Incontri casuali (parte 1)
di
Kugher
genere
sadomaso
Finalmente la giornata era finita, anzi, era finita la settimana, anzi no, il mese. Insomma, finalmente era finita. Quella situazione che da tempo lo aveva tormentato si era risolta e si sentiva sgravato da un peso.
Franco sembrò accorgersi solo quel giorno che era scoppiata la primavera, con quel sole meraviglioso e limpido, complice il temporale della notte precedente che, aveva letto, da qualche parte aveva divelto alberi.
Si tolse l’accappatoio e si passò, molto velocemente, un asciugamano tra i capelli che, non molto lunghi, non necessitavano di particolari cure con il phon. Si guardò la testa e si chiese per quanto tempo ancora il colore nero avrebbe prevalso sul grigio, che da qualche anno aveva iniziato a fare la sua comparsa. La infinita battaglia tra i due colori vedeva il secondo conquistare campo, anche se lentamente.
Non aveva voglia di disfare la borsa della palestra. Lo avrebbe fatto dopo, o domani. Tanto solerte nell’alzare pesi e tanto pigro nel sistemare le cose.
L’orologio che prese per uscire lo informò che aveva il tempo di fare le cose con calma per andare all’aperitivo in centro con Marco, l’unico amico rimasto dai tempi del liceo e dell’università.
Aveva scelto lui quel bar in centro, anche se sapeva non esserci parcheggio nelle vicinanze. La giornata era bella e gli avrebbe fatto piacere la passeggiata per raggiungerlo.
Quello stronzo era in ritardo, come al solito. Come lo faceva incazzare questa cosa. Non si era mai abituato a sopportare l’assenza di puntualità nelle persone.
Iniziò ad ordinare.
Il venir meno della tensione che lo aveva accompagnato nell’ultimo anno, gli consentì di tornare a concentrarsi sulle persone. Gli piaceva guardarle e immaginare una loro storia, cercandola tra i particolari del vestito, di un atteggiamento o di uno sguardo.
Fu attratto dalla coppia che aveva notato appena entrato, in lontananza, della quale si era disinteressato per cercare un posto libero vicino alla finestra. Adorava la luce, i colori.
Odiava guardare il cellulare mentre era in attesa. Gli aveva sempre dato la sensazione che fosse tipico di chi si chiude nel proprio mondo per evitare quello vero, quello fatto di persone, di rumori, di odori, di gentilezza e di maleducazione, di silenzi o di voci a volte alte.
Cercò nuovamente quella coppia e, individuata, si mise ad osservarla cercando di non essere notato. Iniziò a immaginare la loro storia.
La donna avrà avuto sui 45 anni. Il corpo, corrispondente all’età, lasciava immaginare la bellezza giovanile della quale conservava interessanti ricordi. Ciò che dava risalto alla figura era la posa, composta, elegante, elegante come lo era il vestito che aveva quale colore predominante il nero, come gli stivali dal tacco abbastanza alto ma non tanto da risultare incompatibile con l’età.
Trasmetteva la sensazione di persona sicura di sé ma priva di arroganza, che è tipica, invece, degli insicuri che vogliono mostrarsi diversamente.
Non poteva definirla sexy. Piuttosto l’avrebbe detta interessante, nell’insieme, nei gesti, nei movimenti controllati. Provava irresistibile attrazione per le persone “interessanti” perché mostrano carattere e personalità, cose più eccitanti di una semplice gamba lunga accavallata ed esposta.
Di fronte a lei sedeva una ragazza. Non tornavano i conti con le età. Se fosse stata sua figlia avrebbe voluto dire che l’aveva avuta quando era molto giovane, ma, se aveva indovinato gli anni di entrambe, avrebbe dovuto essere rimasta incinta a 15 anni. Non impossibile ma improbabile.
Forse era la nipote.
Osservò il loro comportamento e fu portato ad escludere un vincolo di parentela per il loro modo di interagire. Lei sicura, quasi con distacco, mentre la ragazza era gentile e premurosa, ma con molto rispetto.
Ipotizzò anche che lei fosse la sua datrice di lavoro e la ragazza una neo assunta, ancora impacciata. No, nemmeno quella era la storia giusta.
La donna parlò alla giovane la quale si alzò subito per portarle la zuccheriera. Lei prese l’oggetto e se ne servì. Non le vide muovere le labbra quindi era mancato il ringraziamento per la cortesia ricevuta.
La situazione lo intrigava sempre più.
Maledizione, lei si era accorta che le stava fissando. Non poté distogliere lo sguardo e passare, così, come guardone curioso. Sorrise e le osservò ancora qualche secondo prima di distogliere lo sguardo, come se gli occhi si fossero incrociati per caso.
La donna disse ancora qualcosa all’indirizzo della ragazza che si alzò per riportare la zuccheriera. Non aveva senso. sarebbe passato il cameriere a ritirarla se fosse servita ad altro cliente.
La cosa strana fu che adesso era la donna a guardarlo, con discrezione, ma facendo in modo che lui se ne accorgesse.
