Bambina
di
Anonimo
genere
etero
Sentì il telefono vibrare. Mise la mano nella tasca dei jeans con un gesto furtivo ed impercettibile, ormai automatico. Un nuovo messaggio. "Ti voglio bene", lesse sul display. Sorrise appena, e in quel preciso istante il telefono vibrò di nuovo. "Ovviamente scherzavo. Ci avrai mica creduto!?"
Non aveva alcun bisogno di crederci, lo sapeva e basta. E sorrise di nuovo. Sapeva che non c'era alcun bisogno di rispondere a quei messaggi.
Aveva passato l'intero pomeriggio a chiedersi se era giusto lasciarsi andare, si sentiva tanto stupida, insicura. Non si erano sentiti per tutto il giorno e aveva voglia di sorprenderlo, ma aveva paura di sembrare una bambina. In fondo era così che lui la faceva sentire, e le piaceva. Le piaceva perché non era abituata a sentirsi la "bimba capricciosa" della situazione. Era sempre stata lei quella matura, quella grande, quella responsabile, quella controllata e con la testa sulle spalle. Non aveva mai conosciuto un uomo che fosse in grado di farla sentire "piccola". Quella parola che lei tanto odiava, ma che in quel caso le sembrava la più adatta a descriverla. Mai nessun ragazzo era riuscita a farla sentire la donna della situazione, ormai il ruolo della "mamma" le calzava a pennello, anche se iniziava a starle stretto.
Poi decise di buttarsi. Prese in mano il telefono e scrisse "Ti voglio bene". Rimase un po' di tempo a fissare quelle parole scritte sul display, indecisa se inviare o no quel messaggio. Contò fino a tre, poi inviò. "No, cazzo!" pensò ‚"È meglio se smorzo un po' i toni." E inviò un nuovo messaggio, per buttarla sul ridere.
Pensava e ripensava a quella ragazza, a quegli occhi mai visti, immaginava il profumo della sua pelle, poi cercava di allontanare quei pensieri dalla mente, come se non gli fossero consentiti. Era spiazzato, sorpreso, divertito, intrigato. Lei sapeva come tenergli testa. E a questo non era abituato! Voleva starle lontano, ma allo stesso tempo non poteva fare a meno di cercarla. Sapeva che stava giocando con il fuoco, ma il gioco gli piaceva troppo.
"Ormai è un'ora che gli ho scritto. Neanche un cenno di vita. Poteva almeno rispondere con una battuta, mica pretendevo che ricambiasse le mie parole." In fin dei conti le persone si dicono "ti voglio bene" in continuazione, per molti è una cosa normale, per molti sono parole con scarso valore, ma non per lei. Lei diceva sempre che dire ti voglio bene a qualcuno equivale a dirgli, ecco, sono a 90, adesso puoi mettermelo in culo quando vuoi!. Forse aveva sbagliato ad abbassare la guardia. Forse l'unico motivo per cui non rispondeva era che non gli andava di dire una bugia. Forse sapeva perfettamente il valore che lei dava a quelle parole e non aveva voglia di usarle in modo leggero, falso. Sapeva che non era tipo da "meglio una bella bugia che un'amara verità". E quel silenzio faceva male.
Poi d'improvviso tutto le sembrò chiaro. Non era lui a farla sentire una bambina. Lei era un bambina e basta!
Non aveva alcun bisogno di crederci, lo sapeva e basta. E sorrise di nuovo. Sapeva che non c'era alcun bisogno di rispondere a quei messaggi.
Aveva passato l'intero pomeriggio a chiedersi se era giusto lasciarsi andare, si sentiva tanto stupida, insicura. Non si erano sentiti per tutto il giorno e aveva voglia di sorprenderlo, ma aveva paura di sembrare una bambina. In fondo era così che lui la faceva sentire, e le piaceva. Le piaceva perché non era abituata a sentirsi la "bimba capricciosa" della situazione. Era sempre stata lei quella matura, quella grande, quella responsabile, quella controllata e con la testa sulle spalle. Non aveva mai conosciuto un uomo che fosse in grado di farla sentire "piccola". Quella parola che lei tanto odiava, ma che in quel caso le sembrava la più adatta a descriverla. Mai nessun ragazzo era riuscita a farla sentire la donna della situazione, ormai il ruolo della "mamma" le calzava a pennello, anche se iniziava a starle stretto.
Poi decise di buttarsi. Prese in mano il telefono e scrisse "Ti voglio bene". Rimase un po' di tempo a fissare quelle parole scritte sul display, indecisa se inviare o no quel messaggio. Contò fino a tre, poi inviò. "No, cazzo!" pensò ‚"È meglio se smorzo un po' i toni." E inviò un nuovo messaggio, per buttarla sul ridere.
Pensava e ripensava a quella ragazza, a quegli occhi mai visti, immaginava il profumo della sua pelle, poi cercava di allontanare quei pensieri dalla mente, come se non gli fossero consentiti. Era spiazzato, sorpreso, divertito, intrigato. Lei sapeva come tenergli testa. E a questo non era abituato! Voleva starle lontano, ma allo stesso tempo non poteva fare a meno di cercarla. Sapeva che stava giocando con il fuoco, ma il gioco gli piaceva troppo.
"Ormai è un'ora che gli ho scritto. Neanche un cenno di vita. Poteva almeno rispondere con una battuta, mica pretendevo che ricambiasse le mie parole." In fin dei conti le persone si dicono "ti voglio bene" in continuazione, per molti è una cosa normale, per molti sono parole con scarso valore, ma non per lei. Lei diceva sempre che dire ti voglio bene a qualcuno equivale a dirgli, ecco, sono a 90, adesso puoi mettermelo in culo quando vuoi!. Forse aveva sbagliato ad abbassare la guardia. Forse l'unico motivo per cui non rispondeva era che non gli andava di dire una bugia. Forse sapeva perfettamente il valore che lei dava a quelle parole e non aveva voglia di usarle in modo leggero, falso. Sapeva che non era tipo da "meglio una bella bugia che un'amara verità". E quel silenzio faceva male.
Poi d'improvviso tutto le sembrò chiaro. Non era lui a farla sentire una bambina. Lei era un bambina e basta!
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