Fimosi

di
genere
incesti

(Lungo, ma spero intrigante)


Dopo tanti anni passati a nascondere il mio fastidio e le mie insicurezze, decisi di spiegare tutto a mia madre, cioè l’unica persona della mia minuscola famiglia.
 
“Mamma… credo… credo di avere… potrei avere… non saprei, magari mi sbaglio… però credo di avere…credo di avere la fimosi!”, confessai quel giorno con totale insicurezza a mia madre, facendomi rosso come un pomodoro.
“Come?”, mi domandò sorpresa distogliendo lo sguardo dalla televisione.
“Che significa che hai la fimosi? E da quando? Come lo sai?”, aggiunse.

“Già da un po’”, le risposi gesticolando con le mani facendo finta di non dare importanza alla cosa.
“Sì, però come hai saputo di averla? Ti fa male? Cosa senti?”, disse tormentandomi con una serie di domande.
“Non lo so…non mi fa male, però….”, risposi cercando di evitare di dirle che in realtà la vera sofferenza riguardava l’atto della masturbazione e che sapevo con certezza di avere la fimosi perché non ero mai riuscito a vedere completamente il glande.

“Continui a non rispondermi, voglio sapere come hai scoperto di averla!”, tornò ad insistere.
“Ho trovato tutto su Internet. Qualche pagina di medici, roba del genere”, dissi per sbrigare la faccenda.
“Bene. E come sai di avere la fimosi se nemmeno ti fa male? Da Internet? Io credo che questa è proprio un’altra delle tua stupidaggini”, mi disse abbastanza irritata, anche perché io sono sempre stato ipocondriaco.
“Questa volta è vero!”, insistetti.
 
“Bene, allora fammi vedere” disse convinta. “Mamma!”, esclamai, “Adesso? Stai scherzando? Parliamone con la dottoressa che è molto meglio”, le dissi sempre più imbarazzato.
“Gioia, sono tua madre e l’avrò visto centinaia di volte. Se non me lo fai vedere, non chiamerò nessuna dottoressa. Non ho intenzione di ritornare lì senza motivo, ormai è appuntamento fisso con i dottori. Ci hanno scambiato per due malati immaginari!”, mi minacciò.

Timoroso e rosso in volto, mi sforzai di pensare a quanto potesse essere soddisfacente avere un pene circonciso e quindi non avevo altra scelta. Mi armai di coraggio e proprio lì, in piedi, davanti a mia madre seduta sul divano, infilai la mano nel pantaloncino e tirai fuori il pene affinché potesse vedere con i suoi occhi e credermi.
Mostrai il minimo indispensabile, il giusto per farle comprendere.
Mia madre mi chiese di abbassare il prepuzio e così feci. Come volevasi dimostrare, non ci riuscii.
Provai un paio di volte, ma niente.
“Posso provare io con le tue mani?”, chiese mia madre.
Senza che neanche potessi rendermene conto e oppormi, mia madre afferrò il mio pene con indice e pollice come una saetta, abbassò il prepuzio e fece di tutto per far uscire allo scoperto il glande.
Non potetti far altro che urlare dal dolore, imbarazzato e forse anche umiliato dalla situazione. Non bastava non credermi, doveva anche farmi provare dolore!
“Bene, domani prenderò appuntamento con la dottoressa”, ammise lasciando andare la presa.
Prima ancora che finisse di parlare, avevo già rimesso il mio pene al suo posto, stizzito.

E così il giorno dopo mia madre mi accompagnò in ambulatorio.
La visita fu breve e semplice. La mia dottoressa di famiglia è una donna sulla cinquantina, anche se più che un medico sembra una macellaia. Ma sono dettagli.
Dopo averle spiegato il problema, cominciò a toccarmi il pene come se si trattasse proprio di una salsiccia qualsiasi.
Era da un po’ che lo stava maltrattando nei suoi guanti, finché non mi diede il responso.
“Sì, hai una fimosi di grado 4”.
A quelle parole, mi prese uno spavento, ma allo stesso tempo provai una specie di sollievo e anche rivalsa nei confronti di mia madre.
Finalmente avrei potuto avere un pene normale una volta accordata l’operazione.
La dottoressa finì quindi di spiegarmi cosa significava esattamente avere una fimosi e tutto il procedimento successivo, quello che avrei dovuto fare prima e dopo l’operazione, le date disponibili per l’intervento e altri dettagli medici.

