Schiava in carcere (parte 2)
di
Kugher
genere
sadomaso
Arianna, come si chiamava prima del fatto che le ha sconvolto la vita, sin da subito si era trovata in difficoltà tra le mura che dividevano le celle da altre celle e la struttura carceraria dal resto del mondo, prima di venire proiettata in quel non mondo, dove le regole sono inverse, dove ciò che hai imparato non serve e se non impari nuovamente altre cose la vita diventa difficile.
La complessità sta proprio nel capire cosa occorre imparare, quali regole devono essere comprese ed applicate, quali le leggi non scritte da nessuna parte, tutte cose di un mondo del quale lei aveva ignorato l’esistenza, della cui struttura aveva pure ignorato l’esistenza, sapendo che dietro a quella cinta c’era il carcere ma senza nemmeno guardarlo quando
passava davanti, senza mai rivolgere un pensiero a quelli che stanno dentro.
La strada che quotidianamente percorreva per andare dall’ampia e luminosa casa del centro all’ufficio con marmi e dipinti ed il giovane segretario che, tutte le mattine, la aspettava col caffè, adesso era al di là di quelle mura.
Dopo la sua reclusione vedeva quel tratto asfaltato in modo diverso.
All’inizio con rimpianto e nostalgia, poi, col tempo che passava e le angherie che subiva, iniziò a vederlo con lo stesso distacco con il quale prima da quella strada osservava il carcere.
Quella striscia di asfalto era il suo vecchio mondo che ora non esisteva più, con le vecchie regole che aveva dimenticato perché inutili e senza averne apprese di nuove.
Non faceva più parte del mondo libero ma nemmeno si era integrata nel mondo dei reclusi.
Prima si sentiva forte delle amicizie potenti e pensava che nulla le sarebbe potuto accadere.
Adesso non aveva più amici e quelli potenti le erano nemici.
In carcere, al suo arrivo, era sconosciuta, ma in fretta circolò la voce su chi fosse stata “prima”.
La sua aria snob, con quell’accento francese che tanto era sensuale nei salotti della sua città e che adesso le era valso il suo nuovo nome, le rendeva difficile l’integrazione per la quale lei nulla fece.
La sua bellezza attirava e solleticava desideri sessuali in chi si era adeguata al sesso tra donne pur di provare nuovamente il piacere sotto la pelle, in quella parte del corpo che va dai brividi allo stomaco al sesso bagnato.
Vincenza, quella che sarebbe diventata la sua Padrona, la notò subito ma se ne stette alla finestra quando le altre detenute, senza un disegno ben preciso, la fecero destinataria di vere e proprie angherie.
La donna la studiava ed attese che la situazione divenne insopportabile, portandola al limite del collasso nervoso che, avendo un odore suo proprio, attirò le altre donne che, avendo annusato la sua eccessiva debolezza, aumentarono ancor di più le vessazioni fisiche e verbali.
Spesso la picchiavano per divertirsi. In sala mensa la facevano cadere con la conseguenza di spargere sul pavimento il suo pasto e, quindi, fare innervosire gli inservienti che avrebbero dovuto pulire.
In cella le rendevano impossibile il sonno e ad una sua minima lamentela nuovamente la picchiavano.
Si divertivano anche a spaventarla. La circondavano con aria minacciosa e poi se ne andavano senza averla toccata, salvo poi ritornare a spaventarla ancora e ancora, logorandola.
A volte, per divertimento, le impedivano l’accesso alle docce.
Le compagne di cella la costrinsero a urinare sul pavimento davanti a loro e, poi, a pulire con mezzi di fortuna stando a 4 zampe.
Michelle, tale era già divenuto il suo nuovo nome, cominciò a perdere peso e ad imbruttirsi.
Camminava guardinga e cercava di uscire il meno possibile dalla cella nella quale, peraltro, fu costretta a tenere in ordine anche gli spazi delle sue aguzzine.
Arianna-Michelle (lei stessa non sapeva più chi fosse) si sentiva come in un mare circondata dalle pinne degli squali che le giravano attorno.
In questo contesto non le parve vero la zattera offertale da Vincenza che un giorno, senza apparente motivazione ed
inaspettatamente, fece la comparsa mentre stava subendo una angheria e, con la sola
presenza e sguardo torvo verso le altre detenute, ottenne l’effetto di farle allontanare.
