Il vasetto di Nutella ヌテッラ
di
Yuko
genere
saffico
La bambina, da poco arrivata in Italia da un paese lontano, accarezza il barattolo della Nutella.
Con il suo ditino scorre lungo le lettere dell'etichetta, la prima nera e le altre rosse, senza trovare nei sinuosi caratteri il ricordo degli ideogrammi imparati in Giappone.
Non riesce a leggerne il nome, ma ne conosce molto bene il sapore.
Sicura di essere sola in casa, dopo essersi guardata intorno, ne apre il coperchio, cercando comunque di non far rumore.
Il piccolo dito grassoccio si immerge nella calda viscosità della crema di nocciole e cacao.
Una consistenza avvolgente e seducente.
Ne emerge ricoperto di una massa filante che inizia a colare nel vasetto.
Gli occhi a mandorla della piccolina si aprono e rimirare il lento colare, come una visione di antiche lave che scorrono sotto la crosta terrestre.
La bocca è già socchiusa tra le piccole labbra, come un bocciolo di rosa.
Si sente inadeguata, la giapponesina, per lasciarsi sedurre da tanto sapore, non sa se può osare.
Ma il dito è già stato immerso e gli aromi si sprigionano liberi ed inebrianti.
C'è tutta una scienza dietro a questi aromi naturali, ai colori ed alla viscosità, approfonditamente elaborata secondo il potere seduttivo sul palato e sulla mente umana.
Una rapida occhiata in giro.
Le falangi entrano tra le labbra e le papille gustative si perdono nell'estasi dei sapori.
La crema si scioglie lentamente nella bocca della piccina.
Gli occhi chiusi, la bambina si lascia possedere dalle tenebre dell'oblio che quel sapore provocante suscita nel suo apparato sensoriale.
Di nuovo il dito scava sotto alla superficie del mare di cioccolato ed è una seconda ondata di piaceri e di zuccheri.
Gli occhi sorridenti, le guancette si piegano in due adorabili fossette ed il dito ritorna nel barattolo, quando si sente scattare la serratura dell'ingresso. È tornata a casa la mamma.
Rumore di borsetta che si appoggia sul tavolo in anticamera.
La bambina succhia avidamente il dito, chiude il vasetto e lo ripone nella credenza.
Ma il dito è pieno di cioccolato e la mamma sta per irrompere in cucina.
Un'altra succhiata condita di panico, ma altro cioccolato resta adeso al dito.
La piccola lo pulisce rapidissima nel primo posto che trova ed esce dalla cucina quasi con un gemito di terrore.
Incrocia la mamma sulla porta.
“Ciao amore”
“Ciao mamma”
“Sono stata velocissima, vero?”
Le mani fresche della mamma le accarezzano le gote e un bacio le si stampa sulla fronte, morbido ed affettuoso.
La bambina scappa in camera tra i sensi di colpa, mentre la mamma la lascia sfuggire tra le braccia, guardandola allontanarsi con una domanda inespressa nello sguardo.
Minuti di attesa si susseguono, feroci. E, ad un certo punto:
“Yuko, vieni qui un attimo!”
La chiamata raggiunge la piccola nella sua stanza, intenta a giocare con una bambolina italiana.
Cade con la pesantezza di un'ascia sul ceppo di un patibolo.
La bimba ora stringe gli occhi e le labbra. Il tono è stato perentorio ed il sapore della crema alle nocciole riemerge dai ricordi come una condanna a morte da parte di una giuria spietata.
Lentissima, come se stesse percorrendo il miglio verde, la testa bassa e le mani dietro la schiena, Yuko torna in cucina. Scuote lentamente la testa e i due codini le risuonano dei campanellini che ha legato ai fiocchi fucsia.
Davanti alla porta della cucina rialza il volto ed affronta la madre ed il proprio destino con uno sguardo deciso, convinta a vendere cara la pelle.
“Vieni qui!” la apostrofa subito la madre, senza giri di parole. Il sorriso di prima è scomparso e tira aria di sgridata. La mamma è in piedi ad un angolo del tavolo, di fronte alla candida tovaglia bianca con l'orlo ricamato di piccoli fiori in rilievo che si stende sul piano.
Il bianco drappo appena steso per la cena ormai imminente a cui sono attesi degli ospiti.
