Complicità di coppia (parte 1)
di
Kugher
genere
sadomaso
Marco uscì dalla doccia e si guardò allo specchio. Gli anni passati avevano vinto sul corpo non più giovane, che lasciava solo intravedere i ricordi di una forma fisica della quale era stato orgoglioso.
Aveva anche smesso di farsi la promessa di tornare in palestra.
Lo sguardo scese verso il basso ventre, non tanto per verificarne lo stato, ma per osservare, compiaciuto, ciò che sapeva avrebbe trovato. Il pene mostrava un minimo turgore, quello che cominciava a fare capolino quando lo aspettava un evento eccitante. Non uno di quelli soliti, ma uno di quelli che accadono infrequentemente, studiati, preparati, coltivati, che ti entrano sottopelle e lasciano nei punti del piacere quella tensione maturata nel tempo, man mano che il rapporto umano prende sempre più forma, fino a raggiungere il momento in cui la tensione si sarebbe sciolta dopo avere raggiunto il picco più alto. Uno di quelli che ti porti dentro, anche nel tempo, perché lascia qualcosa che va oltre al piacere del corpo.
Dedicò attenzione alla scelta dei vestiti.
Si spruzzò o, come a lui piaceva definire l’operazione, indossò il profumo, quello solito, anzi, l’unico che aveva, delicato ma con una fragranza quasi amara.
Dalla scatola del tempo prese l’orologio che gli aveva regalato Michelle. Mentre attendeva l’ascensore, cominciò a giocare con la “fedina” di oro bianco, mai benedetta, che portava all’anulare sinistro. Non ebbe bisogno di osservarla per vedere tutte le righe che il tempo vi aveva posato sopra nell’arco dei 32 anni nei quali non aveva mai lasciato il suo dito.
Gli piaceva chiamarla “fedina” perchè, scherzando, diceva a Michelle che rappresentava la condanna per reati che non sapeva di avere commesso, affidando alle mura della convivenza il ruolo della prigione.
Quel giorno sarebbe arrivato in ufficio un po’ più tardi, così come il suo ruolo dirigenziale gli avrebbe consentito.
Sorrise nel pensare al ritardo, anche perché sapeva che avrebbe lavorato poco e, quel poco, non avrebbe avuto la sua massima concentrazione, anzi, non l’avrebbe avuto per niente.
Pensò ad Erica, la giovane assunta con contratto a tempo determinato, laureata da poco, esperta della vita come qualsiasi quasi venticinquenne e, sicuramente, inesperta di lavoro.
La cosa che lo eccitò fu che il pensiero di quella biondina era il tramite per pensare a Michelle, colei che lui definiva la “tenutaria” della sua “fedina”.
Quella giornata e le sue scarse attenzioni per il lavoro, sarebbero state dedicate a lei o, meglio, a loro due.
Lei sapeva che sarebbe successo qualcosa e che quel qualcosa sarebbe stato sicuramente sessuale, erotico, eccitante, fuori dal comune benché non insolito per la loro coppia.
Per il resto la regia era affidata a lui, Marco, che aveva programmato quel poco che di programmabile ci può essere in questi rapporti. Almeno l’inizio e le basi. Poi tutti avrebbero recitato a soggetto.
Michelle e Marco sapevano che il pronome “tutti” si riferiva esclusivamente a loro due.
Marco, fino all’ultimo avrebbe dubitato del cedimento della ragazza. Da subito aveva intuito che quella giovane avrebbe potuto avere esigenze di sottomissione.
Lo aveva compreso da segnali sconosciuti a chi ignora le dinamiche e le esigenze della dominazione, ma abbastanza chiari per chi, invece, da anni è alla costante ricerca di schiave e schiavi da usare con la compagna di vita.
Per lunghe settimane aveva tenuto sotto stress la ragazza che sempre aveva reagito all’autorità. Restava da capire se i segnali che a lui era sembrato di percepire fossero stati riferiti al ruolo del capo in quanto tale, oppure a colui che esercita l’autorità su chi ha altre e speculari esigenze.
A volte si era spinto con doppi sensi e richieste che avrebbero potuto sembrare più ordini che altro, soprattutto non per esigenze di ufficio. Particolare attenzione era stata dedicata ai toni usati, tipici di chi non si aspetta altro che ubbidienza.
Nelle risposte dei fatti, aveva cercato gli sguardi della ragazza, per leggere ciò che si aspettava.
Gli sembrava che si fosse instaurato quel feeling tra chi domina e chi cerca la sottomissione, benché si fosse fatto l’idea di esser stato stato lui a fare scoprire qualcosa che la ragazza aveva senza sapere.
