Capri e l’inizio dell’estate
di
plazas1990
genere
etero
Le domande più ricorrenti nella mia vita sono sempre state due: “com’è vivere a Capri di inverno?”, “perché non hai mai lasciato l’isola per farti una vita altrove?”.
In effetti, cosa ci fa una donna sola come me, su un’isola, quando l’estate sembra lontana?
Io qui ci sono nata, tanto per cominciare. E quando i miei genitori sono passati entrambi a miglior vita ho ereditato la piccola boutique di famiglia.
Capri è tutta la mia vita. È una questione di abitudine quando nasci e hai sempre vissuto su un pezzo di terra in mezzo al mare: fin da piccola i miei occhi hanno saputo convivere con i fiumi di turisti in estate e la calma d’inverno.
Il motivo per cui non ho mai lasciato l’isola è semplice. Il mare. Io adoro il mare. E lo posso vedere tutti i giorni aprendo la finestra della mia cucina.
Proprio dalla finestra in cucina comincia la mia storia.
Ho sempre vissuto nella stessa casa, da quando ero bambina. Sì, ho ereditato anche questa dai miei genitori. Ad oggi sono single e il pensiero di trovarmi un’altra casa nella quale vivere ugualmente da sola, mi distrugge.
Durante l’infanzia e l’adolescenza, il fatto che condividessimo una parte di casa con i vicini non era un problema.
Però con il passare degli anni si è fatto più forte il bisogno di intimità e di riservatezza.
Mi spiego meglio: la nostra cucina comunica direttamente con un patio che raccoglie altre due abitazioni.
Molto tempo fa, condividere questo spazio, era una gioia. Le famiglie si scambiavano piccole porzioni di pranzo, erano frequenti le chiacchierate da una casa all’altra.
Ecco, crescendo, tutto questo è venuto a mancare. Erano davvero altri tempi.
Adesso arriviamo al sodo, perché non voglio annoiarvi e spiegarvi perché questo problema domestico è finito col diventare un sollievo.
Inizialmente la situazione che sto per raccontarvi mi stava procurando dei grossi grattacapi, per non dire un vero e proprio spavento.
Tutto comincia in una serata di quarantena per COVID, tre anni fa ormai.
Uscii sul patio per riprendere il bucato e una volta rientrata in casa mi accorsi che mancava la mia brasiliana preferita. Ero sicura di averla lavata. La cercai senza sosta, ritornai alla lavatrice, rivoltai i cassetti in camera. Niente.
Scomparsa.
Chiesi anche alla mia vicina più prossima, ma niente da fare.
Fu la prima volta che accadde. Era una gran bella brasiliana, comoda e del mio colore preferito, ma in fin dei conti era un semplice slip. Per questo non diedi troppa importanza.
Caso vuole che la stessa situazione ricapitò esattamente l’anno successivo.
Lo ricordo alla perfezione: quella sera tornai a casa da un compleanno e prima di uscire avevo steso il bucato.
Ovvio che con qualche ora di assenza da parte mia, nessuno poteva aver toccato qualcosa. Ed ecco che mancava una mia mutandina dalle corde in cortile.
Nonostante fossi tornata a casa brilla non mi persi d’animo e la cercai dovunque. Non potevo aver perso così di botto la memoria: quella mutandina l’avevo stesa io personalmente qualche ora prima e adesso mancava!
Cominciai a pensare che le mie vicine di casa, magari invidiose della mia età e del mio vestiario, mi avessero preso di mira.
Anche in quel caso, non diedi ulteriore importanza e me ne dimenticai, senza collegare il tutto alla prima sparizione.
E arriviamo a qualche settimana fa.
Una sera, dopo cena, invitai a casa la mia migliore amica e di cosa potevamo parlare?
Della mia astinenza a letto, chiaro.
La mia amica coetanea è sempre stata un portento con gli uomini, soprattutto con quelli più giovani.
I racconti delle sue avventure con i figli delle sue conoscenti mi hanno sempre strappato un sorriso per quanto strambe e lei non manca mai modo di pungolarmi e invogliarmi a lasciarmi andare a qualche rapporto occasionale di tanto in tanto.
“Ci vuole una bella scopata! Una come te non può non farsi sbattere minimo una volta a settimana”, mi dice sempre facendomi sorridere per l’imbarazzo. Più diretti di così si muore.
Proprio mentre eravamo a chiacchierare, dal patio uscii il figlio della vicina, ormai maggiorenne.
Vi lascio immaginare cosa arrivò a consigliarmi la mia amica.
Però devo ammettere che riuscì a mettermi la classica pulce nell’orecchio.
Ho visto crescere quel ragazzo praticamente, lo conosco fin da quando era un bambino e devo ammettere che è diventato un bel tipo. Dettaglio: il ragazzo in questione lascerà Capri dopo l’estate per proseguire gli studi a Napoli.
Quando la mia amica mi lasciò finalmente da sola, mi misi a letto ed ebbi un’illuminazione: e se era stato lui a rubare le famose mutandine?
Non ci pensai più di tanto comunque e chiusi gli occhi.
Trascorsi un paio di giorni, cominciai però a fare più attenzione al bucato. Se davvero era stato quel ragazzo in preda ai bollenti spiriti della gioventù?