La piccina finge indifferenza e si avvicina alla madre, ma lo sguardo saetta in cerca di particolari.
“Chi ha fatto questo?”
La mano dell'adulto solleva il lembo della tovaglia su cui spiccano parallele sgommate di cioccolato.
Uno sciame di scie lungo una spanna.
La piccolina si alza in punta di piedi guardando incuriosita il corpo del reato.
Non pronuncia una sola parola, ma i pugni sono serrati, come stretta sente ormai la morsa dei segugi che l'hanno individuata e che le danno la caccia.
Guarda la madre, ne sostiene lo sguardo con audace incoscienza.
“Eh? Chi ha fatto questo bel lavoro?” incalza la madre, mentre il mondo intorno sembra scomparire inghiottito dalle tenebre. Se la piccina avesse letto “delitto e castigo” avrebbe avuto metafore a riempirle la mente, invece del terrore che sta per sfociare nel panico.
Il tono della mamma impone una risposta e sembra non concedere attenuanti.
“Yuko! Chi ha fatto questo pasticcio?”
“Papà!”
Dice seria la piccola, sostenendo lo sguardo rapace della madre con il proprio, forte di orgoglio, e facendo appello all'innocenza totale che è prerogativa di bambini impunibili.
Pochi attimi, che però sembrano dilatati in tempi geologici.
La mandibola della mamma si serra. La bambina viene presa per un braccio, spostata di un quarto di giro e una sculacciata potente come il maglio spaziale di Goldrake si schianta sul suo sederino, schioccante come il suono del gong di un monastero buddista.
La madre la guarda torva con aria di sfida, pronta a raccogliere la reazione della bimba, ma la piccola, dopo aver spostato una manina sulle chiappe che le bruciano come un'orticata di una medusa gigante, con lo stesso sguardo e i denti stretti, continua a sostenerne lo sguardo.
Sente un pianto inconsolabile stringerle la gola e soffocarle ogni parola, ma non vuole cedere.
Nessun accenno di pianto deve dare soddisfazioni al boia che le ha inflitto quella sproporzionata esecuzione.
Lo spirito dei samurai, da cui lontanamente discende, le cementa l'orgoglio e con uno sguardo carico di odio resta lì, a fissare gli occhi inviperiti della madre.
Nessun singulto, nessun accenno di pianto, anche se il dolore alle chiappe le gonfia le ghiandole lacrimali, pronte ad esplodere.
La mamma non ha avuto la soddisfazione che si aspettava.
A questa non ha potuto seguire quel poco di distensione che sulle strade della temperanza, si inclina al perdono ed al risarcimento per una sentenza troppo punitiva.
La tensione non si sblocca e Yuko non dà segni di cedimento né di pentimento.
Non un accenno ad una confessione. Ferma sulle sue posizioni.
Nella sua mente le immagini di Mulan che, armata di una affilatissima katana taglia la gola ai conquistatori mongoli.
“Torna in camera tua!” sibila la mamma senza vena di amnistie.
Yuko non molla lo sguardo della madre. Arretra verso la porta della cucina mostrando tutta l'indignazione e la riprovazione di cui è capace, ma senza osare mollare la stretta dei suoi dentini per non scoppiare in un irrefrenabile pianto che suonerebbe come confessione.
Arrivata in camera scoppia in un pianto prodigiosamente silenzioso. Le lacrime le rigano il volto mentre, sollevata la gonna mille pieghe e abbassato il bordo delle mutandine, voltata di spalle allo specchio contempla con incontenibile commozione il profilo rosso della sculacciata della mamma sul suo innocente sedere.
Negli anni ho coltivato il mito dell'irresistibile crema di nocciola e cacao.
“Nutella”
“Nu te ra” - “ヌテッラ” o Nuterà come potrebbe pronunciarla un italiano.
La lingua giapponese non ha il suono della lettera “L”, che nelle traduzioni di parole straniere viene sostituito dalla “R”, e, mentre le parole in italiano sono piane, cioè di regola accentate sulla penultima, in giapponese non esistono accenti fonetici ed ogni sillaba viene pronunciata come se fosse accentata. Il suono che ne deriva sembra quello di una parola accentata all'ultima vocale.
La Nuterà mi ha accompagnato per tutta la mia infanzia, finchè ho imparato a pronunciare la “L”.