Arrivò il giorno tanto atteso dell’operazione.
Ci alzammo alle 5 del mattino, direzione ospedale.
Quella che stavamo facendo in auto era la strada della libertà. O meglio, la libertà del mio glande.

Di quel giorno non posso dire molto.
Molta paura, stress, nervosismo, ipocondria da tutti i pori, dolore, sangue, odore di carne bruciata, decine di persone che a turno mi toccavano il pene…
Insomma, cose normali in questo tipo di operazioni.
L’importante era uscire della sola operatoria con un nuovo pene.
 
Terminata l’operazione, ancora sotto l’effetto dell’anestesia, mi lasciai andare su una sedia a rotelle a caso senza comprendere bene dove fossi.
Per questo dovettero spiegare tutto a mia madre: come era riuscita l’operazione, come, quando e dove fare le successive cure e cosa avrei e non avrei potuto fare io personalmente.
In auto, sulla strada del ritorno, continuai a dormire.
Solo una volta rientrati a casa mia madre poté spiegarmi tutto.
“Ascoltami bene. Il dottore mi ha detto che devi lavarlo tutti i giorni con questo sapone adatto e cambiare la garza quando comincia a sporcarsi troppo”, mi spiegava indicandomi tutti i prodotti comprati in farmacia probabilmente mentre io dormivo in auto.
“E poi ti ha raccomandato di tenerlo verso l’alto, così ti farà meno male”, concluse.

Il peggio era passato, cioè l’operazione.
Ma la convalescenza non era affatto facile.
Non appena mia madre finì di spiegarmi, corsi nella mia stanza per constatare con i miei occhi il risultato dell’operazione.
Mi avvicinai al piccolo specchio sulla scrivania e lo tirai fuori.
Non sentivo un granché perché quella parte era ancora anestetizzata, ma per la prima volta nella mia breve vita, vidi il mio glande. Era enorme, violaceo e chiaramente maltrattato dall’operazione. La parte del tronco era avvolta da alcune garze che avevano il compito di proteggermi e ogni cosa lì sotto sembrava aver fatto conoscenza del sangue.
 
Improvvisamente si aprì la porta e in preda ad un riflesso istintivo, provai a rimettere di nuovo dentro il mio pene, ma una forte fitta di dolore non mi permise di concludere, lasciandomi nudo davanti a mia madre.
 
“Tesoro, perché l’hai fatto? Ti sei fatto male? Non devi preoccuparti. E vorrei dire, oggi te l’avranno visto 10 estranei almeno“, mi disse visibilmente preoccupata e rammaricata per avermi spaventato.
“Sono venuta a lasciarti la pomata e le garze nel caso avessi bisogno”, mi disse, non potendo fare a meno di fissarmi il pene.

Dopo aver posato i medicamenti sulla scrivania, si avvicinò a me.
“Lasciami vedere come è andata l’operazione”, mi disse guardando le garze con una tranquillità che definirei professionale.
“Ti fa molto male?”, mi chiese.
“No, per adesso”, le risposi ancora pieno di vergogna.
“Ricordati di lavarti bene quando fai la doccia e fai molta attenzione questi primi giorni”, finì di avvertirmi, e poi uscì.
 
Quel giorno anche solo andare in bagno per fare pipì mi provocava un dolore atroce.
Per questo motivo non mi cimentai nell’impresa della doccia.
Dopo qualche ora cominciò a fare male, ma niente in confronto a cosa avrei provato di notte.
Mentre dormivo, ognuna delle erezioni notturne che avevo si trasformava in un supplizio.
 