Avevo un po’ di legittima curiosità per scoprire il ladro di mutandine.
Ripensandoci, stavo mettendo in piedi questo gioco perché la mia vita era diventata forse troppo noiosa e monotona. Ci voleva una botta di vita.
Così pensai ad un piano. Portai a casa dalla boutique un perizoma nero, il più sexy che avevo in negozio.
Mi sembrava una buona idea per attirare il ladruncolo.
E infatti dopo pochi giorni il ladro ritornò in azione cadendo nella trappola.
Ormai era chiaro: qualcuno dei miei vicini aveva interesse per il mio intimo. I mariti depravati delle mie vicine? Il ragazzo della porta accanto? Aveva poca importanza.
Anche a lavoro non riuscivo a pensare ad altro in quei giorni: dovevo cogliere il ladro sul fatto.
Decisi così di riprovare con lo stesso perizoma, ma di un altro colore, e tornata a casa una sera lo lasciai steso sulla corda del bucato.
Mi appostai alla finestra e lì decisi di restare nascosta.
Il ladro doveva essere uno sciocco, un pervertito o una bella invidiosa per commettere a distanza di poco tempo un nuovo furto.
Passavano le ore. Nessuno si fece vivo. Cenai, sistemai casa ma ancora niente.
Proprio quando cominciavo a perdere le speranze, mi avvicinai alla finestra per fumare ed ecco che un’ombra silenziosa procedeva a passi di gatto verso il mio bucato.
Aspettai che sfilasse il perizoma e si voltasse di spalle per vederlo meglio sotto la luce del lampione e zac: colto con le mani nella marmellata.
Era il figlio della mia vicina!
Al vedere quella scena scoppiai a ridere e per poco non cascavo dalla sedia.
Mi diede una certa soddisfazione l’idea di eccitare un ragazzo così giovane.
Non mi piace fare la falsa modesta e non mi piace prendermi in giro: credo di essere una bella donna e curo molto l’aspetto fisico e il vestiario.
Quindi l’idea che un ragazzo così silenzioso, timido, elegante nei modi, si masturbasse su di me e per giunta con le mie mutandine, mi eccitò ai massimi livelli.
Pensai innanzitutto a cosa fare, anche di bussare alla porta e dargliene un paio.
Potevo sempre sfruttare questa situazione a mio favore, però.
Il ragazzo poteva essere il prescelto per darmi una bella rinfrescata, diciamo così.
Dopotutto mi sembrava una bella storia da raccontare. Io a scopare col figlio della vicina, roba da matti!
Perciò escogitai un piano.
Quel giorno finsi di aver un polso fasciato e di dover montare un paio di mensole e stando a lavoro tutto il giorno avevo bisogno di questo favore da parte dei miei vicini.
Ovviamente sapevo che fossero entrambi a lavoro. Tranne il loro carissimo figlio, con la scuola ormai finita e le mattinate libere.
Insomma, riuscii ad avere il suo numero tramite la madre.
Si stava facendo ora di pranzo ed era arrivato il momento di entrare in azione.
Messaggiai il ragazzo scrivendogli:
“Ciao *******, sono **** la vostra vicina di casa. Tua madre mi ha dato il tuo numero, ho bisogno di un aiuto per montare una mensola in soggiorno perché da sola non riesco e so che puoi aiutarmi. Sei disponibile tra una mezz’ora?”
La risposta non tardò ad arrivare.
Chiusi all’istante il negozio per motivi personali, diciamo così, e mi avviai di corsa a casa.
Avevo scelto un outfit apposta per l’occasione: un vestitino leggero e molto scollato per mettere in bella vista il seno e dei sandali. Ma non portavo il reggiseno.
Pensai alla comodità e alla praticità innanzitutto. Nel caso fossi riuscita nel mio intento, non si poteva perdere tempo.
Arrivata fuori la mia porta, trovai il ragazzo già lì.
Ci salutammo con un po’ di soggezione, come è normale che sia. In 18 anni di vicinato ci eravamo a stento salutati.
Secondo me fece un grande sforzo per non guardarmi il davanzale!
Mettemmo piede in casa e mi assalì subito voglia di correre a letto con quel ragazzo, incredibile. Non mi capitava da un po’ di desiderare così tanto una bella scopata, come direbbe la mia amica.
Gli offrii prima un bicchiere d’acqua, facendogli lo scanner dalla testa ai piedi.
Fantasticavo sulle dimensioni del suo arnese tra le gambe.
Gli sorridevo, ma in realtà lo stavo mangiando con gli occhi.
Lui non mi degnava di uno sguardo. Finto timido a quanto pare, perché poi in casa si divertiva abbastanza coi miei perizoma!
Scambiammo qualche domanda di cortesia ma lui era lì per altro, pronto ai miei ordini.
“Vieni con me, ti faccio vedere le mensole”, gli dissi facendogli strada in camera.
Già lo immaginavo dietro di me oppure io sopra di lui a godere.
L’astinenza si stava facendo sentire più forte adesso, perché se tutto fosse andato a gonfie vele, sarebbe finalmente terminata.
Meditai anche di saltargli addosso all’improvviso, ma forse era meglio continuare a giocare.
A dir la verità lo vedevo emozionato, un ragazzo davvero timido.