Allo specchio mi giro e mi guardo il sedere. La sculacciata di Jadine ha lasciato il segno.
Sono passati vent'anni, la situazione è completamente ribaltata, ma il risultato è lo stesso.
Quando mi sculaccia i seni è più delicata, diventano rossi, ma non capita di vederci le cinque dita come ora sto constatando io sulla pelle delicata delle mie chiappe. Sembra di scorgerne anche le impronte digitali, ma so che è impossibile e torno al letto sopra di lei, più agguerrita.
“Guarda cosa mi hai fatto, chocolat!”
Lei ride e mi guarda maliziosa. Aspetta la mia reazione, ma a me il sedere brucia davvero.
Con la senegalese non c'è bisogno di Nutella, lei è già di quel colore e non ne vale la pena, sapore a parte; ma anche per quanto riguarda il sapore, il suo è già abbastanza. Si può discutere di gelato alla vaniglia, semmai.
Lei spalanca le cosce e mi aspetta, aspetta di vedere come la punirò.
In mezzo alle gambe la sua vulva è molto scura, più pimentata del colore mogano della sua pelle.
Le sue grandi labbra chiuse sembrano un chicco di caffè gigante, un invito alla torrefazione ed alla degustazione. Un viaggio tra gli aromi dell'Africa.
Vede che indugio, sopraffatta dalle riminiscenze della mia infanzia, e con le dita si apre da sola il chicco di caffè. Dentro è rossa come una fragola e mi aspetta scintillante di lucido muco.
Pazientemente mi inginocchio davanti a lei. I suoi seni sono due metà di un uovo di Pasqua con tanto di nocciola al centro, quelle areole quasi nere con i capezzoli che svettano come due more polpose, due guerrieri tuareg sui colli del Tibesti.
Le infilo due dita, come in una buca per le lettere e mi immagino l'aroma di caffè appena tostato, come nelle “bunna cerimony” in terra etiope.
Due dita profondamente in quel vasetto di Nutella naturale.
Sfilo le dita filanti di muco limpido e me le metto in bocca.
Non sento più il bruciore sul sedere, sorrido e mi succhio le dita voluttuosamente.
La piccola Yuko, la principessa Mulan, la giovane samurai ha ritrovato il sorriso.
ヌテッラ
Con il suo ditino scorre lungo le lettere dell'etichetta, la prima nera e le altre rosse, senza trovare nei sinuosi caratteri il ricordo degli ideogrammi imparati in Giappone.
Non riesce a leggerne il nome, ma ne conosce molto bene il sapore.
Sicura di essere sola in casa, dopo essersi guardata intorno, ne apre il coperchio, cercando comunque di non far rumore.
Il piccolo dito grassoccio si immerge nella calda viscosità della crema di nocciole e cacao.
Una consistenza avvolgente e seducente.
Ne emerge ricoperto di una massa filante che inizia a colare nel vasetto.
Gli occhi a mandorla della piccolina si aprono e rimirare il lento colare, come una visione di antiche lave che scorrono sotto la crosta terrestre.
La bocca è già socchiusa tra le piccole labbra, come un bocciolo di rosa.
Si sente inadeguata, la giapponesina, per lasciarsi sedurre da tanto sapore, non sa se può osare.
Ma il dito è già stato immerso e gli aromi si sprigionano liberi ed inebrianti.
C'è tutta una scienza dietro a questi aromi naturali, ai colori ed alla viscosità, approfonditamente elaborata secondo il potere seduttivo sul palato e sulla mente umana.
Una rapida occhiata in giro.
Le falangi entrano tra le labbra e le papille gustative si perdono nell'estasi dei sapori.
La crema si scioglie lentamente nella bocca della piccina.
Gli occhi chiusi, la bambina si lascia possedere dalle tenebre dell'oblio che quel sapore provocante suscita nel suo apparato sensoriale.
Di nuovo il dito scava sotto alla superficie del mare di cioccolato ed è una seconda ondata di piaceri e di zuccheri.
Gli occhi sorridenti, le guancette si piegano in due adorabili fossette ed il dito ritorna nel barattolo, quando si sente scattare la serratura dell'ingresso. È tornata a casa la mamma.
Rumore di borsetta che si appoggia sul tavolo in anticamera.
La bambina succhia avidamente il dito, chiude il vasetto e lo ripone nella credenza.