Il giorno dopo, volente o nolente, toccava lavarsi.
Una volta nella doccia, guardai attentamente al mio caro pene e cominciai a lavarmi con molta attenzione, cercando di non fargli arrivare l’acqua direttamente.
Poco a poco, cominciai a togliere la garza, che purtroppo non mi aiutava. Non aveva intenzione di staccarsi, nonostante fosse bagnata, e anche il minimo movimento mi provocava un dolore bestiale.
Dopo 10 minuti riuscii a staccarla soltanto di un paio di centimetri, stava diventando un incubo.
Mi rassegnai e dovetti cercare l’aiuto di mia madre.

Senza dubitare, si precipitò in bagno e per la terza volta in pochi giorni, avrei mostrato il pene a mia madre.
Con l’unica differenza che questa volta mi avrebbe visto completamente nudo.
Pieno di vergogna, le chiesi di aiutarmi con le garze.
 
Prese un piccolo sgabello e si sedette fronte alla doccia.
“Ti fa molto male?”, chiese mentre afferrava il pene per guardare meglio. “Il problema è questa garza, vero? Non si stacca facilmente”, dedusse.
Aprì l’acqua e cominciò a lavare il pene con delicatezza.

A poco a poco provava a rimuovere la garza, non potendo evitare che sentissi un po’ di dolore, ma in effetti si notava come ad ogni colpo che dava, quella si toglieva sempre di più.
Finalmente, dopo un po’, tutta la garza fu tolta e il mio pene uscì fuori come un regalo appena scartato.
Non era al massimo della forma, pieno di punti e ancora sporco del liquido anestetizzante, ma dopotutto era il mio nuovo pene!
 “Lo vedo bene, secondo me sta già sanando”, mi disse sorpresa.
 
Dopo un po’ chiuse l’acqua, mi spalmò la pomata consigliata e avvolse tutto in una nuova garza.
“Ora ti farà un po’ male dopo tutto questo stress. Se vuoi puoi usare l’analgesico più tardi.”
Il giorno trascorse senza molti patemi, finché non arrivò la notte con le erezioni involontarie, un vero castigo divino.
 
Il giorno seguente tentai invano di fare tutto da solo. Non ero ancora capace.
Il dolore era costante e non avevo sufficiente dimestichezza così dovetti chiamare di nuovo mia madre, non senza fastidio.

Che mia madre toccasse il mio pene per aiutarmi ormai era routine e stavamo cominciando ad accettare la situazione, finché un giorno, più o meno quando i punti cominciarono a cadere da soli, il dolore che ero solito provare si trasformò in una sensibilità molto forte su tutta la zona del glande e buona parte del tronco.
Non fu una buona cosa.
 
Mia madre, come d’abitudine, mi toglieva la garza vecchia, puliva la zona e applicava la pomata, ma poiché molti punti erano già caduti, il contatto con le sue dita lubrificate e la strana e forte sensibilità che provavo dove prima c’era il prepuzio, fecero sì che inevitabilmente il pene cominciasse a diventare più duro e ad acquisire grandezza.

“Perdonami mamma, davvero, purtroppo…”, provai a scusarmi, ma mi interruppe.
“Calma, gioia, è normale in un ragazzo di sedici anni. Se il pene viene stimolato, soprattutto da una donna, succede quel che deve succedere. Non preoccuparti.
Anche se devo dire che hai tardato un po’, ho letto su internet che di solito avviene una settimana dopo l’operazione”, disse provando a smorzare l’imbarazzo.
Risi nervosamente, trascurando il fatto che mia madre aspettasse già da qualche giorno che io mi sarei eccitato in maniera del tutto naturale.

