Lo Squalo Cap. 1 - Collana Detective per caso
di
Koss
genere
dominazione
Questo è dopo "La mammina della mia fidanzata" il secondo episodio di Detective per caso. Questo racconto è stato appena pubblicato. Per ora solo su Amazon.
Ero legato ad un letto, come si deve, braccia e gambe larghe, i polsi e le caviglie legati e tirati verso i quattro angoli del letto. Potete immaginare chi l’aveva fatto. Ovviamente Eva, la mia dolce metà.
Giovanna, la sexy bomba, schiava di Eva, mi stava cavalcando e devo dire che era meraviglioso, perché Giovanna è una donna bellissima e come ebbi modo di scoprire ironica ed intelligente. Infatti, dopo avermi cavalcato a piacere, si chinò su di me baciandomi e strusciando il suo meraviglioso seno sul mio virile petto, mi sussurrò all’orecchio – ho sempre desiderato avere a disposizione un toy boy bello come te. –
Era un sogno, ma era successo davvero. Stavamo passeggiando, due anni prima, io e la mia fidanzata sotto i portici di Bologna, in centro. Era autunno inoltrato, fine novembre, pioveva, il freddo e l’umido mi erano entrati nelle ossa. – Andiamo in un bar e beviamo qualcosa di caldo. –
- Ho un’idea migliore – mi rispose Eva, - ho la chiave dell’appartamento di una mia amica, qui vicino, andiamo lì e facciamo un giochino. – Aveva gli occhi da gatta, faceva le fusa e non ammetteva repliche. Mi lasciai trascinare. Lei aprì l’appartamento e mi portò in camera da letto. – ma se la tua amica torna? –
- Non torna, stai tranquillo e spogliati. –
Ubbidii e mi feci convincere a farmi legare. Lei era calda e convincente, si strusciava sul mio corpo come una cagna e prometteva meraviglie. Era irresistibile e io, anche se poco convinto, volevo assecondare il suo giochino. Sapevo che era una Mistress, ma non pensavo che con me se ne sarebbe approfittata, quelle perversioni, mi aveva sempre assicurato, le riservava alle sue schiave, femmine, mai al suo fidanzato.
Dopo avermi legato si allontanò e ritornò qualche minuto dopo, si era trasformata. Eva indossava un top di pizzo nero che scendeva fino a coprirle l’ombelico, sotto mutandine nere, anche esse di pizzo, anche le calze erano nere come le decolleté. L’avevo già vista in look molto hard, ma quella mise era una novità, “ovviamente la usava per i suoi incontri hot con le sue schiave” pensavo.
Devo dire che, in quel look, mi intimidiva, ma mi arrapava anche tanto, infatti il mio cazzo si eresse immediatamente. La mia ragazza, si avvicinò al letto e ci montò sopra. – Ti piaccio? –
- Sei stupenda – risposi con voce roca.
Mi accarezzò sul petto, sulle cosce, mi baciò dovunque, ma non mi toccò dove più lo desideravo, era una tortura deliziosa.
Chiamò – Katia! - La giunonica biondona si materializzò e si avvicinò al letto ancheggiando.
Guardai Eva, ma lei rispose tranquilla – è solo un gioco. –
La biondona si chinò sulle mie partì basse, strusciò quel morbido davanzale sulle mie cosce, sul mio cazzo che vibrò come un pesce preso all’amo, me lo prese in bocca. Devo ammettere che fu il miglior pompino della mia vita. Katia aveva fatto l’università in quella specializzazione.
Dopo di lei arrivò la morbida ed immensa Arianna, la morettona. Lei me lo prese tra quelle straordinarie tette che si ritrovava e il mio cazzo, che non è proprio piccolo, lì in mezzo si perse e si ritrovò a suo agio. Le due signore mi avevano lavorato divinamente senza dire una parola, poi si fecero da parte e arrivò Giovanna, la bionda, la più bella. Trascorsi tutto il pomeriggio sotto le grinfie di quelle tre. Solo alla fine Eva mi sciolse e dopo che le altre erano andate via scopammo.
Quelle tre donne me lo dovevano, qualche mese prima le avevo salvate da una triste fina, senza di me sarebbero finite, anzi Katia ci era già finita, in un brutto giro di prostituzione. Io non avevo chiesto assolutamente niente, ma gradii il loro regalo, soprattutto perché mi venne offerto da Eva e loro erano state felici di sdebitarsi in quel modo.
