Diana e Ilaria

di
genere
saffico

Apro piano gli occhi, afferro subito il telefono e spengo la sveglia. Spero di non svegliarla – troppo tardi – il suo braccio mi cinge da dietro, mi sfiora il seno e mi bacia dolce il collo.
Con questo tonfo – quasi uno spavento – cado dal mondo onirico già dissolto nella realtà, una realtà che mi si ridipinge dinanzi e che devo ancora digerire. Mi divincolo educatamente da quella morsa affettuosa e con la scusa di dover correre al lavoro mi dileguo. Lasciandola forse confusa, esco da casa sua.

Sono al lavoro, davanti allo schermo del PC, ma non riesco a pensare ad altro che a Ilaria e a quello che è successo ieri sera. Io e lei sulla sua terrazza, sdraiate sul divanetto di quel colore sbiadito a bere birra e fumare sigarette – quasi fosse proibito rimanere con le mani in mano, senza qualcosa da portarsi alle labbra. Quelle labbra che entrambe volevamo conoscere meglio l’una dell’altra ma nessuna delle due voleva increspare il gioco lieve di sguardi prolungati e sorrisi maliziosi che durava ormai da qualche giorno, quando ci incontravamo nei corridoi o durante le pause. Ero pervasa dall’eccitazione, ero bagnata – lo sentivo – avrei voluto allungare la mano e toccarmi come ero solita fare quando mi trovavo sola a casa e la mia immaginazione mi trasportava in situazioni senza fiato. Ma anche l’attesa e l’ignorare quale sarebbe stata la sua prossima mossa mi faceva impazzire, facendomi quasi impercettibilmente tremare dalla voglia di toccarla e lasciarmi scoprire, anche se era qualcosa che non avevo mai fatto prima.

Nel frattempo torno nella realtà dell’ufficio, distratta dal viavai dei colleghi che, ignari di ciò che sto ripercorrendo con la mente, mi salutano rinforzando paradossalmente la potenza di quel vivido mondo parallelo. Si è riattivata a tal punto la mia voglia di sesso che è forte la tentazione di scegliere il maschio più invitante dell’ufficio, fargli leggere le parole del mio testo e attirarlo in bagno a farmi scopare; subito, così, pur di calmare la fiamma che sento dentro. Mi immagino piegata in avanti, appoggiata al lavandino, mentre il membro duro di uno sconosciuto entra risoluto nella mia figa, da dietro, mentre con le braccia mi salda a sé tenendomi per i fianchi. Vorrei tanto sentire qualcosa in mezzo alle gambe – penso - sono avvolta da una carica erotica, selvaggia, che mi farebbe fare pazzie se la mia razionalità non mi imbrigliasse.

Non è un uomo però quello che voglio. Ho ancora voglia di lei – Ilaria - ed è per questo che decido di tornare nel mondo dei ricordi lucidi estraniandomi dal vociferare di una consueta giornata di lavoro. E cosi, in men che non si dica eccomi di nuovo su quella terrazza, dove ormai il caldo insopportabile della giornata si era affievolito, la luce era quella del tipico fine giornata estivo e io e lei sdraiate una vicino all’altra. Fino ad allora l’unica cosa successa tra noi era una serata magica e indimenticabile tre giorni prima. Il giorno stesso che ci eravamo presentate a vicenda al lavoro eravamo riuscite a organizzare di uscire a bere qualcosa la sera. Avevamo parlato di tutto fino a quando era emerso il momento delle confidenze sessuali. Da li quello che già sentivamo l’una per l’altra si era legittimato ed era stato sdoganato dalla reciproca curiosità che c’era tra noi. Volevo baciarla e lei voleva baciare me. Cosi è stato. Non ci siamo più staccate, avviluppate una all’altra e protette dalla notte della città, con qualche gruppetto di adolescenti che ogni tanto ci sgamava e lanciava un fischio. Poi eravamo rincasate, ubriache di noi stesse, a bordo di un monopattino elettrico che mi costringeva ad attaccarmi saldamente a lei cingendola ai fianchi. Erano istanti in cui sembrava tutto cosi giusto: io e lei, la libertà di volare sul monopattino elettrico nella notte, l’inebriante aria estiva e una città semi sconosciuta. La serata era terminata cosi, surreale. Sorprendente.

