proboscide. Era molto, ma molto più grosso del mio avambraccio. Io, la prima volta, lo osservai incredulo, mentre si propendeva morbidamente, così lungo, verso terra. Era tutto rivestito con una spessa e increspata mucosa biancastra, che espandeva un penetrante odore, molto più sensuale di quello del nostro pene. Quando nella sua forma molle, il membro raggiungeva la sua completa estensione, cominciava a inturgidirsi ed io, entusiasmato da tanta grazia, cominciavo a masturbarlo, prima con una mano e poi, poiché non riuscivo a circuirlo tutto, aiutandomi con l’altra. Sentire tra le mani quel grosso tiepido membro, mi eccitava moltissimo e sentire tra le dita quella crema odorosa che mi agevolava la sua masturbazione, mi rendeva felice.
A un tratto, però, “U Karusu”, con una mossa improvvisa sollevava il suo membro, fino a sbatterlo sonoramente, sotto la sua pancia, con movimenti cosi intensi, che sembravano farlo godere, e, infatti, così fu. Dopo pochi secondi, dal meato urinario, del suo glande, enormemente dilatato come fosse la “cappella” di un fungo Cantharellus, uscivano ritmicamente, degli schizzi densi e biancastri, di un liquido che sembrava latte condensato, tanto era denso: mi piaceva sentirne la consistenza fra le dita, odorandolo avidamente.
Poi, lentamente, così com’era uscito dal suo fodero, l’enorme membro si ritirava all’interno del suo prepuzio, e per me, iniziava la ricerca di un’altra esperienza.
Estesi, così le attenzioni, ai genitali di altri animali, presenti nella masseria, e il mio folle proposito si orientò verso una bianca capretta, che in un angolo della stalla ruminava tranquilla. Ormai ero quasi familiare con la stessa, poiché mi era stato permesso, di rifocillarla e ogni tanto, di continuare a mungerla, dopo la padrona, che mi aveva insegnato e farlo. M’inebriava sentire il calore delle sue grosse e inturgidite mammelle, che sembravano di velluto, mentre la palpeggiavo voluttuosamente, per mungerle. Mi piaceva farle schizzare dai suoi capezzoli, il latte, che spesso assaggiavo dalle mie dita, e cosi maturai l’idea di possederla.
Un giorno notai che il suo sesso era diventato più turgido del solito e così, istintivamente lo accarezzai delicatamente e poi, col dito medio iniziai a penetrarla. Ero timoroso per una sua improvvisa reazione, ma non mi scalciò, come prevedevo. Fu una sensazione bellissima. Sentire quel tepore umido che avvolgeva tutto il mio dito, mi fece eccitare così tanto che fu un attimo. Non ci fu bisogno nemmeno di sbottonarmi, perché concitato com’ero, estrassi da sotto il pantaloncino, il mio piccolo cazzo infocato e lo infilai rapidamente dentro la sua fessura.
Che sensazione meravigliosa!!!!! Era la prima volta che la provavo, dopo i tanti giochi fatti col mio amico, mesi prima. Quanto era diverso quell’umido avvolgente calore che avvolgeva il mio piccolo membro!!! Una sensazione che rimase unica, per molti mesi e che ancora oggi, dopo settant’anni di esperienze, la ricordo con piacere, tra le altre.
Devo dirvi però che io, tra un’esperienza e l’altra con gli animali, avevo cominciato a rivolgere le mie voglie verso Rosalia, la figlia maggiore di Donna Carmela, che avendo qualche mese in più della mia età, era anche lei in cerca della propria sensualità e quindi accettava di buon grado le mie attenzioni. Queste di solito si esprimevano con sguardi languidi, frasi o gesti appropriati che felicemente raggiungevano lo scopo, quando, durante i giochi che facevamo, potevamo sfiorarci. Io ne approfittavo per toccare e magari stringere “casualmente” le sue nascenti mammelle, e lei faceva la stessa cosa sfiorando, sempre casualmente i miei genitali inturgiditi. Dopo molti giorni, quando la confidenza e la simpatia reciproca, cominciò a rafforzarsi, le chiesi con indifferenza, di mostrarmi le gambe e lei, dopo alcune risposte negative, un giorno, anche se titubante cominciò con maestria femminile innata, a sollevare piano piano la sua gonnellina: aveva due cosce meravigliose!! Rimasi alcuni secondi, stupito, ad ammirarle e poi facendomi coraggio le chiesi di alzare la gonnella più in alto. Lei arrossì, schernendosi, ma capii che la cosa la stava eccitando. Insistetti e così lei mi fece vedere quel triangolino di stoffa bianca che ricopriva il suo pube paffutello.