Rifacevo quel sogno almeno una volta al mese e inevitabilmente, quando Giovanna mi sussurrava – sei il mio toy boy – mi svegliavo e mi ritrovavo sudaticcio e arrapato nel letto, magari con Eva di lato. A volte ero tanto arrapato che le saltavo addosso, d’altra parte se facevo quel sogno era soprattutto colpa sua. Lei, per la verità, non se ne lamentava, a volte mi lasciava fare continuando praticamente a dormire, ma godendo, altre volte era più attiva e partecipe.
Successe anche questa volta, ma questa volta quella che stava a cavalcioni, cercando di darmi sollievo, su di me era Cinzia. La mammina della mia fidanzata.
Quando si accorse che mi ero svegliato mi chiese continuando ad andare su e giù. – Chi è? –
– Chi è chi? –
Feci l’asino, ma anche se mi riusciva bene, Cinzia, se voleva, era testarda.
- Quella di cui sei il toy boy? –
Indignato, ma prendendola per i fianchi e rivoltandola per metterla sotto di me, le risposi.
- Io fotto solo te e mia moglie. –
Dovevo essere stato convincente perché lei lasciò cadere il discorso e cominciò ad uggiolare. Ero arrapato e avevo in testa la bella Giovanna, lei, in effetti, era bella come Cinzia, quindi i miei fendenti erano molto profondi e Cinzia, ignara di quello che pensavo, godeva. In fondo era vero, a parte quella volta, le uniche donne che mi fottevo erano loro due: mamma e figlia.
Sì, avete capito bene, nei due anni trascorsi sono successe un po’ di cose. Nell’ordine, mi sono laureato in economia, ho trovato un lavoro e mi sono sposato con Eva continuando anche ad andare a letto con sua madre. Come si dice avevo preso due piccioni, anzi due piccioncine, con una fava, la mia.
Stavo scopando con la madre in un letto che non stava a casa sua, ma a Milano, dove mi trovavo per lavoro, l’appartamento l’aveva affittato la mia società per me.
Visto che ci dovevo rimanere per sei mesi la mia azienda aveva pensato che affittando un bilocale avrebbe risparmiato sulle spese d’albergo. A me stava bene, nell’affitto erano comprese anche le spese per le pulizie e potevo comunque andare al ristorante con rimborso spese e l’azienda per la trasferta mi dava anche cinquanta euro al giorno. Un migliaio di euro al mese che servivano ad arrotondare il mio misero stipendio di millecinquecento euro.
Sarò più dettagliato, sei mesi prima mi ero laureato, due mesi dopo avevo trovato questo lavoro, come revisore dei conti junior, per quello junior avrei potuto uccidere qualcuno, ma i neolaureati li chiamavano così. Due mesi dopo, mi ero appena sposato, quella stronzetta della mia capa che non aveva neanche trenta anni, mi aveva convocato nel suo ufficio. La smorfiosa accavallando le gambe per mostrarmi le cosce, cercando di sedurmi, mi comunicò – mi dispiace Luigi, soprattutto perché ti sei appena sposato, ma ti devo mandare a Milano per un lavoro di circa sei mesi. – Melliflua aggiunse, - beh Milano è qui dietro, sicuramente potrai tornare a casa ogni week end e se proprio – sorrisetto, - non ne puoi fare a meno anche ogni sera, basta che il giorno dopo tu sia di nuovo a Milano. Solo un’ora di alta velocità. –
“Troia” pensai, a volte ho pensieri cattivi, in quel momento l’avrei rovesciata sulla scrivania… Giulia, la mia capa, non è niente male, assomiglia parecchio ad Eva, alta, magra con una pelle diafana e lo stesso carattere algido e altero, però Giulia ha i capelli castani, o castani scuri, un po’ più di tette ed un viso angelicamente malizioso, invece la mia Eva è viziosa, ma il viso è angelico e basta.
Quindi, prenderla, lì sulla scrivania, non sarebbe stata una cattiva idea. Non era sposata, ma non sapevo se era fidanzata, sicuramente aveva parecchi estimatori.