Michelle si avvicinò immediatamente per ringraziarla.
Vincenza, a differenza della sua preda, conosceva benissimo le regole di quel luogo composto da quelle stesse persone che doveva frequentare e tenere a bada anche al di là del muro, su quella stessa strada percorsa da Michelle per andare in ufficio ma sulla quale lei transitava con altre regole, quelle della strada, non quelle del mondo “normale”.
La caccia alla preda era iniziata senza che questa se ne accorgesse. Giocavano sul terreno della detenuta e l’altra non sapeva come leggere i fatti, i comportamenti e dar loro il giusto significato.
Enza si allontanò guardandola appena, senza rispondere al suo ringraziamento.
Lo stesso episodio si ripetè altre volte e l’epilogo era sempre il medesimo.
Michelle intuiva la forza della donna della quale aveva più soggezione che delle altre, benché l’avesse salvata e mai sottoposta a soprusi.
Intorno a lei gli squali iniziarono ad allontanarsi e le acque si calmarono un poco.
Iniziò a rilassarsi e a rivolgersi con deferenza alla sua salvatrice.
Un giorno prese più coraggio del solito e le chiese come potesse ringraziarla.
La risposta fu come un pugno nello stomaco che la proiettò indietro di qualche passo tanto era forte nella voce calma della donna che, guardandola distrattamente, le disse che avrebbe potuto farlo inginocchiandosi e baciandole la mano.
Non la percepì come una minaccia e come tale non la prese, ma solo come un'alternativa, quasi dimentica, ormai, del tempo in cui le angherie erano orarie, non solo giornaliere.
Non si sottomise e se ne pentì il giorno dopo, quando gli squali iniziarono a girarle attorno in un cerchio dal ridotto raggio e qualcuno la mordeva appena senza che nessuna intervenisse.
Il messaggio le fu chiaro. Iniziò a comprendere le regole ed il modo in cui avrebbe dovuto comportarsi.
Tuttavia si creò una barriera che le impediva di avvicinare Vincenza.
Non si trattava mai di un allontanamento brusco, limitandosi a ricevere l’impossibilità momentanea di quella donna nel darle udienza.
Anche a lei fu chiaro che Vincenza voleva farsi pregare e renderle difficile, ma non
impossibile, l’avvicinamento.
Chiese “udienza” due volte al giorno, con toni sempre più sommessi, cominciando ad
abituarsi all’idea delle sue ginocchia a terra davanti a quella donna che aveva il potere di farla stare tranquilla.
Tra le due, era meglio l’umiliazione di stare in ginocchio.
“Perdonami Michelle, non mi sono lavata le mani e non vorrei sporcare le tue labbra belle”.
Nel dire questo, quando finalmente le concesse la tanto agognata udienza, abbassò un attimo gli occhi a terra.
Non ci volle più di qualche secondo per capire che si aspettava il bacio ai piedi.
Anche questo fu un pugno allo stomaco che, a differenza del primo, non la fece allontanare ma, invece, la proiettò verso una nuova situazione.
Col tempo imparò a conoscere quella donna e comprese che a lei non interessava nulla di proteggerla dalle angherie. Vincenza si eccitava nell’ottenere la sottomissione senza imporla, con la sola manifestazione del suo potere.
Chi veniva ammessa ad inginocchiarsi davanti a lei, avrebbe dovuto farlo di propria scelta e mai per imposizione della donna.
Questo la eccitava, la sottomissione non frutto di costrizione.
Il percorso da persona eretta a persona prostrata fu lunghissimo in quanto nel brevissimo tempo necessario avrebbe dovuto cancellare il suo orgoglio, la sua educazione, la sua vita nella quale erano gli altri ad inginocchiarsi davanti a lei.
Fu un viaggio che sconvolse la sua anima. Le angherie erano imposte e lei non aveva la forza per evitarle.
Inginocchiarsi, invece, era un atto generato dalla sua volontà, una volontà tuttavia costretta dalla necessità di por fine ad una situazione ormai insostenibile e che l’avrebbe portata ad essere la Michelle che ormai tutti conoscevano, cioè un’altra donna per la quale il nome delicato e musicale impostole era una presa in giro.
Si fece molta forza ma non ebbe dubbi a supplicare la protezione di quella donna che le consentisse di stare in quel mondo nel quale lei non era capace di vivere.