Ma il dito è pieno di cioccolato e la mamma sta per irrompere in cucina.
Un'altra succhiata condita di panico, ma altro cioccolato resta adeso al dito.
La piccola lo pulisce rapidissima nel primo posto che trova ed esce dalla cucina quasi con un gemito di terrore.
Incrocia la mamma sulla porta.
“Ciao amore”
“Ciao mamma”
“Sono stata velocissima, vero?”
Le mani fresche della mamma le accarezzano le gote e un bacio le si stampa sulla fronte, morbido ed affettuoso.
La bambina scappa in camera tra i sensi di colpa, mentre la mamma la lascia sfuggire tra le braccia, guardandola allontanarsi con una domanda inespressa nello sguardo.
Minuti di attesa si susseguono, feroci. E, ad un certo punto:
“Yuko, vieni qui un attimo!”
La chiamata raggiunge la piccola nella sua stanza, intenta a giocare con una bambolina italiana.
Cade con la pesantezza di un'ascia sul ceppo di un patibolo.
La bimba ora stringe gli occhi e le labbra. Il tono è stato perentorio ed il sapore della crema alle nocciole riemerge dai ricordi come una condanna a morte da parte di una giuria spietata.
Lentissima, come se stesse percorrendo il miglio verde, la testa bassa e le mani dietro la schiena, Yuko torna in cucina. Scuote lentamente la testa e i due codini le risuonano dei campanellini che ha legato ai fiocchi fucsia.
Davanti alla porta della cucina rialza il volto ed affronta la madre ed il proprio destino con uno sguardo deciso, convinta a vendere cara la pelle.
“Vieni qui!” la apostrofa subito la madre, senza giri di parole. Il sorriso di prima è scomparso e tira aria di sgridata. La mamma è in piedi ad un angolo del tavolo, di fronte alla candida tovaglia bianca con l'orlo ricamato di piccoli fiori in rilievo che si stende sul piano.
Il bianco drappo appena steso per la cena ormai imminente a cui sono attesi degli ospiti.
La piccina finge indifferenza e si avvicina alla madre, ma lo sguardo saetta in cerca di particolari.
“Chi ha fatto questo?”
La mano dell'adulto solleva il lembo della tovaglia su cui spiccano parallele sgommate di cioccolato.
Uno sciame di scie lungo una spanna.
La piccolina si alza in punta di piedi guardando incuriosita il corpo del reato.
Non pronuncia una sola parola, ma i pugni sono serrati, come stretta sente ormai la morsa dei segugi che l'hanno individuata e che le danno la caccia.
Guarda la madre, ne sostiene lo sguardo con audace incoscienza.
“Eh? Chi ha fatto questo bel lavoro?” incalza la madre, mentre il mondo intorno sembra scomparire inghiottito dalle tenebre. Se la piccina avesse letto “delitto e castigo” avrebbe avuto metafore a riempirle la mente, invece del terrore che sta per sfociare nel panico.
Il tono della mamma impone una risposta e sembra non concedere attenuanti.
“Yuko! Chi ha fatto questo pasticcio?”
“Papà!”
Dice seria la piccola, sostenendo lo sguardo rapace della madre con il proprio, forte di orgoglio, e facendo appello all'innocenza totale che è prerogativa di bambini impunibili.
Pochi attimi, che però sembrano dilatati in tempi geologici.
La mandibola della mamma si serra. La bambina viene presa per un braccio, spostata di un quarto di giro e una sculacciata potente come il maglio spaziale di Goldrake si schianta sul suo sederino, schioccante come il suono del gong di un monastero buddista.
La madre la guarda torva con aria di sfida, pronta a raccogliere la reazione della bimba, ma la piccola, dopo aver spostato una manina sulle chiappe che le bruciano come un'orticata di una medusa gigante, con lo stesso sguardo e i denti stretti, continua a sostenerne lo sguardo.
Sente un pianto inconsolabile stringerle la gola e soffocarle ogni parola, ma non vuole cedere.
Nessun accenno di pianto deve dare soddisfazioni al boia che le ha inflitto quella sproporzionata esecuzione.
Lo spirito dei samurai, da cui lontanamente discende, le cementa l'orgoglio e con uno sguardo carico di odio resta lì, a fissare gli occhi inviperiti della madre.