Rimossi il pensiero cattivo e le sorrisi. Lavoravo per una famosa azienda di consulenza aziendale, di cui non è necessario fare il nome.
– Non c’è problema – risposi facendo buon viso a cattivissimo gioco. Il lunedì successivo misi una borsa sulla mia macchinetta e partii per Milano. Cinzia era più dispiaciuta di Eva, d’altra parte Eva aveva un harem da curare, anche se ultimamente avevo saputo che Arianna aveva trovato un uomo e si era trasferita in un’altra città, ma magari Eva aveva trovata qualche altra chi lo poteva sapere. Mentre Cinzia aveva solo me.
Per fortuna Cinzia aveva un sacco di ferie arretrate da consumare e quindi ogni tanto prendeva ferie e veniva da me a Milano. Ad Eva raccontava qualche palla, tipo che andava alle terme con qualche amica ed Eva faceva finta di crederle. Mia moglie non capiva perché la madre cercava di nascondere quello che era evidente. La mia ragazza non aveva ancora capito il valore dell’ipocrisia.
Stavo uscendo dalla doccia quando il cellulare squillò. Era Eva. – Buongiorno amore. –
- Buongiorno a te, passami mamma. –
Non stetti neanche a dirle, ma come sai che… Le chiesi invece – perché hai chiamato me e non lei. –
Lei sbuffò impaziente, - perché il suo cellulare è spento. – Non aggiunse stupido, ma lo pensò.
Andai a camera da letto, baciai Cinzia sul collo per svegliarla e le passai il cellulare. Tornai in bagno a farmi la barba, prima di uscire chiesi – cosa voleva? –
- Cercava una gonna che ho portato in lavanderia. – Aggiunse – alle diciotto arriva a Milano, devi andare a prenderla e stasera andiamo alla Scala, ha preso i biglietti. –
- Mi piace quando organizza la vita degli altri senza chiedere loro niente – risposi sarcastico e aggiunsi - Ah, quindi dorme qui. –
- Non ti preoccupare, io dormo sul divano. – Cinzia sorvolò sul resto del discorso, non avrebbe mai superato il problema di venire a letto con me e si sentiva in colpa verso la figlia, sembrava che ogni volta che scopava con me sottraesse qualcosa a sua figlia.
L’unica impegnata a salvare le apparenze era lei, a me non interessava e a mia moglie, dopo la sceneggiata della volta in cui ci aveva scoperti, fregava meno niente.
Fu una serata piacevole, dopo il teatro andammo a cena e poi a casa in taxi. A letto Eva mi divorò e mi sfinì. Aveva una gran fame di me.
Erano le sette e mezzo, dalla cucina veniva un buon odore di caffè. Cinzia era un po’ arruffata, quel divano non era granché come letto. – Dormito male? – chiesi mentre mi porgeva una tazzina di caffè.
Sospirò senza rispondere. La baciai e la trascinai sotto la doccia. Le mie mani insaponate corsero lungo tutto il suo magnifico corpo, scivolavano sulle sue splendide forme, il sapone l’aveva resa liquida, lei iniziò a diversamente sospirare ed io scivolai dentro di lei. Fui tenero, le mie mani scorrevano sul suo seno e le sue cosce, non mi sarei mai stancato di lei. Lei poggiò le mani sulla parete e si inarcò offrendosi, teneramente pompai dentro di lei, era deliziosa mentre si offriva con il culo in fuori per facilitare la mia penetrazione.
Ed era perfetta, all’altezza giusta. Con Eva non avrei mai potuto fottere in quella posizione, era troppo alta, per prenderla lei si sarebbe dovuta mettere a novanta gradi, oppure piegarsi sulle ginocchia, mentre a sua madre bastava leggermente e naturalmente piegarsi giusto per offrirmi le sue grazie.
Mentre mi vestivo, nel soggiorno, per non disturbare la mia dolce mogliettina, Cinzia portò il caffè alla figlia ancora a letto e le sentii bisbigliare. – Sei gelosa cara? – stava dicendo la mamma alla figlia.
- Mamma non essere sciocca, non sono gelosa, ma mi manca, mi dispiace aver disturbato il vostro incontro, però lo dovevo vedere. –
- Ti capisco – sorrise la mamma.