Il movimento frutto di autocostrizione fu fluido nel portarla a terra a baciare entrambi i piedi di Vincenza e, posata la fronte a terra, a ringraziare.
La complessità sta proprio nel capire cosa occorre imparare, quali regole devono essere comprese ed applicate, quali le leggi non scritte da nessuna parte, tutte cose di un mondo del quale lei aveva ignorato l’esistenza, della cui struttura aveva pure ignorato l’esistenza, sapendo che dietro a quella cinta c’era il carcere ma senza nemmeno guardarlo quando
passava davanti, senza mai rivolgere un pensiero a quelli che stanno dentro.
La strada che quotidianamente percorreva per andare dall’ampia e luminosa casa del centro all’ufficio con marmi e dipinti ed il giovane segretario che, tutte le mattine, la aspettava col caffè, adesso era al di là di quelle mura.
Dopo la sua reclusione vedeva quel tratto asfaltato in modo diverso.
All’inizio con rimpianto e nostalgia, poi, col tempo che passava e le angherie che subiva, iniziò a vederlo con lo stesso distacco con il quale prima da quella strada osservava il carcere.
Quella striscia di asfalto era il suo vecchio mondo che ora non esisteva più, con le vecchie regole che aveva dimenticato perché inutili e senza averne apprese di nuove.
Non faceva più parte del mondo libero ma nemmeno si era integrata nel mondo dei reclusi.
Prima si sentiva forte delle amicizie potenti e pensava che nulla le sarebbe potuto accadere.
Adesso non aveva più amici e quelli potenti le erano nemici.
In carcere, al suo arrivo, era sconosciuta, ma in fretta circolò la voce su chi fosse stata “prima”.
La sua aria snob, con quell’accento francese che tanto era sensuale nei salotti della sua città e che adesso le era valso il suo nuovo nome, le rendeva difficile l’integrazione per la quale lei nulla fece.
La sua bellezza attirava e solleticava desideri sessuali in chi si era adeguata al sesso tra donne pur di provare nuovamente il piacere sotto la pelle, in quella parte del corpo che va dai brividi allo stomaco al sesso bagnato.
Vincenza, quella che sarebbe diventata la sua Padrona, la notò subito ma se ne stette alla finestra quando le altre detenute, senza un disegno ben preciso, la fecero destinataria di vere e proprie angherie.
La donna la studiava ed attese che la situazione divenne insopportabile, portandola al limite del collasso nervoso che, avendo un odore suo proprio, attirò le altre donne che, avendo annusato la sua eccessiva debolezza, aumentarono ancor di più le vessazioni fisiche e verbali.
Spesso la picchiavano per divertirsi. In sala mensa la facevano cadere con la conseguenza di spargere sul pavimento il suo pasto e, quindi, fare innervosire gli inservienti che avrebbero dovuto pulire.
In cella le rendevano impossibile il sonno e ad una sua minima lamentela nuovamente la picchiavano.
Si divertivano anche a spaventarla. La circondavano con aria minacciosa e poi se ne andavano senza averla toccata, salvo poi ritornare a spaventarla ancora e ancora, logorandola.
A volte, per divertimento, le impedivano l’accesso alle docce.
Le compagne di cella la costrinsero a urinare sul pavimento davanti a loro e, poi, a pulire con mezzi di fortuna stando a 4 zampe.
Michelle, tale era già divenuto il suo nuovo nome, cominciò a perdere peso e ad imbruttirsi.
Camminava guardinga e cercava di uscire il meno possibile dalla cella nella quale, peraltro, fu costretta a tenere in ordine anche gli spazi delle sue aguzzine.
Arianna-Michelle (lei stessa non sapeva più chi fosse) si sentiva come in un mare circondata dalle pinne degli squali che le giravano attorno.
In questo contesto non le parve vero la zattera offertale da Vincenza che un giorno, senza apparente motivazione ed
inaspettatamente, fece la comparsa mentre stava subendo una angheria e, con la sola
presenza e sguardo torvo verso le altre detenute, ottenne l’effetto di farle allontanare.
Michelle si avvicinò immediatamente per ringraziarla.