Nessun singulto, nessun accenno di pianto, anche se il dolore alle chiappe le gonfia le ghiandole lacrimali, pronte ad esplodere.
La mamma non ha avuto la soddisfazione che si aspettava.
A questa non ha potuto seguire quel poco di distensione che sulle strade della temperanza, si inclina al perdono ed al risarcimento per una sentenza troppo punitiva.
La tensione non si sblocca e Yuko non dà segni di cedimento né di pentimento.
Non un accenno ad una confessione. Ferma sulle sue posizioni.
Nella sua mente le immagini di Mulan che, armata di una affilatissima katana taglia la gola ai conquistatori mongoli.
“Torna in camera tua!” sibila la mamma senza vena di amnistie.
Yuko non molla lo sguardo della madre. Arretra verso la porta della cucina mostrando tutta l'indignazione e la riprovazione di cui è capace, ma senza osare mollare la stretta dei suoi dentini per non scoppiare in un irrefrenabile pianto che suonerebbe come confessione.
Arrivata in camera scoppia in un pianto prodigiosamente silenzioso. Le lacrime le rigano il volto mentre, sollevata la gonna mille pieghe e abbassato il bordo delle mutandine, voltata di spalle allo specchio contempla con incontenibile commozione il profilo rosso della sculacciata della mamma sul suo innocente sedere.
Negli anni ho coltivato il mito dell'irresistibile crema di nocciola e cacao.
“Nutella”
“Nu te ra” - “ヌテッラ” o Nuterà come potrebbe pronunciarla un italiano.
La lingua giapponese non ha il suono della lettera “L”, che nelle traduzioni di parole straniere viene sostituito dalla “R”, e, mentre le parole in italiano sono piane, cioè di regola accentate sulla penultima, in giapponese non esistono accenti fonetici ed ogni sillaba viene pronunciata come se fosse accentata. Il suono che ne deriva sembra quello di una parola accentata all'ultima vocale.
La Nuterà mi ha accompagnato per tutta la mia infanzia, finchè ho imparato a pronunciare la “L”.
Allo specchio mi giro e mi guardo il sedere. La sculacciata di Jadine ha lasciato il segno.
Sono passati vent'anni, la situazione è completamente ribaltata, ma il risultato è lo stesso.
Quando mi sculaccia i seni è più delicata, diventano rossi, ma non capita di vederci le cinque dita come ora sto constatando io sulla pelle delicata delle mie chiappe. Sembra di scorgerne anche le impronte digitali, ma so che è impossibile e torno al letto sopra di lei, più agguerrita.
“Guarda cosa mi hai fatto, chocolat!”
Lei ride e mi guarda maliziosa. Aspetta la mia reazione, ma a me il sedere brucia davvero.
Con la senegalese non c'è bisogno di Nutella, lei è già di quel colore e non ne vale la pena, sapore a parte; ma anche per quanto riguarda il sapore, il suo è già abbastanza. Si può discutere di gelato alla vaniglia, semmai.
Lei spalanca le cosce e mi aspetta, aspetta di vedere come la punirò.
In mezzo alle gambe la sua vulva è molto scura, più pimentata del colore mogano della sua pelle.
Le sue grandi labbra chiuse sembrano un chicco di caffè gigante, un invito alla torrefazione ed alla degustazione. Un viaggio tra gli aromi dell'Africa.
Vede che indugio, sopraffatta dalle riminiscenze della mia infanzia, e con le dita si apre da sola il chicco di caffè. Dentro è rossa come una fragola e mi aspetta scintillante di lucido muco.
Pazientemente mi inginocchio davanti a lei. I suoi seni sono due metà di un uovo di Pasqua con tanto di nocciola al centro, quelle areole quasi nere con i capezzoli che svettano come due more polpose, due guerrieri tuareg sui colli del Tibesti.
Le infilo due dita, come in una buca per le lettere e mi immagino l'aroma di caffè appena tostato, come nelle “bunna cerimony” in terra etiope.
Due dita profondamente in quel vasetto di Nutella naturale.
Sfilo le dita filanti di muco limpido e me le metto in bocca.
Non sento più il bruciore sul sedere, sorrido e mi succhio le dita voluttuosamente.
La piccola Yuko, la principessa Mulan, la giovane samurai ha ritrovato il sorriso.
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