Estate '98 - mia sorella la "calabrisella"

di
genere
incesti

Tengo a raccontare questa cosa perché a distanza di molti anni rimane ancora l’esperienza più forte della mia esistenza.
Era l’estate del 1998.
I miei genitori si erano separati ufficialmente nei primi giorni di maggio.
Mio padre aveva deciso di ufficializzare la storia con la sua nuova compagna e mia madre si era trovata di colpo da sola.
Dopo i primi mesi di forte solitudine, decise all’improvviso di passare la prima estate da single con la sua migliore amica.
La decisione fu comunicata con tono secco e senza possibilità di discussione.
Sarebbe andata in spagna per un mese, lontano da tutto e da tutti.

Io e mia sorella restammo ad ascoltarla senza aprire bocca. Fino a quando ci fu comunicato che noi due saremmo stati accompagnati, sin dalla metà di luglio, in Calabria dai nonni.
La decisione era insindacabile.
Non dimenticherò mai lo sguardo di odio con cui mia sorella ascoltava le parole di nostra madre.
Per Stefania la prospettiva di passare un’estate intera in un paesino della Calabria in Sila di 3mila anime doveva suonare come una condanna a morte.

Ed infatti, appena arrivati mia sorella i primi giorni si chiuse in un mutismo preoccupante.
Non usciva di casa. Non frequentava altro che la sua stanza.
I nonni erano preoccupati e spesso sentivo che ne parlavano al telefono con nostra madre.
Nessuno poteva entrare nella stanza di mia sorella. Le sue apparizioni erano estremamente rare.
Si aggirava per la casa come un fantasma con le immancabili cuffiette attaccate alle orecchie.
Sentiva la musica. Era isolata dal mondo intero.

Io al contrario mi perdevo in interminabili partite di pallone con i ragazzi del posto.
Mi bastarono pochissimi giorni per prendere confidenza con i pochi ragazzi del posto. Giocavo a pallone dalla mattina alla sera. Non pensavo ad altro che a quello.

Dopo una decina di giorni di totale isolamento, una mattina con stupore vedemmo arrivare stefania in cucina per la colazione. Non lo aveva mai fatto nei giorni precedenti.
Non era di certo sorridente ma era il segno che qualcosa stesse cambiando.
Prese solo un caffè e resistette alle insistenti offerte di cibo avanzate da nostra nonna.
Poi prese la grande borsa di corda, la mise a tracolla, infilò i grandi occhiali scuri e ci salutò con un accenno della mano.
Uscì di casa senza dare altre spiegazioni.

Da quel giorno, cominciò a passare sempre più tempo fuori casa.
Di frequente capitava che non la si vedeva rientrare neppure per cena. A volte, rientrava direttamente la notte.
Si accompagnava spesso con un nostro cugino più grande. Un poveraccio di 25anni che non aveva avuto il coraggio come i suoi fratelli di abbandonare il paese.
Un tipo senza ne arte ne parte. “Una capa a perdere!” diceva sempre mia nonna.
Dopo il nostro arrivo si era fatto vedere appena un paio di volte.
Era passato a salutarci. Tutto sommato era gentile e tanto ci bastava per accedere ad una certa confidenza.

I miei nonni accolsero quel modo di fare di Stefania con soddisfazione. Erano preoccupati per la nipote e ora che era uscita dalla tana si dicevano felici.
L’unica preoccupazione di mia nonna era il cibo. “Troppo secca sta ragazza!” ripeteva in ogni occasione.
Effettivamente il corpo di mia sorella era diventato ancora più sottile anche se dalle gambe e dalle braccia spiccavano i muscoli tesi, costruiti con anni di danza.

Passarono giorni in cui di mia sorella non ebbi alcun tipo di notizia. Non la vedevo la mattina, non la vedevo la sera.
Con me non parlava. Mi sembrava che stesse bene. Sapevo che ormai aveva ufficialmente cominciato a fumare. Ma lo facevano tanti e la cosa non mi sortiva alcuna emozione.

Presto però tra i miei amici di “pallone” cominciarono a farsi sempre più frequenti battutine e frecciatine che non capivo.
Non ci facevo tanto caso e non davo peso a nulla che non fosse legato al gioco del pallone.