Sorrisi, quella notte, in effetti, mi aveva dimostrato che le mancavo, finii di vestirmi, salutai e andai a lavorare.
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Ero legato ad un letto, come si deve, braccia e gambe larghe, i polsi e le caviglie legati e tirati verso i quattro angoli del letto. Potete immaginare chi l’aveva fatto. Ovviamente Eva, la mia dolce metà.
Giovanna, la sexy bomba, schiava di Eva, mi stava cavalcando e devo dire che era meraviglioso, perché Giovanna è una donna bellissima e come ebbi modo di scoprire ironica ed intelligente. Infatti, dopo avermi cavalcato a piacere, si chinò su di me baciandomi e strusciando il suo meraviglioso seno sul mio virile petto, mi sussurrò all’orecchio – ho sempre desiderato avere a disposizione un toy boy bello come te. –
Era un sogno, ma era successo davvero. Stavamo passeggiando, due anni prima, io e la mia fidanzata sotto i portici di Bologna, in centro. Era autunno inoltrato, fine novembre, pioveva, il freddo e l’umido mi erano entrati nelle ossa. – Andiamo in un bar e beviamo qualcosa di caldo. –
- Ho un’idea migliore – mi rispose Eva, - ho la chiave dell’appartamento di una mia amica, qui vicino, andiamo lì e facciamo un giochino. – Aveva gli occhi da gatta, faceva le fusa e non ammetteva repliche. Mi lasciai trascinare. Lei aprì l’appartamento e mi portò in camera da letto. – ma se la tua amica torna? –
- Non torna, stai tranquillo e spogliati. –
Ubbidii e mi feci convincere a farmi legare. Lei era calda e convincente, si strusciava sul mio corpo come una cagna e prometteva meraviglie. Era irresistibile e io, anche se poco convinto, volevo assecondare il suo giochino. Sapevo che era una Mistress, ma non pensavo che con me se ne sarebbe approfittata, quelle perversioni, mi aveva sempre assicurato, le riservava alle sue schiave, femmine, mai al suo fidanzato.
Dopo avermi legato si allontanò e ritornò qualche minuto dopo, si era trasformata. Eva indossava un top di pizzo nero che scendeva fino a coprirle l’ombelico, sotto mutandine nere, anche esse di pizzo, anche le calze erano nere come le decolleté. L’avevo già vista in look molto hard, ma quella mise era una novità, “ovviamente la usava per i suoi incontri hot con le sue schiave” pensavo.
Devo dire che, in quel look, mi intimidiva, ma mi arrapava anche tanto, infatti il mio cazzo si eresse immediatamente. La mia ragazza, si avvicinò al letto e ci montò sopra. – Ti piaccio? –
- Sei stupenda – risposi con voce roca.
Mi accarezzò sul petto, sulle cosce, mi baciò dovunque, ma non mi toccò dove più lo desideravo, era una tortura deliziosa.
Chiamò – Katia! - La giunonica biondona si materializzò e si avvicinò al letto ancheggiando.
Guardai Eva, ma lei rispose tranquilla – è solo un gioco. –
La biondona si chinò sulle mie partì basse, strusciò quel morbido davanzale sulle mie cosce, sul mio cazzo che vibrò come un pesce preso all’amo, me lo prese in bocca. Devo ammettere che fu il miglior pompino della mia vita. Katia aveva fatto l’università in quella specializzazione.
Dopo di lei arrivò la morbida ed immensa Arianna, la morettona. Lei me lo prese tra quelle straordinarie tette che si ritrovava e il mio cazzo, che non è proprio piccolo, lì in mezzo si perse e si ritrovò a suo agio. Le due signore mi avevano lavorato divinamente senza dire una parola, poi si fecero da parte e arrivò Giovanna, la bionda, la più bella. Trascorsi tutto il pomeriggio sotto le grinfie di quelle tre. Solo alla fine Eva mi sciolse e dopo che le altre erano andate via scopammo.
Quelle tre donne me lo dovevano, qualche mese prima le avevo salvate da una triste fina, senza di me sarebbero finite, anzi Katia ci era già finita, in un brutto giro di prostituzione. Io non avevo chiesto assolutamente niente, ma gradii il loro regalo, soprattutto perché mi venne offerto da Eva e loro erano state felici di sdebitarsi in quel modo.