Parlò ancora alla ragazza (o giovane donna) che subito si alzò. La seguì con lo sguardo mentre notò che la donna guardava lui, invece. La ragazza entrò nel bagno delle signore. Ne uscì quasi subito per andare a riferire qualcosa alla signora.
La donna si alzò e si diresse ai servizi, gettandogli uno sguardo distratto mentre si allontanava dalla sedia. Passò tra i tavoli con grazia, facendo apprezzare i suoi movimenti e la sua figura.
Quindi aveva mandato la ragazza a vedere se i servizi erano liberi.
Franco sorrise. Il linguaggio dei gesti e del corpo è cosa meravigliosa, al punto da trasmettere intimità esclusiva in un ambiente affollato e rumoroso, pieno di gente che assiste inconsapevole a ciò che sembrava essere un richiamo sessuale a distanza.
Franco cominciò a delineare meglio la storia di quella strana coppia e si immaginò che fosse legata da un rapporto di dominio e di sottomissione. La cosa lo eccitò molto e il nervosismo per il ritardo dell’amico si trasformò in speranza che non arrivasse proprio in quel momento.
Aspettò che la Padrona (tale fu l’appellativo che le diede nei suoi pensieri) tornasse dai servizi e si sedesse e, quando accadde, lei nuovamente gli lanciò una veloce occhiata accompagnata da un sorriso educato.
Franco mantenne lo sguardo su di lei che, però, lo aveva distolto. Si alzò prendendo il bicchiere della sua consumazione e si avvicinò al loro tavolo. Si fermò ad una distanza tale da far capire che era lì per loro, ma non abbastanza da essere invadente. Attese che la Padrona alzasse lo sguardo su di lui per chiedere, garbatamente, se poteva sedersi.
Ogni rapporto umano è un universo a sé e quello nel quale immaginava di essere appena entrato aveva regole il cui rispetto è una forma di comunicazione.
Dando quindi per assunto che la ragazza fosse solo una schiava, la ignorò, come se non esistesse a quel tavolo in cui non c’erano sedie libere.
La donna sorrise.
“Mi farebbe piacere”.
Il rossetto era un bel rosso che evidenziava la forma delle labbra.
“Prendi una sedia per il Signore”.
L’ordine venne dato alla ragazza senza distogliere lo sguardo dall’uomo.
Nel presentarsi apprese che la Padrona si chiamava Michelle ed aveva accento francese. Non gli interessava sapere come si chiamasse la schiava. In quel rapporto non era importante in quanto al momento era predominante il rispetto dei ruoli.
Il bicchiere di Franco portò a due i bicchieri sul tavolino del bar. La schiavetta non aveva preso nulla.
Franco sembrò accorgersi solo quel giorno che era scoppiata la primavera, con quel sole meraviglioso e limpido, complice il temporale della notte precedente che, aveva letto, da qualche parte aveva divelto alberi.
Si tolse l’accappatoio e si passò, molto velocemente, un asciugamano tra i capelli che, non molto lunghi, non necessitavano di particolari cure con il phon. Si guardò la testa e si chiese per quanto tempo ancora il colore nero avrebbe prevalso sul grigio, che da qualche anno aveva iniziato a fare la sua comparsa. La infinita battaglia tra i due colori vedeva il secondo conquistare campo, anche se lentamente.
Non aveva voglia di disfare la borsa della palestra. Lo avrebbe fatto dopo, o domani. Tanto solerte nell’alzare pesi e tanto pigro nel sistemare le cose.
L’orologio che prese per uscire lo informò che aveva il tempo di fare le cose con calma per andare all’aperitivo in centro con Marco, l’unico amico rimasto dai tempi del liceo e dell’università.
Aveva scelto lui quel bar in centro, anche se sapeva non esserci parcheggio nelle vicinanze. La giornata era bella e gli avrebbe fatto piacere la passeggiata per raggiungerlo.
Quello stronzo era in ritardo, come al solito. Come lo faceva incazzare questa cosa. Non si era mai abituato a sopportare l’assenza di puntualità nelle persone.
Iniziò ad ordinare.
Il venir meno della tensione che lo aveva accompagnato nell’ultimo anno, gli consentì di tornare a concentrarsi sulle persone. Gli piaceva guardarle e immaginare una loro storia, cercandola tra i particolari del vestito, di un atteggiamento o di uno sguardo.
Fu attratto dalla coppia che aveva notato appena entrato, in lontananza, della quale si era disinteressato per cercare un posto libero vicino alla finestra. Adorava la luce, i colori.
Odiava guardare il cellulare mentre era in attesa. Gli aveva sempre dato la sensazione che fosse tipico di chi si chiude nel proprio mondo per evitare quello vero, quello fatto di persone, di rumori, di odori, di gentilezza e di maleducazione, di silenzi o di voci a volte alte.
Cercò nuovamente quella coppia e, individuata, si mise ad osservarla cercando di non essere notato. Iniziò a immaginare la loro storia.