Questa visione, pur eccitandomi, non mi sorprese tanto, perché l’avevo già avuta, anni prima, quando Piccolo Balilla, andavo nella palestra della G.I.L. (Gioventù Italiana del Littorio) ad assistere alle partite di pallacanestro del “Sabato Fascista”: Mi sedevo opportunamente nella parte iniziale della gradinata e quando il giocatore, segnava un canestro e tutti contenti battevano le mani, io invece, mi curvavo all’indietro con il busto e ponevo la testa tra le cosce della formosa ragazza, dietro di me, ammirando estasiato le sue tonde cosce e quella strisciolina di stoffa che ricopriva più in alto, il suo peloso (immaginavo) monte di venere: Visioni queste che accendevano la mia incipiente fantasia erotica.
I giochi erotici con la mia Rosalia, è ovvio, che proseguissero gradatamente, e così un giorno lei mi permise, oltre che guardargliele, anche di accarezzargliele le sue tonde gambe, ma quando io tentai di spostare timidamente la mia mano verso l’alto, lei istintivamente chiuse le sue cosce, bloccandomela. Io non insistetti oltre, per inesperienza, ma capii in seguito, che quello non era un gesto di difesa!!! Voleva soltanto sentire tra le sue cosce, il calore “solido” della mia mano. E continuando così, finalmente arrivò il giorno in cui lei si decise a farmi toccare, intimamente, il suo bocciolo !
Che sensazione inebriante! Quanto mi sembrarono “lunghi” quegli attimi in cui lentamente spostavo la mia mano verso l’ambita meta, senza trovare alcuna resistenza, anzi sentendo le sue calde cosce che si discostavano lievemente, come a favorirne l’ascesa, nell’ansia di essere esplorata. Per me era finalmente la prima volta, che tentavo di toccare il sesso di una donna, e anche per lei era la prima volta che una mano, diversa dalla propria, la stava eccitando così sensualmente.
Quando finalmente arrivai alla meta, spostai delicatamente, le sue mutandine e sentii le mie dita, bagnarsi di un liquido strano, sconosciuto, quasi vischioso, che ricopriva la sua peluria pubica e che mi facilitava nella mia delicata avanzata, alla ricerca di quella fessura tanto agognata. Il che avvenne di lì a poco, quando avvertii che, il movimento lento del bacino di Rosalia, ebbe uno lieve scatto repentino, in avanti. Avevo toccato il sito giusto e lei ansiosamente anticipava il mio, e il suo desiderio, di essere goduta dal mio dito.
Che attimi libidinosi, si svolsero di lì a poco, quando lei, prima dolcemente e poi quasi ansiosamente, cominciò a dimenarsi sulle sue natiche, respirando affannosamente, e pronunciando gemendo una sola sillaba, ripetuta spasmodicamente: “Aahh, aahh, aahh”, per poi inarcandosi di colpo, emettendo uno strano suono, gutturale finale, simile al primo, ma molto più lungo, con il quale poneva fine, alla sua nuova e tanta desiderata, esperienza verginale.
Nell’aria percepivo uno strano ed eccitante odore, selvaggio, come di “pino silvestre”, che sconoscevo. Erano i suoi umori verginali che deliziavano le mie narici e che mi facevano impazzire all’idea di poter utilizzare il mio membro al posto del mio dito, per ripetere la stessa, precedente sensazione e sentire su esso quel tepore umido che lo avvolgeva intimamente.