Vincenza, a differenza della sua preda, conosceva benissimo le regole di quel luogo composto da quelle stesse persone che doveva frequentare e tenere a bada anche al di là del muro, su quella stessa strada percorsa da Michelle per andare in ufficio ma sulla quale lei transitava con altre regole, quelle della strada, non quelle del mondo “normale”.
La caccia alla preda era iniziata senza che questa se ne accorgesse. Giocavano sul terreno della detenuta e l’altra non sapeva come leggere i fatti, i comportamenti e dar loro il giusto significato.
Enza si allontanò guardandola appena, senza rispondere al suo ringraziamento.
Lo stesso episodio si ripetè altre volte e l’epilogo era sempre il medesimo.
Michelle intuiva la forza della donna della quale aveva più soggezione che delle altre, benché l’avesse salvata e mai sottoposta a soprusi.
Intorno a lei gli squali iniziarono ad allontanarsi e le acque si calmarono un poco.
Iniziò a rilassarsi e a rivolgersi con deferenza alla sua salvatrice.
Un giorno prese più coraggio del solito e le chiese come potesse ringraziarla.
La risposta fu come un pugno nello stomaco che la proiettò indietro di qualche passo tanto era forte nella voce calma della donna che, guardandola distrattamente, le disse che avrebbe potuto farlo inginocchiandosi e baciandole la mano.
Non la percepì come una minaccia e come tale non la prese, ma solo come un'alternativa, quasi dimentica, ormai, del tempo in cui le angherie erano orarie, non solo giornaliere.
Non si sottomise e se ne pentì il giorno dopo, quando gli squali iniziarono a girarle attorno in un cerchio dal ridotto raggio e qualcuno la mordeva appena senza che nessuna intervenisse.
Il messaggio le fu chiaro. Iniziò a comprendere le regole ed il modo in cui avrebbe dovuto comportarsi.
Tuttavia si creò una barriera che le impediva di avvicinare Vincenza.
Non si trattava mai di un allontanamento brusco, limitandosi a ricevere l’impossibilità momentanea di quella donna nel darle udienza.
Anche a lei fu chiaro che Vincenza voleva farsi pregare e renderle difficile, ma non
impossibile, l’avvicinamento.
Chiese “udienza” due volte al giorno, con toni sempre più sommessi, cominciando ad
abituarsi all’idea delle sue ginocchia a terra davanti a quella donna che aveva il potere di farla stare tranquilla.
Tra le due, era meglio l’umiliazione di stare in ginocchio.
“Perdonami Michelle, non mi sono lavata le mani e non vorrei sporcare le tue labbra belle”.
Nel dire questo, quando finalmente le concesse la tanto agognata udienza, abbassò un attimo gli occhi a terra.
Non ci volle più di qualche secondo per capire che si aspettava il bacio ai piedi.
Anche questo fu un pugno allo stomaco che, a differenza del primo, non la fece allontanare ma, invece, la proiettò verso una nuova situazione.
Col tempo imparò a conoscere quella donna e comprese che a lei non interessava nulla di proteggerla dalle angherie. Vincenza si eccitava nell’ottenere la sottomissione senza imporla, con la sola manifestazione del suo potere.
Chi veniva ammessa ad inginocchiarsi davanti a lei, avrebbe dovuto farlo di propria scelta e mai per imposizione della donna.
Questo la eccitava, la sottomissione non frutto di costrizione.
Il percorso da persona eretta a persona prostrata fu lunghissimo in quanto nel brevissimo tempo necessario avrebbe dovuto cancellare il suo orgoglio, la sua educazione, la sua vita nella quale erano gli altri ad inginocchiarsi davanti a lei.
Fu un viaggio che sconvolse la sua anima. Le angherie erano imposte e lei non aveva la forza per evitarle.
Inginocchiarsi, invece, era un atto generato dalla sua volontà, una volontà tuttavia costretta dalla necessità di por fine ad una situazione ormai insostenibile e che l’avrebbe portata ad essere la Michelle che ormai tutti conoscevano, cioè un’altra donna per la quale il nome delicato e musicale impostole era una presa in giro.
Si fece molta forza ma non ebbe dubbi a supplicare la protezione di quella donna che le consentisse di stare in quel mondo nel quale lei non era capace di vivere.
Il movimento frutto di autocostrizione fu fluido nel portarla a terra a baciare entrambi i piedi di Vincenza e, posata la fronte a terra, a ringraziare.
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