Schiava in carcere (parte 1)
di
Kugher
genere
sadomaso
Arianna era inginocchiata e stava leccando i piedi della sua Padrona mentre parlava con le compagne di cella.
Arianna non si chiamava più Arianna o, meglio, si chiamava così nella sua vita precedente, quando era una donna elegante e ricca, avvezza ai gioielli ed ai vestiti firmati, prima di commettere quell’errore che la portò alla reclusione.
Aveva commesso lo sbaglio di danneggiare persone importanti, ex amici che si erano vendicati, ottenendo non solo una sentenza a suo sfavore ma, soprattutto, facendola destinare ad un carcere noto per essere particolarmente duro attesa la qualità delle donne in esso detenute.
Sin dalle prime settimane era stata rinominata col nome di Michelle. Probabilmente nessuna delle altre detenute si ricordava più il suo vero nome, sicuramente non la sua Padrona.
Anche gli agenti della Polizia Penitenziaria utilizzavano il nuovo nome che le era stato dato perché di mamma francese, dalla quale aveva ereditato quella erre moscia tanto sensuale e snob.
Arianna, cioè Michelle, sapeva invece benissimo che la sua Padrona si chiamava Enza, diminutivo di Vincenza, nome a lei precluso in quanto era costretta ad usare il termine “Padrona”.
Tutte sapevano che lei era la sua schiava, anche gli agenti, i quali erano abituati a fare finta di niente su quanto accadeva in carcere e, soprattutto, perché Enza era donna importante in quell’ambiente stretto tra le mura di uno Stato che spesso si dimenticava di loro, all'interno delle quali vi erano altre regole, altri equilibri, un altro mondo, come se le mura fossero dei confini netti e precisi.
Al Direttore ed agli agenti non interessava ciò che accadeva tra le detenute, essendo cosa ordinaria gli usi sessuali.
Se quella bellissima donna si era ceduta schiava perché non aveva avuto la forza di resistere ai soprusi, non interessava certamente a loro. Arianna (ora Michelle) era stata debole e aveva preferito diventare la schiava di Vincenza e godere della sua protezione piuttosto che conquistarsi il rispetto delle altre.
La Padrona la guardava divertita ed eccitata mentre compiva l’umiliante lavoro.
A volte, come in quel momento, provava piacere nel renderle difficile l’operazione, spostando a capriccio il piede in modo da costringerla ad affannarsi per inseguirlo e continuare a leccare.
La schiava era stata educata a quel gioco. I primi tempi Michelle restava ferma in attesa che l’oggetto dell’adorazione trovasse una collocazione. Aveva capito subito cosa avrebbe dovuto fare quando le arrivò una forte bastonata che la fece lacrimare.
La Padrona si era poi munita di una canna con la quale la picchiava per punirla. Si divertiva colpendola anche senza motivo mentre le puliva i piedi con la lingua, in modo da lasciarla sempre in tensione, godendo della sua paura, perchè la paura ha un odore, l’odore del potere di chi lo infligge, e lei il potere lo aveva e tutte lo dovevano vedere.
La schiava era uno dei simboli del suo potere. Nessun’altra detenuta era riuscita ad avere una schiava, solo lei.
In quel preciso momento Enza era tra amiche, non aveva bisogno di dimostrare nulla e stava usando la sua leccapiedi solo per divertirsi.
Ascoltava distrattamente ciò che Paola e Francesca le stavano raccontando, cose di poco conto, che potevano permetterle di distrarsi col suo bel giocattolino, in attesa che se ne andassero per farsi leccare il sesso, in quanto il divertimento cominciava a lasciare spazio all’eccitazione che avrebbe dovuto trovare sfogo a mezzo della lingua della schiava.
La Padrona sapeva benissimo che Michelle non si era mai abituata ad essere sottomessa. Nella precedente vita la schiava era invece collocata tra le dominanti, sia con gli uomini sia nella società, anche grazie ai suoi potenti amici ai quali ogni tanto si cedeva per tenerseli vicini.
Con costoro non era dominante, in quanto questo suo aspetto lo destinava agli amanti, coi quali si divertiva sessualmente.
Con i potenti era docile e sensuale, sfuggiva per farsi inseguire, lasciando loro la sensazione della conquista per averla poi calda e disponibile nel letto per soddisfare le loro esigenze sessuali.
Qualcuno l’aveva anche legata. Solo uno aveva potuto usare su di lei la cinghia. Non le era piaciuto ma aveva dovuto accettarla in quanto da quell’uomo aspettava un grosso favore.
Quando questo accadde dovette reprimere la rabbia per i colpi ricevuti e lo sperma dell’uomo versato sui segni che aveva lasciato, atto volto ad affermare a sé stesso più che a lei il potere che aveva sul suo corpo femminile, dove l’apice del suo piacere era stato spalmato sui segni del dolore della donna, segni ancora freschi in quanto procurati mentre la scopava.