Eppure quello che accadde quella sera non potrò mai dimenticarlo.

Ero nella piazzetta con altri ragazzi. Avevamo terminato l’ennesima e definitiva partita della giornata. Commentavamo a voce alta l’esito dell’incontro con dovizia di particolari tecnici.
All’improvviso sentii una mano afferrarmi una spalla.
Era di un ragazzo più grande. Lo conoscevo solo di vista e per questo fui molto sorpreso dalla sua improvvisa confidenza.
Mi guardava e sorrideva.
“Tu sei il fratello della milanese?”
Sorrisi anche io senza capire.
“Si, siamo di Milano”.
I miei amici guardavano quella conversazione abbastanza interdetti.
“Bravo!” - continuò - “A noi ci piace Milano e ci piacciono tanto le belli femminj milanesi!”
Disse scoppiando in una risata forzata. Tutto il gruppetto lo seguì, ma dagli sguardi mi pareva di capire che nessuno effettivamente ne intendesse il motivo.
“La vuoi vedere una cosa?” - si riprese senza mollarmi la spalla.
Io annuì incuriosito.
“E vieni con me. vieni!”

Fece segno agli altri di rimanere sul posto.
Lo cominciai a seguire senza fiatare.
Ero davvero curioso di scoprire la ragione di quella improvvisa confidenza.
Prima senza fretta, poi con passo sempre più svelto.
Mi portò in un sali e scendi di vicoli del piccolo centro storico.
Raggiungemmo un muretto più alto che delimitava l’inizio di una zona alberata. Il posto era noto come “fossatello”.
Era una zona di fitta boscaglia interrotta da un terrapieno senza alberi.
Conoscevo quell’anfratto perché si diceva che i ragazzi più grandi ci andassero a fumare e a noi ragazzini la frequentazione era altamente interdetta.
Con l’aiuto di due grandi massi, salimmo in cima al muretto dove ci accovacciammo sporgendoci quanto basta per non essere visti.

Appena gli occhi si abituarono alla penombra, intravidi due persone.
Erano a non più di 7-8 metri sotto di noi, una accanto all’altra, coperte soltanto parzialmente dalle chiome degli alberi.

Non capivo. Mi rivolsi al ragazzo che mi ci aveva portato cercando spiegazioni ma appena aprii la bocca mi fece segno di stare zitto e di continuare a guardare in basso.
Ripresi a guardare e riconobbi uno dei due. Lo conoscevo di vista.
Era un ragazzo napoletano sulla trentina.
Un tipo abbastanza “noto” nel paese per la sua passione per ogni tipo di droga.
Anche per questo motivo l’ordine era perentorio “a quello non lo dovete frequentare!”

L’altro di spalle feci fatica a riconoscerlo.
Dovetti attendere qualche secondo e un leggero movimento della testa per capire che si trattava di mio cugino. Proprio lui.
Non capivo cosa stessero facendo.
Lì entrambi in piedi guardavano qualcosa davanti a loro. Pensai al solito motivo di “droga”. Ero abbastanza interdetto. Volevo andarmene.

Poi, notai che uno portava i jeans calati alle ginocchia e proprio mentre mettevo a fuoco quel dettaglio, lo sguardo mi cadde su un qualcosa che si muoveva davanti a quell’uomo.
Impiegai ancora qualche secondo.
Poi, riconobbi una chioma di lisci capelli castani che ondulava tra le gambe dei due.

Mi feci coraggio e mi sporsi ancora un po’ dal muretto per vedere meglio.
Ricordo perfettamente il momento in cui individuai la sagoma accovacciata tra i due.
Due belle gambe nude venivano fuori da un vestito rosso a fiori ma, soprattutto, mi colpirono quelle immancabili nike air argentate.
Modello super ricercato e tanto in voga in quegli anni tra i ragazzi della milano “bene”.
Mi concentrai allora sui dettagli che riuscivo a scorgere.
Il vestito, le scarpe, le cosce nude e poi i capelli.
Stentavo a crederci ma lentamente sentivo un fuoco salirmi dentro.