Dovevo scioglierlo.
“Sai trapanare?”, gli disse alludendo a un banale doppio senso. “Io faccio solo danni e rovino sempre le pareti”.
“Credo di sì, hai gli attrezzi?”, mi chiese.
“Sì è tutto dietro di te”, indicandogli trapano e viti.
Non feci a meno di notare che si voltò con un po’ di ritardo perché nel frattempo era impegnato a guardarmi la scollatura.
Bene così, ragazzo.
Il gioco mi stava piacendo. Cominciai ad addolcire la voce e a farmi più seducente.
“Allora io vado a preparare il pranzo altrimenti farò tardi a lavoro”, dissi portando una delle mie mani all’altezza del capezzolo.
Arte della seduzione.
“Quanto ci metti?”
“Spero meno di trenta minuti”.
“Perfetto, se hai bisogno mi chiami e ancora grazie!” dissi lanciandogli un sorriso.
Il ragazzo si mise subito all’opera.
Arrivata in cucina, mi misi anch’io all’opera ma avrei preferito fare tutt’altro.
Tagliavo i pomodori e sentivo il rumore del trapano provenire dalla mia stanza e dopo un po’ decisi di rifarmi viva.
“Come va?”, gli chiesi appoggiata allo stipite della porta mettendo in risalto il seno.
“Bene…”, mi rispose facendo cadere gli occhi lì dove volevo.
“Ho tardato un po’ perché non riuscivo a posizionare il sostegno.”
“Figurati! Io ti aspetto.”
Per qualche minuto non si poteva ascoltare altro che il rumore del trapano perché non parlavamo.
Diedi uno sguardo ai messaggi. La mia amica voleva aggiornamenti, ma decisi di non rispondere.
Dopo poco il ragazzo terminò. Mi avvicinai a lui per toccare con mano il suo lavoro e per la prima volta toccai anche lui.
Poggiai le mani sulle sue spalle piccole e cominciai a fissarlo con i miei occhi azzurri.
Non disse nulla, solo sorrise timidamente.
“Come posso sdebitarmi?”
Il tono era più erotico che mai e ce ne accorgemmo entrambi.
“Macché, era una sciocchezza.”
“Vieni, sediamoci per qualcosa di fresco”, gli ordinai.
Ora c’era da fare sul serio.
Ripassai mentalmente la situazione: eravamo soli. I suoi genitori erano a lavoro e così anche gli altri nostri vicini.
Non poteva andare nulla storto.
Peccato solo che faceva caldissimo. Il tutto sommato alla mia eccitazione mi fece diventare un forno a legna.
Si accomodò sul divano, aspettando la limonata.
“Ti da fastidio se mi metto comoda?”, dovevo spingere di più.
Legai i capelli, slacciai i sandali e tolsi la cintura che avevo in vita sul vestitino.
Mi stava guardando tutta. Ne ero certa.
“Speriamo si ecciti presto anche lui”, pensai.
Ma subito mi vennero in mente le parole della mia amica: non lo devi far pensare troppo, devi agire in fretta.
Dopotutto era lui il ladro di mutandine, non avevo bisogno di convincimenti e poi quale ragazzo rifiuterebbe una scopata così regalata con una donna più grande?
Così mi sedetti vicino a lui sul divano, posai la mia mano sulla sua gamba scatenandogli un brivido e giocai a fare la smielata.
“Ti conosco da quando eri un bambino, ma non ci siamo mai conosciuti veramente.”
Che risposta speravo di ottenere?
Dovevo fare più in fretta e così lasciai cadere pian piano le bretelle sottili del vestitino.
Il ragazzo si stava facendo pallido ed era visibilmente a disagio.
Quando fui completamente nuda, il mio ladruncolo deglutì imbarazzato.
L’avevo in pugno, non si poteva tornare indietro.
Aveva perso la lingua, ma riuscì a far uscire il mio nome dalla sua bocca in preda alla sorpresa.
Ero nuda fino alla vita, completamente eccitata e per di più mi ero rasata per l’occasione.
Quanto tempo ci voleva ancora?
Le immagini che avevo disegnato nella mia mente si stavano facendo sempre più reali.
“Sei un ragazzo timido, lo so”, gli dissi.
Affrettai la manovra.
Portai la mano sul suo pene e stavolta la sorpresa ero io: era molto più grande di quello che mi aspettasi e anche lui si stava eccitando.
Ero bagnata.
Gli presi la mano che sembrava morta e la portai sotto il vestitino, lì dove avevo più voglia.
“Non essere timido, riconosci questo perizoma?”
Cominciò con calma a tastare la mia umidità intima. Chiusi gli occhi e portai la testa indietro. Forse c’eravamo quasi!
“Mettici un dito, non morde…” gli chiesi bisognosa.
Non appena infilò un paio di dita dentro di me, disegnai un cerchio con le labbra che assomigliava ad un gemito.
“Sì, voglio proprio questo.”
Le sua dita si muovevano con l’inesperienza della gioventù.
Mi guardava con desiderio, soprattutto il seno.
Ero in estasi.
“Continua così”, gli dissi, ma stavo aspettando il piatto forte.
Era il mio uomo quel giorno e doveva darmi piacere.
Avevo un sorriso da orecchio a orecchio, concentrata solo sulle dita che lentamente il ragazzo stava usando dentro di me.