“Traghettare verso la sottomissione” (definizione che lui amava) era molto più eccitante che usare coloro che erano già avvezzi a porre il capo sotto i piedi altrui.
Aveva anche smesso di farsi la promessa di tornare in palestra.
Lo sguardo scese verso il basso ventre, non tanto per verificarne lo stato, ma per osservare, compiaciuto, ciò che sapeva avrebbe trovato. Il pene mostrava un minimo turgore, quello che cominciava a fare capolino quando lo aspettava un evento eccitante. Non uno di quelli soliti, ma uno di quelli che accadono infrequentemente, studiati, preparati, coltivati, che ti entrano sottopelle e lasciano nei punti del piacere quella tensione maturata nel tempo, man mano che il rapporto umano prende sempre più forma, fino a raggiungere il momento in cui la tensione si sarebbe sciolta dopo avere raggiunto il picco più alto. Uno di quelli che ti porti dentro, anche nel tempo, perché lascia qualcosa che va oltre al piacere del corpo.
Dedicò attenzione alla scelta dei vestiti.
Si spruzzò o, come a lui piaceva definire l’operazione, indossò il profumo, quello solito, anzi, l’unico che aveva, delicato ma con una fragranza quasi amara.
Dalla scatola del tempo prese l’orologio che gli aveva regalato Michelle. Mentre attendeva l’ascensore, cominciò a giocare con la “fedina” di oro bianco, mai benedetta, che portava all’anulare sinistro. Non ebbe bisogno di osservarla per vedere tutte le righe che il tempo vi aveva posato sopra nell’arco dei 32 anni nei quali non aveva mai lasciato il suo dito.
Gli piaceva chiamarla “fedina” perchè, scherzando, diceva a Michelle che rappresentava la condanna per reati che non sapeva di avere commesso, affidando alle mura della convivenza il ruolo della prigione.
Quel giorno sarebbe arrivato in ufficio un po’ più tardi, così come il suo ruolo dirigenziale gli avrebbe consentito.
Sorrise nel pensare al ritardo, anche perché sapeva che avrebbe lavorato poco e, quel poco, non avrebbe avuto la sua massima concentrazione, anzi, non l’avrebbe avuto per niente.
Pensò ad Erica, la giovane assunta con contratto a tempo determinato, laureata da poco, esperta della vita come qualsiasi quasi venticinquenne e, sicuramente, inesperta di lavoro.
La cosa che lo eccitò fu che il pensiero di quella biondina era il tramite per pensare a Michelle, colei che lui definiva la “tenutaria” della sua “fedina”.
Quella giornata e le sue scarse attenzioni per il lavoro, sarebbero state dedicate a lei o, meglio, a loro due.
Lei sapeva che sarebbe successo qualcosa e che quel qualcosa sarebbe stato sicuramente sessuale, erotico, eccitante, fuori dal comune benché non insolito per la loro coppia.
Per il resto la regia era affidata a lui, Marco, che aveva programmato quel poco che di programmabile ci può essere in questi rapporti. Almeno l’inizio e le basi. Poi tutti avrebbero recitato a soggetto.
Michelle e Marco sapevano che il pronome “tutti” si riferiva esclusivamente a loro due.
Marco, fino all’ultimo avrebbe dubitato del cedimento della ragazza. Da subito aveva intuito che quella giovane avrebbe potuto avere esigenze di sottomissione.
Lo aveva compreso da segnali sconosciuti a chi ignora le dinamiche e le esigenze della dominazione, ma abbastanza chiari per chi, invece, da anni è alla costante ricerca di schiave e schiavi da usare con la compagna di vita.
Per lunghe settimane aveva tenuto sotto stress la ragazza che sempre aveva reagito all’autorità. Restava da capire se i segnali che a lui era sembrato di percepire fossero stati riferiti al ruolo del capo in quanto tale, oppure a colui che esercita l’autorità su chi ha altre e speculari esigenze.
A volte si era spinto con doppi sensi e richieste che avrebbero potuto sembrare più ordini che altro, soprattutto non per esigenze di ufficio. Particolare attenzione era stata dedicata ai toni usati, tipici di chi non si aspetta altro che ubbidienza.
Nelle risposte dei fatti, aveva cercato gli sguardi della ragazza, per leggere ciò che si aspettava.
Gli sembrava che si fosse instaurato quel feeling tra chi domina e chi cerca la sottomissione, benché si fosse fatto l’idea di esser stato stato lui a fare scoprire qualcosa che la ragazza aveva senza sapere.
“Traghettare verso la sottomissione” (definizione che lui amava) era molto più eccitante che usare coloro che erano già avvezzi a porre il capo sotto i piedi altrui.
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