Quella era mia sorella Stefania, senza ombra di dubbio.

Non riuscivo a vedere il viso, ma dal movimento ritmico della testa, accompagnato dai gemiti che si avvertivano indistintamente, capii che cosa stava succedendo.

Ebbi la sensazione di un fuoco che mi attraversava il corpo. Sentivo il sangue arrivarmi alla testa. Il cuore mi batteva come un tamburo dentro le orecchie.
A quella sensazione di inferno interiore si contrapponeva un’aria di stranissima calma e serenità.
Tutt’attorno dalla boscaglia saliva un silenzio profondo. Interrotto unicamente da sottili gemiti di piacere.
Quei due lì a pochi metri da me, godevano indisturbati.
Forse non era la prima volta. Forse erano giorni che mia sorella nelle sue serate passate sempre fuori casa, li faceva divertire lì al “fossatello”. Forse non erano stati neppure i soli a goderne.

Notai la mano di mio cugino stringere in una presa solida la testa bionda che ondeggiava sul suo cazzo. Guidava ogni mossa con un lento movimento del bacino, ritmicamente accompagnato da gemiti ripetuti ad ogni affondo.
“Suca, bella mia, Suca!” era l’incitazione più frequente.
Mia sorella obbediva in silenzio.

L’amico attendeva paziente il suo turno menandosi l’uccello con calma.
Appena Stefania prese tregua da un cazzo, con un gesto rapido, gli infilò nuovamente in bocca il suo spingendolo dentro con un fare deciso.
“Pijatelo tutt’quant‘ mbocca puttana!”
Come se fosse la cosa più naturale del mondo mia sorella lasciò che anche il secondo cazzo le si affondasse in bocca.
Li sentivo ridere con fare molto complice.
La chiamavano “puttana” e “troia” a turno e lei li lasciava fare.
In altri tempi, a quella offesa rivolta a mia sorella, sarei scattato minacciando la più violenta delle risse e invece ora ero impietrito.

La nuova posizione mi consentiva questa volta di vederla bene.
Era proprio lei. Cercavo di guardarla bene in viso, ancora incredulo di quello che stava accadendo.
Dalla mia visuale vedevo con chiarezza il cazzo che entrava e usciva ritmicamente dalla sua bocca.
Mia sorella aveva assunto una posizione quasi di preghiera.
Aggrappata con le mani alle cosce di quello sconosciuto, succhiando senza sosta, lavorando il cazzo con intensi affondi.
Aveva un modo di fare così naturale che non poteva di certo essere la prima volta.
Era evidente che lo avesse già fatto.
Obbediva a quei due come se fosse tutto semplice e dovuto.
Senza nulla obiettare, si muoveva con naturalezza in mezzo a loro.
Gli concedeva la sua bocca e lo faceva con estrema cura.

Ero stordito e incredulo da quello che stavo guardando.
Mi accorsi che il ragazzo che era con me si era eccitato al punto da aver cominciato a farsi toccarsi il pacco.
Rideva, “Che troia! Compà me laggià chiavà pure io!” - sentenziò dandomi una manata sulla spalla.

Non dissi una parola. Ero letteralmente paralizzato. Non sapevo cosa fare e se fare qualcosa.

Stefania lasciava che a turno quei cazzi le entrassero in bocca. Si faceva guidare, toccare, insultare. Li lasciava soddisfare con il suo corpo.
Il tempo di succhiare uno che poi, paziente, cominciava con l’altro.
Pompava quei cazzi senza dire una parola nel silenzio della boscaglia calabrese.

L’intraprendenza di mio cugino fece il resto.
Evidentemente non contento e quella sera aveva deciso di prendere tutto il resto.
Mentre mia sorella nella medesima posizione dava piacere all’amico, lo vidi infilare una mano sotto al vestito come a cercare qualcosa tra le cosce di Stefania.

Armeggiava col culo di mia sorella mentre con l’altra mano continuava a toccarsi il cazzo.
Quando fu pronto le fece segno di alzarsi.
Lei obbedì ancora una volta come se sapesse perfettamente cosa fare.