I miei gemiti gli piacevano.
Però questo era solo l’antipasto.
“Togliti la maglia”, gli ordinai. Si alzò e tolse di scatto la maglia e poi subito dopo abbassò il pantaloncino senza aspettare altro.
Saltò fuori un bel pezzo di carne, con le vene sul punto di scoppiare.
Il ragazzo si era sciolto, adesso voleva quello che anche io volevo.
Aspettava in piedi il mio prossimo comando.
Non fiatai. Mi tolsi completamente il vestitino e il perizoma e mi accovacciai sul divano offrendogli il mio lato B. La mia amata pecorina.
C’era una direzione chiara da seguire davanti agli occhi del ragazzo.
Si avvicinò dietro di me e il suo glande fece il suo ingresso nel mio bollore.
Non mi fece attendere granché.
Da buon giovane con gli ormoni a palla, non cominciò piano e non face calcoli di ritmo: entrò forte e proseguì forte. Menomale che ero bagnata!
Avevamo cominciato alla grande. Il ragazzo ci sapeva fare.
Arricciai le dita dei piedi come un’aquila e dopo qualche gemito finalmente parlai:
“Non ti fermare, scopami così”
Lo ripetevo come un mantra, pregando il giovane uomo che mi stava possedendo.
Le mie parole si persero nell’aria e lasciarono posto ai dolci suoni del sesso e ai miei sospiri di piacere.
Ero al settimo cielo, il mio corpo era finalmente entrato al parco giochi del piacere.
Mi girai verso di lui, guardandolo concentrato a penetrarmi, a darmi e a darsi piacere.
“Così, scopami”
Il sesso continuava. Mi appoggiai sulle mani, stirando le braccia e piegandomi di più verso di lui per favorire il movimento.
Pensai a tutto il tempo sprecato con un vicino così capace, con tale energia!
Il ragazzo non smetteva e aveva le mani affondate sulla mia vita per farsi forza.
Notavo come i miei glutei salivano su e giù e i miei seni danzavano al ritmo della penetrazione.
Mi eccitava ancora di più guardarlo.
Eravamo completamente posseduti, persi in una scopata incredibile sotto il sole di mezzogiorno.
Fatto ancora più incredibile è che il ritmo non si arrestava e io dovevo saper resistere a quella velocità. Dopotutto io dovevo solo sopportare solo i colpi di un ariete. Era lui a faticare di più.
“Dammelo, dammelo forte che vengo”
Stavo per avere un orgasmo.
Le mie suppliche si disperdevano per la casa, le parole si trasformavano in gemiti sonori.
Se la mia vicina avesse ascoltato qualcosa, avrebbe pensato che qualcuno mi stesse scopando divinamente. Ma non che fosse proprio suo figlio.
La situazione mi portava a fare pensieri del genere e infatti la perversione che sua madre ci stesse ascoltando fu il via libera per l’orgasmo.
Il ragazzo si abbassò verso di me, avvicinando il petto alla mia schiena e afferrando entrambi i miei seni.
Comprese che fossi venuta forse dalla mia reazione e lentamente estrasse il suo grande pezzo di carne da dentro di me.
Era ricoperto da liane dei miei fluidi.
Mi girai stremata e madida di sudore verso di lui e quel pene epico che tanto bene mi aveva fatto.
Credevo che volesse un pompino, ma in realtà mi fece capire che aveva un desidero che mai nessuno prima di quel momento mi aveva regalato: voleva una spagnola.
Mi stesi sul divano e venne sopra di me, così strinsi il più possibile i miei seni uno contro l’altro.
Grazie ai miei fluidi, il pene scivolava tra i seni come se fosse su una pista di pattinaggio!
Potevo guardare più da vicino il missile che mi aveva fatto godere poco prima. Con che forza spingeva il ragazzo, la stessa mostrata durante il sesso.
Era incredibile da quella posizione. Sembrava di vedere un treno pronto a scaricare il carico su di me.
Decisi di mia spontanea volontà di aprire la bocca e accogliere la parte finale del viaggio.
Da come reagì, doveva piacergli molto.
Stava per venire anche lui, me ne accorsi perché cominciò a sbuffare come un toro.
Il suo liquido uscì fuori sparato verso il mio collo e il mio viso. Non mi era mai successo prima così. Il nettare bianco mi ricopriva.
Con un sorriso gli feci capire che avevo apprezzato tutto dall’inizio alla fine e lui fece lo stesso con il suo pene ardente come un tizzone.
“Ora mi sa che devi rientrare a casa”, gli dissi sottovoce come se fino a quel momento non mi avessero potuto ascoltare mentre gemevo…
Si rimise a posto il pantaloncino e osservai come la sua erezione non spariva ancora: beata gioventù! Era stata proprio una grande scopata.
Mi voltai verso i pomodori che avevo cominciato a tagliare e che avevano assistito a tutto.
Ero ancora nuda sul divano e coperta di quel bel liquido caldo quando lo vidi uscire dalla porta; mi accesi una sigaretta e pensai di voler andare a mare.
Mi feci i complimenti da sola per quanto ero stata brava a ottenere quello che volevo dopo molto tempo.