Finalmente, non era stata la sua fidata mano di contadina, a farla sentire veramente una donna. A godere così intensamente, come mai c’era riuscita prima, era stato un uomo!! O meglio un imberbe ragazzo, che con la sua propulsione erotica, era riuscito a farla godere pienamente.
Anche per me, fu la prima esperienza umana, molto diversa e più eccitante, da quella provata con la capretta, e così non tralasciai occasioni per raggiungere il mio scopo, che era anche quello di Rosalia, di poterci appartenere fisicamente. Ma lei, ossessionata da ciò che sentiva dire in casa dalle vecchie zie, era titubante. Le donne del Sud dovevano arrivare alle nozze, in stato di verginità assoluta, che doveva essere comprovata, esibendo la mattina dopo le nozze, un lindo “pannizzo”, con evidenti macchie di sangue verginale che confermassero l’avvenuta consumazione dell’atto matrimoniale. Il loro imene doveva restare immacolato sino a quella prima notte, e nessuno (o niente) poteva o doveva defloralo.
E così continuammo a soddisfare saltuariamente le nostre impulsive voglie erotiche, usando reciprocamente, solo le nostre mani, sino a quando arrivò l’occasione buona per compiere la tanto attesa, desiderata “PROVA D’AMORE”.
E ciò avvenne durante un assolato pomeriggio di fine settembre, quando le nostre famiglie si assentarono dalla masseria, per recarsi in pellegrinaggio nella vicina chiesetta della Madonna Nera. Rosalia era rimasta a casa perché febbricitante, mentre io seguivo i miei, con atteggiamento assente poiché, il mio pensiero fisso era rivolto a Rosalia, rimasta sola, “indifesa”.
Durante l’interminabile processione, decisi repentinamente che quella poteva essere l’occasione buona e così cercai prima di confondermi tra la folla, di occultarmi, poi di farmi rivedere per non dare sospetti, e quindi di sparire del tutto, correndo a perdifiato lungo la discesa, verso l’agognata “masseria”.
I cani, mi riconobbero da lontano e non abbaiarono, e così Rosalia, si sorprese della mia presenza ai piedi del suo letto, tanto che istintivamente si accostò il lenzuolo al suo seno. “Ma chi ci fai tu ka !”, mi disse agitata, vedendomi così trafelato. “Nenti, nenti, vulevu sulu farti kumpagnia”, ma lei guardandomi negli occhi assatanati, intuì subito quali fossero le mie reali intenzioni. E così anche in lei, divampò quella fiamma che covava repressa, da lunghi mesi e si lasciò abbracciare e baciare appassionatamente. Poi, quando infilai la mano sotto il lenzuolo, per accarezzare le sue cosce e il suo fiorellino, senza incontrare decisa resistenza, capii che era giunto, finalmente, quel momento tanto agognato. Convulsamente, mi tolsi la maglietta di cotone e solo allora, lei intuì cosa realmente, desideravo fare, e cominciò a implorarmi, quasi piangente: “Ma ki stai facennu, Ancilu miu!!!, No, noooo!!, ti pregu!! Nun vidi che nun mi sentu bona?” Ma la sua febbre era anche di desiderio, perché di lì a poco non resistette alle mie mani che vogliosamente l’abbracciavano, e si lasciò, “quasi” consenziente, togliere la camiciola da notte che la rivestiva.
Che spettacolo! Per la prima volta, vedevo una donna nuda davanti ai miei occhi! Tutta per me, come avevo tanto desiderato, e così completai di denudarmi, anch’io. Ma quando, ansanti, ci guardammo ansiosi negli occhi, intuimmo entrambi, ciò che stavamo pensando: “E ora ki si fa??” Nessuno ci aveva detto niente, su come si dovevano fare certe cose, sulle precauzioni da adottare per non compromettere la verginità di una ragazzina in calore, sui gesti preparatori, sugli accorgimenti da prendere per non sporcare i luoghi del “peccato”: niente di niente! Soltanto le nostre fantasticherie erotiche ci erano state maestre, e ci avevano erudito, sin’allora!!!
