Domani no! -1-
di
Quin Kappa
genere
etero
Quando non conosci bene le persone, forse è meglio che cambi strada.
Quando Yvy invitò a casa quell’uomo dagli occhi di ghiaccio, non avrebbe mai immaginato di cosa sarebbe stato capace. Ma d’altronde lei era una testarda. Era sempre stata un’inguaribile testarda.
E quando gli sorrideva maliziosa al bancone del bar, non aveva certo in programma quello che sarebbe successo dopo.
A casa sua. Nella sua tana.
Yvonne spalancò gli occhi, e intimorita balbettò: “Oh, ma è enorme! È troppo grosso…non so se sono pronta…facciamo che ci vediamo domani e…”
L’uomo però si fece paonazzo in volto e si avventò improvvisamente su di lei. Le mise una mano sulla bocca, tappandola del tutto, e la spinse inchiodandola contro il muro. Lei tremava dalla sorpresa e dalla paura, bloccata dal corpo di lui.
“Domani no! Questo mio cazzone te lo prendi adesso, e te lo prendi anche tutto!”
L’energia intensa del suo sguardo stava paralizzando la ragazza, rendendola arrendevole e completamente succube ai voleri di quell’uomo.
Egli la sollevò di peso, scaraventandola sul letto. Poi le fu subito addosso. Il profumo del dopobarba misto all’odore lievemente pungente del sudore dell'uomo si insinuavano nelle narici di Yvonne, mentre veniva spogliata da mani frettolose e ingorde.
Lui entrò in lei senza bussare né chiedendo il permesso. La stava violentando. Ma lei inspiegabilmente non aveva intenzione di opporre resistenza.
Un indescrivibile dolore comunque le partì dal basso, da dove il membro gigante dell'uomo si stava facendo strada massacrando il tenero fiore. Era lungo e durissimo, e lei lo sentiva bene, sentiva ogni singolo centimetro che entrava e usciva. Le faceva male. Ma poi si rese conto che presto sarebbe passato e che la sofferenza si sarebbe tramutata in puro godimento.
La sua fica si spalancava ad ogni affondo. Quel cazzo impietoso la stava massacrando senza tregua. Lei urlava, ma a lui non importava niente. Anzi, ci godeva ancora di più!
“Basta, per l’amor di Dio! Basta. Non ne posso più!”, implorava Yvonne esanime.
“Qui Dio non c’entra, lurida sgualdrina! Stai zitta e continua a prenderlo”. Lo sguardo di Loris incuteva un timore reverenziale. I suoi occhi lucidi di pazzia non le lasciavano scampo.
Quindi la voltò e rigirò come fosse una bambola di pezza. E allargandole bene il culo, glielo piazzò dentro in un sol colpo.
“Ah!”, urlò lei, con gli occhi stretti dal dolore provocato da quel colpo secco e deciso. L’asta dell’uomo la stava penetrando sempre più in profondità, esplorando ogni suo angolo nascosto.
“Ti piace così, vero?”, le domandò in tono retorico, sapendo bene che il piacere, sempre che ci fosse realmente stato, era sovrastato dalla sofferenza per essere deflorata da quel coso enorme che a fatica si faceva strada nelle sue tenerezze.
All’improvviso la rigidità che la stava sodomizzando si fece ancora più rigida. E si fermò all’improvviso.
Poi ci fu un tonfo ovattato. Il corpo del suo aguzzino che cadeva rovinosamente di lato accanto a lei, sul letto.
La sua fica era finalmente libera da quell’arnese che la stava martellando incessantemente da almeno dieci minuti abbondanti. Sospirò, forse anche un po’ delusa che quel gioco sadico fosse già finito.
(…continua…)
Quando Yvy invitò a casa quell’uomo dagli occhi di ghiaccio, non avrebbe mai immaginato di cosa sarebbe stato capace. Ma d’altronde lei era una testarda. Era sempre stata un’inguaribile testarda.
E quando gli sorrideva maliziosa al bancone del bar, non aveva certo in programma quello che sarebbe successo dopo.
A casa sua. Nella sua tana.
Yvonne spalancò gli occhi, e intimorita balbettò: “Oh, ma è enorme! È troppo grosso…non so se sono pronta…facciamo che ci vediamo domani e…”
L’uomo però si fece paonazzo in volto e si avventò improvvisamente su di lei. Le mise una mano sulla bocca, tappandola del tutto, e la spinse inchiodandola contro il muro. Lei tremava dalla sorpresa e dalla paura, bloccata dal corpo di lui.
“Domani no! Questo mio cazzone te lo prendi adesso, e te lo prendi anche tutto!”
L’energia intensa del suo sguardo stava paralizzando la ragazza, rendendola arrendevole e completamente succube ai voleri di quell’uomo.
Egli la sollevò di peso, scaraventandola sul letto. Poi le fu subito addosso. Il profumo del dopobarba misto all’odore lievemente pungente del sudore dell'uomo si insinuavano nelle narici di Yvonne, mentre veniva spogliata da mani frettolose e ingorde.
Lui entrò in lei senza bussare né chiedendo il permesso. La stava violentando. Ma lei inspiegabilmente non aveva intenzione di opporre resistenza.
Un indescrivibile dolore comunque le partì dal basso, da dove il membro gigante dell'uomo si stava facendo strada massacrando il tenero fiore. Era lungo e durissimo, e lei lo sentiva bene, sentiva ogni singolo centimetro che entrava e usciva. Le faceva male. Ma poi si rese conto che presto sarebbe passato e che la sofferenza si sarebbe tramutata in puro godimento.
La sua fica si spalancava ad ogni affondo. Quel cazzo impietoso la stava massacrando senza tregua. Lei urlava, ma a lui non importava niente. Anzi, ci godeva ancora di più!
“Basta, per l’amor di Dio! Basta. Non ne posso più!”, implorava Yvonne esanime.
“Qui Dio non c’entra, lurida sgualdrina! Stai zitta e continua a prenderlo”. Lo sguardo di Loris incuteva un timore reverenziale. I suoi occhi lucidi di pazzia non le lasciavano scampo.
Quindi la voltò e rigirò come fosse una bambola di pezza. E allargandole bene il culo, glielo piazzò dentro in un sol colpo.
“Ah!”, urlò lei, con gli occhi stretti dal dolore provocato da quel colpo secco e deciso. L’asta dell’uomo la stava penetrando sempre più in profondità, esplorando ogni suo angolo nascosto.
“Ti piace così, vero?”, le domandò in tono retorico, sapendo bene che il piacere, sempre che ci fosse realmente stato, era sovrastato dalla sofferenza per essere deflorata da quel coso enorme che a fatica si faceva strada nelle sue tenerezze.
All’improvviso la rigidità che la stava sodomizzando si fece ancora più rigida. E si fermò all’improvviso.
Poi ci fu un tonfo ovattato. Il corpo del suo aguzzino che cadeva rovinosamente di lato accanto a lei, sul letto.
La sua fica era finalmente libera da quell’arnese che la stava martellando incessantemente da almeno dieci minuti abbondanti. Sospirò, forse anche un po’ delusa che quel gioco sadico fosse già finito.
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