Che bravo ragazzo, gli mandai un messaggio qualche ora dopo che diceva:
“Ritornami le mutande adesso.”
In effetti, cosa ci fa una donna sola come me, su un’isola, quando l’estate sembra lontana?
Io qui ci sono nata, tanto per cominciare. E quando i miei genitori sono passati entrambi a miglior vita ho ereditato la piccola boutique di famiglia.
Capri è tutta la mia vita. È una questione di abitudine quando nasci e hai sempre vissuto su un pezzo di terra in mezzo al mare: fin da piccola i miei occhi hanno saputo convivere con i fiumi di turisti in estate e la calma d’inverno.
Il motivo per cui non ho mai lasciato l’isola è semplice. Il mare. Io adoro il mare. E lo posso vedere tutti i giorni aprendo la finestra della mia cucina.
Proprio dalla finestra in cucina comincia la mia storia.
Ho sempre vissuto nella stessa casa, da quando ero bambina. Sì, ho ereditato anche questa dai miei genitori. Ad oggi sono single e il pensiero di trovarmi un’altra casa nella quale vivere ugualmente da sola, mi distrugge.
Durante l’infanzia e l’adolescenza, il fatto che condividessimo una parte di casa con i vicini non era un problema.
Però con il passare degli anni si è fatto più forte il bisogno di intimità e di riservatezza.
Mi spiego meglio: la nostra cucina comunica direttamente con un patio che raccoglie altre due abitazioni.
Molto tempo fa, condividere questo spazio, era una gioia. Le famiglie si scambiavano piccole porzioni di pranzo, erano frequenti le chiacchierate da una casa all’altra.
Ecco, crescendo, tutto questo è venuto a mancare. Erano davvero altri tempi.
Adesso arriviamo al sodo, perché non voglio annoiarvi e spiegarvi perché questo problema domestico è finito col diventare un sollievo.
Inizialmente la situazione che sto per raccontarvi mi stava procurando dei grossi grattacapi, per non dire un vero e proprio spavento.
Tutto comincia in una serata di quarantena per COVID, tre anni fa ormai.
Uscii sul patio per riprendere il bucato e una volta rientrata in casa mi accorsi che mancava la mia brasiliana preferita. Ero sicura di averla lavata. La cercai senza sosta, ritornai alla lavatrice, rivoltai i cassetti in camera. Niente.
Scomparsa.
Chiesi anche alla mia vicina più prossima, ma niente da fare.
Fu la prima volta che accadde. Era una gran bella brasiliana, comoda e del mio colore preferito, ma in fin dei conti era un semplice slip. Per questo non diedi troppa importanza.
Caso vuole che la stessa situazione ricapitò esattamente l’anno successivo.
Lo ricordo alla perfezione: quella sera tornai a casa da un compleanno e prima di uscire avevo steso il bucato.
Ovvio che con qualche ora di assenza da parte mia, nessuno poteva aver toccato qualcosa. Ed ecco che mancava una mia mutandina dalle corde in cortile.
Nonostante fossi tornata a casa brilla non mi persi d’animo e la cercai dovunque. Non potevo aver perso così di botto la memoria: quella mutandina l’avevo stesa io personalmente qualche ora prima e adesso mancava!
Cominciai a pensare che le mie vicine di casa, magari invidiose della mia età e del mio vestiario, mi avessero preso di mira.
Anche in quel caso, non diedi ulteriore importanza e me ne dimenticai, senza collegare il tutto alla prima sparizione.
E arriviamo a qualche settimana fa.
Una sera, dopo cena, invitai a casa la mia migliore amica e di cosa potevamo parlare?
Della mia astinenza a letto, chiaro.
La mia amica coetanea è sempre stata un portento con gli uomini, soprattutto con quelli più giovani.
I racconti delle sue avventure con i figli delle sue conoscenti mi hanno sempre strappato un sorriso per quanto strambe e lei non manca mai modo di pungolarmi e invogliarmi a lasciarmi andare a qualche rapporto occasionale di tanto in tanto.
“Ci vuole una bella scopata! Una come te non può non farsi sbattere minimo una volta a settimana”, mi dice sempre facendomi sorridere per l’imbarazzo. Più diretti di così si muore.
Proprio mentre eravamo a chiacchierare, dal patio uscii il figlio della vicina, ormai maggiorenne.
Vi lascio immaginare cosa arrivò a consigliarmi la mia amica.
Però devo ammettere che riuscì a mettermi la classica pulce nell’orecchio.
Ho visto crescere quel ragazzo praticamente, lo conosco fin da quando era un bambino e devo ammettere che è diventato un bel tipo. Dettaglio: il ragazzo in questione lascerà Capri dopo l’estate per proseguire gli studi a Napoli.
Quando la mia amica mi lasciò finalmente da sola, mi misi a letto ed ebbi un’illuminazione: e se era stato lui a rubare le famose mutandine?
Non ci pensai più di tanto comunque e chiusi gli occhi.
Trascorsi un paio di giorni, cominciai però a fare più attenzione al bucato. Se davvero era stato quel ragazzo in preda ai bollenti spiriti della gioventù?
Avevo un po’ di legittima curiosità per scoprire il ladro di mutandine.
Ripensandoci, stavo mettendo in piedi questo gioco perché la mia vita era diventata forse troppo noiosa e monotona. Ci voleva una botta di vita.