Sulla terrazza il tempo era diverso, non avevamo fretta, la notte era per noi e lo scandire dei minuti pareva dilatato rispetto al solito. Il sottofondo di questa serata era iniziato con la canzone Cumbia sobre el mar - ancora oggi quando mi capita di ascoltarla chiudo gli occhi e immagino quello che è stato. Abbiamo iniziato a baciarci, a lungo, intanto la mia mano le accarezzava il seno sopra la maglietta e capivo che non indossava alcun reggiseno. Mi sentivo improvvisamente calata in una strana tranquillità, come se ormai sapessi che quello che stava capitando era giusto ed ero pronta a viverlo. L’ansia prima della prestazione – dell’incontro - se n’era andata, non serviva più ormai. Le ho tolto la maglietta scoprendo un seno dai dolci lineamenti, cosi lei l’ha sfilata a me lasciandomi il mio intimo nero coperto di pizzo viola. Con tacita alternanza ci aiutavamo a spogliarci di quei pochi indumenti che indossavamo: sotto i pantaloni solo uno smilzo tanga a triangolo di cotone leopardato, mentre io – inizialmente restia – mi sono rilassata lasciandomi sfilare, oltre ai jeans, i miei slip di pizzo violetto, in tinta con il resto della biancheria. Siamo arrivate ad essere nude e completamente noi stesse una di fronte all’altra. I nostri corpi aderivano uno all’altro, io ero sopra di lei. Con la bocca scendevo piano a baciarla lungo il collo - improvvisamente la sentivo fremere - capivo che quella zona del suo corpo era molto sensibile. Continuavo a tastare con le mie labbra la sua pelle abbronzata, scendendo fino a raggiungere i capezzoli. Nella mia testa c’era un’esplosione di eccitazione quando le leccavo i seni, la sentivo gemere di piacere e di voglia – di riflesso questa reazione mi faceva crescere l’esigenza di farla sempre più mia. Viaggiavo a vista su di lei: per me quel territorio così sconosciuto era paradossalmente molto famigliare. Dovevo solo permettere che la razionalità si dissipasse, si dissolvesse, così che l’istinto potesse guidarmi.

Improvvisamente mi ha bloccata - voleva mettersi sopra - voleva prendere in mano la situazione. Le ho lasciato fare volentieri, mi rassicurava. Ho stampata nella mente l’immagine di lei, con i suoi tanti capelli lunghi e neri, raccolti in maniera disordinata in uno chignon sopra la testa - selvaggia, bellissima, nuda – che si avventurava sulla mappa del mio corpo. In lei c’era una leggerezza ancestrale, essenziale, che ancora non so comprendere meglio. Ogni tanto alzava gli occhi colpendomi con il suo sguardo profondo e nero. Le sue labbra erano partite dalla mia bocca, per poi scendere lentamente tracciando tutto il collo e arrivando in mezzo ai seni. Nello stesso tempo con la punta dell’indice iniziava a scendere e ad accarezzare la mia fessura - ormai bagnatissima - facendomi letteralmente impazzire e facendomi febbrilmente anelare il momento in cui lo avrebbe inserito completamente dentro di me. Rimaneva in superficie, stuzzicando le grandi labbra e il clitoride producendo un rumore di liquido schiacciato- mi teneva sulle spine bloccandomi il fiato. Più scendeva verso il mio centro con la bocca e più il suo dito entrava in profondità, lentamente, suscitandomi un turbine di agonia. Il solo dito mi lasciava sul chi va là. Allo stesso tempo mi frustrava e ne volevo di più – di più. Le sue labbra arrivavano ormai ai miei seni dove con la punta della lingua giocava e solleticava i capezzoli che turgidi svettavano verso di lei. Il suo dito era completamente dentro di me, avevo gli occhi chiusi e la testa immersa nel cuscino del divanetto. Usciva ed entrava, fino a quando – senza preavviso alcuno – al posto di uno ne ha fatti penetrare due, strappandomi un forte gemito di sorpresa. I movimenti si facevano sempre più vigorosi e ritmici, seguivo con il bacino la sua mano quando si allontanava da me – quasi a chiederne ancora con la paura che potesse smettere da un momento all’altro. Con una mano le tenevo i capelli fino a quando si è allontanata scendendo lungo la pancia, baciandomi leggermente la pelle. La sua bocca è scesa, scesa fino al monte di venere trovando una piccola e ordinata striscia di peli neri. Ci siamo – ho pensato – nella mia testa c’era un campo di battaglia fatto di figure senza forma che combattevano tra loro, si trattava delle fazioni dell’istinto e della ragione. Le ho lasciate intrecciarsi tra loro allontanandomi intenzionalmente ed estraniandomi da quel luogo. La sua lingua leccava instancabile il mio clitoride, entrando di tanto in tanto fin dove riusciva, dentro di me, dentro la mia figa che ormai era un lago di piacere. Una donna bellissima ha il viso in mezzo alle mie gambe e mi sta leccando portandomi dritta verso il piacere – pensavo. Il connubio tra queste due attenzioni ci ha messo poco a farmi arrivare al limite: la mia schiena si è inarcata, la mia pelle era velata da un leggero strato di sudore e lei mi conduceva sempre più verso il culmine. Sembrava sapesse bene cosa stesse facendo. Ho gridato buttando fuori tutta l’emozione accumulata in quegli istanti. Avevo questa donna bellissima che mi guardava, mentre ero ancora nella mia trance e fremevo riprendendomi dalle scosse dell’orgasmo che avevo appena raggiunto. Ci siamo poi baciate sentendo il sapore dei miei umori sulle sue labbra. Era tutto terribilmente giusto.