Rifacevo quel sogno almeno una volta al mese e inevitabilmente, quando Giovanna mi sussurrava – sei il mio toy boy – mi svegliavo e mi ritrovavo sudaticcio e arrapato nel letto, magari con Eva di lato. A volte ero tanto arrapato che le saltavo addosso, d’altra parte se facevo quel sogno era soprattutto colpa sua. Lei, per la verità, non se ne lamentava, a volte mi lasciava fare continuando praticamente a dormire, ma godendo, altre volte era più attiva e partecipe.
Successe anche questa volta, ma questa volta quella che stava a cavalcioni, cercando di darmi sollievo, su di me era Cinzia. La mammina della mia fidanzata.
Quando si accorse che mi ero svegliato mi chiese continuando ad andare su e giù. – Chi è? –
– Chi è chi? –
Feci l’asino, ma anche se mi riusciva bene, Cinzia, se voleva, era testarda.
- Quella di cui sei il toy boy? –
Indignato, ma prendendola per i fianchi e rivoltandola per metterla sotto di me, le risposi.
- Io fotto solo te e mia moglie. –
Dovevo essere stato convincente perché lei lasciò cadere il discorso e cominciò ad uggiolare. Ero arrapato e avevo in testa la bella Giovanna, lei, in effetti, era bella come Cinzia, quindi i miei fendenti erano molto profondi e Cinzia, ignara di quello che pensavo, godeva. In fondo era vero, a parte quella volta, le uniche donne che mi fottevo erano loro due: mamma e figlia.
Sì, avete capito bene, nei due anni trascorsi sono successe un po’ di cose. Nell’ordine, mi sono laureato in economia, ho trovato un lavoro e mi sono sposato con Eva continuando anche ad andare a letto con sua madre. Come si dice avevo preso due piccioni, anzi due piccioncine, con una fava, la mia.
Stavo scopando con la madre in un letto che non stava a casa sua, ma a Milano, dove mi trovavo per lavoro, l’appartamento l’aveva affittato la mia società per me.
Visto che ci dovevo rimanere per sei mesi la mia azienda aveva pensato che affittando un bilocale avrebbe risparmiato sulle spese d’albergo. A me stava bene, nell’affitto erano comprese anche le spese per le pulizie e potevo comunque andare al ristorante con rimborso spese e l’azienda per la trasferta mi dava anche cinquanta euro al giorno. Un migliaio di euro al mese che servivano ad arrotondare il mio misero stipendio di millecinquecento euro.
Sarò più dettagliato, sei mesi prima mi ero laureato, due mesi dopo avevo trovato questo lavoro, come revisore dei conti junior, per quello junior avrei potuto uccidere qualcuno, ma i neolaureati li chiamavano così. Due mesi dopo, mi ero appena sposato, quella stronzetta della mia capa che non aveva neanche trenta anni, mi aveva convocato nel suo ufficio. La smorfiosa accavallando le gambe per mostrarmi le cosce, cercando di sedurmi, mi comunicò – mi dispiace Luigi, soprattutto perché ti sei appena sposato, ma ti devo mandare a Milano per un lavoro di circa sei mesi. – Melliflua aggiunse, - beh Milano è qui dietro, sicuramente potrai tornare a casa ogni week end e se proprio – sorrisetto, - non ne puoi fare a meno anche ogni sera, basta che il giorno dopo tu sia di nuovo a Milano. Solo un’ora di alta velocità. –
“Troia” pensai, a volte ho pensieri cattivi, in quel momento l’avrei rovesciata sulla scrivania… Giulia, la mia capa, non è niente male, assomiglia parecchio ad Eva, alta, magra con una pelle diafana e lo stesso carattere algido e altero, però Giulia ha i capelli castani, o castani scuri, un po’ più di tette ed un viso angelicamente malizioso, invece la mia Eva è viziosa, ma il viso è angelico e basta.
Quindi, prenderla, lì sulla scrivania, non sarebbe stata una cattiva idea. Non era sposata, ma non sapevo se era fidanzata, sicuramente aveva parecchi estimatori.
Rimossi il pensiero cattivo e le sorrisi. Lavoravo per una famosa azienda di consulenza aziendale, di cui non è necessario fare il nome.