La sensazione del contatto con la nuova zona che adesso era allo scoperto era troppo intensa e piacevole, finché non ottenni una vera e propria erezione, che non accennò minimamente a spegnersi. Mia madre restò impassibile davanti a quello spettacolo.
Quando finì di applicare la pomata e la nuova garza, tornai di corsa nella mia stanza e feci una specie di test personale.
Abbassai pantaloncino e mutande e cominciai a toccarmi leggermente per tornare a sentire il piacere, ma non ero ancora pronto. Anzi, dopo poco cominciai ad avere fastidio.

•••••
 

Il giorno dopo, di pomeriggio, prima della solita doccia, ero nervoso e imbarazzato per l’erezione che avevo avuto per mano di mia madre.
Pensai quindi che era una buona idea masturbarmi, poiché non eiaculavo ormai da quasi 10 giorni.
Dovevo sfogare la pressione per evitare di avere un’altra erezione davanti a mia madre. Non l’avrei presa bene.
Così provai in tutti i modi possibili: massaggiando la parte esterna, infilando un dito tra glande e garza, simulai anche una delicata sega.
Provai davvero di tutto. Ma l’unica cosa che ottenni fu un’erezione allucinante e a quel punto avevo solo voglia di buttare tutto fuori.

Avevo tardato molto e quindi si fece l’ora della doccia.
Con un pene allo stato roccioso, entrai nella cabina e mia madre, senza che ormai la avvertissi, entrò in bagno non appena sentì l’acqua aprirsi.
“Aspetta!”, urlai immediatamente e mi girai spalle alla porta del bagno, con il pene puntando il cielo.
“Oggi riesco a fare tutto da solo”, dissi velocemente per evitare che entrasse definitivamente.

“Ti ho già spiegato che non devi preoccuparti per quello che è successo ieri. È normale eccitarsi. Tutti gli uomini si eccitano”, mi disse, sostando ancora a metà sulla porta semiaperta.
Ma finì con l’entrare e io per davvero non sapevo dove scappare. Ero agitato all’inverosimile.
 
Si sedette sullo sgabello di sempre e come se non avesse importanza il fatto che il mio pene fosse duro come la pietra, lo prese in una mano e fece per togliere la garza.
“Molto bene! Sono quasi caduti tutti i punti. Credo che entro dopodomani li avrai persi tutti”, mi spiegò tranquillamente con il mio pene eretto sul palmo della mano.

Prese la pomata, alzò l’indice per prenderne un po’ e cominciò a spalmarla con delicatezza sui pochi punti che restavano.
“Mamma, davvero posso farlo da solo, ho imparato e non mi fa più male”, le dissi provando a convincerla ad andare via. “Stai tranquillo!”, rispose seccata.
 
Sì, d’accordo che era mia madre e mi stava aiutando senza problemi, ma questo nuovo piacere che avvertivo grazie al suo favoloso indice unto, a contatto col glande, stava facendo sì che le riserve che conservavo da giorni erano sul punto di traboccare.
Poco importa che quelle fossero le mani di mia madre: erano favolose.

Dentro di me c’era un miscuglio di sensazioni molto, molto strane. Non sapevo cosa fare.
Stavo provando imbarazzo, ma ero eccitato come non mai. Una sensazione difficile da spiegare, molto simile ad una perversione che ti tira con lei e tu non riesci a liberarti.
Se a tutto questo aggiungiamo il mio impellente bisogno di eiaculare senza fine e che da circa un minuto le mie occhiate si stavano dirigendo pericolosamente verso il crepaccio ricolmo di lentiggini tra i seni di mia madre, stavo prendendo seriamente in considerazione cosa fare.
Visualizzai due opzioni: supplicarle di andare via e quindi provare a masturbarmi finalmente da solo oppure lasciare che mia madre proseguisse con l’applicazione della pomata e che il destino facesse il resto.
La cosa peggiore è che per la prima volta in vita mia, sotto l’effetto bollente dell’eccitazione, avevo osato guardare in maniera diversa mia madre. O meglio, una parte del suo corpo. L’eccitazione fa brutti scherzi e non conosce regole.