Superato il momentaneo scoramento, continuammo eccitati i preparativi per il nostro primo atto sessuale. Lei badò a porre la sua bianca camiciola opportunamente ripiegata, sotto i suoi glutei, per protezione, ed io cominciai delicatamente a scappellare, il mio esasperato glande dallo stretto prepuzio. La mia Rosalia si abbandonò frattanto, tremebonda, sul letto e con gli occhi chiusi, quasi fosse una condannata a morte, aspettava con le rigide gambe aperte di essere posseduta. Io, da parte mia, inesperto e tremolante per l’emozione che stavo vivendo, cercavo di coordinare le mie idee e i miei movimenti per assumere una posizione adeguata al caso: nessuno ci aveva avvertito che prima dell’atto sessuale occorreva fare, delle manovre e delle manipolazioni preliminari, per rendere l’utero femminile più ricettivo e disponibile, e così con la foga di un ragazzo, imbranato, infilai subito il mio membro tra le cosce aperte di Rosalia: mi sentivo in Paradiso, anche se la sua asciutta peluria pubica, m’infastidiva un poco. E quando credetti di trovare il posto adatto tra le sue grandi labbra, con uno scatto improvviso, da “vero maschio siculo” affondai il mio membro nella sua vagina. Finalmente si realizzava il mio agognato sogno!.
Ma un lungo gemito doloroso di entrambi, ci riportò sulla terra!
“Bedda Matri Santissima: ki fu???”, pensammo impulsivamente entrambi! Io provavo un intenso dolore al pene, che mi fece ritrarre istantaneamente, e anche lei si lamentava, toccandosi i genitali!
Dio mio, pensai immediatamente: l’ho sverginata! E anche lei singhiozzante pensò la stessa cosa, quando ritraendo le sue mani, le vide macchiate di sangue! Rimasi confuso, quasi inebetito, a quella visione e mi chinai istintivamente a guardare il mio membro insanguinato.
Furono attimi di terrore! Una tragedia! Siiii ! L’avevo sverginata!
E così agitati e impauriti, scesimo dal letto e iniziammo a ripulirci alla meglio con dei fazzoletti. Lei piagnucolando si asciugava, e mormorava sommessamente frasi sconnesse, come una litania, ricordando ciò che le avevano detto le vecchie zie, sull’imene immacolato delle donne sicule. Io completamente frastornato, facevo altrettanto, pensando alle conseguenze che dovevo, affrontare con i suoi genitori, per risarcirli dell’onore perduto dalla propria figlia.
In Sicilia, non si scherza: per queste cose, c’è la “Lupara”!
Ma, continuando a ripulirmi, notavo che il mio fazzoletto era sempre più rosso e non mi capacitavo del perché! Esaminai attentamente, il mio membro dolorante e insanguinato e con sollievo, mi accorsi che il filetto del glande, si era rotto totalmente.

Si! Ero io, per fortuna a essere stato “SVERGINATO !!!!”
Grazie, Rosalia! Il tuo onore è salvo e la mia vita pure: la Lupara può attendere!

PS:
I fatti descritti, sono realmente accaduti in quel periodo, e nessun “umano”, prima d’ora, tranne Tanu e Rosalia, ne erano a conoscenza. Non me ne sono mai vantato, poi, nemmeno con i miei amici più intimi, forse, per vergogna. Dopo tantissimi anni, mi sono deciso a scriverli, perché Internet, mi da la garanzia che nessuno dei miei quattro nipotini, possa venire a conoscenza di ciò che il loro canuto “nonnino”, avesse fatto alla loro odierna età!
Oggi, invito anche voi a farlo! Scrivete tutto ciò che ha solleticato le corde del vostro Eros, anche se pensate di non esserne capaci: liberatevi dei vostri sensi di colpa, perché descrivendoli, rivivrete con più emozione e sensualità ciò che avete fatto, com’è successo a me, che quasi quasi, dopo settant’anni, ho goduto oggi, ricordandoli minutamente, più di allora.
“Baciamo le mani a tutti”!
scritto il
2010-01-02
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