Era il mio turno. Finalmente si è lasciata andare sul divano e potevo mettermi sopra di lei, cominciando a baciarla vivacemente controllandola tenendole i capelli corvini. Percepivo dai suoi movimenti una difficoltà a rilassarsi, una diffidenza che ben presto è scomparsa. Ricordo di essere stata pervasa da una rinnovata energia: era iniziato il mio viaggio su di lei, potevo esplorarla senza fretta. Sono scesa con la bocca fino al seno, iniziando a leccarle i capezzoli con la punta della lingua creando un mix tra solletico e piacere intenso dal quale non poteva sottrarsi. Con la mano iniziavo a massaggiarle il monte di Venere, trovando la figa completamente depilata. Le accarezzavo la fessura – con mia sorpresa ho sentito tra le dita il piercing che aveva tra le grandi labbra. Era sempre più bagnata e per mantenerla sulle spine introducevo un solo dito di tanto in tanto per farla impazzire dalla voglia. Lei inarcava la schiena, gemendo di piacere, e si spingeva in avanti con il bacino volendone sempre di più. Affondavo tutte e due le dita dentro di lei, togliendole me le portavo alla bocca, succhiandole mentre la fissavo con lo sguardo di una donna ancora eccitata. Sentire quanto era bagnata ed eccitata mi motivava e mi spingeva a continuare a fare ciò che stavo già facendo. Il suo sapore era inebriante, ormai l’istinto mi aveva magicamente ammantata guidandomi come se non fosse stata la prima volta che facevo sesso con una donna. Le ho preso entrambe le mani perché stava per toccarsi, gliele tenevo sprofondandole nel cuscino accanto alle sue orecchie. Mantenendo gli occhi su di lei scendevo poi con le labbra fino al suo clitoride, che ho iniziato a leccare energicamente. Più gridava e più il mio ritmo cresceva. All’improvviso ho infilato due dita fino in battuta, muovendole avanti e indietro al ritmo della mia lingua che premeva e si muoveva tra il monte di Venere e il clitoride. Il suo sapore era in quel momento una droga per me e il suono che usciva dalle sue labbra mi portava a non stancarmi mai – anzi – a continuare senza sosta fino a quando le sue mani mi hanno preso gli avambracci, e Ilaria si è lasciata andare nell’orgasmo inseguito fino a quel momento. Continuavo a tracciare il suo sesso con la punta della lingua sapendo che questo le causava le ultime scosse di piacere.
Intrecciate una all’altra ci siamo rilassate, accarezzate, baciate dolcemente. Non eravamo sazie l’una dell’altra e la serata era ancora giovane.

Ma ora sono di nuovo davanti allo schermo del computer e devo concentrarmi a non avere un orgasmo qui in mezzo a tutti. Con il tallone del piede sotto di me mi massaggio la figa alimentando la voglia di venire. Vado in bagno e faccio quello che devo fare per poter affrontare la giornata di lavoro.

(To be continued)
scritto il
2023-05-03
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