La figlia del socio (parte 2)
di
Kugher
genere
sadomaso
Il traffico gli sembrava più lento del solito e sia nel tragitto verso casa sia in quello verso l’abitazione di Mattia, perse anche la pazienza.
Anche l’ascensore che lo condusse al settimo piano dall’amico gli sembrò lento.
Non scopava da circa un mese, sempre preso dal lavoro che, comunque, riusciva a dargli ancora tanta adrenalina e piacere.
“Stavo per iniziare senza di te”.
“Ti avrei rigato la tua Aston Martin se l’avessi fatto”.
Nell’aria c’era un profumo a lui noto ma non seppe riportare alla memoria l’origine.
Se ne dimenticò subito, ancor prima di togliersi la giacca in quell’ambiente che era stato riscaldato apposta per poter consentire a tutti di stare nudi.
“Non vuoi passare in cucina a bere qualcosa di fresco”?
Mattia lo provocava per impedirgli di recarsi in sala dove sicuramente lo aspettava la sorpresa “stra-to-sfe-ri-ca”.
“Ho pronto il cacciavite per la carrozzeria della tua Aston, te lo devo dire”.
Si diresse sicuro verso la sala sulla cui soglia si fermò, pietrificato, incapace di procedere oltre, come se la barriera dell’incredulità avesse realizzato uno schermo trasparente impossibile da oltrepassare.
In mezzo alla sala, tra le due poltrone ed il divano di pelle marrone scuro, sul tappeto dal quale era stato asportato il tavolino, c’era la ragazza inginocchiata. Aveva le autoreggenti nere e le scarpe col tacco altissimo.
Il perizoma, anch’esso nero, era poco più di un filo.
Aveva il busto eretto ed i seni esposti dalle mani incrociate dietro alla testa, coi gomiti allargati per spingere in fuori il petto.
La testa era china, più per la vergogna che per la sottomissione.
Al collo spiccava un pesante collare di pelle, quello tipico che si usa per i cani.
In bocca aveva un frustino nero, quello di pelle che Mattia teneva gelosamente.
Accanto alla ragazza, a terra, c’erano le catenelle con i morsetti da attaccare ai capezzoli e alle grandi labbra, un flogger, un plug con la coda.
Più che oggetti, erano una promessa di piacere.
Simone non si era nemmeno accorto degli strumenti sessuali posati accanto alla coscia della schiava.
Non riusciva a staccarle gli occhi di dosso, preso da quella incredulità che ancora lo stava pietrificando sulla porta, finché qualcosa si sciolse e un’espressione di lussuria si manifestò sul suo viso.
“Cazzo!!! Micaela!!! La figlia di Gerardo!!! La figlia del nostro socio!!! Cazzo!!!”.
Il cazzo, quello richiamato nelle sue espressioni che trasudavano libidine, cominciò ad indurirsi.
Solo allora si rese conto degli attrezzi accanto alla ragazza.
La sua espressione tradì la scoperta appena fatta.
Mattia stava dicendo qualcosa il cui significato si fermava alle orecchie senza entrare nel padiglione auricolare, restando per lui un suono indefinito senza significato alcuno.
Ecco dove aveva sentito il profumo avvertito appena entrato in casa, nell’ufficio di Gerardo.
Comprese ora la tensione della ragazza quando lo aveva salutato e guardato in un modo strano che non aveva compreso e gli era rimasto sospeso, come una nota stonata, un colore fuori luogo.
Evidentemente lei sapeva che lo avrebbe incontrato da Mattia e pensava che anche lui avesse questa informazione.
L’uomo si diresse verso di lei e le girò attorno, guardandola dall’alto, immobile, tesa. Lo eccitava pensare che fosse anche un poco impaurita e avrebbe voluto entrare nelle sue emozioni per trarre maggior piacere.
“Come ci sei riuscito ad averla schiava? Non avrei mai detto che avesse tali gusti questa ragazzina altezzosa e viziata”.
Voleva colpirla nell'orgoglio, facendo anche leva sulla sua posizione privilegiata ed iniziare a trarre piacere da quella piccola manifestazione di potere, tipico di colui che può impunemente colpire.
“Infatti non li ha, questi gusti”.
“Quindi?”
“Quindi vuole provare adrenalina. Secondo me a questa cagna eccita di più il fatto di essere schiava dei colleghi del padre”.
Simone le girò intorno e le accarezzò la testa, con il tipico gesto dedicato ai cani, quelli docili, addestrati, ubbidienti.
“Cazzo, la figlia di Gerardo”.
La risata in cui scoppiò era carica di eccitazione.
Si chinò ad accarezzarle i seni e le strinse un poco i capezzoli, poi sempre più, fino ad ottenere un suo lamento ma non la sua sottrazione al potere”.