Ora riuscivo a vederla con estrema chiarezza. Era proprio lei.
Il suo corpo sottile, i suoi capelli lunghi, le cosce magre e il suo solito modo di fare.
Ero ancora incredulo.

Una volta in piedi mi colpì la naturalezza dei suoi movimenti.
Si alzò il vestito a fiori tenendolo stretto con un pugno all’altezza della pancia.
Si piegò in avanti lasciando il culo ben scoperto in favore di mio cugino che continuava a toccarlo evidentemente eccitato.
Con l’altra mano si abbassò il perizoma alle ginocchia.
Sentii per la prima volta la sua voce, un’unica richiesta “Gaetano, fai piano!”.

Era girata verso di lui mentre tra le mani continuava a stringere il cazzo dell’amico.
Lo guardava forse per controllare se avesse riguardo per la sua raccomandazione.

Gaetano si abbassò in ginocchio.
“Se, se faccio piano!” - riprese con tono quasi infastidito.
Dopo un rapido bacio sul culo affondò la sua faccia tra le cosce di Stefania.
Ora era lei che gemeva mentre Gaetano affondava la sua lingua in ogni orifizio.
Durò poco perché in un attimo il compare con la mano la riprese per la nuca spingendola in direzione del suo cazzo rimasto turgido e duro in attesa

Questa volta Stefania era piegata a 90. La bocca impegnata con un cazzo mentre nostro cugino dopo averne assaggiato con cura il sapore, si sistemava in piedi dietro di lei.
Il tempo di allargarle un poco le cosce e le assestò un colpo deciso nella fica.

Stefania sussultò e con una mano cercò di frenare l’impeto di Gaetano, senza riuscirci.
Lui ormai le aveva afferrato con fermezza i fianchi e cominciò a scoparla come voleva.

“Devi prendere tutto ‘u pescj’ troia!”
Ricordo una cosa simile mentre rideva con il compare.

Si sentivano i colpi del bacino battere contro il culo.
Mia sorella cominciò a gemere tenendosi in equilibrio aggrappata al corpo dell’amico dal quale non si staccava per un secondo.
Se la scopavano forte e lei godeva senza ritegno.
Sopportava quell’assalto con il suo corpo sottile. Tra lei e quei due c’era una differenza di stazza notevole che però sembrava non contare nulla.
Stefania era evidentemente compiaciuta.
Era del tutto evidente che quella non poteva essere la prima volta che accadeva.

La montò per diversi minuti poi rallentò i colpi e si lasciò andare ad un orgasmo sonoro.
Un gemito intenso prima di spruzzare tutto il suo liquido sul culo di Stefania.
Lei aspettò che finisse.
Lo guardava senza dire neppure una parola.
Si fece schizzare addosso fino all’ultima goccia di sperma.
Quando Gaetano fu soddisfatto le mollò un ultimo schiaffo sul culo e si fece da parte appoggiandosi ad una roccia.
“che scopata cu chista!” - ci tenne a riferire all’amico soddisfatto.

Il compare a quel punto cominciò a menarsi il cazzo sempre più velocemente.
Fece accovacciare nuovamente Stefania davanti a lui
“Sucami le palle!” - ordinò
Mia sorella obbedì infilando la bocca sotto lo scroto e lasciando che si segasse sul suo viso.
“Brava così....oh si così!”- presto cominciò a gemere sempre con maggiore insistenza.
Quando fu pronto, cominciò a schizzare sulla faccia di mia sorella.
Il tizio di napoli le stava sborrando tutto in faccia. Lo vedevo guidare il cazzo in direzione della bocca di Stefania mentre si continuava a masturbare con energia.
“Bucchina! Bucchina! Bucchina!” ripeteva come una cantilena.
Lei in silenzio sotto di lui attendeva con calma che finisse.
Quando anche l’ultima goccia le era stata recapitata sul viso, ebbe cura di riaprire la bocca e accompagnare il lento afflosciarsi di quel cazzo con un massaggio delle sue labbra.

Non potevo continuare a guardare oltre.
Mi alzai e corsi via da quello spettacolo.
scritto il
2022-03-11
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