Enza lo sapeva che Michelle provava schifo a fare ciò che le era stato ordinato, che non sopportava essere la sua schiava, condizione alla quale si era assoggettata solo a causa della sua debolezza.
Alla Padrona non piaceva ottenere la sottomissione con la forza. Trovava molto più eccitante vedere che la schiava (o lo schiavo quando era libera) si sottometteva a lei volontariamente, costretta solo dal suo potere che riconosceva tanto forte da non potervi resistere.
L'umido era sempre più prepotente tra le sue cosce ed era procurato da quella bella donna ai suoi piedi intenta a leccarle le scarpe che si fece togliere, per cominciare ad apprezzare la sua lingua sulla pelle nuda del piede.
Anche le sue amiche di cella si accorsero del suo cambiamento di umore, dell’eccitazione che iniziava a salirle, invidiose del suo possesso della schiava, cosa unica in quel carcere.
L'amicizia che le legava da anni, sia nella vita libera sia in quella tra le mura di quel mondo diverso, separato ed autonomo da quello reale, non faceva però venir meno il rispetto per quella donna.
Sorrisero per quanto stava iniziando ad accadere e loro stesse capirono che era giunto il momento che se ne andassero da quella cella, lasciando che la natura facesse il suo corso, la natura del più forte sul più debole, un tipo di natura che scandiva le giornate quotidiane là dentro.
Enza sapeva che non ci sarebbe stato bisogno di far loro capire la situazione e, appena uscite, si concentrò maggiormente sul suo animaletto che, con l'allontanamento delle due donne, aveva capito che sarebbe stata chiamata a soddisfare ben altre esigenze della sua Padrona.
Quel giorno non aveva fretta, così si rilassò sulla sedia e allargò le cosce quel tanto per agevolare il lavoro servile di Michelle, la quale aveva inteso che avrebbe dovuto prolungare il più possibile il piacere della donna che la sovrastava, in attesa del colpo di frustino che le avrebbe dato il segnale per farle aumentare il ritmo fino a farla arrivare all’orgasmo.
La mezz’ora necessaria per il raggiungimento dell’apice del piacere a lei sembrò infinito, un tempo nel quale il tempo sembrava fermarsi in continua attesa di quel maledetto colpo di frustino.
Al termine del piacere, coinciso con le frustate sulla schiena, si accovacciò a terra come le era stato insegnato, ai piedi della Padrona che, per riposarsi dopo l’orgasmo, andò a stendersi a letto, lasciandola raggomitolata sul pavimento dimenticandosi di lei.
Arianna non si chiamava più Arianna o, meglio, si chiamava così nella sua vita precedente, quando era una donna elegante e ricca, avvezza ai gioielli ed ai vestiti firmati, prima di commettere quell’errore che la portò alla reclusione.
Aveva commesso lo sbaglio di danneggiare persone importanti, ex amici che si erano vendicati, ottenendo non solo una sentenza a suo sfavore ma, soprattutto, facendola destinare ad un carcere noto per essere particolarmente duro attesa la qualità delle donne in esso detenute.
Sin dalle prime settimane era stata rinominata col nome di Michelle. Probabilmente nessuna delle altre detenute si ricordava più il suo vero nome, sicuramente non la sua Padrona.
Anche gli agenti della Polizia Penitenziaria utilizzavano il nuovo nome che le era stato dato perché di mamma francese, dalla quale aveva ereditato quella erre moscia tanto sensuale e snob.
Arianna, cioè Michelle, sapeva invece benissimo che la sua Padrona si chiamava Enza, diminutivo di Vincenza, nome a lei precluso in quanto era costretta ad usare il termine “Padrona”.
Tutte sapevano che lei era la sua schiava, anche gli agenti, i quali erano abituati a fare finta di niente su quanto accadeva in carcere e, soprattutto, perché Enza era donna importante in quell’ambiente stretto tra le mura di uno Stato che spesso si dimenticava di loro, all'interno delle quali vi erano altre regole, altri equilibri, un altro mondo, come se le mura fossero dei confini netti e precisi.
Al Direttore ed agli agenti non interessava ciò che accadeva tra le detenute, essendo cosa ordinaria gli usi sessuali.
Se quella bellissima donna si era ceduta schiava perché non aveva avuto la forza di resistere ai soprusi, non interessava certamente a loro. Arianna (ora Michelle) era stata debole e aveva preferito diventare la schiava di Vincenza e godere della sua protezione piuttosto che conquistarsi il rispetto delle altre.
La Padrona la guardava divertita ed eccitata mentre compiva l’umiliante lavoro.
A volte, come in quel momento, provava piacere nel renderle difficile l’operazione, spostando a capriccio il piede in modo da costringerla ad affannarsi per inseguirlo e continuare a leccare.