Non seppe descrivere cosa vide in quegli occhi che, però, presto sparì per lasciare posto al dolore procurato dal socio di suo padre.
Anche l’ascensore che lo condusse al settimo piano dall’amico gli sembrò lento.
Non scopava da circa un mese, sempre preso dal lavoro che, comunque, riusciva a dargli ancora tanta adrenalina e piacere.
“Stavo per iniziare senza di te”.
“Ti avrei rigato la tua Aston Martin se l’avessi fatto”.
Nell’aria c’era un profumo a lui noto ma non seppe riportare alla memoria l’origine.
Se ne dimenticò subito, ancor prima di togliersi la giacca in quell’ambiente che era stato riscaldato apposta per poter consentire a tutti di stare nudi.
“Non vuoi passare in cucina a bere qualcosa di fresco”?
Mattia lo provocava per impedirgli di recarsi in sala dove sicuramente lo aspettava la sorpresa “stra-to-sfe-ri-ca”.
“Ho pronto il cacciavite per la carrozzeria della tua Aston, te lo devo dire”.
Si diresse sicuro verso la sala sulla cui soglia si fermò, pietrificato, incapace di procedere oltre, come se la barriera dell’incredulità avesse realizzato uno schermo trasparente impossibile da oltrepassare.
In mezzo alla sala, tra le due poltrone ed il divano di pelle marrone scuro, sul tappeto dal quale era stato asportato il tavolino, c’era la ragazza inginocchiata. Aveva le autoreggenti nere e le scarpe col tacco altissimo.
Il perizoma, anch’esso nero, era poco più di un filo.
Aveva il busto eretto ed i seni esposti dalle mani incrociate dietro alla testa, coi gomiti allargati per spingere in fuori il petto.
La testa era china, più per la vergogna che per la sottomissione.
Al collo spiccava un pesante collare di pelle, quello tipico che si usa per i cani.
In bocca aveva un frustino nero, quello di pelle che Mattia teneva gelosamente.
Accanto alla ragazza, a terra, c’erano le catenelle con i morsetti da attaccare ai capezzoli e alle grandi labbra, un flogger, un plug con la coda.
Più che oggetti, erano una promessa di piacere.
Simone non si era nemmeno accorto degli strumenti sessuali posati accanto alla coscia della schiava.
Non riusciva a staccarle gli occhi di dosso, preso da quella incredulità che ancora lo stava pietrificando sulla porta, finché qualcosa si sciolse e un’espressione di lussuria si manifestò sul suo viso.
“Cazzo!!! Micaela!!! La figlia di Gerardo!!! La figlia del nostro socio!!! Cazzo!!!”.
Il cazzo, quello richiamato nelle sue espressioni che trasudavano libidine, cominciò ad indurirsi.
Solo allora si rese conto degli attrezzi accanto alla ragazza.
La sua espressione tradì la scoperta appena fatta.
Mattia stava dicendo qualcosa il cui significato si fermava alle orecchie senza entrare nel padiglione auricolare, restando per lui un suono indefinito senza significato alcuno.
Ecco dove aveva sentito il profumo avvertito appena entrato in casa, nell’ufficio di Gerardo.
Comprese ora la tensione della ragazza quando lo aveva salutato e guardato in un modo strano che non aveva compreso e gli era rimasto sospeso, come una nota stonata, un colore fuori luogo.
Evidentemente lei sapeva che lo avrebbe incontrato da Mattia e pensava che anche lui avesse questa informazione.
L’uomo si diresse verso di lei e le girò attorno, guardandola dall’alto, immobile, tesa. Lo eccitava pensare che fosse anche un poco impaurita e avrebbe voluto entrare nelle sue emozioni per trarre maggior piacere.
“Come ci sei riuscito ad averla schiava? Non avrei mai detto che avesse tali gusti questa ragazzina altezzosa e viziata”.
Voleva colpirla nell'orgoglio, facendo anche leva sulla sua posizione privilegiata ed iniziare a trarre piacere da quella piccola manifestazione di potere, tipico di colui che può impunemente colpire.
“Infatti non li ha, questi gusti”.
“Quindi?”
“Quindi vuole provare adrenalina. Secondo me a questa cagna eccita di più il fatto di essere schiava dei colleghi del padre”.
Simone le girò intorno e le accarezzò la testa, con il tipico gesto dedicato ai cani, quelli docili, addestrati, ubbidienti.
“Cazzo, la figlia di Gerardo”.
La risata in cui scoppiò era carica di eccitazione.
Si chinò ad accarezzarle i seni e le strinse un poco i capezzoli, poi sempre più, fino ad ottenere un suo lamento ma non la sua sottrazione al potere”.
Non seppe descrivere cosa vide in quegli occhi che, però, presto sparì per lasciare posto al dolore procurato dal socio di suo padre.
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