– Non c’è problema – risposi facendo buon viso a cattivissimo gioco. Il lunedì successivo misi una borsa sulla mia macchinetta e partii per Milano. Cinzia era più dispiaciuta di Eva, d’altra parte Eva aveva un harem da curare, anche se ultimamente avevo saputo che Arianna aveva trovato un uomo e si era trasferita in un’altra città, ma magari Eva aveva trovata qualche altra chi lo poteva sapere. Mentre Cinzia aveva solo me.
Per fortuna Cinzia aveva un sacco di ferie arretrate da consumare e quindi ogni tanto prendeva ferie e veniva da me a Milano. Ad Eva raccontava qualche palla, tipo che andava alle terme con qualche amica ed Eva faceva finta di crederle. Mia moglie non capiva perché la madre cercava di nascondere quello che era evidente. La mia ragazza non aveva ancora capito il valore dell’ipocrisia.
Stavo uscendo dalla doccia quando il cellulare squillò. Era Eva. – Buongiorno amore. –
- Buongiorno a te, passami mamma. –
Non stetti neanche a dirle, ma come sai che… Le chiesi invece – perché hai chiamato me e non lei. –
Lei sbuffò impaziente, - perché il suo cellulare è spento. – Non aggiunse stupido, ma lo pensò.
Andai a camera da letto, baciai Cinzia sul collo per svegliarla e le passai il cellulare. Tornai in bagno a farmi la barba, prima di uscire chiesi – cosa voleva? –
- Cercava una gonna che ho portato in lavanderia. – Aggiunse – alle diciotto arriva a Milano, devi andare a prenderla e stasera andiamo alla Scala, ha preso i biglietti. –
- Mi piace quando organizza la vita degli altri senza chiedere loro niente – risposi sarcastico e aggiunsi - Ah, quindi dorme qui. –
- Non ti preoccupare, io dormo sul divano. – Cinzia sorvolò sul resto del discorso, non avrebbe mai superato il problema di venire a letto con me e si sentiva in colpa verso la figlia, sembrava che ogni volta che scopava con me sottraesse qualcosa a sua figlia.
L’unica impegnata a salvare le apparenze era lei, a me non interessava e a mia moglie, dopo la sceneggiata della volta in cui ci aveva scoperti, fregava meno niente.
Fu una serata piacevole, dopo il teatro andammo a cena e poi a casa in taxi. A letto Eva mi divorò e mi sfinì. Aveva una gran fame di me.
Erano le sette e mezzo, dalla cucina veniva un buon odore di caffè. Cinzia era un po’ arruffata, quel divano non era granché come letto. – Dormito male? – chiesi mentre mi porgeva una tazzina di caffè.
Sospirò senza rispondere. La baciai e la trascinai sotto la doccia. Le mie mani insaponate corsero lungo tutto il suo magnifico corpo, scivolavano sulle sue splendide forme, il sapone l’aveva resa liquida, lei iniziò a diversamente sospirare ed io scivolai dentro di lei. Fui tenero, le mie mani scorrevano sul suo seno e le sue cosce, non mi sarei mai stancato di lei. Lei poggiò le mani sulla parete e si inarcò offrendosi, teneramente pompai dentro di lei, era deliziosa mentre si offriva con il culo in fuori per facilitare la mia penetrazione.
Ed era perfetta, all’altezza giusta. Con Eva non avrei mai potuto fottere in quella posizione, era troppo alta, per prenderla lei si sarebbe dovuta mettere a novanta gradi, oppure piegarsi sulle ginocchia, mentre a sua madre bastava leggermente e naturalmente piegarsi giusto per offrirmi le sue grazie.
Mentre mi vestivo, nel soggiorno, per non disturbare la mia dolce mogliettina, Cinzia portò il caffè alla figlia ancora a letto e le sentii bisbigliare. – Sei gelosa cara? – stava dicendo la mamma alla figlia.
- Mamma non essere sciocca, non sono gelosa, ma mi manca, mi dispiace aver disturbato il vostro incontro, però lo dovevo vedere. –
- Ti capisco – sorrise la mamma.
Sorrisi, quella notte, in effetti, mi aveva dimostrato che le mancavo, finii di vestirmi, salutai e andai a lavorare.
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