La schiava era stata educata a quel gioco. I primi tempi Michelle restava ferma in attesa che l’oggetto dell’adorazione trovasse una collocazione. Aveva capito subito cosa avrebbe dovuto fare quando le arrivò una forte bastonata che la fece lacrimare.
La Padrona si era poi munita di una canna con la quale la picchiava per punirla. Si divertiva colpendola anche senza motivo mentre le puliva i piedi con la lingua, in modo da lasciarla sempre in tensione, godendo della sua paura, perchè la paura ha un odore, l’odore del potere di chi lo infligge, e lei il potere lo aveva e tutte lo dovevano vedere.
La schiava era uno dei simboli del suo potere. Nessun’altra detenuta era riuscita ad avere una schiava, solo lei.
In quel preciso momento Enza era tra amiche, non aveva bisogno di dimostrare nulla e stava usando la sua leccapiedi solo per divertirsi.
Ascoltava distrattamente ciò che Paola e Francesca le stavano raccontando, cose di poco conto, che potevano permetterle di distrarsi col suo bel giocattolino, in attesa che se ne andassero per farsi leccare il sesso, in quanto il divertimento cominciava a lasciare spazio all’eccitazione che avrebbe dovuto trovare sfogo a mezzo della lingua della schiava.
La Padrona sapeva benissimo che Michelle non si era mai abituata ad essere sottomessa. Nella precedente vita la schiava era invece collocata tra le dominanti, sia con gli uomini sia nella società, anche grazie ai suoi potenti amici ai quali ogni tanto si cedeva per tenerseli vicini.
Con costoro non era dominante, in quanto questo suo aspetto lo destinava agli amanti, coi quali si divertiva sessualmente.
Con i potenti era docile e sensuale, sfuggiva per farsi inseguire, lasciando loro la sensazione della conquista per averla poi calda e disponibile nel letto per soddisfare le loro esigenze sessuali.
Qualcuno l’aveva anche legata. Solo uno aveva potuto usare su di lei la cinghia. Non le era piaciuto ma aveva dovuto accettarla in quanto da quell’uomo aspettava un grosso favore.
Quando questo accadde dovette reprimere la rabbia per i colpi ricevuti e lo sperma dell’uomo versato sui segni che aveva lasciato, atto volto ad affermare a sé stesso più che a lei il potere che aveva sul suo corpo femminile, dove l’apice del suo piacere era stato spalmato sui segni del dolore della donna, segni ancora freschi in quanto procurati mentre la scopava.
Enza lo sapeva che Michelle provava schifo a fare ciò che le era stato ordinato, che non sopportava essere la sua schiava, condizione alla quale si era assoggettata solo a causa della sua debolezza.
Alla Padrona non piaceva ottenere la sottomissione con la forza. Trovava molto più eccitante vedere che la schiava (o lo schiavo quando era libera) si sottometteva a lei volontariamente, costretta solo dal suo potere che riconosceva tanto forte da non potervi resistere.
L'umido era sempre più prepotente tra le sue cosce ed era procurato da quella bella donna ai suoi piedi intenta a leccarle le scarpe che si fece togliere, per cominciare ad apprezzare la sua lingua sulla pelle nuda del piede.
Anche le sue amiche di cella si accorsero del suo cambiamento di umore, dell’eccitazione che iniziava a salirle, invidiose del suo possesso della schiava, cosa unica in quel carcere.
L'amicizia che le legava da anni, sia nella vita libera sia in quella tra le mura di quel mondo diverso, separato ed autonomo da quello reale, non faceva però venir meno il rispetto per quella donna.
Sorrisero per quanto stava iniziando ad accadere e loro stesse capirono che era giunto il momento che se ne andassero da quella cella, lasciando che la natura facesse il suo corso, la natura del più forte sul più debole, un tipo di natura che scandiva le giornate quotidiane là dentro.
Enza sapeva che non ci sarebbe stato bisogno di far loro capire la situazione e, appena uscite, si concentrò maggiormente sul suo animaletto che, con l'allontanamento delle due donne, aveva capito che sarebbe stata chiamata a soddisfare ben altre esigenze della sua Padrona.
Quel giorno non aveva fretta, così si rilassò sulla sedia e allargò le cosce quel tanto per agevolare il lavoro servile di Michelle, la quale aveva inteso che avrebbe dovuto prolungare il più possibile il piacere della donna che la sovrastava, in attesa del colpo di frustino che le avrebbe dato il segnale per farle aumentare il ritmo fino a farla arrivare all’orgasmo.
La mezz’ora necessaria per il raggiungimento dell’apice del piacere a lei sembrò infinito, un tempo nel quale il tempo sembrava fermarsi in continua attesa di quel maledetto colpo di frustino.
Al termine del piacere, coinciso con le frustate sulla schiena, si accovacciò a terra come le era stato insegnato, ai piedi della Padrona che, per riposarsi dopo l’orgasmo, andò a stendersi a letto, lasciandola raggomitolata sul pavimento dimenticandosi di lei.
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