Così pensai ad un piano. Portai a casa dalla boutique un perizoma nero, il più sexy che avevo in negozio.
Mi sembrava una buona idea per attirare il ladruncolo.
E infatti dopo pochi giorni il ladro ritornò in azione cadendo nella trappola.
Ormai era chiaro: qualcuno dei miei vicini aveva interesse per il mio intimo. I mariti depravati delle mie vicine? Il ragazzo della porta accanto? Aveva poca importanza.
Anche a lavoro non riuscivo a pensare ad altro in quei giorni: dovevo cogliere il ladro sul fatto.
Decisi così di riprovare con lo stesso perizoma, ma di un altro colore, e tornata a casa una sera lo lasciai steso sulla corda del bucato.
Mi appostai alla finestra e lì decisi di restare nascosta.
Il ladro doveva essere uno sciocco, un pervertito o una bella invidiosa per commettere a distanza di poco tempo un nuovo furto.
Passavano le ore. Nessuno si fece vivo. Cenai, sistemai casa ma ancora niente.
Proprio quando cominciavo a perdere le speranze, mi avvicinai alla finestra per fumare ed ecco che un’ombra silenziosa procedeva a passi di gatto verso il mio bucato.
Aspettai che sfilasse il perizoma e si voltasse di spalle per vederlo meglio sotto la luce del lampione e zac: colto con le mani nella marmellata.
Era il figlio della mia vicina!
Al vedere quella scena scoppiai a ridere e per poco non cascavo dalla sedia.
Mi diede una certa soddisfazione l’idea di eccitare un ragazzo così giovane.
Non mi piace fare la falsa modesta e non mi piace prendermi in giro: credo di essere una bella donna e curo molto l’aspetto fisico e il vestiario.
Quindi l’idea che un ragazzo così silenzioso, timido, elegante nei modi, si masturbasse su di me e per giunta con le mie mutandine, mi eccitò ai massimi livelli.
Pensai innanzitutto a cosa fare, anche di bussare alla porta e dargliene un paio.
Potevo sempre sfruttare questa situazione a mio favore, però.
Il ragazzo poteva essere il prescelto per darmi una bella rinfrescata, diciamo così.
Dopotutto mi sembrava una bella storia da raccontare. Io a scopare col figlio della vicina, roba da matti!
Perciò escogitai un piano.
Quel giorno finsi di aver un polso fasciato e di dover montare un paio di mensole e stando a lavoro tutto il giorno avevo bisogno di questo favore da parte dei miei vicini.
Ovviamente sapevo che fossero entrambi a lavoro. Tranne il loro carissimo figlio, con la scuola ormai finita e le mattinate libere.
Insomma, riuscii ad avere il suo numero tramite la madre.
Si stava facendo ora di pranzo ed era arrivato il momento di entrare in azione.
Messaggiai il ragazzo scrivendogli:
“Ciao *******, sono **** la vostra vicina di casa. Tua madre mi ha dato il tuo numero, ho bisogno di un aiuto per montare una mensola in soggiorno perché da sola non riesco e so che puoi aiutarmi. Sei disponibile tra una mezz’ora?”
La risposta non tardò ad arrivare.
Chiusi all’istante il negozio per motivi personali, diciamo così, e mi avviai di corsa a casa.
Avevo scelto un outfit apposta per l’occasione: un vestitino leggero e molto scollato per mettere in bella vista il seno e dei sandali. Ma non portavo il reggiseno.
Pensai alla comodità e alla praticità innanzitutto. Nel caso fossi riuscita nel mio intento, non si poteva perdere tempo.
Arrivata fuori la mia porta, trovai il ragazzo già lì.
Ci salutammo con un po’ di soggezione, come è normale che sia. In 18 anni di vicinato ci eravamo a stento salutati.
Secondo me fece un grande sforzo per non guardarmi il davanzale!
Mettemmo piede in casa e mi assalì subito voglia di correre a letto con quel ragazzo, incredibile. Non mi capitava da un po’ di desiderare così tanto una bella scopata, come direbbe la mia amica.
Gli offrii prima un bicchiere d’acqua, facendogli lo scanner dalla testa ai piedi.
Fantasticavo sulle dimensioni del suo arnese tra le gambe.
Gli sorridevo, ma in realtà lo stavo mangiando con gli occhi.
Lui non mi degnava di uno sguardo. Finto timido a quanto pare, perché poi in casa si divertiva abbastanza coi miei perizoma!
Scambiammo qualche domanda di cortesia ma lui era lì per altro, pronto ai miei ordini.
“Vieni con me, ti faccio vedere le mensole”, gli dissi facendogli strada in camera.
Già lo immaginavo dietro di me oppure io sopra di lui a godere.
L’astinenza si stava facendo sentire più forte adesso, perché se tutto fosse andato a gonfie vele, sarebbe finalmente terminata.
Meditai anche di saltargli addosso all’improvviso, ma forse era meglio continuare a giocare.
A dir la verità lo vedevo emozionato, un ragazzo davvero timido.
Dovevo scioglierlo.
“Sai trapanare?”, gli disse alludendo a un banale doppio senso. “Io faccio solo danni e rovino sempre le pareti”.