Il tempo per prendere la decisione giusta stava per scadere e l’eccitazione che portavo dentro non era per niente controllabile, così cedetti e mi lasciai trasportare dalla situazione. Mai una donna aveva toccato prima il mio pene e quindi il desiderio di abbandonarmi completamente fu decisivo.
Guardai per l’ultima volta la scollatura di mia madre, come per memorizzare l’immagine e utilizzarla al momento culmine, e poi gettai lo sguardo perso da un’altra parte, desiderando solo di finire presto.
 
Ma cominciai ad avvertire un senso di colpa.
“Ferma…” sospirai mentre le presi piano la mano.
“Che succede?”, disse preoccupata mia madre.
“Mi sta facendo un po’ male”, le dissi fingendo, pentendomi della mia scelta.
Evidentemente non comprese la situazione, perché mi prese alla lettera e riprese il massaggio ancora più delicatamente.
Era a tutti gli effetti una masturbazione. Non so come non faceva a rendersene conto.

“Mamma, mamma…”, tornai a sospirare quasi gemendo per farla smettere, provando a far finta di non essere nella condizione di eccitazione totale.
Credo che a conti fatti comprese benissimo la situazione, ma finse il contrario. Non mi aveva mai visto così e forse le piaceva.
Oppure il bisogno di aiutarmi era più forte di tutto.
Non c’era altra strada. Detto in parole semplici: mia madre mi stava regalando una sega incredibile, involontaria o meno, e io dovevo accettare.

Il piacere era indescrivibile e ormai si era impossessato di me. Le sue dita continuavano a massaggiare, raccogliendo allo stesso tempo tronco e glande.
Le gambe cominciarono a tremare e chiusi gli occhi. Avevo conservato un’immagine nella mente poco prima per quel momento, ma subito fece irruzione un’altra con prepotenza, molto più forte: nei miei occhi chiusi c’era il volto di mia madre durante un orgasmo.
Stavo immaginando mia madre in un rapporto sessuale, ma inquadravo solo il viso. Godeva senza freni.
Il suo volto mentre gemeva immersa nel massimo piacere fu la miccia per la mia eiaculazione.
Finalmente.
Tra le sue dita cominciò a notare gli spasmi del mio orgasmo e un’abbondante fontana di seme cominciò a scendere giù, lasciando spazio ad alcuni getti decisamente più forti, che sicuramente la stavano sporcando, data la sua posizione.
Nella mia mente, mia madre ancora gemeva con l’aiuto di un’immaginaria penetrazione.
Era come se avessi eiaculato per la prima volta in vita mia e una scarica di dopamina aveva inondato i miei neuroni, generando un orgasmo ineguagliabile.

Mia madre aveva continuato a massaggiarmi tutto il tempo, accettando tranquillamente il mio seme. Non voleva disturbarmi.
Aprii gli occhi e trovai conferma che sì, il getto l’aveva raggiunta e anche sul pavimento c’era un bel pasticcio.
Terminato il massaggio, prese la carta igienica e pulì gli ultimi resti di liquido sul pene ancora duro e palpitante.
“Sembra che stai molto meglio adesso”, disse senza la minima ironia.
Che cosa sarebbe successo adesso?
Balbettai nervoso e provai a scusarmi in un certo modo, ma mi interruppe ancora una volta.
“Calmati gioia. È tutto normale. Sei già un adulto ormai e hai le stesse necessità di un uomo qualsiasi. Pensa, me ne sono accorta soltanto alla fine di quello che stava accadendo! Non ci pensare più di tanto.”
Quelle parole mi diedero un po’ di sollievo, ma non riuscivo a smettere di pensare che per raggiungere più facilmente l’orgasmo avevo fatto ricorso ad un’immagine erotica di mia madre.
Lei è una bellissima donna, almeno per me, ma mai prima di quel momento l’avevo in qualche modo sessualizzata.
Mi rivestii e uscii dal bagno, pensando a quanto fossi stato fortunato.



scritto il
2023-07-18
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