La donna avrà avuto sui 45 anni. Il corpo, corrispondente all’età, lasciava immaginare la bellezza giovanile della quale conservava interessanti ricordi. Ciò che dava risalto alla figura era la posa, composta, elegante, elegante come lo era il vestito che aveva quale colore predominante il nero, come gli stivali dal tacco abbastanza alto ma non tanto da risultare incompatibile con l’età.
Trasmetteva la sensazione di persona sicura di sé ma priva di arroganza, che è tipica, invece, degli insicuri che vogliono mostrarsi diversamente.
Non poteva definirla sexy. Piuttosto l’avrebbe detta interessante, nell’insieme, nei gesti, nei movimenti controllati. Provava irresistibile attrazione per le persone “interessanti” perché mostrano carattere e personalità, cose più eccitanti di una semplice gamba lunga accavallata ed esposta.
Di fronte a lei sedeva una ragazza. Non tornavano i conti con le età. Se fosse stata sua figlia avrebbe voluto dire che l’aveva avuta quando era molto giovane, ma, se aveva indovinato gli anni di entrambe, avrebbe dovuto essere rimasta incinta a 15 anni. Non impossibile ma improbabile.
Forse era la nipote.
Osservò il loro comportamento e fu portato ad escludere un vincolo di parentela per il loro modo di interagire. Lei sicura, quasi con distacco, mentre la ragazza era gentile e premurosa, ma con molto rispetto.
Ipotizzò anche che lei fosse la sua datrice di lavoro e la ragazza una neo assunta, ancora impacciata. No, nemmeno quella era la storia giusta.
La donna parlò alla giovane la quale si alzò subito per portarle la zuccheriera. Lei prese l’oggetto e se ne servì. Non le vide muovere le labbra quindi era mancato il ringraziamento per la cortesia ricevuta.
La situazione lo intrigava sempre più.
Maledizione, lei si era accorta che le stava fissando. Non poté distogliere lo sguardo e passare, così, come guardone curioso. Sorrise e le osservò ancora qualche secondo prima di distogliere lo sguardo, come se gli occhi si fossero incrociati per caso.
La donna disse ancora qualcosa all’indirizzo della ragazza che si alzò per riportare la zuccheriera. Non aveva senso. sarebbe passato il cameriere a ritirarla se fosse servita ad altro cliente.
La cosa strana fu che adesso era la donna a guardarlo, con discrezione, ma facendo in modo che lui se ne accorgesse.
Parlò ancora alla ragazza (o giovane donna) che subito si alzò. La seguì con lo sguardo mentre notò che la donna guardava lui, invece. La ragazza entrò nel bagno delle signore. Ne uscì quasi subito per andare a riferire qualcosa alla signora.
La donna si alzò e si diresse ai servizi, gettandogli uno sguardo distratto mentre si allontanava dalla sedia. Passò tra i tavoli con grazia, facendo apprezzare i suoi movimenti e la sua figura.
Quindi aveva mandato la ragazza a vedere se i servizi erano liberi.
Franco sorrise. Il linguaggio dei gesti e del corpo è cosa meravigliosa, al punto da trasmettere intimità esclusiva in un ambiente affollato e rumoroso, pieno di gente che assiste inconsapevole a ciò che sembrava essere un richiamo sessuale a distanza.
Franco cominciò a delineare meglio la storia di quella strana coppia e si immaginò che fosse legata da un rapporto di dominio e di sottomissione. La cosa lo eccitò molto e il nervosismo per il ritardo dell’amico si trasformò in speranza che non arrivasse proprio in quel momento.
Aspettò che la Padrona (tale fu l’appellativo che le diede nei suoi pensieri) tornasse dai servizi e si sedesse e, quando accadde, lei nuovamente gli lanciò una veloce occhiata accompagnata da un sorriso educato.
Franco mantenne lo sguardo su di lei che, però, lo aveva distolto. Si alzò prendendo il bicchiere della sua consumazione e si avvicinò al loro tavolo. Si fermò ad una distanza tale da far capire che era lì per loro, ma non abbastanza da essere invadente. Attese che la Padrona alzasse lo sguardo su di lui per chiedere, garbatamente, se poteva sedersi.
Ogni rapporto umano è un universo a sé e quello nel quale immaginava di essere appena entrato aveva regole il cui rispetto è una forma di comunicazione.
Dando quindi per assunto che la ragazza fosse solo una schiava, la ignorò, come se non esistesse a quel tavolo in cui non c’erano sedie libere.
La donna sorrise.
“Mi farebbe piacere”.
Il rossetto era un bel rosso che evidenziava la forma delle labbra.
“Prendi una sedia per il Signore”.
L’ordine venne dato alla ragazza senza distogliere lo sguardo dall’uomo.
Nel presentarsi apprese che la Padrona si chiamava Michelle ed aveva accento francese. Non gli interessava sapere come si chiamasse la schiava. In quel rapporto non era importante in quanto al momento era predominante il rispetto dei ruoli.
Il bicchiere di Franco portò a due i bicchieri sul tavolino del bar. La schiavetta non aveva preso nulla.
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