“Credo di sì, hai gli attrezzi?”, mi chiese.
“Sì è tutto dietro di te”, indicandogli trapano e viti.
Non feci a meno di notare che si voltò con un po’ di ritardo perché nel frattempo era impegnato a guardarmi la scollatura.
Bene così, ragazzo.
Il gioco mi stava piacendo. Cominciai ad addolcire la voce e a farmi più seducente.
“Allora io vado a preparare il pranzo altrimenti farò tardi a lavoro”, dissi portando una delle mie mani all’altezza del capezzolo.
Arte della seduzione.
“Quanto ci metti?”
“Spero meno di trenta minuti”.
“Perfetto, se hai bisogno mi chiami e ancora grazie!” dissi lanciandogli un sorriso.
Il ragazzo si mise subito all’opera.
Arrivata in cucina, mi misi anch’io all’opera ma avrei preferito fare tutt’altro.
Tagliavo i pomodori e sentivo il rumore del trapano provenire dalla mia stanza e dopo un po’ decisi di rifarmi viva.
“Come va?”, gli chiesi appoggiata allo stipite della porta mettendo in risalto il seno.
“Bene…”, mi rispose facendo cadere gli occhi lì dove volevo.
“Ho tardato un po’ perché non riuscivo a posizionare il sostegno.”
“Figurati! Io ti aspetto.”
Per qualche minuto non si poteva ascoltare altro che il rumore del trapano perché non parlavamo.
Diedi uno sguardo ai messaggi. La mia amica voleva aggiornamenti, ma decisi di non rispondere.
Dopo poco il ragazzo terminò. Mi avvicinai a lui per toccare con mano il suo lavoro e per la prima volta toccai anche lui.
Poggiai le mani sulle sue spalle piccole e cominciai a fissarlo con i miei occhi azzurri.
Non disse nulla, solo sorrise timidamente.
“Come posso sdebitarmi?”
Il tono era più erotico che mai e ce ne accorgemmo entrambi.
“Macché, era una sciocchezza.”
“Vieni, sediamoci per qualcosa di fresco”, gli ordinai.
Ora c’era da fare sul serio.
Ripassai mentalmente la situazione: eravamo soli. I suoi genitori erano a lavoro e così anche gli altri nostri vicini.
Non poteva andare nulla storto.
Peccato solo che faceva caldissimo. Il tutto sommato alla mia eccitazione mi fece diventare un forno a legna.
Si accomodò sul divano, aspettando la limonata.
“Ti da fastidio se mi metto comoda?”, dovevo spingere di più.
Legai i capelli, slacciai i sandali e tolsi la cintura che avevo in vita sul vestitino.
Mi stava guardando tutta. Ne ero certa.
“Speriamo si ecciti presto anche lui”, pensai.
Ma subito mi vennero in mente le parole della mia amica: non lo devi far pensare troppo, devi agire in fretta.
Dopotutto era lui il ladro di mutandine, non avevo bisogno di convincimenti e poi quale ragazzo rifiuterebbe una scopata così regalata con una donna più grande?
Così mi sedetti vicino a lui sul divano, posai la mia mano sulla sua gamba scatenandogli un brivido e giocai a fare la smielata.
“Ti conosco da quando eri un bambino, ma non ci siamo mai conosciuti veramente.”
Che risposta speravo di ottenere?
Dovevo fare più in fretta e così lasciai cadere pian piano le bretelle sottili del vestitino.
Il ragazzo si stava facendo pallido ed era visibilmente a disagio.
Quando fui completamente nuda, il mio ladruncolo deglutì imbarazzato.
L’avevo in pugno, non si poteva tornare indietro.
Aveva perso la lingua, ma riuscì a far uscire il mio nome dalla sua bocca in preda alla sorpresa.
Ero nuda fino alla vita, completamente eccitata e per di più mi ero rasata per l’occasione.
Quanto tempo ci voleva ancora?
Le immagini che avevo disegnato nella mia mente si stavano facendo sempre più reali.
“Sei un ragazzo timido, lo so”, gli dissi.
Affrettai la manovra.
Portai la mano sul suo pene e stavolta la sorpresa ero io: era molto più grande di quello che mi aspettasi e anche lui si stava eccitando.
Ero bagnata.
Gli presi la mano che sembrava morta e la portai sotto il vestitino, lì dove avevo più voglia.
“Non essere timido, riconosci questo perizoma?”
Cominciò con calma a tastare la mia umidità intima. Chiusi gli occhi e portai la testa indietro. Forse c’eravamo quasi!
“Mettici un dito, non morde…” gli chiesi bisognosa.
Non appena infilò un paio di dita dentro di me, disegnai un cerchio con le labbra che assomigliava ad un gemito.
“Sì, voglio proprio questo.”
Le sua dita si muovevano con l’inesperienza della gioventù.
Mi guardava con desiderio, soprattutto il seno.
Ero in estasi.
“Continua così”, gli dissi, ma stavo aspettando il piatto forte.
Era il mio uomo quel giorno e doveva darmi piacere.
Avevo un sorriso da orecchio a orecchio, concentrata solo sulle dita che lentamente il ragazzo stava usando dentro di me.
I miei gemiti gli piacevano.
Però questo era solo l’antipasto.
“Togliti la maglia”, gli ordinai. Si alzò e tolse di scatto la maglia e poi subito dopo abbassò il pantaloncino senza aspettare altro.
Saltò fuori un bel pezzo di carne, con le vene sul punto di scoppiare.
Il ragazzo si era sciolto, adesso voleva quello che anche io volevo.
Aspettava in piedi il mio prossimo comando.
Non fiatai. Mi tolsi completamente il vestitino e il perizoma e mi accovacciai sul divano offrendogli il mio lato B. La mia amata pecorina.
C’era una direzione chiara da seguire davanti agli occhi del ragazzo.
Si avvicinò dietro di me e il suo glande fece il suo ingresso nel mio bollore.
Non mi fece attendere granché.
Da buon giovane con gli ormoni a palla, non cominciò piano e non face calcoli di ritmo: entrò forte e proseguì forte. Menomale che ero bagnata!
Avevamo cominciato alla grande. Il ragazzo ci sapeva fare.
Arricciai le dita dei piedi come un’aquila e dopo qualche gemito finalmente parlai:
“Non ti fermare, scopami così”
Lo ripetevo come un mantra, pregando il giovane uomo che mi stava possedendo.
Le mie parole si persero nell’aria e lasciarono posto ai dolci suoni del sesso e ai miei sospiri di piacere.
Ero al settimo cielo, il mio corpo era finalmente entrato al parco giochi del piacere.
Mi girai verso di lui, guardandolo concentrato a penetrarmi, a darmi e a darsi piacere.
“Così, scopami”
Il sesso continuava. Mi appoggiai sulle mani, stirando le braccia e piegandomi di più verso di lui per favorire il movimento.
Pensai a tutto il tempo sprecato con un vicino così capace, con tale energia!
Il ragazzo non smetteva e aveva le mani affondate sulla mia vita per farsi forza.
Notavo come i miei glutei salivano su e giù e i miei seni danzavano al ritmo della penetrazione.
Mi eccitava ancora di più guardarlo.
Eravamo completamente posseduti, persi in una scopata incredibile sotto il sole di mezzogiorno.
Fatto ancora più incredibile è che il ritmo non si arrestava e io dovevo saper resistere a quella velocità. Dopotutto io dovevo solo sopportare solo i colpi di un ariete. Era lui a faticare di più.
“Dammelo, dammelo forte che vengo”
Stavo per avere un orgasmo.
Le mie suppliche si disperdevano per la casa, le parole si trasformavano in gemiti sonori.
Se la mia vicina avesse ascoltato qualcosa, avrebbe pensato che qualcuno mi stesse scopando divinamente. Ma non che fosse proprio suo figlio.
La situazione mi portava a fare pensieri del genere e infatti la perversione che sua madre ci stesse ascoltando fu il via libera per l’orgasmo.
Il ragazzo si abbassò verso di me, avvicinando il petto alla mia schiena e afferrando entrambi i miei seni.
Comprese che fossi venuta forse dalla mia reazione e lentamente estrasse il suo grande pezzo di carne da dentro di me.
Era ricoperto da liane dei miei fluidi.
Mi girai stremata e madida di sudore verso di lui e quel pene epico che tanto bene mi aveva fatto.
Credevo che volesse un pompino, ma in realtà mi fece capire che aveva un desidero che mai nessuno prima di quel momento mi aveva regalato: voleva una spagnola.
Mi stesi sul divano e venne sopra di me, così strinsi il più possibile i miei seni uno contro l’altro.
Grazie ai miei fluidi, il pene scivolava tra i seni come se fosse su una pista di pattinaggio!
Potevo guardare più da vicino il missile che mi aveva fatto godere poco prima. Con che forza spingeva il ragazzo, la stessa mostrata durante il sesso.
Era incredibile da quella posizione. Sembrava di vedere un treno pronto a scaricare il carico su di me.
Decisi di mia spontanea volontà di aprire la bocca e accogliere la parte finale del viaggio.
Da come reagì, doveva piacergli molto.
Stava per venire anche lui, me ne accorsi perché cominciò a sbuffare come un toro.
Il suo liquido uscì fuori sparato verso il mio collo e il mio viso. Non mi era mai successo prima così. Il nettare bianco mi ricopriva.
Con un sorriso gli feci capire che avevo apprezzato tutto dall’inizio alla fine e lui fece lo stesso con il suo pene ardente come un tizzone.
“Ora mi sa che devi rientrare a casa”, gli dissi sottovoce come se fino a quel momento non mi avessero potuto ascoltare mentre gemevo…
Si rimise a posto il pantaloncino e osservai come la sua erezione non spariva ancora: beata gioventù! Era stata proprio una grande scopata.
Mi voltai verso i pomodori che avevo cominciato a tagliare e che avevano assistito a tutto.
Ero ancora nuda sul divano e coperta di quel bel liquido caldo quando lo vidi uscire dalla porta; mi accesi una sigaretta e pensai di voler andare a mare.
Mi feci i complimenti da sola per quanto ero stata brava a ottenere quello che volevo dopo molto tempo.
Che bravo ragazzo, gli mandai un messaggio qualche ora dopo che diceva:
“Ritornami le mutande adesso.”
0
voti
voti
valutazione
0
0
Commenti dei lettori al racconto erotico